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Articolo 106 Codice del processo amministrativo

(D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Casi di revocazione

Dispositivo dell'art. 106 Codice del processo amministrativo

1. Salvo quanto previsto dal comma 3, le sentenze dei tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e nei modi previsti dagli articoli 395 e 396 del codice di procedura civile.

2. La revocazione è proponibile con ricorso dinanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.

3. Contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali la revocazione è ammessa se i motivi non possono essere dedotti con l'appello.

Spiegazione dell'art. 106 Codice del processo amministrativo

La norma in esame si occupa di disciplinare la revocazione nei suoi caratteri generali.
Si tratta, nello specifico, di un mezzo di impugnazione eccezionale, che rappresenta un rimedio diretto contro un vizio della volontà del giudice che ha pronunciato la sentenza: la revocazione, infatti, presuppone particolari circostanze che, se fossero state conosciute, avrebbero portato il giudice a decidere diversamente la controversia.

La norma in commento, in particolare, prescrive che le sentenze del TAR e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione nei casi e nei modi previsti dagli artt. 365 e 366 c.p.c., cui si rinvia per un’approfondita spiegazione.
Basti qui precisare che si tratta di un mezzo di impugnazione a critica vincolata, cioè proponibile per i motivi tassativi predeterminati dal legislatore. Essi, sinteticamente, sono:
  • vizi palesi (cioè errore di fatto e contrarietà della sentenza a un giudicato): in tal caso la revocazione è detta ordinaria;
  • vizi occulti (quali dolo di parte, falsità delle prove su cui è basato il giudicato, rinvenimento di documenti decisivi per la decisione o dolo del giudice): in tal caso la revocazione è detta straordinaria.
Va conclusivamente chiarito che la revocazione è proponibile con ricorso dinanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e che contro le sentenze del TAR la revocazione è ammessa se i motivi non possono essere dedotti con l'appello.

Massime relative all'art. 106 Codice del processo amministrativo

Cons. Stato n. 4533/2019

La revocazione di una sentenza pronunciata in grado di appello può essere chiesta, ex art. 106 del D.Lgs. n. 104/2010, laddove la parte dopo la sua emanazione abbia trovato uno o più documenti decisivi per la corretta soluzione del caso che non abbia potuto produrre in corso di giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario.

Cons. Stato n. 4474/2019

L'errore di fatto, idoneo a costituire il vizio revocatorio previsto dall'art. 395, n. 4, c.p.c., deve consistere in un travisamento di fatto costitutivo di quell'abbaglio dei sensi che cade su un punto decisivo ma non espressamente controverso della causa. In particolare, la falsa percezione da parte del giudice della realtà processuale, che giustifica l'applicazione dell'art. 395 c.p.c. deve consistere in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che abbia portato ad affermare l'esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e documenti di causa, ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti e documenti medesimi risulti invece positivamente accertato. L'errore di fatto revocatorio deve essere tale che se non vi fosse stato la decisione sarebbe stata diversa. In ordine al nesso causale tra l'errore e la decisione, si ci riferisce non alla causalità storica, ma ad un nesso logico-giuridico, nel senso che la diversa soluzione della lite deve imporsi come inevitabile sul piano, appunto, della logica e del diritto, non degli accadimenti concreti. Non si tratta, in altri termini, di stabilire come si sarebbe, nei fatti, determinato il giudice se non avesse commesso l'errore; si tratta, invece, di stabilire quale sarebbe dovuta essere, per necessità logico-giuridica, la decisione una volta emendatene le premesse dall'errore. La revocazione è inammissibile allorché incida su un aspetto della controversia che ha formato oggetto di valutazione e men che meno allorché l'errore segnalato verta sulla interpretazione od applicazione di norme giuridiche. Non è ammissibile il rimedio revocatorio in relazione ad errori non rilevabili con assoluta immediatezza ma che richiedano, per essere apprezzati, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche, ovvero errori che non consistano in un vizio di assunzione del fatto (tale da comportare che il giudice non statuisca su quello effettivamente controverso), ma si riducano ad errori nella valutazione del fatto, di modo che la decisione non derivi dall'ignoranza di atti e documenti di causa, ma dall'erronea interpretazione di essi. L'errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione non soltanto deve essere la conseguenza di una falsa percezione delle cose, ma deve avere anche carattere decisivo, nel senso di costituire il motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione. Per altro verso, rileva come errore di fatto ex art. 395 n. 4, c.p.c. l'omessa pronuncia su un profilo della controversia devoluta in appello, qualora la ragione di siffatta omissione risulti causalmente riconducibile alla mancata percezione dell'esistenza e del contenuto di atti processuali. Tuttavia, il vizio di omessa pronuncia su un vizio deve essere accertato con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso, senza privilegiare gli aspetti formali, cosicché esso può ritenersi sussistente soltanto nell'ipotesi in cui risulti non essere stato esaminato il punto controverso e non quando, al contrario, la decisione sul motivo d'impugnazione risulti implicitamente da un'affermazione decisoria di segno contrario ed incompatibile.

Cons. Stato n. 4262/2019

L'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi degli artt. 106 del D.Lgs. n. 104/2011 e 395, n. 4, cod. proc. civ., è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto allo loro esistenza ed al significato letterale, senza coinvolgere la successiva attività di interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande, delle eccezioni e del materiale probatorio, ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione di errore di fatto revocatorio i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronuncia od abbia esteso la decisione a domande e ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo. L'errore di fatto deducibile per revocazione deve derivare da un'errata od emessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato e comunque attenere ad un punto controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato. L'errore revocatorio non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi, queste, che danno luogo, eventualmente, ad un errore di giudizio, non censurabile mediante il rimedio della revocazione. L'errore di fatto è idoneo a fondare la domanda di revocazione solamente allorché derivi da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, che abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentalmente escluso, ovvero inesistente un fatto documentalmente provato. In pratica, l'errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice è solo quello che non coinvolge l'attività valutativa dell'organo decidente, ma tende ad eliminare l'ostacolo materiale frapposto tra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da un'omessa percezione e semprechè il fatto oggetto di errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato.

Cons. Stato n. 3880/2019

Per l'art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., espressamente richiamato dall'art. 106, comma 1, D.Lgs. n. 104/2010, ricorre l'errore di fatto quando la decisione si fonda sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. Pertanto, l'errore revocatorio ha ad oggetto un fatto (o una "circostanza di fatto") che viene, alternativamente, supposto come esistente quando sicuramente non lo è, ovvero escluso quando esiste per certo; e ciò in ragione dell'erronea percezione del contenuto materiale degli atti del processo. L'errore di fatto revocatorio consiste in un contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, l'una è quella che ne fa il giudice in sentenza e l'altra è quella che incontrovertibilmente emerge dagli atti di causa, quindi, per questo motivo, è tale solo l'errore che appaia con immediatezza e sia di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

Cons. Stato n. 3145/2019

La circostanza che il giudicante, nell'esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni proposte a sostegno delle proprie censure non costituisce motivo idoneo ai fini della revocazione del giudicato.

Cons. Stato n. 2996/2019

Il ricorso per revocazione a seguito del ritrovamento di documenti decisivi per la decisione presuppone che la parte si sia trovata nell'impossibilità di produrli nel corso del giudizio di merito con la conseguenza che la stessa ha l'onere di dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento o del luogo ove esso si trovava fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza non sia dipeso da una sua colpa o da sua negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore.

Cons. Stato n. 1971/2019

Nel processo amministrativo il rimedio della revocazione ha natura straordinaria e l'errore di fatto - idoneo a fondare la domanda di revocazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 106 del D.Lgs 104/2010 e 395 n. 4 del c.p.c. - deve rispondere a tre requisiti: a) derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto fattuale, ritenendo così un fatto documentale escluso, ovvero inesistente un fatto documentale provato; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò di un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa.

Corte cost. n. 123/2017

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 e degli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile, «nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo».

Cons. Stato n. 1/2017

Ai fini dell'integrazione del motivo revocatorio di cui all'art. 395, n. 5), cod. proc. civ. (alla cui stregua le sentenze «possono essere impugnate per revocazione: [...] 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione»), norma richiamata dall'art. 106, comma 1, c.p.a., devono concorrere, in via cumulativa, i seguenti due presupposti: a) il contrasto della sentenza revocanda con un'altra precedente avente tra le parti autorità di cosa giudicata sostanziale; b) la mancata pronuncia sulla relativa eccezione da parte del giudice della sentenza revocanda. Il primo presupposto postula che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che tra le due vicende sussista una ontologica e strutturale concordanza degli estremi su cui si sia espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione emessa per prima; il secondo presupposto richiede che il precedente giudicato formatosi sulle sentenze, con le quali la sentenza revocanda si assume essere in contrasto, sia rimasto del tutto estraneo al thema decidendum su cui si sia pronunciata la sentenza revocanda.

Il giudizio di ottemperanza si risolve nell'interpretazione della sentenza ottemperanda, scomponendosi, invero, la decisione da assumere in tale sede in una triplice operazione logica di: a) interpretazione del giudicato al fine di individuare il comportamento doveroso per la Pubblica amministrazione in sede di esecuzione; b) accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione; c) valutazione della conformità del comportamento tenuto dall'amministrazione rispetto a quello imposto dal giudicato.

Ai fini dell'integrazione del motivo revocatorio ex art. 395, n. 5, c.p.c. (sentenza contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione), deve escludersi l'identità per oggetto tra pronuncia ottemperanda che decide la controversia all'esito del giudizio di cognizione e quella emessa in sede di ottemperanza per stabilire l'obbligo dell'amministrazione di conformarsi al giudicato; infatti, qualora le sentenze poste a raffronto costituiscano l'esito, rispettivamente, dei giudizio di cognizione e di quello di esecuzione, ciò che viene dedotto come contrasto fra giudicati è l'interpretazione che il giudice dell'ottemperanza ha dato dell'ambito della statuizione della sentenza da eseguire, onde la richiesta di revocazione si risolve, in realtà, nel chiedere il riesame delle conclusioni, cui detto giudice è pervenuto, non nell'assenza di consapevolezza dell'esistenza di un giudicato facente stato fra le stesse parti, ma proprio nell'espresso apprezzamento dell'ambito di quest'ultimo e degli adempimenti amministrativi necessari per la sua corretta esecuzione.

Cons. Stato n. 21/2016

Non costituisce motivo di revocazione per omessa pronuncia il fatto che il giudice, nell'esaminare la domanda di parte, non si sia espressamente pronunciato su tutte le argomentazioni poste dalla parte medesima a sostegno delle proprie conclusioni.

Cons. Stato n. 5301/2015

Nel giudizio amministrativo, l'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell'art. 106 cod. proc. amm., deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall'essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa. L'errore deve, inoltre, apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

Ai fini di ottenere la revocazione per errore di fatto in conseguenza del mancato esame di un motivo di ricorso, l'omessa pronuncia su un vizio denunciato deve essere accertata con riferimento alla motivazione della sentenza nel suo complesso e senza privilegiare aspetti formali e può ritenersi sussistente solo nell'ipotesi in cui non risulti essere stato esaminato il punto controverso e non quando la decisione sul motivo (o sull'eccezione) risulti implicitamente, o quando la pronuncia su di esso c'è stata, anche se non ha preso specificamente in esame alcune argomentazioni a sostegno della doglianza.

Cons. Stato n. 4/2014

L'art. 51 n. 4 Cod. proc. civ. - che fa obbligo al giudice di astenersi quando abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo - trova applicazione anche nel giudizio amministrativo di rinvio, tenendo presente che l'alterità del giudice in tale sede costituisce applicazione del principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione, il quale ha "pieno valore costituzionale in relazione a qualunque tipo di processo" che impedisce all'organo giudicante di pronunciarsi due volte sulla medesima res judicanda, in quanto dal primo giudizio potrebbero derivare convinzioni precostituite sulla materia controversa, determinandosi così, propriamente, un "pregiudizio" contrastante con l'esigenza costituzionale che la funzione del giudicare sia svolta da un soggetto "terzo", non solo scevro di interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione del diritto ma anche sgombro da convinzioni formatesi in occasione dell'esercizio di funzioni giudicanti in altre fasi del giudizio.

L'art. 51 n. 4 Cod. proc. civ. - che fa obbligo al giudice di astenersi quando abbia già conosciuto della causa in altro grado del processo - non trova applicazione nei confronti del giudice della fase cautelare che partecipa alla decisione di merito.

Ai sensi dell'art. 106 comma 2 Cod. proc. amm. la revocazione è proponibile dinanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, da intendersi come stesso "ufficio giudiziario", e perciò deve ritenersi che la causa può essere affidata sia alla stessa e sia ad un'altra Sezione, salvo il caso del dolo (o dell'interesse proprio e diretto nella causa) del giudice, posto che in tale ipotesi non può far parte dell'organo giudicante la stessa persona fisica che ha emesso la sentenza revocanda, non sussistendo, negli altri casi, per il magistrato che ha pronunciato la sentenza impugnata per revocazione, alcuna incompatibilità a partecipare al giudizio di revocazione stesso (con conseguente inapplicabilità dell'art. 51 n. 4 Cod. proc. civ.), tenendo altresì presente che che nel processo civile e amministrativo non sono applicabili le regole sulle incompatibilità soggettive del giudice fissate nel processo penale bensì soltanto le cause di astensione e ricusazione stabilite dal codice di procedura civile.

Cons. Stato n. 1/2013

L'errore di fatto, idoneo a fondare la domanda di revocazione (ai sensi dell'art. 81 n. 4 del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, ora dell'art. 106 c.p.a., e dell'art. 395, comma 4, c.p.c.) deve essere caratterizzato: a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l'organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato; b) dall'attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) dall'essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l'erronea presupposizione e la pronuncia stessa. Inoltre, l'errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche.

L'errore di fatto revocatorio si sostanzia quindi in una svista o abbaglio dei sensi che ha provocato l'errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l'una emergente dalla sentenza e l'altra risultante dagli atti e documenti di causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge l'attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l'ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, proprio a causa della svista o abbaglio dei sensi.

Mentre l'errore di fatto revocatorio è configurabile nell'attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza ed al significato letterale (senza coinvolgere la successiva attività d'interpretazione e di valutazione del contenuto delle domande e delle eccezioni ai fini della formazione del convincimento, così che rientrano nella nozione dell'errore di fatto di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., i casi in cui il giudice, per svista sulla percezione delle risultanze materiali del processo, sia incorso in omissione di pronunzia o abbia esteso la decisione a domande o ad eccezioni non rinvenibili negli atti del processo), esso non ricorre nell'ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione (che altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall'ordinamento).

Le eventuali difficoltà applicative conseguenti all'enunciazione di un principio di diritto (nel caso di specie relativo all'obbligo, nell'ambito di gara da aggiudicare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, di valutare la sola offerta illegittimamente pretermessa, senza rinnovo di tutte le operazioni di gara), sollecitano il corretto esercizio della potestas iudicandi del giudice investito della relativa problematica, ma non possono essere evidentemente considerate come manifestazione o come prova di un presunto errore di fatto revocatorio, tanto più che, a tutto voler concedere, esse sarebbero piuttosto il frutto o meglio la prova di un errore di giudizio o di valutazione che, com'è noto, non legittima il ricorso per revocazione (fattispecie nella quale la ricorrente ha contestato, in sede revocatoria, l'omessa considerazione da parte del giudice, dei criteri di valutazione di gara, costituiti dal metodo del confronto a coppie).

Cons. Stato n. 3415/2012

Il contrasto di giudicati ipotizzato dall'art. 395 n. 5, c.p.c. ricorre quando si tratti di decisioni intervenute fra le stesse parti ed aventi lo stesso oggetto, così da sussistere un'ontologica e strutturale concordanza - per identità di "petitum" e di "causa petendi" - degli estremi sui quali deve essere espresso il secondo giudizio, rispetto agli elementi distintivi della decisione prima emessa.

Cons. Stato n. 6348/2011

Nell'ambito del giudizio di revocazione di una sentenza amministrativa per errore di fatto di cui al n.4 dell'art. 395 c.p.c., la domanda è da considerarsi inammissibile qualora verta su questioni qualificabili come giuridiche, giacché tale istituto non può in nessun modo tradursi in un terzo grado di giudizio.

Cons. Stato n. 6347/2011

Nell'ambito del vaglio giurisdizionale di ammissibilità della domanda di revocazione disciplinata dal Titolo III del Libro Terzo del cod. proc. amm., l'omesso esame di un motivo di ricorso da parte dei giudici individuati dall'art. 106 può dar ingresso al giudizio di revocazione della sentenza, quando costituisce errore di fatto di tipo revocatorio, ossia quello ricorrente nei casi di cui all'art. 395, n. 4, c.p.c., e non già errore di diritto: e ciò anche quando cade sull'esistenza o sul contenuto di atti processuali e determina un'omissione di pronuncia, purché quest'ultima sia identificabile attraverso la motivazione della sentenza.

Cons. Stato n. 3252/2011

Essendo la revocazione una impugnazione a critica vincolata, il motivo di revocazione ha la funzione di passaggio obbligato; ne consegue l'impossibilità di integrazione o modificazione e, a maggior ragione, di introduzione di nuovi motivi nel corso del giudizio se ciò non avvenga nel rispetto delle formalità di rito e del termine decadenziale previsto.

Cons. Stato n. 2/2011

Il giudice amministrativo, così come il giudice ordinario, non può autonomamente disapplicare la norma interna che ritenga incompatibile con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, analogamente a quanto previsto per il diritto dell'Unione Europea (a partire dalla sentenza della Corte di Giustizia Simmenthal del 1978 e della Corte Cost. n. 170/1984). Infatti, nonostante taluni orientamenti giurisprudenziali e dottrinari di segno contrario, il giudice delle leggi ha più volte chiarito come sulle norme interne contrastanti con le norme pattizie internazionali, ivi compresa la CEDU, spetti esclusivamente alla stessa Corte costituzionale il sindacato di costituzionalità accentrato.

Va sollevata la questione di costituzionalità degli artt. 106 del codice del processo amministrativo (L. n. 104/2010) e 395 e 396 del codice processuale civile, in relazione agli artt. 117 co.1, 111 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Cons. Stato n. 5999/2010

Nelle ipotesi di mancata notifica della sentenza oggetto di revocazione, per effetto del rinvio operato dall'art. 36 L. Tar, all'art. 396 c.p.c., anche il termine per la proposizione della revocazione ordinaria - decorrente dalla pubblicazione della decisione - non è più quello di sessanta giorni già previsto dall'art. 82, R.D. n. 642 del 1907, bensì il termine lungo annuale previsto dall'art. 327 c.p.c.

Cons. Stato n. 2/2010

L'errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del giudice con il rimedio straordinario della revocazione è solo quello che non coinvolge l'attività valutativa dell'organo decidente ma tende invece ad eliminare l'ostacolo materiale frapposto fra la realtà del processo e la percezione che di questa il giudice abbia avuto, ostacolo promanante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell'asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato, dovendosi escludere che il giudizio revocatorio, in quanto rimedio eccezionale, possa essere trasformato in un ulteriore grado di giudizio.

Cons. Stato n. 4465/2008

Il ricorso per revocazione, proposto entro l'anno dall'emanazione della decisione revocanda, deve essere ritualmente notificato presso il difensore costituito, in quanto, ai sensi dell'art. 330, c.p.c., gli effetti dell'elezione di domicilio dichiarata nel corso di un procedimento giurisdizionale cessano, ai fini dell'identificazione del luogo di notifica dell'eventuale impugnativa, solo con il decorso di un anno dalla pubblicazione della decisione che ha concluso il processo.

Cons. Stato n. 214/2008

Nel giudizio revocatorio, il termine di deposito dell'atto introduttivo è lo stesso di quello previsto per l'impugnazione davanti al Tar, ovvero 30 giorni.

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