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Articolo 358 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 28/12/2023]

Non riproponibilità di appello dichiarato inammissibile o improcedibile

Dispositivo dell'art. 358 Codice di procedura civile

L'appello dichiarato inammissibile [325, 327, 329, 331, 339, 350] (1) o improcedibile [348, 350] non può essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge (2).

Note

(1) Si ha inammissibilità dell'appello per:
- decorrenza del termine per impugnare (artt. 325 e 327);
- acquiescenza alla sentenza (art. 329 del c.p.c.);
- omessa integrazione del contraddittorio ad opera delle parti, ai sensi dell'art. 350 del c.p.c.;
- inappellabilità della sentenza (art. 339 del c.p.c.);
- mancanza di una condizione per proporre l'impugnazione.
I casi di improcedibilità, invece, sono quelli previsti dall'art. 348 del c.p.c..
(2) La norma si applica sia all'appello principale che a quello incidentale.
Non trova applicazione, invece, nei casi in cui, per la gravità del vizio, si dichiari nullo addirittura l'appello: in queste ipotesi, ad esempio nel caso di impugnazione proposta da procuratore privo di mandato, il diritto di impugnare non si considera nemmeno esercitato.

Ratio Legis

La disposizione è espressione del c.d. principio della consumazione del potere di impugnazione, che non consente la riproposizione dell'appello, anche tempestiva, qualora l'impugnazione fosse stata dichiarata inammissibile o improcedibile.
Naturalmente, tale principio non riguarda altri mezzi di impugnazione, per cui la proposizione dell'appello contro una sentenza inappellabile non impedisce il successivo ricorso per cassazione.

Spiegazione dell'art. 358 Codice di procedura civile

La norma in esame afferma il c.d. principio della consumazione del potere di impugnazione allorché l’appello venga dichiarato inammissibile o improcedibile.

Letta in negativo, la disposizione consente di ritenere che fino a quando non sia stata pronunciata, con provvedimento definitivo, l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, è proponibile una seconda impugnazione, purché non siano ancora decorsi i termini per impugnare.
Inoltre, se l'appellante principale non si è costituito nei termini, può proporre anche tardivamente, in via incidentale, la stessa impugnazione già proposta in via principale e non ancora dichiarata improcedibile.

Letta in positivo, invece, la norma disciplina le conseguenze che discendono dalla dichiarazione di inammissibilità e di improcedibilità dell'appello, tanto di quello principale quanto di quello incidentale: l'impugnazione non sarà più proponibile, anche se non è ancora decorso il termine per impugnare, e pertanto la sentenza di primo grado passa in giudicato.

Nessun riferimento viene fatto all’ipotesi di estinzione del giudizio di appello, che, ex art. 338 del c.p.c., determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
Si ritiene, tuttavia, che la norma possa essere applicata analogicamente anche a tale ipotesi, con la conseguenza che, se non sono ancora decorsi i termini per impugnare, può essere riproposto il gravame estinto e la cui estinzione non è ancora stata dichiarata.

Con riferimento ai rapporti tra impugnazione principale e impugnazione incidentale, la declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità dell'appello principale preclude sia la riproposizione dello stesso che quella dell'appello incidentale tardivo.
La declaratoria di inammissibilità dell'appello incidentale tardivo ne preclude la riproposizione in altro giudizio in qualsiasi forma.

Massime relative all'art. 358 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 14214/2018

Nel processo civile, il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purché esso sia tempestivo, requisito per la cui valutazione occorre tener conto, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non del termine annuale, bensì del termine breve, decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante. (Nella specie, la S.C., in applicazione del suddetto principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l'ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. emessa dalla Corte d'Appello, siccome proposto oltre sessanta giorni dopo la notificazione di un altro ricorso per cassazione ex art. 348 ter, comma 3, c.p.c., avverso la sentenza di primo grado).

Cass. civ. n. 7344/2012

In conformità ai principi costituzionali del giusto processo, diretti a rimuovere gli ostacoli alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, e quindi a ridurre le ipotesi di inammissibilità, escludendola ogniqualvolta non sia comminata espressamente dalla legge, il principio di consumazione dell'impugnazione è da intendere in senso restrittivo, precludendo lo stesso la riproposizione del ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile (anche se non è scaduto il termine previsto dalla legge) solo nel caso in cui sia già intervenuta declaratoria da parte della S.C., e non anche nel caso in cui la parte emendi il citato vizio, come avviene nel caso di secondo ricorso proposto, pur con maggior ricchezza di argomentazioni, dalla parte che esplicitamente ha rinunciato al primo.

Cass. civ. n. 15721/2011

Il principio di consumazione dell'impugnazione, secondo un'interpretazione conforme ai principi costituzioni del giusto processo, che sono diretti a rimuovere, anche nel campo dei gravami, gli ostacoli alla compiuta realizzazione del diritto di difesa, rifuggendo formalismi rigoristici, impone di ritenere che, fino a quando non intervenga una declaratoria di improcedibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva e si sia svolto regolare contraddittorio tra le parti.

Cass. civ. n. 1902/2011

a consumazione del potere d'impugnazione, che ai sensi dell'art. 358 c.p.c., consegue alla dichiarazione di inammissibilità od improcedibilità dell'appello, presuppone che l'impugnazione sia stata rivolta contro un provvedimento idoneo a costituire giudicato in senso formale. Ne consegue che, proposto appello avverso un'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 186 quater c.p.c. (nel testo anteriore alla modifica apportata dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263), e dichiarato tale gravame inammissibile per non avere l'ordinanza acquistato efficacia di sentenza, in assenza di una valida rinuncia alla pronuncia di sentenza proveniente dalla parte intimata, è ammissibile la proposizione di un successivo appello contro la medesima ordinanza, una volta che la parte intimata, nella prosecuzione del giudizio di primo grado, abbia validamente manifestato detta rinuncia nelle forme di rito.

Cass. civ. n. 9265/2010

Il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva, dovendo la tempestività valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante.

Cass. civ. n. 9058/2010

Il principio di consumazione dell'impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di appello, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, sempre che la seconda impugnazione risulti tempestiva; detta tempestività deve valutarsi, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non in relazione al termine annuale, bensì in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell'impugnante.

Cass. civ. n. 13062/2007

Il principio processuale della consumazione dell'impugnazione — in base al quale la parte rimasta in tutto o in parte soccombente esercitando il potere di impugnazione consuma la facoltà di critica della decisione che la pregiudica e non può proporre in prosieguo altri motivi, o ripetere, specificare o precisare quelli già dedotti, sempre che si tratti di due impugnazioni della stessa specie e che al tempo della proposizione della seconda l'inammissibilità della precedente sia stata già dichiarata —, benché previsto dal codice di rito solo con riferimento all'estinzione del procedimento d'appello o di revocazione nei casi previsti dai nn. 4 e 5 dell'art. 395 (art. 338 c.p.c.) e alla declaratoria d'inammissibilità od improcedibilità dell'appello (art. 358 c.p.c.) o del ricorso per cassazione (art. 387 c.p.c.) ha carattere generale, e deve ritenersi applicabile ogniqualvolta il procedimento d'impugnazione non pervenga, quale ne sia il motivo, ad una decisione di merito. Pertanto, il suindicato principio trova applicazione anche in ipotesi di declaratoria di «irricevibilità» prevista nell'ambito del procedimento speciale avanti alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie di cui al D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, artt. 53 e 54, ultimo comma, per il caso di inosservanza dei termini e dei modi ivi prescritti per la proposizione dell'atto introduttivo del giudizio, e per il mancato rispetto del termine fissato per l'integrazione del contraddittorio, cui non può riconoscersi significato autonomo e distinto dall'inammissibilità o dall'improcedibilità.

Cass. civ. n. 11870/2007

Allorquando il diritto di impugnazione sia stato validamente esercitato, il principio di consumazione dell'impugnazione esclude che possa essere proposto un secondo atto di appello, per motivi diversi da quelli dedotti con il primo gravame, ancorché la seconda impugnazione risulti tempestiva in relazione al termine breve decorrente dalla data di proposizione della prima, essendosi esaurito, con la proposizione del ricorso, il diritto di impugnazione. (Fattispecie relativa a controversia agraria).

Cass. civ. n. 20313/2006

Qualora venga notificato un atto di appello e successivamente l'appellante, ritenendo che la notificazione sia affetta da nullità, provveda spontaneamente alla notificazione di un nuovo atto di appello, nel rispetto del termine di impugnazione (da considerarsi comunque iniziato a decorrere, a carico dello stesso notificante come termine cosiddetto breve, dal momento della prima notificazione), il giudice dell'impugnazione, ove l'appellante (pur avendone l'onere, sia nel caso di insussistenza della nullità del primo appello, sia — in ragione della efficacia ex tunc della rinnovazione — nel caso di nullità) non si sia costituito nei termini in relazione alla prima notificazione, non può dichiarare improcedibile l'appello per difetto di tempestiva costituzione del medesimo, ove l'improcedibilità dell'appello proposto con la prima notificazione non risulti dichiarata al momento della seconda notificazione, trovando viceversa applicazione l'art. 358 c.p.c.

Cass. civ. n. 16162/2002

Stante l'espressa previsione degli artt. 358 e 387 c.p.c., la consumazione del potere di impugnazione presuppone l'esistenza di due impugnazioni della stessa specie nonché, al tempo della proposizione della seconda, una declaratoria di inammissibilità della precedente; pertanto non si ha consumazione del potere di impugnazione quando il suo esercizio sia stato preceduto da una impugnazione di diversa specie.

Cass. civ. n. 1845/1985

La riproposizione del ricorso principale, non ancora dichiarato dal giudice inammissibile o improcedibile, avverso la sentenza che non sia stata mai notificata, è soggetta al termine breve decorrente dalla data della notificazione dell'impugnazione da rinnovare, atteso che tale notificazione equivale, sul piano della «scienza legale» da parte dell'impugnante, alla notificazione della sentenza.

Cass. civ. n. 3132/1984

La disposizione dell'art. 358 c.p.c., che impedisce la riproposizione dell'appello dichiarato inammissibile o improcedibile, non è applicabile nel caso in cui venga dichiarata la nullità del gravame (nella specie, proposto a mezzo di procuratore non esercente nel distretto della corte di appello) atteso che in tal caso il diritto di impugnazione, anziché essersi consumato, deve considerarsi come non esercitato per la nullità del relativo atto, in ordine al quale la pronuncia del giudice ha valore soltanto dichiarativo.

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