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Articolo 190 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Responsabilità sussidiaria dei beni personali

Dispositivo dell'art. 190 Codice Civile

(1)I creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali [179](2) di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti(3).

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dall'art. 69, L. 19 maggio 1975 n. 151.
(2) La formulazione è da intendersi in senso ampio, relativamente cioè a tutti i beni economicamente valutabili di cui il coniuge possa disporre in costanza di matrimonio.
(3) Con tale articolo si prevede insomma una responsabilità sussidiaria dei beni personali, disponendosi che i creditori possano agire solo per la metà del credito verso il coniuge estraneo, ed in subordine alla più naturale richiesta di saldo totale nei confronti del coniuge stipulante.

Ratio Legis

La ratio della disposizione è quella di salvaguardare la parità dei coniugi, evitando che uno solo di essi debba rispondere integralmente del debito comune.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 190 Codice Civile

Cass. civ. n. 37612/2021

Nella disciplina del diritto di famiglia, introdotta dalla l. n. 151 del 1975, l'obbligazione assunta da un coniuge, per soddisfare bisogni familiari, non pone l'altro coniuge nella veste di debitore solidale, difettando una deroga rispetto alla regola generale secondo cui il contratto non produce effetti rispetto ai terzi. Tale principio opera indipendentemente dal fatto che i coniugi si trovino in regime di comunione dei beni, essendo la circostanza rilevante solo sotto il diverso profilo della possibilità, da parte del creditore, di invocare la garanzia dei beni della comunione o del coniuge non stipulante, nei casi e nei limiti di cui agli artt. 189 e 190 c.c.

Cass. civ. n. 10116/2015

In tema di rapporti patrimoniali tra coniugi, non sussiste vincolo di solidarietà per le obbligazioni assunte da uno di essi per soddisfare i bisogni familiari pur in presenza di un regime di comunione legale, fatto salvo il principio di affidamento del creditore che abbia ragionevolmente confidato nell'apparente realtà giuridica, desumibile dallo stato di fatto, che il coniuge contraente agisse anche in nome e per conto dell'altro. Ne consegue che il credito vantato dalla collaboratrice domestica per le obbligazioni assunte dalla moglie, da cui promanavano le quotidiane direttive del servizio, rende coobbligato anche il marito, datore della provvista in danaro ordinariamente utilizzata per la corresponsione della retribuzione sì da ingenerare l'affidamento di esser l'effettivo datore di lavoro.

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Consulenze legali
relative all'articolo 190 Codice Civile

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

Paola P. chiede
martedì 29/08/2017 - Calabria
“Buongiorno,
sono proprietaria di un appartamento dato in affitto. L'inquilino non paga le mensilità d'affitto da dicembre 2016. A marzo 2017 è scaduto il contratto di locazione un anno prima correttamente da me disdetto con regolare raccomandata di disdetta inviata nel febbraio 2016. Nonostante ciò allo scadere del contratto cioè marzo 2017 l'inquilino non ha lasciato l'appartamento. Nello stesso mese ho proceduto quindi con lo sfratto per cessata locazione tramite legale. La giudice nell'udienza tenutasi il 15 di aprile ha concesso all'inquilino di lasciare l'appartamento entro il 30 settembre 2017 nonostante questi sia moroso e ciò sia stato fatto presente per iscritto e a voce dal mio avvocato. Tengo a precisare che non si tratta di famiglia indigente. (l'intestatario del contratto cioè l'inquilino è un agente di commercio che attualmente non so quanto lavori, ma la moglie che vive con lui nell'appartamento in questione è impiegata nella pubblica amministrazione della città nei quadri dirigenziali). Purtroppo lui è l'unico intestatario del contratto. preciso altresì che l'inquilino non si è costituto cioè non è al momento tutelato ufficialmente da un avvocato. La moglie ha ereditato un appartamento che starebbero ristrutturando.
Il punto è:
l'inquilino non ha pagato dalla mensilità di dicembre 2016 nonostante le mie cortesi telefonate e ormai urla al telefono
suppongo che non andranno via entro il 30 di settembre.
Quali sono le procedure o gli escamotages che mi consentano di difendermi al meglio in una simile situazione?
Il problema è che l'anno prossimo io dovrò pagare l'Irpef e l'IMU per quasi tremila euro senza avere ricevuto nessuna delle mensilità del 2017.
E' consigliabile altresì procedere con un'ingiunzione di pagamento?
Ove io proceda con un'ingiunzione di pagamento se l'inquilino non paga, il pignoramento di beni è una procedura automatica o opzionale?
Grazie”
Consulenza legale i 05/09/2017
La procedura messa in atto dal suo legale è corretta, così come è corretto, e vieppiù inevitabile, che il Giudice assegni all’inquilino un termine, non superiore ai 12 mesi, entro il quale rilasciare l’immobile.

Dovrà quindi essere notificato all’inquilino moroso un atto di precetto con il quale gli venga intimato il rilascio dell’immobile avvertendolo che, qualora non liberasse l’immobile entro il 30 settembre, inizierà l’esecuzione forzata.
In particolare, in mancanza di un adempimento spontaneo, occorrerà procedere prima con la significazione e poi con l’esecuzione forzata vera e propria, richiedendo l’intervento della forza pubblica affinché l’appartamento venga coattivamente liberato.

Bisogna però considerare che gli ufficiali giudiziari devono far fronte ad un numero considerevole di procedure di sfratto, e dunque il ricorso alla forza pubblica implica necessariamente ulteriori attese e tempi lunghi prima dell’effettivo accesso all’appartamento.

L’unico modo per indurre indirettamente l’inquilino ad andar via il prima possibile e quindi riottenere l’immobile, è quello di presentare un ricorso per decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni maturati e non versati, ingiunzione che però necessiterebbe, a monte, di una valutazione circa la solvibilità del debitore-inquilino.

Se il conduttore non ha un patrimonio mobiliare o immobiliare da aggredire, è necessaria un’indagine circa il possesso di conti correnti bancari sui quali rivalersi, di diritti di credito verso terzi ovvero di provvigioni maturate e non ancora riscosse nell’ambito della sua attività lavorativa, per poter pignorare tali somme sino alla corrispondenza dell’importo dovuto.

Nessuna pretesa potrà farsi valere, invece, sui beni e sul patrimonio della moglie che non è intestataria del contratto d’affitto e quindi non risponde dell’inadempimento contrattuale del coniuge.

Costituisce parziale eccezione alla regola appena esposta l’eventuale regime di comunione legale dei beni tra i coniugi, regime patrimoniale annotato a margine dell’atto di matrimonio e quindi di facile evidenza per i terzi (è sufficiente recarsi nel comune di residenza per ottenere l'informazione).

In base al disposto dell’art. 186 c.c., infatti, i beni della comunione rispondono dei debiti contratti relativamente alle spese per il mantenimento della famiglia, tra le quali sicuramente rientrano i canoni d’affitto dell’abitazione ove è stabilita la residenza familiare.

Da quanto esposto però, emerge che non sussistono al momento beni nella comunione sui quali rivalersi, dal momento che i redditi da lavoro dipendente e gli immobili ereditati della moglie non vi rientrano ai sensi dell’art. 177 c.c..

Per i casi in cui i coniugi abbiano scelto il regime patrimoniale della comunione ma i beni della comunione non siano sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti, si potrà fare applicazione dell’art. 190 c.c. a mente del quale i creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali, e quindi anche sui redditi da lavoro dipendente, di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito.

In tal modo il locatore sarebbe sicuro di recuperare almeno la metà del credito e dei canoni non pagati (dalla moglie).

In ogni caso, il pignoramento a seguito del procedimento d’ingiunzione è atto assolutamente facoltativo, spetta al creditore valutare se e quando iniziare l’esecuzione forzata. Per ipotesi uno potrebbe fare soltanto il decreto ingiuntivo e fermarsi lì.

Pertanto, alla luce di quanto fino ad ora esposto, sarà utile esperire un ricorso per decreto ingiuntivo ed iniziare poi una procedura esecutiva solo qualora il recupero del credito maturato possa realisticamente risultare fruttuoso; è ciò potrà essere nel caso in cui:
- il conduttore sia titolare di somme di denaro (conti bancari da trovare)
- si trovi in regime di comunione dei beni con la moglie.

Maria chiede
giovedì 29/11/2012 - Emilia-Romagna
“Salve,
mio marito ha prestato fideiussione a favore del fratello e di mia cognata.
La banca ha già aggredito la loro casa, e sono stati sfrattati perché venduta all'asta.
Ho però letto nel contratto di fideiussione firmato da mio marito che "ove la fideiussione sia prestata da coniugi, la banca è espressamente autorizzata, in deroga all'art. 190 c.c. ad agire in via principale anziché sussidiaria e per l'intero suo credito, sui beni personali di ciascuno dei coniugi".
Questo vuol dire che sono in pericolo anche i miei beni personali oppure si intendono i beni personali della moglie del debitore principale? Grazie”
Consulenza legale i 30/11/2012

Da quanto viene descritto nel quesito posto, la fideiussione appare essere stata prestata soltanto da un coniuge in favore del fratello e della cognata e non da entrambi i coniugi. Tale garanzia si configura quale atto di disposizione di capitale, consentita anche se prestata da uno solo dei coniugi soggetti al regime di comunione legale dei beni.

In tale ambito, viene in rilievo l'applicazione del principio di cui agli art. 189 del c.c. e art. 190 del c.c., in base al quale i beni comuni sono assoggettati alle ragioni del creditore solo nei limiti della quota che spetta al coniuge obbligato. Pertanto, nel caso prospettato, se i beni personali del coniuge che ha prestato la fideiussione non dovessero essere sufficienti a soddisfare le ragioni dei creditori personali, questi potranno aggredire i beni rientranti nella comunione legale fino al valore corrispondente alla quota di proprietà del coniuge obbligato.


Anita D. A. chiede
mercoledì 01/08/2012 - Lazio
“Se acquisto un appartamento e lo dono al mio unico figlio, maggiorenne, conservandomi l'usufrutto dell'appartamento, il mio coniuge, con il quale sono in regime di comunione, subentra nell'usufrutto? Ho la possibilità di non farlo subentrare nell'usufrutto?
Grazie”
Consulenza legale i 01/08/2012

Quando tra i coniugi vige il regime patrimoniale della comunione dei beni, ogni acquisto compiuto separatamente da ciascuno di essi costituisce ex lege oggetto della comunione ai sensi dell'art. 177 del c.c.. Tuttavia, l'art. 179 del c.c. alla lettera f) offre la possibilità per il singolo coniuge di acquistare personalmente beni anche dopo il matrimonio utilizzando altri beni strettamente personali quale prezzo della compravendita (ad esempio, una somma ricevuta in eredità, anch'essa considerata bene personale ai sensi dell'art. 179, lett. b). In tal caso, laddove si tratti di bene immobile, la legge impone che l'esclusione dalla comunione risulti esplicitamente dall'atto di acquisto.

Pertanto, se la moglie acquista un bene immobile in corso di matrimonio, ma con beni personali, il bene non entra a far parte della comunione e di conseguenza il marito non potrà accampare su di esso alcun diritto, nemmeno al momento dell'eventuale scioglimento della comunione.

Diversamente, se il bene acquistato da un coniuge entra a far parte della comunione, in caso di successiva donazione della nuda proprietà dell'immobile, non si vede come poter escludere il mantenimento del diritto di usufrutto in capo ad entrambi i cedenti, comproprietari, laddove uno di essi non rinunci espressamente a tale diritto.


Claginger chiede
domenica 15/04/2012 - Calabria

“Per un debito del marito coniuge, il quale ha prestato fideiussione per una società cooperativa poi fallita, puo rispondere anche la moglie in comunione dei beni? Spiego meglio: lui presta fideiussione per beni personali e per la comunione dei beni! I creditori possono agire su tutta la comunione o soltanto sulla quota del marito? Grazie”

Consulenza legale i 17/04/2012

Ancorché configuri un atto di disposizione di capitale (virtuale) è consentita, ed è pertanto valida ed efficace, la fideiussione prestata da uno solo dei coniugi soggetti al regime di comunione legale dei beni. Resta fermo e applicabile, anche in questo caso, il principio di cui agli artt.189 e 190 c.c., in base al quale i beni comuni sono assoggettati alle ragioni del creditore solo nei limiti della quota che spetta al coniuge obbligato.

Nel caso prospettato, se i beni personali del coniuge che ha prestato la fideiussione non dovessero risultare sufficienti a soddisfare le ragioni dei creditori personali, questi potranno aggredire i beni rientranti nella comunione legale fino al valore corrispondente alla quota di proprietà del coniuge obbligato.


Claudia chiede
venerdì 13/04/2012 - Umbria
“Consideri una situazione di questo tipo:
un coniuge, in regime di comunione legale, presta fideiussione personale e per la comunione all'atto di costituzione di una società. La società fallisce e quindi anche i soci. I creditori, a seguito della fideiussione prestata, possono rivalersi su tutti i beni della comunione e quindi anche l'altro coniuge andrebbe a perdere tutto? Sarebbe possibile fare una separazione personale per evitarlo? E se sì sarebbe sottoposta a revocatoria?
E' molto urgente.
Grazie”
Consulenza legale i 19/04/2012

Ancorchè configuri un atto di disposizione di capitale (virtuale) è consentita, ed è peraltro valida ed efficace la fideiussione prestata da uno solo dei coniugi soggetti al regime di comunione legale dei beni.

Resta fermo e applicabile, anche in questo caso, il principio di cui agli art. 189 del c.c. e art. 190 del c.c., in base al quale i beni comuni sono assoggettati alle ragioni del creditore solo nei limiti della quota che spetta al coniuge obbligato.

Nel caso di specie, se i beni personali del coniuge che ha prestato la fideiussione non dovessero risultare sufficienti a soddisfare le ragioni dei creditori personali, questi potranno aggredire i beni rientranti nella comunione legale fino al valore corrispondente alla quota di proprietà del coniuge obbligato.

Detto questo, l'accordo con il quale i coniugi, nel quadro della complessiva regolamentazione dei loro rapporti in sede di separazione consensuale, stabiliscano il trasferimento di beni immobili o la costituzione di diritti reali minori sui medesimi, rientra nel novero degli atti suscettibili di revocatoria fallimentare ai sensi degli art. art. 67 della l. fall. e art. 69 della l. fall., non trovando tale azione ostacolo né nell'avvenuta omologazione dell'accordo stesso, cui resta estranea la funzione di tutela dei terzi creditori e che, comunque, lascia inalterata la natura negoziale della pattuizione; né nella pretesa inscindibilità di tale pattuizione dal complesso delle altre condizioni della separazione ; né, infine, nella circostanza che il trasferimento immobiliare o la costituzione del diritto reale minore siano stati pattuiti in funzione solutoria dell'obbligo di mantenimento del coniuge economicamente più debole o di contribuzione al mantenimento dei figli, venendo nella specie in contestazione, non già la sussistenza dell'obbligo in sé, di fonte legale, ma le concrete modalità di assolvimento del medesimo, convenzionalmente stabilite dalle parti.


Fabiana chiede
lunedì 23/01/2012 - Lombardia

“Sono coniugata in regime di separazione dei beni ed ho acquistato l'abitazione prima del matrimonio con mutuo che sto pagando, mediante conto corrente personale, attraverso i proventi del mio lavoro come impiegata pubblica.
Mio marito, socio in due società, una snc e una sas, nelle quali io non ho nessuna carica, ha generato un debito enorme.
Presumo non abbia pagato contributi e quant'altro, ed ora sono arrivate intimazioni da Equitalia per un cifra superiore al valore della casa.
Può Equitalia pignorare la mia casa. Grazie”

Consulenza legale i 26/01/2012

I beni che erano personali prima del matrimonio restano in esclusiva proprietà anche dopo il matrimonio e non sono pignorabili per i debiti contratti dal coniuge. Questo a prescindere dal regime patrimoniale scelto dagli sposi al momento del matrimonio.

C'è di più. Se si è scelto il regime della separazione dei beni, anche i beni acquistati dopo il matrimonio dal coniuge non debitore rimangono di sua esclusiva proprietà e non sono pignorabili per debiti dell'altro coniuge. La separazione dei beni realizza, infatti, uno sbarramento tra i patrimoni dei coniugi.
Solo se il coniuge non imprenditore ha concesso garanzie a favore dell'impresa condotta dall'altro o si è in qualche modo intromesso nella gestione della sua attività, la separazione dei beni potrebbe non essere di per sè sufficiente a scongiurare il pericolo di un suo coinvolgimento nei debiti.

Nel caso di specie, dunque, non potrà essere pignorata la casa, che è di esclusiva proprietà della moglie.


Gianni V. chiede
venerdì 27/05/2011 - Toscana

“Sono in comunione dei beni, ma mia moglie e proprietaria dell'appartamento in cui viviamo, detta proprietà e stata acquisita prima del matrimonio. Può un creditore rivalersi su questa proprietà. Il debito è stato contratto solo da me. Grazie”

Consulenza legale i 03/06/2011

Il bene di cui il coniuge ha acquistato la proprietà prima del matrimonio è un bene personale a norma dell’art. 179 del c.c. e non entra a far parte della comunione.

Secondo quanto disposto dal 2°comma dell'art. 189 del c.c. i creditori particolari di uno dei coniugi, per il credito sorto prima del matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria, sui beni della comunione fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, una volta che abbiano preliminarmente agito infruttuosamente sui suoi beni personali. Non è previsto però, ed è il caso in questione, che i creditori particolari possano attaccare i beni personali del coniuge che non si è obbligato (i.e.: che non ha direttamente contratto il debito di cui si tratta).


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