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Articolo 757 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Diritto dell'erede sulla propria quota

Dispositivo dell'art. 757 Codice Civile

Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto [719, 720 c.c.], e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari [2646, 2825 c.c.].

Note

(1) La norma si applica anche ai frutti, con l'esclusione di quelli maturati medio tempore e già separati che vengono acquisiti alla massa e divisi pro quota.

Ratio Legis

Poichè la divisione ha natura dichiarativa, i suoi effetti si producono dal momento dell'apertura della successione e non da quando la divisione è stata effettuata.
Da ciò consegue che ove un coerede proceda all'alienazione di un bene ereditario, tale alienazione è subordinata al fatto che il bene sia assegnato all'alienante in sede di divisione.

Spiegazione dell'art. 757 Codice Civile

In questa norma è ribadito il carattere dichiarativo della divisione, oggetto di tante discussioni in dottrina e già riconosciuto dall’art. #1034# del vecchio codice del 1865. Ad esso si è data, anzi, una portata più ampia. Infatti, il detto art. #1034#, a differenza dell’art. 833 del codice francese, stabiliva che la divisione fosse dichiarativa in caso di incanti fra coeredi, e dunque si riteneva che ciò non avvenisse quando all’incanto fossero ammessi estranei, mentre l’articolo in esame ha riprodotto il summenzionato art. 833 del codice francese ed ha, quindi, eliminato ogni distinzione.
Restano, pertanto, in pieno vigore le applicazioni che la legge, la dottrina e la giurisprudenza avevano fatto del detto principio, fra le quali sono rilevanti le seguenti:
a) le alienazioni, ipoteche o servitù consentite da uno dei coeredi durante la comunione si restringono alla sua quota;
b) la divisione non può costituire titolo di usucapione decennale;
c) l’inadempimento di un coerede agli obblighi del rifacimento o conguaglio non dà luogo a risoluzione, ma solo ad azione di pagamento, dal momento che il carattere dichiarativo investe anche i conguagli.
Perché la divisione abbia effetto dichiarativo, deve comprendere i tutti i coeredi e tutte e sole le quote ereditarie.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 757 Codice Civile

Cass. civ. n. 14858/2022

L'equo indennizzo liquidato "iure hereditatis" va riconosciuto per intero all'erede istante, e non pro-quota, in osservanza del principio secondo cui i crediti del "de cuius", a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico, in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell'art. 757 c.c. prevista solo per i debiti.

Cass. civ. n. 4831/2019

La vendita, da parte di uno dei coeredi, di un bene rientrante nella comunione ereditaria ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia reale subordinata all'assegnazione del bene medesimo al coerede-venditore attraverso la divisione, giacché, sino a tale momento, il detto bene continua a fare parte della comunione e, finché quest'ultima perdura, il compratore non può ottenere la proprietà esclusiva di una singola parte materiale della cosa né, tantomeno, la quota ideale di uno specifico bene, in proporzione alla quota di eredità che compete al coerede alienante, essendo quest'ultimo titolare esclusivamente di una quota di eredità - intesa come "universitas" e, dunque, di per sé già alienabile - al cui interno non è certo che rientri, in occasione della divisione, la proprietà della "res" alienata. (Rigetta, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 04/04/2014).

Cass. civ. n. 4730/2015

L'atto di divisione, in ragione della sua natura meramente dichiarativa, non è idoneo a fornire la prova della titolarità del bene nei confronti dei terzi, mentre assume rilevanza probatoria nella controversia sulla proprietà tra i condividenti o i loro aventi causa, giacché la divisione, accertando i diritti delle parti sul presupposto di una comunione di beni indivisi, postula necessariamente il riconoscimento dell'appartenenza delle cose in comunione.

Cass. civ. n. 406/2014

In tema di comunione ereditaria, il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell'apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; esso non opera, invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell'altrui quota. Ne consegue che gli interessi compensativi sul conguaglio decorrono soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza costitutiva che fa cessare lo stato di indivisione mediante attribuzione ad un condividente di un bene eccedente la sua quota.

Cass. civ. n. 737/2012

Ai sensi dell'art. 757 c.c., la vendita da parte di un coerede dei diritti allo stesso spettanti su alcuni beni facenti parte della comunione ereditaria, avendo effetti puramente obbligatori, non fa subentrare l'acquirente nella comunione stessa, a meno che non risulti, anche attraverso il comportamento delle parti (rappresentato, ad esempio, dall'inserimento dell'acquirente nella gestione della comunione), l'intenzione delle stesse, pur attraverso la menzione dei soli beni economicamente più significativi, di trasferire l'intera quota spettante all'alienante.

Cass. civ. n. 21013/2011

Il principio della dichiaratività della divisione, di cui all'art. 757 c.c., opera inderogabilmente con riguardo unicamente alla retroattività dell'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è reputato titolare sin dal momento della successione dei (soli) beni concretamente assegnatigli od attribuitigli e dei relativi frutti non separati. Viceversa - per quanto attiene ai frutti separati ed agli altri incrementi oggettivi dei beni ereditari verificatisi anteriormente "manente comunione" - il suddetto principio non ha ragione di operare e tali incrementi si presumono, salvo patto contrario, acquisiti alla massa e così automaticamente alla titolarità "pro quota" di ciascun coerede. Ne consegue che, all'atto di scioglimento della comunione, il possessore del cespite ereditario ha l'obbligo di rendere il conto in relazione ai frutti maturati prima della divisione.

Cass. civ. n. 7231/2006

L'effetto dichiarativo-retroattivo della divisione — che poggia in via esclusiva sull'art. 757 c.c. e che l'art. 1116 c.c. estende al rapporto fra comproprietari che non sono coeredi — comporta che ciascun condividente sia considerato titolare ex tunc e cioè all'apertura della successione, dei beni assegnatigli, saldando l'intervallo di tempo che separa la delazione (e la conseguente accettazione dell'eredità) dalla divisione. Tale natura dichiarativa esclude che la divisione abbia anche efficacia traslativa, poiché l'atto che la dispone (consista in una sentenza o in un contratto) non comporta un effetto di trasferimento fra i condividenti nei rapporti reciproci, né fra la comunione che si scioglie ed i singoli condividenti, dal momento che il titolo di acquisto del singolo condividente è da farsi risalire non all'atto divisionale, ma all'originario titolo che ha costituito la situazione di comproprietà, sciolta poi con la divisione, senza che possa ritenersi che gli effetti dell'atto che ha dato origine alla comunione si incrementino a seguito della divisione, poiché essi si modificano soltanto sotto l'aspetto qualitativo (ovvero passando dalla quota indivisa al bene attribuito con l"`apporzionamento"), essendosi l'acquisto del coerede o del comproprietario di cose comuni già realizzato. (Nella specie, la S.C., ha confermato la sentenza impugnata con la quale, in un caso di riscatto agrario esercitato dai ricorrenti con riferimento ad un contratto di vendita del 1990 avente ad oggetto solo una quota indivisa pari alla metà del fondo dedotto in controversia, era stato correttamente ritenuto che l'oggetto dell'azione di riscatto non poteva essere più ampio di quella metà indivisa, non potendosi estendere, in particolare, alla seconda metà indivisa non oggetto della vendita stessa; poiché l'acquisto di quest'ultima era conseguita soltanto alla divisione intervenuta nel 1991, che non essendo qualificabile come atto di trasferimento a titolo oneroso, non poteva essere suscettibile di prelazione e riscatto).

Cass. civ. n. 2483/2004

In tema di divisione giudiziale, qualora al condividente sia assegnato un bene di valore superiore alla sua quota, il diritto al conguaglio dovuto agli altri comunisti sorge dal momento e per effetto del provvedimento definitivo di scioglimento della comunione, e ciò indipendentemente dalla natura — dichiarativa o costitutiva — attribuita alla relativa sentenza, posto che anche nel primo caso l'efficacia retroattiva della pronuncia è limitata, ai sensi dell'art. 757 c.c., all'effetto distributivo dei soli beni concretamente assegnati in proporzione del valore delle relative quote. Ne consegue che gli interessi sul conguaglio, che sono di natura corrispettiva, decorrono soltanto dal momento in cui, con il provvedimento definitivo, è cessato lo stato di indivisione delle cose comuni, in pendenza del quale i frutti maturati fino al momento della divisione spettano ai comunisti in proporzione delle rispettive quote di partecipazione. Pertanto non è configurabile a favore del condividente non assegnatario il diritto agli interessi compensativi sul capitale — la cui corresponsione postula il mancato godimento dei frutti della cosa propria — atteso che anche nel caso in cui il bene sia assegnato a colui che durante la comunione ne aveva il possesso, gli altri condividenti — in quanto esclusi dal godimento — avranno diritto, per il periodo precedente il provvedimento di scioglimento della concessione, soltanto al rendiconto della gestione e alla corresponsione degli interessi corrispettivi sulle somme loro eventualmente dovute in relazione ai frutti maturati e non percepiti.

Cass. civ. n. 9659/2000

Il principio della natura dichiarativa della sentenza di divisione opera esclusivamente in riferimento all'effetto distributivo, per cui ciascun condividente è considerato titolare, sin dal momento dell'apertura della successione, dei soli beni concretamente assegnatigli e a condizione che si abbia una distribuzione dei beni comuni tra i condividenti e le porzioni a ciascuno attribuite siano proporzionali alle rispettive quote; non opera invece, e la sentenza produce effetti costitutivi, quando ad un condividente sono assegnati beni in eccedenza rispetto alla sua quota, in quanto rientranti nell'altrui quota.

Cass. civ. n. 8259/1993

Con riguardo alla promessa di vendita da parte di un coerede della propria quota ideale di comproprietà di un bene ereditario indiviso (e non, quindi di una quota materiale concretamente individuata del bene medesimo), che costituisca l'unico bene dell'eredità, l'effetto traslativo dell'alienazione non resta subordinato alla condizione sospensiva dell'assegnazione in sede di divisione della quota del bene al coerede promittente, essendo quest'ultimo, al momento della conclusione del contratto, proprietario esclusivo della quota promessa in vendita e potendo di questa liberamente disporre ai sensi dell'art. 1103 c.c., immettendo così il promissario acquirente nella comproprietà del bene.

Per stabilire, ai fini del diritto di prelazione e retratto del coerede (art. 732 c.c.), se la promessa di vendita da parte di altro coerede della propria quota di comproprietà di un bene ereditario abbia ad oggetto una quota di un bene determinato o la quota ereditaria del promittente, la circostanza che l'immobile, la cui quota è oggetto del preliminare, costituisca l'unico bene dell'eredità giustifica la presunzione (iuris tantum) dell'alienazione della quota di eredità, che può tuttavia essere vinta da altri elementi sintomatici di una diversa volontà delle parti desunti dal tenore letterale della convenzione, quali la mancanza di ogni riferimento alla consistenza del compendio ereditario o all'accollo di eventuali passività.

Cass. civ. n. 2975/1991

In tema di divisione ereditaria i frutti naturali della cosa comune già separati al momento della divisione sono di proprietà di tutti i partecipanti, in conformità del disposto degli artt. 820, 821, c.c. e non possono quindi, sulla diversa volontà delle parti, diventare di proprietà esclusiva del condividente cui sia stato assegnato il bene che li ha prodotti. Invece, nell'ipotesi in cui i frutti stessi non siano stati ancora separati al momento della divisione, è operante l'efficacia retroattiva dell'art. 757 c.c., con la conseguenza che il condividente assegnatario ha il diritto di percepire per l'intero i frutti stessi anche se riferibili al periodo in cui il bene che li ha prodotti era comune.

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Alessandro B. chiede
sabato 06/02/2021 - Emilia-Romagna
“Buonasera, vorrei chiedere informazioni in merito a un preliminare di acquisto che ho sottoscritto per una singola quota di un immobile appartenete a un coerede.
Provo a spiegare.
4 fratelli hanno ereditato una massa ereditaria di 2 immobili dopo la morte della loro sorella proprietaria di essi.
- Il primo immobile di valore periziato di 450 mila euro
- Secondo immobile di valore di mercato di 100/120 mila Euro Circa ma non ancora periziato
Questi immobili sono stati messi in vendita tramite agenzia e uno di questi, il primo, è quello che interessava al sottoscritto.
Dopo aver fatto una proposta di acquisto dell'intero immobile, tre coeredi hanno accettato la proposta ma uno di essi non ha ritenuto di vendere la sua parte.
per questo motivo ho pensato di acquistare solo una quota dell'immobile per poi riuscire a trattare la vendita totale.
Ho sottoscritto un preliminare di vendita davanti al Notaio con uno dei coeredi, nel quale mi viene dato il possesso della sua parte promissaria e le chiavi dell’immobile in attesa di fare rogito.
Fatto questo ho comunicato agli altri eredi di aver sottoscritto il preliminare di acquisto.
Premetto che il coerede che non voleva vendere, non ha mai avanzato alcuna ipotesi di acquistare tutto l’immobile ed era assolutamente a conoscenza della sua messa in vendita avendo fatto parte della trattativa in agenzia quando feci la prima proposta di acquisto.
L’unica proposta di acquisto dell’intero immobile è stata avanzata del figlio del coerede (fatta via e-mail non certificata), avvenuta dopo la mia, essa però è stata rifiutata dai parenti perché inferiore a quella del sottoscritto.
Dopo circa un mese, uno dei coeredi con cui sono in contatto, mi ha girato una raccomandata da parte dell’Avvocato del coerede che non voleva vendere, nella quale c'era scritto che il coerede che ha firmato il preliminare di vendita con il sottoscritto non disponeva dei beni ereditati in quanto la proprietà non risulta ancora assegnata individualmente e quindi potrebbe anche non rientrare nella sua quota ereditaria al momento della divisione e che tale principio trova conferma nell art 757 c.c. e dalla migliore giurisprudenza in materia (cassazione civile sez VI sentenza 23 02 2018 n 4428) il quale dispone che" solo a seguito dell'assegnazione individuale il bene cessa di far parte della massa comune da dividere". E l'Avvocato finisce nel dire che attualmente l’immobile promesso in vendita a me dagli altri coeredi, non può essere quindi alienato fino a quando è proprietà indivisa tra i coeredi.
Detto questo mi viene invitato di restituire immediatamente il possesso del bene finché non verrà trovato un accordo comune.
Premesso questo, chiedo se effettivamente la quota del coerede poteva essere venduta e se il mio preliminare è valido per rogitare oppure no.
Attendo Riscontro
Cordiali Saluti

Consulenza legale i 11/02/2021
Purtroppo il caso prospettato pone dei problemi che difficilmente possono trovare soluzione.
Ripercorrendo i diversi passaggi compiuti, ciò che balza immediatamente agli occhi è il mancato rispetto di alcune norme dettate dal codice civile in materia di comunione in generale nonché di successione e successiva divisione dei beni costituenti il patrimonio ereditario.

Punto nodale della situazione è lo stato di comunione forzosa indivisa in cui si trovano i coeredi, essendo tutti comproprietari pro quota (non è possibile dai dati forniti determinare la percentuale esatta di ciascuna quota) della massa ereditaria, nella quale sono ricompresi entrambi gli immobili.
La stipula del preliminare di vendita, per come è stato strutturato, non pone alcun problema sotto il profilo della violazione del diritto di prelazione di cui all’art. 732 del c.c..
Risulta pacifico, infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza, che il diritto di prelazione si configura solo quando un coerede trasferisca la propria quota o frazione di essa e non quanto trasferisca singoli beni o quote di proprietà di un singolo bene (così Cass. 246/1985, Appello di Catania 27.01.2007, Trib. Padova 04.11.2010).

Nel caso di specie, in effetti, oggetto di alienazione risulta essere non l’intera quota ereditaria dei coeredi alienanti, ma la quota di comproprietà che sarebbe di loro pertinenza su uno degli immobili caduti in successione.
Tuttavia, seppure non si pongano problemi di prelazione ed eventuale successivo riscatto della quota alienata, va detto che quella promessa di alienazione è purtroppo destinata a rimanere sul piano prettamente obbligatorio, risultando l’effetto traslativo reale subordinato alla condizione della assegnazione, in sede di divisione, di quel bene in favore dei coeredi promittenti alienanti.

E’ proprio questo il principio espresso nella sentenza della Corte di Cassazione n. 4428/2018, correttamente richiamata dal legale di controparte, ove viene detto che “La vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, ha solo effetto obbligatorio, essendo la sua efficacia subordinata all'assegnazione del bene al coerede - venditore attraverso la divisione; pertanto, fino a tale assegnazione, il bene continua a far parte della comunione e, finché essa perdura, il compratore non può ottenerne la proprietà esclusiva.”.

In effetti, nella prassi si è spesso assistito (e probabilmente si continuerà ad assistere) a quella che si definisce come vendita di “quotina”, ossia la vendita avente ad oggetto una o più quote di un determinato bene facente parte del patrimonio ereditario.
Si è sostenuto che, a seguito di un atto di disposizione di tale tipo, si creerebbero due comunioni:
  1. la prima ereditaria, che continuerebbe a sussistere tra gli originari eredi (sarebbe tale, in questo caso, la comunione sul bene di minor valore che non viene alienato);
  2. la seconda ordinaria, la quale avrebbe ad oggetto l’immobile alienato e che si creerebbe tra l’acquirente e l’erede o gli eredi che non hanno alienato la loro quota sul medesimo bene.

Secondo coloro che ammettono la possibilità di una alienazione di tale tipo (cioè della quotina), il preliminare di vendita è da ritenere correttamente concluso, con la conseguenza che le parti possono legittimamente procedere alla stipula del definitivo atto di trasferimento immobiliare, il quale avrebbe effetti immediatamente traslativi e reali, con il risultato, si ripete, di costituire una comunione ordinaria sul bene oggetto di disposizione.

Tale soluzione, tuttavia, non sembra più essere accolta favorevolmente dalla prevalente e più recente giurisprudenza di legittimità, la quale con la sentenza sopra citata ha preferito sostenere che una vendita così strutturata può soltanto produrre effetti obbligatori.
Sulla questione dell’atto di alienazione della quotina (cioè, lo si precisa ulteriormente, di un diritto su un singolo bene facente parte di una più ampia comunione ereditaria), si erano già pronunciate le Sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza 15.03.2016 n. 5068, inserendosi in quel filone giurisprudenziale che inquadrava siffatta alienazione come vendita dell’esito divisionale (così Cass. 15.02.2007 n. 3385, Cass. 01.07.2002 n. 9543; Cass. 09.04.1997 n. 3049, Cass. 30.10.1992 n. 11809, Cass. 29.04.1992 n. 5181, Cass. 02.08.1990 n. 7749).

Più precisamente, si sostiene che la vendita della quotina deve considerarsi soggetta alla condizione sospensiva dell’assegnazione del bene all’alienante nella successiva divisione (gli effetti dell’assegnazione sono sospesi fino all’esito della divisione ereditaria) e questo perché il singolo coerede non può considerarsi titolare di una quota di comproprietà su ogni singolo bene, ma soltanto di una quota sull’intero asse ereditario (c.d. quotona) unitariamente considerata.

Sotto un profilo pratico, l’acquirente del c.d. esito divisionale, che abbia trascritto il suo atto di acquisto, conseguirà il diritto di partecipare alla successiva divisione, in occasione della quale potrà fare in modo che la stessa possa produrre effetto nei suoi confronti ai sensi del comma terzo dell’art. 1113 del c.c..

A diversa soluzione si giunge, invece, nel caso di comunione avente ad oggetto un solo bene, poiché in tale ipotesi la vendita della quota dell’alienante può avere immediata efficacia reale ex art. 1103 del c.c., coincidendo la quota sul bene con la quota di comunione.

Quindi, è nel senso sopra precisato che va inteso il richiamo che il legale di controparte fa all’art. 757 c.c., con la conseguenza che è sicuramente possibile procedere all’acquisto definitivo delle quote di quel bene promesse in vendita, purchè si abbia piena consapevolezza del fatto che in sede di divisione lo stesso bene potrebbe avere una sorte diversa ed essere attribuito all’altro coerede o, perfino, essere venduto all’asta (così non potendosi mai verificare l’effetto traslativo in favore dell’acquirente).

Per quanto concerne l’invito a restituire il possesso del bene finchè non verrà trovato un accordo comune, si ritiene che ogni accordo debba tener conto di quanto disposto dall’art. 1102 del c.c., norma dettata in materia di comunione in generale, ma applicabile anche alla comunione ereditaria; in forza di tale norma, infatti, è consentito a ciascun partecipante di servirsi della cosa comune purchè non venga alterata la destinazione della cosa e non si impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Certamente, un possesso esclusivo dell’immobile da parte del promittente acquirente sarebbe del tutto inconciliabile con il principio appena espresso, ed è probabilmente in quest’ottica che la controparte ha proposto di raggiungere un accordo, attraverso cui poter prevedere che ciascun partecipante possa fare un pari uso del bene.