Cassazione penale Sez. I sentenza n. 6922 del 11 giugno 1992

(3 massime)

(massima n. 1)

Deve ritenersi valido e processualmente utilizzabile il riconoscimento operato in udienza dalla persona offesa, nel corso dell'esame testimoniale, nei confronti dell'imputato presente. Anche nella vigenza del nuovo c.p.p., invero conserva validità il principio secondo cui siffatti riconoscimenti vanno tenuti distinti dalle ricognizioni vere e proprie, costituendo essi atti di identificazione diretta, effettuati mediante dichiarazioni orali non richiedenti l'osservanza delle formalità prescritte per le dette ricognizioni. Né in contrario si può invocare un preteso principio di tassatività del mezzo probatorio, in forza del quale, nella specie, posta la esistenza di uno specifico mezzo probatorio costituito dalla ricognizione formale, gli effetti propri di quest'ultima non potrebbero essere perseguiti mediante altro mezzo di natura diversa come, appunto, quello costituito dall'esame testimoniale nel cui corso si dia luogo al riconoscimento diretto. Non vi è, infatti, elemento alcuno sulla cui base possa affermarsi che il suddetto principio di tassatività sia stato recepito dal vigente codice di rito, ma anzi la presenza dell'art. 189, che prevede l'assunzione di prove non disciplinate dalla legge, appare dimostrativa del contrario.

(massima n. 2)

Il riconoscimento diretto effettuato nel corso dell'esame testimoniale non è qualificabile come «prova atipica», soggetta, in quanto tale, alla disciplina di cui all'art. 189 c.p.p. (che, tra l'altro, richiede la previa audizione delle parti), ma rientra, invece, nell'oggetto dell'ordinaria prova testimoniale, quale previsto e disciplinato dall'art. 194 stesso codice. Infatti, in base a tale ultima norma, il testimone «è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova», e tra «i fatti che si riferiscono all'imputazione e alla punibilità» e che l'art. 187 c.p.p. considera tra quelli «oggetto di prova» rientra anche quello costituito dall'avere il teste avuto occasione di rivedere e riconoscere, successivamente alla commissione del reato, il soggetto da lui stesso in precedenza indicato come autore del medesimo.

(massima n. 3)

Le dichiarazioni testimoniali assunte non secondo le prescrizioni dell'art. 498 c.p.p. (che prevede l'esame diretto e il controesame dei testimoni), ma mediante semplice conferma, a richiesta del presidente, delle dichiarazioni già rese in dibattimento, davanti ad un precedente collegio venuto meno per la morte di uno dei componenti, non sono inutilizzabili, trattandosi non di prove assunte in violazione di divieti di legge, ma di prove assunte con modalità diverse da quelle previste dalla legge. Un tal modo di procedere, poi, pur se non ortodosso, non dà tuttavia luogo neppure ad alcuna nullità, non essendovi alcuna norma specifica che la preveda, non potendosi inquadrare la violazione in esame in alcuna tra le previsioni di cui all'art. 178 c.p.p. Ne consegue che esclusa la inutilizzabilità e la nullità, gli atti in questione non possono che essere considerati come validi, ancorché irregolari, e quindi legittimamente valutati ai fini del decidere.

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