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Articolo 2114 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Previdenza ed assistenza obbligatorie

Dispositivo dell'art. 2114 Codice Civile

Le leggi speciali [e le norme corporative](1) determinano i casi e le forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e le contribuzioni e prestazioni relative [242](2).

Note

(1) Le norme corporative sono state abrogate quali fonti di diritto per effetto della soppressione dell'ordinamento corporativo, disposta con R.D.L. 9 agosto 1943, n. 721 e della soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste disposta con D. Lgs. Lgt. 23 novembre 1944, n. 369.
(2) Il diritto del lavoratore agli adempimenti assicurativi non è una derivazione del diritto alla retribuzione, in quanto entrambi sorgono contemporaneamente, come effetto immediato dell'instaurazione del rapporto di lavoro.

Ratio Legis

L'articolo 2114 rinvia alla normativa speciale e va letto in combinato con la norma costituzionale art. 38 che afferma il diritto dei lavoratori a disporre di mezzi adeguati di tutela in caso di infortunio, malattia, invalidità, ecc., nonché di assistenza sociale per i lavorati inabili che non dispongono di risorse.

Massime relative all'art. 2114 Codice Civile

Cass. civ. n. 26078/2007

In ragione dell'autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello lavorativo, l'obbligazione contributiva non è esclusa dall'inadempimento retributivo del datore di lavoro, neppure ove questo sia solo parziale e sebbene la originaria obbligazione sia trasformata in altra di natura risarcitoria. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, applicando l'enunciato principio alla contribuzione dovuta sulle differenze retributive spettanti ad un dipendente che si era visto illegittimamente revocare un incarico dirigenziale e ridurre conseguentemente la retribuzione).

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Consulenze legali
relative all'articolo 2114 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

S. M. . chiede
sabato 06/04/2024
“Buongiorno, sono un dipendente monte dei paschi dal 1992. Dal 1994 lavoro come turnista presso la medesima azienda con fasce orarie così articolate in quattro turni: 1) mattina 7:00 - 14:18 2) pomeriggio 13:00 - 20:18 3) sera 19:00 - 2:18 4) notte1:00 - 8:18. Questo orario applicato fino al 2017. Poi pur rimanendo fino ad oggi un turnista ma con orari diversi ma sempre con turni notturni. La mia domanda è intaccando su due turni orario notturno e facendolo da tanti anni, rientro come lavoro usurante per i fini pensionistici ? Io sono del 1966. Ed eventualmente cosa devo fare ? Grazie.”
Consulenza legale i 12/04/2024
Per tutelare i lavoratori impiegati in attività particolarmente faticose e pesanti, il decreto legislativo 67/2011 ha introdotto una disciplina che consente di anticipare l'età pensionabile.

I lavoratori notturni, ai soli fini del D. Lgs. 67/2011, sono definiti e ripartiti nelle seguenti categorie:
1) lavoratori a turni che prestano lo loro attività nel periodo notturno per almeno 6 ore per un numero minimo di giorni lavorativi all'anno non inferiore a 64;
2) lavoratori che prestano la loro attività per almeno 3 ore nell'intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino per periodi di lavoro di durata pari all'intero anno lavorativo.

A partire dal 1° gennaio 2017, per effetto di quanto stabilito dall'articolo 1, co. 206 della legge 232/2016 (finanziaria 2017) per godere dei benefici è richiesto che le attività sopra citate siano state svolte per almeno 7 anni, negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, oppure per almeno la metà della vita lavorativa complessiva.

Il beneficio per questi lavoratori consiste nella possibilità di andare in pensione con il vecchio sistema delle quote se più favorevole rispetto alle regole di pensionamento introdotte con la Riforma Fornero.

Nello specifico gli usuranti possono andare in pensione, dal 1° gennaio 2016, con una anzianità contributiva minima di 35 anni, una età minima pari a 61 anni e 7 mesi ed il contestuale perfezionamento del quorum 97,6.

Se il lavoro notturno è svolto per meno di 78 giorni l'anno, i valori di età e di quota pensionistica sono aumentati di due anni se il lavoro notturno annuo è stato svolto per un numero di giorni lavorativi da 64 a 71 e di un anno se le giornate annue in cui si è svolto il lavoro notturno sono state da 72 a 77.

Come accennato resta comunque aperta la possibilità di ottenere, se più favorevole, la pensione con i requisiti previsti generali dalla Riforma Fornero. In particolare, nel 2024 gli addetti alle mansioni usuranti possono uscire con la pensione anticipata (41 anni e 10 mesi di contributi le donne, 42 anni e 10 mesi di contributi gli uomini, indipendentemente dall'età anagrafica o con la pensione di vecchiaia a 67 anni di età unitamente a 20 anni di contributi).

L’articolo 1, co. 147-148 della legge 205/2017 (legge di bilancio per il 2018) ha dispensato dall'adeguamento alla speranza di vita scattato il 1° gennaio 2019 (cinque mesi) i lavoratori che vantano almeno 30 anni di contributi unitamente ad almeno sette anni di attività usurante negli ultimi dieci anni di attività lavorativa oppure per almeno metà della vita lavorativa. Ciò significa che questi lavoratori sino al 31 dicembre 2026 possono andare in pensione di vecchiaia con 66 anni e 7 mesi di età se raggiunti prima del pensionamento con le cd. quote.

La predetta disposizione era stata sancita anche con riferimento ai requisiti per la pensione anticipata ma il DL 4/2019 nel generalizzare la disapplicazione degli adeguamenti alla speranza di vita ha sostanzialmente assorbito tale beneficio.

Si rammenta infine che anche nel 2024 le categorie dei lavoratori usuranti e notturni, come sopra individuate, possono accedere alla pensione anticipata al compimento di 41 anni di contributi, a prescindere dall'età anagrafica, se hanno svolto almeno 12 mesi di lavoro effettivo prima del 19° anno di età. Dal 1° gennaio 2019 è prevista l'applicazione di una finestra mobile di tre mesi dalla maturazione dei requisiti. Gli addetti alle mansioni usuranti non possono, invece, godere dell'Ape sociale non avendo la legge 232/2016 ricompreso tali soggetti nel perimetro degli aventi diritto.

Tutto quanto sopra premesso, il caso di specie sembrerebbe rientrare nella categoria del lavoro notturno. Pertanto, si potrà usufruire dei relativi benefici pensionistici una volta raggiunti i requisiti che, stando a quanto riferito, attualmente non sembrano essere stati raggiunti. Infatti, attualmente non si è in possesso né dei requisiti anagrafici né di quelli contributivi.

Considerando la complessità della normativa pensionistica, si consiglia di farsi assistere da un patronato o un Caf convenzionato.

Infatti, per conseguire il beneficio del pensionamento con le quote di cui al D. Lgs 67/2011 gli interessati devono presentare una apposita domanda alla sede INPS entro il 1° Maggio dell’anno precedente a quello in cui si maturano i requisiti agevolati volta ad ottenere il riconoscimento di lavoro usurante. Per cui entro il 1° maggio 2024 devono produrre la domanda i lavoratori che perfezionano i requisiti anagrafici e contributivi nel 2025. La domanda in parola non è da confondere con la domanda di pensione che sarà presentata solo in un momento successivo, previa comunicazione di accoglimento della domanda di accertamento di aver svolto lavoro usurante.

La presentazione della domanda oltre i termini sopra indicati comporta, in caso di accertamento positivo dei requisiti, il differimento del diritto alla decorrenza da uno a tre mesi a seconda dei mesi di ritardo.

La possibilità di fruire dei benefici in parola dipende inoltre dalle coperture finanziarie che sono state messe a disposizione dal Dlgs 67/2011 di anno in anno.

Entro il 30 Ottobre di ogni anno l'Inps quindi comunicherà:
  1. l'accoglimento della domanda, con indicazione della prima decorrenza utile della pensione, qualora sia accertato il possesso dei requisiti relativi allo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti e sia verificata la sussistenza della relativa copertura finanziaria;
  2. l'accertamento del possesso dei requisiti dello svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti, con differimento della decorrenza della pensione in ragione dell'insufficiente copertura finanziaria; in tal caso, la prima data utile per l'accesso alla pensione verrà indicata con successiva comunicazione in esito al monitoraggio delle risorse;
  3. il rigetto della domanda, qualora sia accertato il mancato possesso dei requisiti sullo svolgimento delle lavorazioni particolarmente faticose e pesanti.


M. S. chiede
giovedì 28/03/2024
“Buongiorno,
ho 51 anni, mi hanno da poche settimane riconosciuto la legge 104 e l'invalidità civile all'80%.
Sono un lavoratore privato con almeno 25 anni di contributi. Ho letto che è possibile richiedere la pensione anticipata per gli uomini a 61 anni di età. La mia domanda è: è possibile pagando anticipatamente i contributi che mancano a coprire l'intero periodo da oggi al compimento del sessantunesimo anno di età, andare in pensione prima?
Grazie in anticipo per la risposta.

Consulenza legale i 12/04/2024
I lavoratori dipendenti del settore privato riconosciuti invalidi in misura non inferiore all’80% possono accedere alla pensione di vecchiaia anticipata con un requisito di età inferiore rispetto a quello previsto per la generalità dei lavoratori.

La pensione di vecchiaia anticipata può essere richiesta dai soli lavoratori dipendenti (del settore privato) se riconosciuti invalidi dall’INPS, in misura non inferiore all’80%.

Per poter richiedere la pensione di vecchiaia anticipata, i lavoratori dipendenti devono essere in possesso:
– del requisito sanitario, riconosciuto dall’INPS, pari ad una invalidità non inferiore all’80%,
– del requisito amministrativo che è pari, per il 2024, a 56 anni per le donne e 61 anni per gli uomini, con almeno 20 anni di contributi.

Per questa tipologia di pensionamento è prevista l’applicazione della finestra “mobile”, pari a 12 mesi.

I titolari di Assegno ordinario di invalidità possono richiedere la trasformazione dell’assegno in pensione di vecchiaia inviando, a corredo della domanda di pensione, anche la relativa documentazione che attesta il riconoscimento da parte dell’INPS dello stato invalidante.

Nel caso di specie, il requisito contributivo risulta già raggiunto, mentre non si è ancora raggiunto il requisito anagrafico.

I contributi volontari possono essere versati solo per raggiungere il requisito contributivo. Non è quindi possibile andare in pensione prima del raggiungimento del requisito anagrafico pagando dei contributi volontari.

I contributi volontari, peraltro, vanno versati trimestre per trimestre e, quindi, per assurdo volendo versare gli anni mancanti impiegherebbe, appunto, 10 anni.

L’unico modo per versare i contributi tutti insieme e pagarli in un’unica soluzione (o anche a rate se lo si desidera) è in caso di riscatto. Ad esempio, se si hanno anni di studio da riscattare che possono essere pagati e valorizzati anche in un’unica soluzione.

I contributi devono, infatti, riferirsi ad un determinato periodo e non si possono far valere nel 2024 contributi che vanno a coprire un periodo dal 2024 al 2034 perché sono periodi che non possono essere riconosciuti in quando ancora non trascorsi. Per il passato, invece, si possono valorizzare solo periodi che non siano già coperti da contribuzione.

Ad ogni buon conto, ciò che manca nel caso di specie è il requisito anagrafico, che non può essere in alcun modo raggiunto versando contributi.


I. D. N. U. chiede
domenica 17/12/2023
“Sono ingegnere nel CNVVF nato il 9.3.1959 e sosno stato assunto il 16.3.1988.<br />
L'ordinamento VVF di cui al Dl.vo 217/2005 e s.m.i. prevede che la pensione di vecchiaia sia raggiunta al 65 anno di età<br />
In data 16.3.2023 ho raggiunto i 35 anni di contributo pensionistico in parte col sistema retributivo ed in parte col sistema contributivo<br />
Da un calcolo risulta che devo andare obbligatoriamente in pensione il 1 Aprile 2024 cioè dopo 35 anni di contributi più un anno di finestra mobile.<br />
Poiché vige l’art. 12 bis della Legge 122 del 30.7.2010 (conversione in legge del D.L. 31 Maggio 2010, nr 78) emanato ai sensi dell’art. 22_ter della L. 102 del 3.8.2009, che prevede l’adeguamento del limite della pensione di vecchia alla speranza di vita determinata dall’ISTAT e poichè tale adeguamento fino all’anno 2024 è stato decretato complessivamente ad un anno di vita (3 mesi nel 2013, poi quattro mesi nel 2016 e poi cinque mesi nel 2019) :<br />
a) CHIEDO DI sapere se posso chiedere alla mia Amministrazione di andare in pensione di vecchiaia a 65+1 quindi dal 1 Aprile 2025, usufruendo dell’adeguamento speranza di vita; ed in caso negativo cioè se la mia posizione – in cui ho raggiunto 35 anni di contribuzione - non consente di accedere all’adeguamento per speranza di vita, CHIEDO DI sapere sulla base di quale norma ciò avviene, atteso che non c’è un divieto espresso nella legge 122/2010 ma anzi la Legge 122/2010 prevede l’adeguamento anche per la pensione di vecchiaia.”
Consulenza legale i 22/12/2023
Il Ministero dell’economia e delle finanze con Decreto 27 ottobre 2021 (Adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita) ha stabilito che “A decorrere dal 1° gennaio 2023, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici di cui all'art. 12, commi 12-bis e 12-quater, fermo restando quanto previsto dall'ultimo periodo del predetto comma 12-quater, del decreto-legge 30 luglio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni e integrazioni, non sono ulteriormente incrementati”.

Allo stesso modo il Ministero con Decreto del 18 luglio 2023 (Adeguamento dei requisiti di accesso al pensionamento agli incrementi della speranza di vita), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2023, ha stabilito che “A decorrere dal 1° gennaio 2025, i requisiti di accesso ai trattamenti pensionistici di cui all’art. 12, commi 12 -bis e 12 -quater , fermo restando quanto previsto dall’ultimo periodo del predetto comma 12 -quater , del decreto-legge 30 luglio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni e integrazioni, non sono ulteriormente incrementati”.

In pratica, i requisiti per accedere alla pensione non subiranno alcuna modifica poiché dalle verifiche effettuate dall’ISTAT non vi è stato aumento della speranza di vita nella popolazione del nostro paese.

Il tutto è stato confermato anche dall’Inps con Circolare n. 28 del 18-02-2022 di cui si riporta il punto 3:
3. Adeguamento all’incremento della speranza di vita dei requisiti per l’accesso al pensionamento del personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco
Nei confronti del personale appartenente al comparto difesa, sicurezza e vigili del fuoco, ossia del personale delle Forze Armate, dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza, del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato e Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per effetto di quanto dispone il decreto in esame, per il biennio 2023/2024 i requisiti anagrafici e, qualora l’accesso al pensionamento avvenga a prescindere dall’età, quello contributivo previsto per il trattamento pensionistico non sono ulteriormente incrementati.
Al riguardo, si specificano i requisiti per l’accesso al pensionamento per il biennio 2023/2024.
3.1 Pensione di vecchiaia (art. 2 del D.lgs n. 165 del 1997)

A decorrere dal 1° gennaio 2023, nei confronti di coloro che raggiungano il limite di età previsto in relazione alla qualifica o grado di appartenenza e non abbiano a tale data già maturato i requisiti previsti per la pensione di anzianità, il requisito anagrafico non è ulteriormente incrementato rispetto a quello previsto per il biennio 2021/2022.
Restano in ogni caso fermi il regime delle decorrenze introdotto dall’articolo 12, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010 (c.d. finestra mobile) e le indicazioni fornite con il messaggio n. 545 del 10 gennaio 2013.”.

In quest’ultimo messaggio l’INPS aveva specificato che:
Come confermato dal Dipartimento della Funzione pubblica, dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali e dal Ministero dell’economia e delle finanze, il collocamento a riposo d’ufficio, a decorrere dal 1° gennaio 2013, continua ad avvenire in corrispondenza dell’età massima per la permanenza in servizio, così come fissata dai singoli ordinamenti e non adeguata agli incrementi della speranza della vita, nell’ipotesi in cui al compimento di detto limite di età risultino già soddisfatti i requisiti prescritti per il diritto a pensione.
Pertanto, resta confermato il principio generale, già esplicitato nella circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2/2012, secondo il quale il datore di lavoro pubblico deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego con il dipendente medesimo raggiunto il limite di età previsto dall’ordinamento di appartenenza quando al raggiungimento di detto limite il dipendente sia in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico, fermo restando che, ove la decorrenza della pensione non sia immediata, il dipendente deve essere mantenuto in servizio fino all’accesso al trattamento pensionistico (c.d. finestra).
Per contro, qualora il dipendente raggiunga il limite di età previsto in relazione alla qualifica o al grado di appartenenza nel 2013 e non abbia, a tale data, già maturato i requisiti previsti per la pensione di anzianità, il requisito anagrafico previsto per l’accesso al pensionamento di vecchiaia deve essere incrementato di 3 mesi”.

Secondo la circolare della Funzione Pubblica n. 2/2012, infatti, “Rimangono vincolanti per tutti i dipendenti i limiti fissati dalla normativa generale (compimento del 65° anno di età in base all'art. 4 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per i dipendenti dello Stato e all'art. 12 della l. n. 70 del 1975 per i dipendenti degli enti pubblici, limiti applicabili in via analogica anche alle altre categorie di dipendenti in mancanza di diversa indicazione normativa) e quelli stabiliti per particolari categorie […] In base ai principi generali, una volta raggiunto il limite di età ordinamentale l'amministrazione prosegue il rapporto di lavoro o di impiego con il dipendente sino al conseguimento del requisito minimo per il diritto alla pensione (il principio della prosecuzione si desume dall'art. 6, comma 2 bis, del d.l. n. 248 del 2007, convertito in l. n. 31 del 2008, a proposito del reintegro sul posto di lavoro a seguito di licenziamento). Inoltre, per i dipendenti che hanno maturato il diritto a pensione (diversa da quella di vecchiaia), l'età ordinamentale costituisce il limite non superabile (se non per il trattenimento e per la finestra) in presenza del quale l'amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego”.


A. C. chiede
lunedì 02/10/2023
“Ho lavorato da agente come promotore finanziario dal 2000 al 2011.Ho versato all'Enasarco contributi obbligatori per oltre €32.000.nel 2011 ho richiesto la pensione avendo raggiunto i limiti di età. Enasarco mi risponde che per avere diritto servivano 20 anni di contributi, che però era possibile chiedere una rendita reversibile, con il sistema di capitalizzazione, ma a decorrere dal 2020.a quella data rifaccio la domanda ma mi rispondono che come da loro deliberazione il termine era spostato al 2024.ora si scopre che il regolamento che prevede la rendita, con decorrenza 2024 vale soltanto per i nuovi iscritti al fondo a partire da gennaio 2012.tutti quelli iscritti prima sono privati dal diritto.Tenendo conto delle norme generali del diritto, delle finalità che sono state attribuite ad Enasarco all'atto della costituzione, è possibile che l'ente sequestri i miei 32.000 euro senza ALCUNA contropartita? Chiedo di conoscere se, a vostro parere la norma che mi penalizza cosi' pesantemente possa essere impugnata.grazie
(Regolamento delle attività istituzionali approvato il 21/12/2010 e 4/5/2011 n.35)
Consulenza legale i 18/10/2023
Per quanto concerne i requisiti di accesso per la pensione di vecchiaia, il vigente Regolamento delle Attività Istituzionali dell'Enasarco prevede (art. 14) almeno 67 anni di età e 20 anni di contribuzione per gli uomini (la cui somma deve però dare quota 92) e almeno 65 anni di età e 20 anni di contribuzione per le donne (la cui somma deve dare quota 91) al 2021. Tale requisito contributivo di 20 anni deriva dalla “natura integrativa” della prestazione erogata dall'Enasarco rispetto a quella maturata per periodi coincidenti presso la gestione commercianti dell'INPS.

Infatti, i 15 anni di anzianità contributiva originariamente previsti dalla legge n. 12 del 1973 sono stati innalzati dall'Ente per adeguarli al requisito ventennale introdotto, a regime, dal decreto legislativo n. 503 del 1992 (c.d. riforma Amato) per gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria (AGO) presso l'INPS.

Da qui trae origine la problematica dei c.d. contributi silenti, la quale riguarda gli iscritti che, in mancanza del requisito contributivo minimo di 20 anni maturato presso l'Enasarco, vedono negarsi la corresponsione di qualsiasi trattamento pensionistico e non possono valorizzare in qualche modo i propri versamenti contributivi, tramite gli istituti all'uopo previsti dalla normativa primaria (totalizzazione e cumulo), in quanto l'Enasarco adduce a ostacolo la coincidenza dei contributi riscossi con quelli contemporaneamente versati dagli agenti presso la Gestione commercianti dell'INPS, alla quale sono obbligatoriamente iscritti, senza che se ne possa ottenere la restituzione poiché non prevista nell'ordinamento.

Tale irripetibilità dei contributi versati è peraltro avallata anche da varie pronunce della Corte costituzionale che sottolineano la natura solidaristica di tutti i sistemi previdenziali, compresi quelli dei liberi professionisti.

Al riguardo, si evidenzia che, anche nel sistema previdenziale obbligatorio pubblico, del quale la prestazione corrisposta dall'Enasarco è integrativa, non è previsto il rimborso dei contributi versati qualora gli stessi non producano, per mancanza dei necessari requisiti, la liquidazione di una prestazione pensionistica. Ciò in quanto tale sistema è basato su principi solidaristici generali e non sulla rigida considerazione della posizione contributiva del singolo assicurato.

Per far fronte alla predetta problematica, l’ente ha previsto:
  1. una rendita contributiva (articolo 16 del regolamento attività istituzionali) che può essere richiesta, con decorrenza dal 2024, dagli agenti iscritti dal 1° gennaio 2013, che abbiano 67 anni di età e almeno 5 anni di anzianità contributiva. Tale prestazione, reversibile ai superstiti, viene calcolata con il metodo contributivo, ed è ridotta in misura del 2 per cento per ciascuno degli anni mancanti al raggiungimento della quota necessaria per il diritto alla pensione (quota 92) – possibilità esclusa per coloro che risultino già iscritti alla data del 1° gennaio 2013;
  2. una contribuzione volontaria (articolo 9 del Regolamento attività istituzionali) per gli iscritti che cessino temporaneamente o definitivamente l'attività, e che non siano titolari di pensione di invalidità, inabilità o rendita contributiva, che possono essere ammessi al versamento della contribuzione volontaria purché abbiano un'anzianità contributiva minima di 5 anni di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la cessazione dell'attività stessa (la richiesta deve essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine di due anni decorrenti dal 1° gennaio successivo alla cessazione dell'attività).
Le soluzioni adottate dall’ente lasciano comunque fuori molti agenti, come nel caso di specie.

La questione è stata più volte portata all’attenzione del Governo e nelle commissioni parlamentari. Da ultimo, con l’interrogazione parlamentare sull’argomento dell’On. Tenerini dell’8 marzo 2023, in risposta alla quale si è, infine, concluso quanto segue.
Tutto ciò considerato, in coerenza con il più recente quadro normativo orientato alla massima valorizzazione, ai fini pensionistici, della contribuzione ovunque versata, si potrà valutare la possibilità di un intervento normativo atto a consentire agli agenti e rappresentanti di commercio che, a causa della discontinuità tipica della professione, non hanno maturato presso l'Enasarco i 20 anni di contribuzione richiesti dal sistema generale, e quindi a coloro che hanno periodi assicurativi non valorizzabili tramite gli istituti legislativi esistenti, di utilizzare ai fini pensionistici la contribuzione versata, ad integrazione della pensione base erogata dall'INPS.
  Tale possibilità andrà comunque valutata, tenendo conto della sostenibilità della gestione, stante i profili di onerosità per la Fondazione Enasarco. Infatti, possono emergere impatti finanziari rilevanti sull'equilibrio di lungo periodo della Fondazione che, come evidenziato anche nel bilancio tecnico al 31 dicembre 2020, presenta elementi di criticità in ordine alla sostenibilità nel medio e lungo periodo”.

Come anticipato, sollevare la questione avanti alla Corte Costituzionale potrebbe rivelarsi inutile, in quanto la stessa si è già espressa sulla questione ritenendo legittime le norme che stabiliscono l’irripetibilità dei contributi versati e non valorizzati, adducendo la natura solidaristica dei vari sistemi contributivi.



Gianna B. M. chiede
lunedì 28/08/2023
“Buonasera
se richiedo e ottengo la pensione anticipata contributiva (pensione a 64 anni con 20 anni di contributi in gestione separata e assegno 2,8 volte l'assegno sociale INPS) posso poi continuare ad essere amministratore della mia ditta e percepire un compenso come amministratore ?
grazie
Gianna Molinari”
Consulenza legale i 08/09/2023
L’articolo 19 del Dl 112/2008, convertito con modificazioni in legge 133/2008, ha introdotto l’integrale cumulabilità dal 1° gennaio 2009 delle pensioni anticipate, a carico di tutte le forme di assicurazione obbligatoria, con i redditi, siano essi derivanti da un rapporto di lavoro dipendente che da un’attività da lavoro autonomo.

Tuttavia, la risoluzione del rapporto di lavoro è condizione per poter ottenere la pensione anticipata ai sensi dell’art. 24, comma 11, Decreto-Legge 201/2011. L’articolo in questione stabilisce che il diritto alla pensione anticipata può essere conseguita solo “previa risoluzione del rapporto di lavoro”. Pertanto, nel caso in cui il compenso come amministratore dell’impresa sia percepito in forza di un rapporto di lavoro subordinato, l’attività lavorativa subordinata deve per forza cessare prima della decorrenza della pensione. In caso contrario l’INPS non liquiderà la pensione.

Lo stesso obbligo, invece, non è previsto per il lavoratore autonomo che può tranquillamente continuare la sua attività anche andando in pensione.

Invece, il lavoratore dipendente deve per forza dimettersi se vuole andare in pensione.

In caso di ripresa dell’attività lavorativa subito dopo il pensionamento, per lo stesso datore di lavoro e alle stesse condizioni l’INPS potrebbe anche presumere che si sia trattato di dimissioni false solo per accedere alla pensione.

Si consiglia, pertanto, di interrompere il rapporto nel caso in cui sia di tipo subordinato. Diversamente, nel caso in cui il compenso sia percepito come lavoratore autonomo, non vi sono limitazioni di sorta.


F. M. chiede
sabato 18/03/2023 - Lazio
“L'art. 6 del d.l. n. 201/2011ha disposto l'abrogazione del riconoscimento delle infermità dipendenti da causa di servizio, la pensione privilegiata e l'equo indennizzo.
Lo stesso articolo ha disposto anche, nell'ultima parte che continuano ad applicarsi le normative previste per detti istituti ai procedimenti attivabili d'ufficio per eventi occorsi prima del 6 dicembre 2011.
La Corte dei Conti Abruzzo, con sentenza 48 2018 ha ritenuto applicabile tale deroga alle infermità riconosciute dipendenti da causa di servizio prima del 6 dicembre 2011 come eventi occorsi che hanno poi, successivamente a tale data determinato la cessazione dal servizio per i abilità ai sensi
degli art. 64 e 167 del D.P.R.1092/1973.
Recentemente la stessa Corte con sentenza in appello 67/ 2023 sembra avere affermato tale principio anche sulla base che la domanda di pensione privilegiata decorre dalla manifestazione dell’infermità come indicato dalla Corte Costituzionale.
Atteso quanto sopra esposto volevo sapere se tali sentenze sonoro state riformate in appello e se ci sono state ulteriori interpretazioni su tale deroga normativa in quanto le suddette sentenze della Corte dei Conti richiamano anche quelle della Corte di Cassazione del 2017.
Grazie”
Consulenza legale i 23/03/2023
Sul punto si rinviene la sentenza n. 303/2022 della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Campania che ha respinto il ricorso del ricorrente affermando che “Come si evince dalla documentazione in atti, il ricorrente non è cessato dal servizio per inabilità al lavoro negli anni dei vari accertamenti richiamati in ricorso (1998, 2001, 2004, 2005), bensì in data 12.02.2018, cioè oltre dieci anni dopo l’ultimo accertamento della dipendenza delle patologie da causa di servizio, per cui è evidente che la cessazione non è avvenuta in conseguenza delle infermità accertate dalla commissione di verifica in via amministrativa ovvero dal CTU nominato dal Tribunale di Nola. In ragione della mancata cessazione per inabilità, la PA datrice di lavoro, in base all’art. 64 del DPR n. 1092/73 non aveva alcun onere o facoltà d’instaurare d’ufficio tale procedimento”.

Allo stesso modo la sentenza n. 493/2022 della Corte dei Conti Sezione Giurisdizionale Campania che ha respinto il ricorso con la motivazione che “Come si evince dalla documentazione in atti, il ricorrente non è cessato dal servizio per inabilità al lavoro nel 2004, bensì in data 1.9.2018, cioè diversi anni dopo l’ultimo accertamento della dipendenza delle patologie da causa di servizio, per cui è evidente che la cessazione non è avvenuta in conseguenza delle infermità accertate dalla commissione di verifica in via amministrativa. In ragione della mancata cessazione per inabilità, la PA datrice di lavoro, in base all’art. 64 del DPR n. 1092/73 non aveva alcun onere o facoltà d’instaurare d’ufficio tale procedimento”.

La sentenza n. 393/2022 della Corte dei conti Campania ha ritenuto che “Circostanza decisiva per ritenere la fattispecie all'esame del Giudice Monocratico come non rientrante nella disciplina transitoria contenuta nella surriportata norma abrogativa, è rappresentata dall'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro del ricorrente con il Comune di Maddaloni (Ente di 5 appartenenza quale vigile urbano), nell’aprile 2015, cioè successivamente all'entrata in vigore della medesima norma abrogativa”, nonostante le patologie invalidanti fossero state accertate in un momento antecedente.

Per quanto riguarda, invece, il caso esaminato nella sentenza 67/2023 della sezione terza d’appello della Corte dei Conti, in cui invece è stato riconosciuto il diritto alla pensione privilegiata, si tratta di situazione differente (come riportato dallo stesso giudice), in cui la dipendente è stata dichiarata inidonea al servizio, anche se temporaneamente, fin dal sorgere degli eventi morbosi. La Corte ha, infatti, così motivato il rinvio della sentenza al giudice di prime cure per la riforma: “il procedimento di accertamento della dipendenza da c.s. avrebbe potuto essere avviato d’ufficio dall’amministrazione scolastica sin dal 1° ottobre 2001, allorquando ha avuto inizio l’assenza dal servizio della sig.ra xx ed è stata messa in grado di conoscere le cause effettive dell’assenza stessa, che, come già detto, si è protratta ininterrottamente fino alla definitiva cessazione dal servizio intervenuta nell’aprile 2015. E’ quindi necessario e sufficiente, ai fini dell’operatività della deroga di cui sopra, che “gli eventi” morbosi cui la norma fa riferimento si siano verificati prima del 28 dicembre 2011, data di entrata in vigore del decreto legge n. 201/2011, come modificato dalla legge di conversione 22 dicembre 2011, n. 214. La ratio della norma è chiara: il legislatore non ha richiesto che prima di tale data, oltre all’insorgere dell’infermità, sia stata anche presentata dall’interessato la domanda volta ad ottenere l’accertamento della dipendenza della causa di servizio o che tale accertamento sia stato effettuato entro tale data, sempre che il procedimento in parola fosse instaurabile d’ufficio”.

F. A. chiede
lunedì 21/03/2022 - Emilia-Romagna
“Egr. sono in pensione IO DAL 1991 , oggi ho firmato la richiesta di trasformazione da assegno di invalidità a pensione di vecchiaia , in quanto al raggiungimento dell'età la trasformazione non è automatica !. nella pensione che percepisco NON sono mai stati considerati sei ( 6 ) mesi di lavoro svolto presso un ente pubblico . Il patronato ha ricalcolato la pensione considerando un aumento di circa 50,00 euro mensili . Ma di arretrati , per i sei mesi mai conteggiati non se ne è proprio parlato .Quindi Vi chiedo Mi spettano degli arretrati per questi ultimi trenta anni IN CUI non ME LI HANNO MAI LIQUIDATI O SONO ANDATI PERSI ? E SE SI COSA DEVO FARE ?”
Consulenza legale i 30/03/2022
I termini di prescrizione per i singoli ratei di pensione è di 5 anni. Infatti, l’art. 38 del D. L. 6 luglio 2011, n. 98, comma 1, lett. d), numero 2), ha aggiunto all’articolo 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 il seguente articolo: “47-bis. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”.

Alla luce della predetta disposizione nel caso di specie si potrà proporre domanda di ricostituzione della pensione per i contributi non calcolati. Tuttavia, non si potranno richiedere solo gli ultimi cinque anni di ratei arretrati, essendo i precedenti ormai prescritti.

Paolo S. chiede
mercoledì 28/04/2021 - Marche
“Nel mese di Febbraio 1981 venni assunto presso un azienda che operava nel settore edile, nonostante che la mia assunzione risale al mese di Febbraio, per tale anno risultano accreditate solo 22 settimane, il motivo potrebbe risalire al fatto che, dopo tre settimane dall’assunzione, fui vittima di un incidente sportivo (quindi al di fuori dell’attività lavorativa), con conseguente ricovero ospedaliero di quasi due mesi, e relativa convalescenza fino al Settembre dello stesso anno.
E’ verosimile che in tal periodo, l’azienda pur mantenendomi il posto di lavoro, non abbia versato i relativi contributi INPS (non so dire se in violazione o a favore di norme), periodo del quale conservo sia alcune buste paga che attestano la data di assunzione, sia certificati di ricovero e documentazione medica.
La domanda è: se sia possibile riscattare le settimane in questione che ammonterebbero a circa 26 ed eventualmente come calcolarne in costo.”
Consulenza legale i 05/05/2021
Quando un lavoratore è costretto ad interrompere l'attività lavorativa per malattia o infortunio non vengono più versati i contributi obbligatori legati allo svolgimento del lavoro. Per evitare che il lavoratore rimanga senza contributi, la legge prevede che vengano accreditati nei suoi confronti i "contributi figurativi". In questo modo l’interessato non avrà danni dal punto di vista pensionistico.

Tale contribuzione, riconosciuta ai sensi dell'articolo 56, co. 1, lett. a) n. 2 del r.d.l. 4 ottobre 1935 n. 1827, è utile tanto ai fini del diritto che della misura della pensione.

I contributi vengono accreditati in maniera gratuita, senza onere a carico del lavoratore, ma in caso di malattia, non sono riconosciuti d’ufficio.

L’accreditamento dei contributi figurativi, in tal caso, avviene, infatti, a seguito di apposita domanda rivolta all’INPS dall’interessato, corredata dalla relativa certificazione e documentazione medica.

Per avere diritto all'accredito gratuito, l'assicurato deve possedere almeno un contributo settimanale prima del periodo di malattia o infortunio e i periodi di malattia o di infortunio non devono avere avuto una durata inferiore a 7 giorni. L’interessato deve, inoltre, produrre idonea certificazione medica, necessaria in particolare nei casi in cui l'Inps non abbia provveduto al pagamento dell'indennità di malattia, da cui risulti il verificarsi dell'evento morboso.

Si precisa, inoltre, che il limite massimo accreditabile è pari a 96 settimane, cioè 22 mesi, nell'arco della vita lavorativa dell'interessato. Pertanto, dovranno essere tenuti in considerazione ulteriori periodi di malattia eventualmente intervenuti successivamente agli eventi in questione.

In conclusione, se nel caso di specie il mancato accreditamento dei contributi è dovuto effettivamente ad un’assenza per malattia, non sarà necessario il riscatto, ma si dovrà semplicemente chiedere all’INPS l’accreditamento dei relativi contributi figurativi.

Si consiglia di rivolgersi ad un patronato per avere assistenza in merito.

Francesco S. chiede
venerdì 19/03/2021 - Lombardia
“ho inoltrato richiesta accesso agli atti per diniego formante il diritto di accesso alla pensione lavoratori precoci e usuranti presentate attraverso i patronati INAS e EPASA e direttamente da me
1 INAS prima domanda nel corso del 2019 maturavo i 41 anni di contributi non si comprende perché non abbiano utilizzato il rilascio di attestazione degli ultimi 10 anni lavorativi rilasciato dall'azienda ma soltanto un "1" anno delle stesse
2 EPASA seconda domanda e tutta la successiva e relativa documentazione formante la pratica con relativo elaborato documento prodotto da me attestante lo svolgimento del lavoro notturno con orari di lavoro compresi dalle ore 18 alle ore in modo continuativo a turni alternati dal 1983 al 2019”
Consulenza legale i 08/04/2021
L’articolo 1, comma 299, della Legge 11 dicembre 2016, n. 232 ha stabilito che i lavoratori che hanno almeno 12 mesi di contribuzione per periodi di lavoro effettivo precedenti il raggiungimento del 19° anno di età, possono accedere alla pensione anticipata con il requisito ridotto di 41 anni di contributi.
Il beneficio spetta fra gli altri a coloro che ai lavoratori impegnati nelle lavorazioni c.d. usuranti di cui all’articolo 1, commi da 1 a 3 del Decreto Legislativo n. 67/2011.
I lavoratori notturni rientrano nei cosiddetti lavori usuranti quando possono far valere una determinata permanenza nel lavoro notturno, con le seguenti modalità:
  • lavoratori a turni, che prestano la loro attività di notte per almeno 6 ore, comprendenti l’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino, per un numero minimo di giorni lavorativi annui non inferiore a 78 per coloro che perfezionano i requisiti per l’accesso anticipato nel periodo compreso tra il 1° luglio 2008 ed il 30 giugno 2009, e non inferiore a 64, per coloro che maturano i requisiti per l’accesso anticipato dal 1° luglio 2009.
  • lavoratori che prestano il proprio servizio per almeno 3 ore nell’intervallo tra la mezzanotte e le cinque del mattino per la durata dell’intero anno lavorativo.

Per quanto riguarda, invece, la durata del lavoro usurante il beneficio pensionistico, così come previsto dal decreto in questione, è riconosciuto ai lavoratori che, in possesso dei requisiti soggettivi richiesti, abbiano svolto una o più delle attività usuranti per un tempo pari:
  • ad almeno sette anni negli ultimi dieci anni di attività lavorativa, compreso l’anno di maturazione dei requisiti
  • ad almeno la metà della vita lavorativa.
Nel caso di specie sembrerebbero rispettati tutti i parametri richiesti in quanto da un lato si sono svolte 91 settimane di lavoro prima dei 19 anni di età, dall’altro per oltre la metà della vita lavorativa si è svolto lavoro notturno nelle modalità di cui alla normativa richiamata.

Tuttavia, dalla documentazione fornita risulta che il patronato EPASA-ITACO ha allegato le attestazioni del datore di lavoro circa lo svolgimento del lavoro notturno solamente per gli anni dal 1999 ad oggi.
Infatti, l’INPS ha motivato il diniego adducendo che “non risulta raggiunto il requisito di almeno 7 anni negli ultimi dieci di lavoro notturno. La documentazione allegata non consente di verificare lo svolgimento di lavoro notturno per metà della vita assicurativa”.

Sarà quindi necessario ripresentare la domanda allegando la documentazione completa che dimostri lo svolgimento del lavoro notturno per oltre la metà della vita lavorativa.


Domenico M. chiede
sabato 05/09/2020 - Emilia-Romagna
“Spett.le Brocardi,

ho già usufruito, con piena soddisfazione, della vostra consulenza e mi rivolgo a Voi per un altro problema. Sono un medico di 89 anni, essendo nato il 03-03-1931 e tuttora svolgo l'attività ambulatoriale presso una struttura privata convenzionata con il SSN. Ho sempre versato i contributi all'ENPAM fin dalla nascita di questo Ente sia per la Quota A, che per la Quota B. Da quando in pensione con il SSN pago solo la Quota B con una rateazione che, dietro mia richiesta, mi è stata ridotta da questo anno del 50%. A mia conoscenza, ma non ne sono certo, la quota B potrebbe riguardare l'assistenza ai miei colleghi in difficoltà finanziaria. Continuo a lavorare perché le mie capacità fisiche e intellettuali me lo consentono e perché devo aiutare mio figlio che lavora nel campo dello spettacolo ed è a mio carico. Credo di aver finora contribuito già abbastanza all'attività assistenziale dell'ENPAM e Vi chiedo di farmi sapere se devo pagare o no per legge questa quota B al fine di giustificare i miei eventuali comportamenti futuri verso l'ENPAM.
Distinti saluti”
Consulenza legale i 10/09/2020
Ai sensi dell’art. 1, comma 3, del decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, l’iscrizione e la contribuzione all’ENPAM sono obbligatorie per tutti gli iscritti agli albi professionali dei medici chirurghi ed odontoiatri, di cui all’art. 21 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 233 del 13 settembre 1946, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561.
La contribuzione e l’iscrizione alla Fondazione sono comunque obbligatorie per tutti i medici chirurghi e gli odontoiatri che operano a rapporto professionale con le istituzioni pubbliche e private che erogano l’assistenza sanitaria.

I pensionati che continuano a esercitare la libera professione sono tenuti per legge a versare i contributi all’Enpam.

Infatti, l’art. 4 del Regolamento del Fondo di Previdenza Generale, al comma 4, prevede che “I pensionati del Fondo o gli iscritti che hanno comunque maturato l’età pensionabile pro tempore vigente, se titolari di compensi appartenenti alle tipologie di cui al precedente art. 3, comma 2, conservano l’iscrizione al Fondo. Essi sono tenuti al versamento del contributo previdenziale in misura pari al 50% della contribuzione ordinaria pro tempore vigente indicata all’allegata Tabella A, salva espressa opzione per il pagamento nella misura intera, da effettuarsi entro il termine di cui all’art. 3, comma 5”.

I soldi versati non vanno persi. L’Enpam infatti ricalcola le pensioni e le aumenta in base ai nuovi versamenti fatti. La pensione supplementare viene liquidata ogni tre anni.

Di seguito il testo dell’art. 19 del Fondo di Previdenza Generale relativo alla pensione supplementare:
1. Agli iscritti di cui all’art. 4, comma 4, del presente Regolamento, che contribuiscono alla gestione “Quota B” dopo il conseguimento del trattamento ordinario di vecchiaia ovvero della pensione anticipata spetta un supplemento di pensione.
2. Il supplemento di pensione, di cui al precedente comma, si determina in relazione ai contributi versati con l’aliquota ridotta od intera, applicando al reddito medio annuo, calcolato con le modalità di cui all’art. 18, comma 7, il corrispondente coefficiente di rendimento di cui all’allegata Tabella A per ogni anno - ed un’aliquota proporzionale per le frazioni di anno - di contribuzione.
3. Agli iscritti di cui al comma 1, che contribuiscono alla gestione anche con l’aliquota dell’1% – laddove lo 0,50% del contributo è utilizzato a fini previdenziali ed il rimanente 0,50% è acquisito dalla gestione per l’erogazione di prestazioni assistenziali, spetta un’ulteriore quota di pensione la cui misura viene determinata con le modalità di cui al richiamato comma 7, dell’art. 18, applicando al reddito medio annuo il corrispondente coefficiente di rendimento di cui all’allegata Tabella A per ogni anno - ed un’aliquota proporzionale per le frazioni di anno - di contribuzione.
3bis. Nel caso in cui l’iscritto di cui al comma 1 non abbia raggiunto l’età anagrafica pro tempore indicata nella allegata Tabella B, si applicano i coefficienti di adeguamento all’aspettativa di vita previsti nell’allegata Tabella D, con riferimento all’età maturata dall’iscritto nel mese di decorrenza del supplemento.
3ter. Agli iscritti di cui al precedente art. 18, comma 10, che contribuiscono alla gestione dopo il conseguimento del relativo trattamento, spetta un supplemento di pensione calcolato secondo il sistema contributivo di cui alla L. 335/95 e successive modificazioni.
4 La liquidazione del supplemento di pensione viene effettuata d’ufficio dall’Ente ogni triennio, sulla base di tutti i contributi relativi al periodo di riferimento.”

Pertanto, si dovrà obbligatoriamente continuare a versare i contributi “Quota B”. Gli stessi sicuramente in parte svolgeranno anche una funzione assistenziale nei confronti dei colleghi, ma andranno anche ad incrementare la pensione supplementare, che verrà liquidata ogni tre anni.


Marco S. chiede
mercoledì 24/06/2020 - Lazio
“Vorrei chiederVi una consulenza in materia di responsabilità dell'Inps per erogazione di Naspi non dovuta e richiesta di restituzione della somma.
Ho inviato un ricorso amministrativo che allego al quale l'Inps mi ha risposto che è improcedibile per decadenza dell'azione giudiziaria, ma in base a mie ricerche credo che non si possa applicare la norma che prevede una decadenza breve di un anno perché, seppur trattasi di Naspi, la richiesta verte su un ricalcolo e su una richiesta di risarcimento danno materiale prodotto. Volevo chiederVi un parere sulla possibilità ed opportunità di depositare un ricorso davanti al Giudice del Lavoro. Attendo un cortese riscontro”
Consulenza legale i 30/06/2020
Per quanto riguarda l’impugnazione amministrativa del provvedimento INPS presentata il 22/6/2018, l’INPS ha correttamente deciso per l’improcedibilità dello stesso, in quanto ormai decorsi i termini per l’impugnazione giudiziale ex art. 47 D.P.R. 639/70.

Per quanto riguarda la richiesta di risarcimento del danno materiale prodotto, interpretando la stessa come azione autonoma rispetto all’impugnazione del provvedimento INPS, si potrebbe ritenere applicabile alla stessa l’ordinaria prescrizione decennale.
Infatti, in caso di danno provocato da errori INPS la suprema Corte ha più volte inquadrato la responsabilità dell’ente nella responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c.
Ma così ragionando l’azione dovrebbe essere proposta in via autonoma di fronte al giudice della previdenza e non come impugnazione del provvedimento dell’INPS, per la quale, come ribadito, si è ormai incorsi in decadenza.

Ad ogni modo, sul tema si segnala una recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. n. 23114/2019) nella quale la Suprema Corte ha ampliato il concetto di concorso di colpa dell’assicurato (nel caso di specie si trattava di ratei di pensione indebitamente percepiti, in quanto l’INPS aveva errato nel calcolo dei contributi e l’assicurato era andato in pensione prima del tempo): se l’errore di erogazione poteva essere riscontrato dal beneficiario grazie all’ordinaria diligenza può configurarsi il suo concorso di colpa all’evento dannoso e l’eventuale risarcimento può essere diminuito di conseguenza. La Corte ha infatti affermato che “L'assicurato ha tuttavia l'obbligo di intervenire per interrompere il processo che determina l'evento produttivo di danno quando l'erroneità dei dati forniti dall'istituto sia riscontrabile sulla base dell'ordinaria diligenza, esercitabile nell'ambito dei dati che rientrano nella sua normale sfera di conoscibilità. Qualora egli non si attivi in tal senso e rassegni comunque le proprie dimissioni presentando domanda di pensione malgrado l'evidente erroneità dei dati contributivi a lui comunicati, concorre al verificarsi dell'evento dannoso, ai sensi del I comma dell'art. 1227 c.c., con la conseguente possibilità per il giudice di limitare il risarcimento dovuto”.
Nel caso oggetto del presente parere, l’assicurato ha percepito la NASPI per diversi mesi dopo il venir meno dei presupposti per l’erogazione della stessa (nella specie lo stato di disoccupazione) senza attivarsi. Difficilmente potrebbe sostenersi che lo stesso si sia accorto dell’indebita percezione della NASPI quasi un anno dopo.


Nicola S. chiede
sabato 29/02/2020 - Veneto
“In data 17 agosto 1995 entrava in vigore la Legge 335/95 (RIFORMA PENSIONI) che definiva, fra l’altro, alla data del 31 dicembre dello stesso anno, con quale sistema si sarebbe transitato in pensione a decorrere dal 01.01.1996. Poiché l’ANZIANITÀ CONTRIBUTIVA poneva il sottoscritto giusto sotto la lama che delimitava l’accesso in pensione fra “SISTEMA RETRIBUTIVO” e “SISTEMA MISTO”, preoccupato, m’informai dalla mia Amministrazione sulla propria situazione contributiva al 31.12.1995. Tenuto conto delle norme in vigore nell’anno 1996, epoca della verifica, risultò che avevo maturato 18 anni contributivi e pertanto sarei transitato in pensione con il “SISTEMA RETRIBUTIVO”. Nel 2004, per motivi di salute, transitavo in pensione. Dal mio Decreto di Pensione, emesso in data 26.4.2010, emergeva che la stessa era stata calcolata con il “SISTEMA MISTO”. Chiedevo delucidazioni alla mia ex Amministrazione la quale mi riferiva che con l’entrata in vigore della Legge 27/12/1997, nr. 449, art. 59, comma 1, lett. b., veniva meno l’ARROTONDAMENTO ad anno previsto dall’art. 40 del D.P.R. 29 dicembre 1973, nr. 1092, facendomi scivolare nel meno remunerativo “sistema misto”; se fossi transitato in pensione fra il 1996 ed il 31.12.1997 mi avrebbero calcolato la stessa con il migliore “sistema retributivo”.

QUESITO:
1) E’ CORRETTA L’INTERPRETAZIONE SECONDO LA QUALE UNA NORMA, NELLA FATTISPECIE LA LEGGE 27 DICEMBRE 1997, N. 449 ART. 59, PUR PROIETTATA A REGOLARE SITUAZIONI FUTURE (A DECORRERE DAL 01.01.1998) POSSA MODIFICARE ANCHE FATTI REGOLATI E MATURATI AL 31/12/1995, COME NEL MIO CASO?
2) SE IL DECRETO DI PENSIONE E’ STATO EMESSO IN DATA 26.4.2010, IN CHE DATA SI PRESCVRIVE IL DIRITTO A RIVENDICARE, NELLE OPPORTUNE SEDI, L’EVENTUALE RICALCOLO DELLA MIA PENSIONE?”
Consulenza legale i 07/03/2020
L’articolo 59, comma 1, lettera b), della legge n. 449 del 1997, entrato in vigore il 1° gennaio 1998, ha abolito l'arrotondamento ad anno intero delle frazioni superiori a sei mesi per i pensionati a carico delle gestioni pubbliche.
Tuttavia, l’art. 3 della Legge n. 274/1991, stabilisce che “1. Per le cessazioni dal servizio a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai fini della determinazione della quota del trattamento di quiescenza di cui al primo comma, lettera a), dell’articolo 3 della legge 26 luglio 1965, n. 965, il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero, trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e computando per un mese quella superiore.”
In pratica, qualora il lavoratore abbia, alla data del 31/12/1995, un’anzianità contributiva che va dai 17 anni 11 mesi e 16 giorni fino a 17 anni 11 mesi e 29 giorni, viene applicato un arrotondamento tale da poter determinare un’anzianità pari a 18 anni “interi”.
Solo in questi specifici casi è quindi possibile applicare il cosiddetto sistema retributivo fino alla data del 31 dicembre 2011.
In tutti gli altri casi, si applicherà il c.d. sistema misto.

Per quanto riguarda la retroattività della disposizione di cui all’art. 59 è da tenere presente l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale affermatosi ormai da tempo sul tema della retroattività.
L’art. 11 delle Preleggi sancisce il principio dell’irretroattività della legge, affermando che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.
Tale principio esclude (in linea generale) che una norma giuridica possa applicarsi ad atti, fatti, eventi o situazioni verificatesi prima della sua entrata in vigore, per i quali si suole parlare di “diritti quesiti”.
Può dirsi innanzitutto consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il diritto pensionistico diventa “quesito” solo nel momento in cui l’interessato perfeziona il diritto alla pensione, maturando i requisiti necessari per essere collocato a riposo.
Precedentemente, l’interessato “può vantare solo una aspettativa ad un determinato trattamento di quiescenza” (Cons. Stato, sez. V., 28 febbraio 1987, n. 140) e non può dolersi di eventuali modifiche in pejus delle disposizioni previdenziali incidenti anche sul proprio trattamento.
A conferma di ciò, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 18338 del 1° dicembre 2003, ha chiarito che allorquando la legge parla di “far salvi i diritti quesiti”, essi debbono intendersi “nel senso che i lavoratori che al momento dell’entrata in vigore delle leggi di riforma avevano già maturato i requisiti per la pensione secondo la precedente normativa, pur senza aver presentato domanda di pensionamento, conservano il diritto ad avvalersi dei requisiti precedenti più favorevoli.”. Ciò, lasciando intendere per converso che coloro che non li hanno maturati, non possono vantare prerogative, se non una legittima aspettativa.
In tal senso, l’applicazione retroattiva nel caso in esame dell’art. 59, comma 1, lettera b), della legge n. 449 del 1997 risulta del tutto legittima in quanto norma entrata in vigore quando il lavoratore non aveva ancora maturato i requisiti della pensione.

Per quanto riguarda, invece, il secondo quesito e cioè il termine di prescrizione del diritto al ricalcolo della pensione, si deve tenere presente che la legge 15 luglio 2011, n. 111 di conversione del D. L. 6 luglio 2011, n. 98, ha modificato i termini di decadenza per l’azione giudiziaria in materia pensionistica di cui all’art. 47 D.P.R. 639/70, prevedendo un termine di decadenza di tre anni.
In particolare, la lettera d) del comma 1 dell’articolo 38, D. L. 6 luglio 2011, n. 98 ha modificato l’articolo 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 aggiungendo un ultimo comma che così recita: “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”.
Per effetto della nuova disposizione, la decadenza prevista dal richiamato art. 47 del D.P.R. n. 639/1970 trova applicazione non solo nei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla prestazione pensionistica, ma anche nei casi in cui essa sia indirizzata a conseguire l’adeguamento della prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello spettante.
Pertanto, la domanda di ricostituzione presentata per ottenere l’integrale riconoscimento della prestazione, non correttamente calcolata in fase di prima liquidazione pur in presenza di tutti gli elementi utili, può trovare accoglimento solo se presentata entro tre anni dal provvedimento di liquidazione della pensione, o, laddove questo non sia disponibile, dalla riscossione del primo rateo di pensione.
Secondo la Circolare n. 95/2014 dell’INPS “In applicazione del comma 6 dell’articolo 47, decorso il termine triennale dal provvedimento di prima liquidazione, deve essere considerato inammissibile il ricorso/istanza di riesame finalizzato a ottenere la riliquidazione della prestazione riconosciuta solo in parte.”.

Tuttavia, la sentenza della Corte costituzionale 2 aprile 2014, n. 69 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.38, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n.111 nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lettera d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata di entrata in vigore del citato decreto (6 luglio 2011).”
Dalla declaratoria di incostituzionalità del sopra citato articolo 38, si evince che le disposizioni in materia di decadenza di cui all’ultimo comma dell’articolo 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 trovano applicazione esclusivamente per le prestazioni pensionistiche riconosciute solo dal 6 luglio 2011.
Secondo tale orientamento, al caso di specie non dovrebbe pertanto applicarsi la decadenza.
Si segnala, tuttavia, che potrebbero essere presi in considerazione orientamenti più restrittivi, secondo i quali la decadenza sarebbe intervenuta in data 6 luglio 2014 e quindi non sarebbe più possibile proporre istanza per ricostituzione della pensione.

Ad ogni modo, anche se non dovesse essere applicata la decadenza, interverranno i termini di prescrizione per i singoli ratei previsti dall’art. 38 del D. L. 6 luglio 2011, n. 98 con il comma 1, lett. d), numero 2), ha aggiunto all’articolo 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 il seguente articolo: “47-bis. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”.
Alla luce della predetta disposizione nel caso di specie potrà proporre domanda di ricostituzione della pensione, ma potrà richiedere solo gli ultimi cinque anni di ratei arretrati, essendo i precedenti ormai prescritti.

Giovanni D. P. chiede
sabato 01/02/2020 - Abruzzo

“Il D.lgs. 562/96 ha armonizzato il Fondo Pensioni Elettrici con il sistema pensionistico (AGO)
Il decreto legislativo ha previsto due tetti per il calcolo della pensione per quelli appartenenti al fondo art.3 comma 2 per chi possedeva 18 anni di contributi al 31/12/1995 .Tetto 88% calcolato secondo la normativa del fondo Elettrico
Tetto dell’80% calcolato secondo le normativa AGO

Tra i due tetti si prende quello favorevole al pensionato e si confronta con la pensione calcolato secondo il fondo e si liquida quella inferiore. Nel calcolare il tetto AGO l’INPS non ha preso la retribuzione imponibile vigente per AGO che è comprensiva ai sensi dell’art.12 legge 153/1969 di tutti gli elementi retributivi, ma quella più ristretta vigente per il Fondo Elettrico. L’INPS con circolare 190/1997 ha stabilito che per i periodo precedenti al 31/12/1996 bisogna prendere la retribuzione teorica del Fondo Elettrico sulla quale è stato versato i contributi per la pensione, mentre dal 01/01/1997 le retribuzioni imponibile AGO.

Diverse Sentenze Cassazione ha ritenuto errato l’operato dell’INPS, rigettando i suoi ricorsi. Sentenze: 12161/2019,1444/2008,12624/2014 e 997/2017

Il Periodo interessato è dal 1996 al 2006, siccome sono andato in pensione il 31/05/1998 ci rientro.

Chiedo:

- Se c’è una strada amministrativa da intraprendere per il ricalcolo della pensione per far applicare il parere della Cassazione, ho sono costretto ad agire per le vie legali, che in caso a me favorevole mi verrebbero pagati soltanto gli ultimi 5 anni dal ricorso dato la prescrizione.
- C'è qualche altra strada per recuperare l’arretrato di tutti gli anni in caso di vittoria? Sono venuto a coscienza del problema in questi giorni ha seguito di una sentenza del giudice del lavoro del tribunale di Pescara

Cordiali saluti”

Consulenza legale i 06/02/2020
Per il ricalcolo della pensione è possibile presentare istanza di ricostituzione della pensione in via amministrativa. La domanda di ricalcolo della pensione deve essere presentata all'Inps o direttamente online tramite sito web, o contattando il Contact center o tramite enti di patronato e intermediari dell’Istituto, attraverso i servizi telematici offerti dagli stessi.

Si deve tenere presente che la legge 15 luglio 2011, n. 111 di conversione del D. L. 6 luglio 2011, n. 98, ha modificato i termini di decadenza per l’azione giudiziaria in materia pensionistica di cui all'art. 47 D.P.R. 639/70, prevedendo un termine di decadenza di tre anni.
In particolare, la lettera d) del comma 1 dell’articolo 38, D. L. 6 luglio 2011, n. 98 ha modificato l’articolo 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 aggiungendo un ultimo comma che così recita: “Le decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della sorte”.
Per effetto della nuova disposizione, la decadenza prevista dal richiamato art. 47 del D.P.R. n. 639/1970 trova applicazione non solo nei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere il riconoscimento del diritto alla prestazione pensionistica, ma anche nei casi in cui essa sia indirizzata a conseguire l’adeguamento della prestazione già riconosciuta in un importo inferiore a quello spettante.
Pertanto, la domanda di ricostituzione presentata per ottenere l’integrale riconoscimento della prestazione, non correttamente calcolata in fase di prima liquidazione pur in presenza di tutti gli elementi utili, può trovare accoglimento solo se presentata entro tre anni dal provvedimento di liquidazione della pensione, o, laddove questo non sia disponibile, dalla riscossione del primo rateo di pensione.
Secondo la Circolare n. 95/2014 dell’INPS “In applicazione del comma 6 dell’articolo 47, decorso il termine triennale dal provvedimento di prima liquidazione, deve essere considerato inammissibile il ricorso/istanza di riesame finalizzato a ottenere la riliquidazione della prestazione riconosciuta solo in parte.”.

Tuttavia, la sentenza della Corte costituzionale 2 aprile 2014, n. 69 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con modificazioni dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n.111 nella parte in cui prevede che le disposizioni di cui al comma 1, lettera d), si applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata di entrata in vigore del citato decreto (6 luglio 2011).”
Dalla declaratoria di incostituzionalità del sopra citato articolo 38, si evince che le disposizioni in materia di decadenza di cui all’ultimo comma dell’articolo 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639 trovano applicazione esclusivamente per le prestazioni pensionistiche riconosciute solo dal 6 luglio 2011.

Secondo tale orientamento, al caso di specie non dovrebbe pertanto applicarsi la decadenza.
Si segnala, tuttavia, che potrebbero essere presi in considerazione orientamenti più restrittivi, secondo i quali la decadenza sarebbe intervenuta in data 6 luglio 2014 e quindi non sarebbe più possibile proporre istanza per ricostituzione della pensione.

Ad ogni modo, anche se non dovesse essere applicata la decadenza, interverranno i termini di prescrizione per i singoli ratei previsti dall'art. 38 del D. L. 6 luglio 2011, n. 98 che con il comma 1, lett. d), numero 2), ha aggiunto all'articolo 47 del D.P.R. n. 639 del 1970 il seguente articolo: “47-bis. Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all'articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni”.

Alla luce della predetta disposizione nel caso oggetto del presente parere si potrà proporre domanda di ricostituzione della pensione, ma si potranno richiedere solo gli ultimi cinque anni di ratei arretrati, essendo i precedenti ormai prescritti.

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