Apertura di luci sul muro proprio. Divieto di apertura di luci sul muro comune
L'apertura di luci, munite dei requisiti di legge, costituisce per il proprietario semplice esercizio del diritto di proprietà senza menomazione del diritto di proprietà del vicino. Per l'apertura delle luci
non è quindi prescritta alcuna distanza dal fondo vicino: esse possono essere aperte anche nel muro contiguo al fondo altrui (art. 903).
Ma poiché si tratta di un esercizio del diritto di proprietà, l'apertura delle luci presuppone la
proprietà esclusiva del muro in cui si aprono. Se invece il muro è comune, nessuno dei condomini potrà aprire luci senza il consenso dell'altro (art. 903 capov.), costituendo ciò una innovazione che non rientra nei diritti consentiti ai condomini sui muri comuni divisori (artt.
884;
885).
Ci si è domandati se il divieto di aprire luci sul muro comune (art. 903) sia applicabile anche ai
muri comuni fronteggianti una via o una piazza pubblica. La questione nasce nel caso in cui si espropri dal Comune e si abbatta l'edificio adiacente al muro comune, destinando a via o piazza pubblica lo spazio su cui esso sorgeva, e dati i grandiosi lavori di sventramento che si fanno nelle maggiori citta, la questione 6è di grande interesse pratico. Alcuni hanno ritenuto che in questo caso cessi il divieto dell'art. 903 perché le vie e le piazze pubbliche sono destinate, tra l'altro, a dare aria e luce agli edifici. L’opinione prevalente, però, è di contrario avviso: poiché l'ente espropriante è subentrato nel diritto di comunione, spettante prima al condomino espropriato, esso è in diritto di pretendere l'applicazione dell'art. 903 e di impedire quindi al vicino l'apertura di finestre. Nella maggior parte dei casi l'espropriante non si avvarrà di tale diritto, anzi, nell'interesse dell'estetica e dell'igiene, solleciterà lui stesso i lavori occorrenti per dare un'architettura di facciata a quello che prima era stato un muro divisorio interno. Ma ciò non toglie che, quando lo creda opportuno, possa riservare a suo uso la disponibilità della parete esterna del muro comune.
Apertura di luci sulla sopraelevazione del muro comune
Il vecchio codice non si limitava a vietare, senza il consenso del vicino, l'apertura di luci sul muro comune (art. 583), ma estendeva il divieto anche all'apertura di luci sulla sopraelevazione del muro comune a cui il vicino non aveva voluto contribuire (art. 586).
Questa estensione del divieto alla sopraelevazione del muro comune, che il vecchio codice aveva mutuato dal codice sardo, era stata
giustificata con alcune considerazioni nel corso dei lavori preparatori di quel codice. Il Guardasigilli sardo fece rilevare che la soluzione accolta non era ingiusta verso il condomino che aveva innalzato ii muro comune a proprie spese: «
la legge (egli disse) ha già beneficato colui che innalza il muro comune attribuendogliene per intero la proprietà per la maggiore altezza, benché costruito su di un muro che gli appartiene soltanto per metà; avendo già questo beneficio, non si trova giusto di aggiungervi ancora l'altro, di aprire finestre semplici con detrimento del vicino, atteso che malgrado le precauzioni indicate nei precedenti articoli (cioè i requisiti prescritti dall'art. 901 del presente codice) potrà sempre vedere il vicino dalla sua casa. Trattandosi di una proprietà data soltanto dalla legge, questa può apporvi le modificazioni che crede opportune ».
Ma nonostante queste ragioni il divieto sancito dal codice sardo, ripetuto dall'art. 586 del vecchio codice, fu fu oggetto di
fondate critiche. Non sembrò giusta l'estensione del divieto perché con poco incomodo del vicino si sarebbe data al proprietario dell'edificio sopraelevato la possibilità di illuminare le sue stanze, con grande vantaggio del suo fabbricato. Si aggiungeva poi che il divieto dell'art. 586 si trovava in una contraddizione con le norme degli art. 583 e 584, in cui il divieto era riferito ai muri comuni e non a quelli di proprietà esclusiva, e l'innalzamento del muro comune era di proprietà esclusiva del condomino che l' aveva sopraelevato a proprie spese.
Queste considerazioni sembrarono di tanto peso che la Cassazione di Napoli, discostandosi dalla giurisprudenza delle altre Corti, in una serie ininterrotta di decisioni escluse dal divieto dell'art. 586 l'apertura delle luci, limitandolo all'apertura delle vedute. E la dottrina, pur non potendo approvare
de iure condito tale opinione contraria, si sforzò di limitare il più possibile il divieto nell'applicazione pratica del principio, formulando voti
de iure condendo per l'abolizione del divieto.
Tale voto è stato accolto dal nuovo codice, disponendosi all' art. 903 capov. che chi ha sopraelevato il muro comune può aprire luci nella maggiore altezza a cui il vicino non abbia voluto contribuire.