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Articolo 481 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Fissazione di un termine per l'accettazione

Dispositivo dell'art. 481 Codice Civile

(1)Chiunque vi ha interesse(2) può chiedere che l'autorità giudiziaria fissi un termine [749 c.p.c.] entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all'eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde [2694 c.c.] il diritto di accettare [488, 650 c.c.].

Note

(1) Pendente il termine per accettare l'eredità, chi vi abbia interesse può chiedere al giudice la fissazione di un termine abbreviato rispetto a quello decennale, entro il quale il chiamato all'eredità deve dichiarare se intende accettare (c.d. actio interrogatoria).
L'inutile decorso del termine, viene interpretato quale rinuncia all'eredità.
(2) Legittimati a proporre l'azione sono i chiamati ulteriori, cioè coloro che potrebbero succedere se il primo chiamato non accettasse l'eredità, o, in subordine, i legatari, i creditori dell'eredità e quelli personali del primo chiamato, l'esecutore testamentario (v. art. 700 c.c.) e il curatore dell'eredità giacente (v. art. 528 del c.c.).
L'azione si può esperire contro qualsiasi chiamato, anche se incapace (v. artt. 471, 472 del c.c).

Ratio Legis

Posto che per i soggetti legittimati alla proposizione dell'actio interrogatoria il termine di prescrizione per accettare l'eredità decorre dal momento dell'apertura della successione (salvo l'eccezione di cui al terzo comma dell'art. 480 c.c.), la norma mira ad evitare che il diritto di accettare di tali soggetti si prescriva a causa dell'inerzia del primo chiamato.

Brocardi

Actio interrogatoria
Interrogatio an heres sit

Spiegazione dell'art. 481 Codice Civile

La norma prevede il diritto in capo a chiunque vi abbia interesse (legatari, ulteriori chiamati, creditori ereditari, creditori personali dell'ulteriore chiamato, beneficiari di onere testamentario, esecutore testamentario, curatore dell'eredità giacente) di agire (c.d. actio interrogatoria) al fine di far fissare dall'autorità giudiziaria un termine decorso il quale il chiamato decade dal diritto di accettare l'eredità.

La ratio della norma è quella di garantire la certezza dei traffici giuridici.

La natura del termine fissato dal giudice è quella di un termine di decadenza.

Legittimati passivi sono tutti i chiamati all'eredità compresi gli incapaci e le persone giuridiche.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

Massime relative all'art. 481 Codice Civile

Cass. civ. n. 29146/2022

L'eventuale concessione al chiamato in ordine successivo di un termine per l'accettazione dell'eredità è ininfluente ai fini della revocabilità della rinunzia poiché la concessione del termine, secondo la sua funzione tipica, determina l'abbreviazione del tempo per l'accettazione, ma non comporta ex se il sorgere del presupposto della revoca, che rimane pur sempre costituito dalla mancata accettazione del chiamato in ordine successivo. In sostanza, quando la rinunzia proviene da chi sia chiamato all'eredità congiuntamente con altri, i quali abbiano già accettato, l'inutile decorso del termine ex art. 481 c.c. al chiamato in ordine successivo anticipa l'effetto automatico dell'accrescimento, altrimenti destinato a realizzarsi solo con il compimento della prescrizione o con la rinunzia del chiamato per rappresentazione, e sempre che quest'ultimo non abbia a sua volta discendenti. L'accrescimento rimane definitivamente impedito se, prima della scadenza del termine, il rinunziante revochi la rinunzia. Identicamente, quell'effetto non si realizza se il chiamato per rappresentazione esercita il proprio diritto di accettare l'eredità nel termine accordato.

Cass. civ. n. 969/2022

In tema di accettazione dell'eredità, l'ordinanza emessa in sede di reclamo avverso l'ordinanza resa dal Tribunale, ai sensi degli artt. 481 c.c. e 749 c.p.c., con cui si sia fissato un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità stessa, non è ricorribile per cassazione, in quanto priva di decisorietà e definitività, attesa anche la sua revocabilità e modificabilità alla stregua dell'art. 742 c.p.c.

Cass. civ. n. 33479/2021

Il rimedio previsto dall'art. 524 c.c. è utilizzabile dai creditori non solo in presenza di una rinuncia formale all'eredità da parte del chiamato, ma anche nel caso in cui quest'ultimo non dichiari di accettarla in seguito all'esperimento della cd. "actio interrogatoria" ex art. 481 c.c., essendo le due ipotesi assimilabili dal punto di vista del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del chiamato.

Cass. civ. n. 15664/2020

L'azione ex art. 524 c.c. è ammissibile unicamente ove i creditori abbiano richiesto, ai sensi dell'art. 481 c.c., la fissazione di un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinuncia all'eredità quando non sia ancora maturata la prescrizione del diritto di accettare l'eredità ex art. 480 c.c. In caso contrario si finirebbe, per rimettere impropriamente in termini i creditori, anche con evidente pregiudizio dei successivi accettanti che confidano nella decorrenza di un termine prescrizionale per l'azione dei creditori inferiore a quello ordinario decennale.

Cass. civ. n. 22195/2014

In tema di successione a causa di morte, la perdita del diritto di accettare l'eredità ex art. 481 cod. civ. comporta anche la perdita della qualità di chiamato all'eredità per testamento, con la conseguenza che la devoluzione testamentaria diviene inefficace e si apre esclusivamente la successione legittima, ai sensi dell'art. 457 cod. civ., senza che si verifichi la coesistenza tra successione testamentaria e successione legittima.

Cass. civ. n. 4849/2012

In tema di successioni per causa di morte, il termine fissato dal giudice, ai sensi dell'art. 481 c.c., entro il quale il chiamato deve dichiarare la propria eventuale accettazione dell'eredità, anche con inventario, è un termine di decadenza, essendo finalizzato a far cessare lo stato di incertezza che caratterizza l'eredità fino all'accettazione del chiamato. Ne consegue che dal decorso di detto termine, in assenza della dichiarazione, discende la perdita del diritto di accettare, rimanendo preclusa ogni proroga di esso, senza che rilevi in senso contrario la possibilità di dilazione consentita dall'art. 488, secondo comma, c.c. unicamente per la redazione dell'inventario.

Cass. civ. n. 9151/1991

La regola fondamentale di cui all'art. 2935 c.c. in tema di prescrizione è applicabile, anche con riferimento alla decadenza, in relazione alla disciplina speciale dettata per la accettazione di eredità da parte di persone giuridiche in generale e degli enti morali ed ecclesiastici in particolare, per cui il termine previsto dall'art. 480 c.c. per tale accettazione non inizia a decorrere se l'ente chiamato all'eredità non è stato ancora autorizzato dall'autorità competente e conseguentemente in tale ipotesi non può essere neppure fissato dal giudice ai sensi dell'art. 481 c.c.

Cass. civ. n. 1885/1988

Nel procedimento promosso contro il chiamato all'eredità, la richiesta di fissazione di un termine, entro il quale il convenuto debba accettare o rinunciare all'eredità medesima (art. 481 c.c.), non può essere avanzata per la prima volta in grado di appello, ai sensi dell'art. 345 c.p.c.

Cass. civ. n. 3828/1985

La fissazione di un termine per l'accettazione (o la rinuncia) dell'eredità è possibile anche quando il chiamato sia incapace.

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Anonimo chiede
martedì 27/02/2024
“Deceduta mia nonna e poi mio nonno i tre figli(due figlie A e B, un figlioC) hanno proceduto a pagare la successione di entrambi ma senza dividere mai i beni .Deceduta una figliaA i suoi due figli hanno provveduto a pagare la successione senza dividere i beni con la zia B e lo zio C viventi.Deceduto il figlioC le corrispettive due figlie rinunciano in tribunale ai beni del padre (hanno ciascuna un figlio minore) .Resta in vita solo mia madre .B.
Le figlie di C rinunciatarie e non in possesso dei beni non aprono e non pagano la successione.
Come bisogna procedere affinché si arrivi alla divisione di questa eredità attualmente gestita da mia madre B e dai due nipoti figli della sorella A ?”
Consulenza legale i 06/03/2024
Prima di rispondere a quanto viene chiesto si reputa possa essere utile cercare di capire secondo quali quote i soggetti interessati alla successione dei nonni si trovano attualmente in uno stato di comunione ereditaria, dal quale intendono uscire.
Alla morte della nonna, in assenza di testamento (considerato che nel testo del quesito non se ne fa cenno), chiamati all’eredità ex lege sono il coniuge superstite ed i tre figli A, B e C, in favore dei quali l’eredità si è devoluta secondo quanto prescritto dall’art. 581 del c.c., ovvero per 1/3 in favore del coniuge e per 2/3 indivisi in favore dei figli.
Per maggiore comodità di successiva divisione, può dirsi che alla moglie spetta una quota pari a 6/18, mentre ai figli una quota pari a 4/18 ciascuno.

Alla morte del nonno i tre figli A, B e C diventano eredi anche dei 6/18 indivisi di pertinenza della madre e, pertanto, ciascuno di essi diventa comproprietario per una quota complessiva pari a 6/18 indivisi.

Il passaggio successivo è quello della morte della figlia A, a seguito della quale l’eredità della stessa (pari a 6/18) si devolve in favore dei due figli in ragione di 3/18 indivisi ciascuno.
Pertanto, a tale momento la situazione proprietaria è la seguente:
B: 6/18
C: 6/18
Figlie di A: 3/18 ciascuno.

Ulteriore evento è quello della morte del figlio C (anch’egli comproprietario per 6/18), alla cui eredità, però, le rispettive figlie rinunciano.
La rinuncia di queste ultime costituisce presupposto per l’operatività dell’istituto giuridico della rappresentazione, disciplinato dagli artt. 467 e ss.c.c., in forza del quale si realizza la delazione ereditaria in favore dei discendenti delle figlie rinunzianti, con diritto da parte di queste ultime di accettare o rinunziare all’eredità del loro ascendente (C) entro il termine ordinario di prescrizione, fissato dal primo comma dell’art. 480 del c.c. in dieci anni dall’apertura della successione.
Pertanto, finchè anche i chiamati per rappresentazione non decideranno di esercitare il loro diritto, permarrà una situazione di incertezza, la quale non consentirà di porre fine a quello stato di indivisione.

Ovviamente, coloro che hanno interesse a sciogliersi dalla comunione non saranno costretti a subire passivamente tale situazione, potendo avvalersi di un particolare strumento giuridico messo a disposizione dal nostro ordinamento proprio per tali ipotesi.
Ci si riferisce a quanto prescritto dall’art. 481 c.c., norma che consente a “chiunque vi abbia interesse” di richiedere all’autorità giudiziaria (competente è il Tribunale del luogo di apertura della successione) la fissazione di un termine entro cui il chiamato o i chiamati all’eredità devono dichiarare se accettare o rinunziare l’eredità.
Qualora i soggetti ai quali sia stato fissato il suddetto termine non rendano alcuna dichiarazione, perderanno definitivamente il diritto di accettare.

Pertanto, per giungere più rapidamente allo scioglimento della comunione ereditaria, si suggerisce di procedere nel seguente modo:
  1. far fissare alle minori, figlie delle figlie di C, un termine ex art. 481 c.c.;
  2. se entro il termine così fissato dichiareranno di accettare l’eredità, si potrà chiedere di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria ex art. 713 del c.c. c.c. comma 1.
Si tenga presente che, trattandosi di minori, occorrerà l’autorizzazione del giudice tutelare ex art. 320 del c.c. e l’accettazione potrà essere effettuata solo con beneficio di inventario, come espressamente disposto dall’art. 472 del c.c..
  1. se, invece, entro il suddetto termine non verrà resa alcuna dichiarazione, perderanno il diritto di accettare e la quota ereditaria di C andrà devoluta in favore degli ulteriori eredi legittimi dello stesso, che nel caso di specie saranno fratelli e sorelle, e precisamente la sorella B e le figlie di A, in rappresentazione di quest’ultimo.
La quota di C, pari a complessivi 6/18, sarà devoluta in ragione di 3/18 in favore di B e per gli altri 3/18 in favore delle figlie di A, indivisamente tra loro.


T. C. chiede
martedì 26/09/2023
“Un chiamato all'eredità continua a fare causa al mio assistitito, presunto debitore del de cuius, senza aver mai accettato l'eredità. Si tratta della moglie del defunto, le figlie hanno già rinunciato e la moglie non accetta perchè il marito non possedeva beni di valore ma in compenso avevva molti debiti. La signora in questione oltre ad aver proposto ricorso per decreto ingiuntivo ha chiesto la revocatoria di un atto notarile. sono passati oltre 3 anni dalla morte del marito. la mia domanda è può il mio assistito proporre actio interrogatoria nei confronti della signora?trovo solo giurisprudenza per la legittimazione dei creditori e nulla sulla legittimazione dei debitori vessati da un chiamato all'eredità che si rifiuta di accettare facendo trascrivere l'accettazione. In realtà le cause rappresentano un accettazione tacita ma non trascritta, la signora si ripara dalle aggressioni dei creditori.”
Consulenza legale i 04/10/2023
In effetti è improbabile che possa trovarsi qualche pronuncia giurisprudenziale in cui si faccia riferimento all’esercizio dell’actio interrogatoria da parte di un debitore del de cuius.
E’ pur vero che il legislatore usa all’art. 481 c.c. una espressione molto generica, attribuendo la legittimazione attiva all’esercizio di tale azione a “chiunque vi abbia interesse”, ma è anche vero che per il debitore è assolutamente indifferente adempiere la sua obbligazione nei confronti di chi si trova soltanto nella posizione di chiamato all’eredità piuttosto che nei confronti di chi abbia già provveduto ad accettare l’eredità.

In effetti, l’uso di un’espressione così ampia per l’individuazione dei legittimati attivi ha indotto sia la dottrina che la giurisprudenza a dover ammettere che deve essere il giudice a valutare caso per caso la sussistenza di un concreto interesse.
In tale ottica si è potuto affermare che la legittimazione attiva compete:
a) innanzitutto ai chiamati ulteriori, per il quali spesso costituisce l’unico mezzo di cui ci si può avvalere per evitare di incorrere nella prescrizione del diritto di accettare ex art. 480 comma 3 c.c.;
b) ai creditori personali del chiamato, i quali hanno un evidente interesse ad una accettazione pura e semplice di un’eredità in bonis, dalla quale ne deriva un incremento del patrimonio da poter aggredire;
c) ai creditori ereditari, in capo ai quali va riconosciuto l’interesse ad agire sull’eventuale patrimonio personale dell’erede in caso di eredità passiva;
d) ai legatari ed all’onorato di un modus, per vedere soddisfatto il loro interesse a ricevere la prestazione che costituisce oggetto del legato o del modus;
e) al curatore dell’eredità giacente ed all’esecutore testamentario, in quanto solo dal momento dell’accettazione da parte di almeno uno dei chiamati all’eredità potranno liberarsi dai doveri inerenti il loro ufficio.

Come può notarsi, si tratta di soggetti che hanno tutti un interesse da tutelare, interesse che, per la ragione sopra esposta, non può riconoscersi in capo a colui che si trova nella posizione di mero debitore del de cuius, il quale, qualora dovessero sussisterne i relativi presupposti (es. prescrizione o insussistenza del credito fatto valere), potrebbe al più opporsi a quella richiesta di adempimento avvalendosi degli ordinari strumenti processuali a sua disposizione (non utilizzabili, come si ritiene ovvio, per contestare la semplice qualità di chiamato, anziché di erede, di colui che agisce).

Per quanto concerne, invece, la posizione del chiamato all’eredità che agisce in giudizio per il recupero di quel credito, risulta pacifica in giurisprudenza la tesi secondo cui il compimento di tale atto non può farsi rientrare tra quei poteri che l’art. 460 c.c. riconosce in capo a colui che si trova in detta posizione, ed in particolare nel più generale potere di porre in essere atti conservativi e di amministrazione temporanea dell’eredità, per i quali non è neppure prevista una preventiva autorizzazione giudiziaria.

Si fa generalmente rientrare nell’esercizio di tali poteri:
- la richiesta di emissione di provvedimenti cautelari (sequestri conservativi contro debitori dell'eredità; sequestri giudiziari di beni ereditari);
- il compimento di atti interruttivi della prescrizione o dell'usucapione;
- la trascrizione di atti di acquisto del defunto, l’iscrizione di ipoteche a lui concesse o la rinnovazione dell’iscrizione;
- il compimento di atti di vigilanza, i quali sono prevalentemente diretti ad accertare la consistenza del patrimonio ereditario (tra di essi rientra, in particolare, il compimento dell’inventario, che, per il chiamato possessore, è un vero e proprio onere, comportando, il suo mancato assolvimento, l'acquisto dell'eredità puramente e semplicemente);
- l’esercizio di azioni possessorie a tutela dei beni ereditari senza necessità di materiale apprensione degli stessi, onde impedire che, nel periodo tra la delazione e l'accettazione, l'eredità non sia lasciata indifesa contro gli spogli e le turbative (può anche proseguire, per la medesima ragione, il giudizio possessorio iniziato dal suo dante causa defunto, cfr. Cass. n. 4991/2002).

Non rientra, invece, tra i poteri del chiamato e comporta, pertanto, accettazione tacita ex art. 474 c.c. l’agire in giudizio del figlio del defunto nei confronti del debitore del de cuius stesso per il pagamento di quanto al medesimo dovuto (cfr. Cass. civ. Sez. III sentenza n. 16002 del 13.06.2008), la riassunzione del processo da parte del figlio del de cuius (cfr. Cass. n. 8529/2013, Cass. n. 14081/2005) nonché la proposizione di azioni di rivendica o di azioni dirette alla difesa della proprietà, in quanto trattasi di azioni che per loro natura travalicano il mero mantenimento dello stato di fatto esistente all’atto dell’apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni già compresi nell’asse ex art. 460 c.c. (cfr. Cass. n. 13738/2005, Cass. n. 4843/2019, Cass. 10060/2018).

In generale, dunque, può dirsi che determina accettazione tacita dell’eredità la proposizione di una domanda giudiziale che presupponga la qualità ereditaria e che di per sé manifesti la volontà di accettare (cfr. Cass. n. 21507/2019), tale dovendosi ritenere, con specifico riferimento al caso di specie, l’azione volta alla revoca di un atto notarile.

Pertanto, tenuto conto di quanto fin qui osservato, può concludersi dicendo che il debitore del de cuius, a cui si stato intimato il pagamento di quanto dovuto, non può farsi rientrare tra coloro che possono avere interesse ad esperire l’actio interrogatoria, la quale, peraltro, nel caso di specie non sarebbe neppure necessaria, considerato che gli atti finora posti in essere dalla figlia del defunto devono farsi rientrare, almeno secondo la tesi prevalente in giurisprudenza, tra quegli atti comportanti accettazione tacita di eredità (ciò che, tuttavia, non può assumere alcun rilievo per esonerare il debitore dal pagamento).