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Articolo 112 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato

Dispositivo dell'art. 112 Codice di procedura civile

Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda (1)e non oltre i limiti (2) di essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti (3).

Note

(1) Il vizio di omessa pronuncia si verifica nell'ipotesi in cui manchi completamente il provvedimento del giudice che risolva la questione portata alla sua attenzione. Quindi tale vizio si configura in tutte quelle ipotesi in cui manchi una decisione in ordine alla domanda delle parti che rendeva necessaria l'emissione di una pronuncia di accoglimento o di rigetto.
(2) I limiti soggettivi ed oggettivi della domanda sono fissati dalle parti in virtù del principio dispositivo. Infatti, in base a tale principio, viene sottratta al giudice la facoltà di determinare il thema decidendum, per cui una sua decisione che superi quanto richiesto risulta viziata da ultra petizione, mentre una decisione caratterizzata da un sostanziale mutamento del petitum o della causa petendi, risulta viziata da extra petizione. In tali casi, la decisione sarà affetta da nullità, convertibile in motivo di gravame ex art. 161, non rilevabile, quindi, d'ufficio dal giudice d'appello e sanabile, pertanto, col solo passaggio in giudicato del provvedimento.
(3) Nell'ambito del potere del giudice di rilevare ex officio le eccezioni, è opportuno distinguere le eccezioni in senso proprio ed improprio. Infatti, solo le seconde, consistenti in mere negazioni dei fatti costitutivi del diritto controverso, sono rilevabili d'ufficio, in quanto allegazioni di fatti sottratte alla disponibilità della parte ed in grado di contestare autonomamente il fondamento della domanda.

Ratio Legis

La norma in commento impone al giudice sia individuare il contenuto e la portata delle domande o delle eccezioni proposte e sollevate dalle parti sia di pronunciarsi entro determinati margini, fissati dalle parti o dalla legge, per le materie sottratte alla loro disponibilità. Invero, il principio al quale si riferisce la norma si può sostanziare nel brocardo latino «da mihi factum dabo tibi jus», per cui spetta al solo giudice la valutazione esatta del significato giuridico delle espressioni usate, sempre che questa operazione ermeneutica non stravolga la volontà processuale delle parti.

Brocardi

Extra petita
Iuxta petita
Ne eat iudex ultra petita partium
Nec ultra nec extra petita
Petitum
Potestas decidendi
Sententia debet esse conformis libello
Tantum devolutum quantum deductum
Thema decidendum

Spiegazione dell'art. 112 Codice di procedura civile

Questa norma sancisce il c.d. principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il quale costituisce, in relazione al giudice, il logico completamento del principio della domanda stabilito, con riferimento alle parti, dall'art. 99 del c.p.c..

Tale principio comporta che il giudice:
a) deve decidere su tutta la domanda;
b) non può pronunciare oltre i limiti della domanda formulata;
c) non può pronunciare su eccezioni la cui rilevabilità è rimessa all'iniziativa delle parti.

È evidente la grande importanza di tale principio, tanto che lo stesso si considera applicabile non solo al processo ordinario di cognizione, ma anche a tutti gli altri processi o procedimenti regolati dal codice di rito.

La prima espressione del principio si fa consistere nel dovere da parte del giudice di decidere su tutta la domanda, dovere che trova il proprio limite nella domanda per come è stata formulata dalla parte (sia dall'attore che dal convenuto in via riconvenzionale).
Il primo obbligo fondamentale per il giudice è quello di "decidere" la controversia, tant’è che se il medesimo non assolva a tale decisorio viene ad integrarsi una c.d. omissione di pronuncia.
Il caso più evidente di omissione di pronuncia si realizza quando il giudice omette di decidere in senso assoluto, non redigendo e non depositando la sentenza (o, comunque, il provvedimento decisorio); si tratta di un vizio talmente grave da trascendere l'aspetto strettamente processuale e da non essere incluso nella ratio e nella lettera della norma in esame.
In tal caso, infatti, non vi sono neppure rimedi endoprocessuali, ma è necessario fare ricorso alla normativa in tema di ordinamento giudiziario, con la eventuale sostituzione del magistrato (ferma restando, ovviamente, la responsabilità civile, penale e disciplinare di quest'ultimo).

Rientra nel campo di applicazione di questa norma, invece, quando si parla di "omissione di pronuncia”, il caso in cui, nel corpo di un provvedimento giurisdizionale, il giudice ometta di decidere su alcune delle domande, delle eccezioni o delle questioni dedotte (sarebbe più corretto, quindi, parlare di una omissione di pronuncia parziale).
In generale, può dirsi che l'omissione di pronuncia presuppone un thema decidendum complesso, composto da una pluralità di domande o di eccezioni, di cui, tuttavia, solo alcune sono state oggetto di decisione; lo stesso caso si può verificare quando, pur essendovi una sola domanda, la pronuncia riguardi solo una sua parte, ovvero una sola parte del diritto azionato.

L'omissione di pronuncia, nei termini sopra precisati, determina la nullità della sentenza in base al principio contenuto al primo comma dell'art. 161 del c.p.c., legittimando la parte interessata a far valere tale vizio come motivo di impugnazione, anche dinanzi alla Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 4 c.p.c.; la medesima omissione non può inficiare la validità della sentenza se la domanda non esaminata era inammissibile.

Come è stato prima precisato, il dovere decisorio del giudice trae la propria origine ed il proprio fondamento dalla "domanda" proposta dall'attore ed eventualmente, anche dal convenuto, in via riconvenzionale, e dal terzo; ciò risulta conforme non solo ad altre disposizioni dello stesso codice di rito (quale l'art. 99 del c.p.c.) e del codice civile (art. 2907 del c.c.), ma anche alla tradizione processual civilistica italiana, regolata dal principio per cui la scelta se ricorrere o meno all'autorità giudiziaria per la tutela di un diritto è rimessa alla discrezionale volontà del titolare del diritto medesimo (o, meglio, di colui che in giudizio se ne afferma titolare).
Ciò, se può apparire abbastanza chiaro in astratto, risulta alquanto complesso in concreto, non essendo semplice capire ed individuare quale sia la domanda su cui deve decidere il giudice.

Senza dubbio, comunque, è corretto ritenere che ai fini del dovere in esame si deve fare riferimento alla versione definitiva delle domande formulate dalle parti, in considerazione, quindi, dei mutamenti, delle precisazioni e degli allargamenti del thema decidendum, operati nel rispetto delle preclusioni previste dalle norme processuali.
Compete al giudice, ovviamente, interpretare la domanda proposta o le domande proposte, individuando, mediante l'analisi delle allegazioni e delle affermazioni della parte gli elementi costituitivi della domanda (ossia le persone, il petitum e la causa petendi).
La valutazione da parte del giudice circa l'effettivo contenuto della domanda, è dunque discrezionale e libera, soprattutto con riferimento agli elementi oggettivi; tuttavia, la sua interpretazione non può spingersi a tal punto da configurare una domanda radicalmente difforme, nel petitum o nella causa petendi, da quanto espressamente allegato e dedotto dalle parti.

I problemi maggiori in tema di interpretazione della domanda si hanno in relazione alla possibilità per il giudice di prendere in considerazione e decidere su domande non espressamente proposte dalle parti, ma in un certo senso presupposte dalle domande proposte: si parla, a tal proposito, di domande implicite (a titolo esemplificativo, è stata ritenuta domanda implicita, rispetto a quella espressamente proposta, anche l'istanza di condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali, sulla quale il giudice, nell'accogliere la domanda principale, può pronunziare d'ufficio).
La giurisprudenza tende ad ammettere la possibilità che il giudice possa pronunciarsi su tali domande.

Il secondo precetto ricavabile dal principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato consiste nel divieto, per il giudice, di pronunciarsi oltre i limiti della domanda proposta; qualora tale divieto venga violato si incorre nel vizio di ultrapetizione (se il giudice integri o ampli gli effetti giuridici della domanda rispetto a quanto richiesto dalle parti), o di extrapetizione (se il giudice sostituisca altri effetti rispetto a quelli connessi alla domanda proposta).
Entrambi i predetti vizi determinano la nullità della sentenza, convertendosi in motivi di impugnazione (ex art. 360, n. 4, nel caso di ricorso per cassazione), la cui formulazione è lasciata all'iniziativa della parte interessata; la mancanza di impugnazione sul punto determinerà il passaggio in giudicato (interno) della decisione.

La terza manifestazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (espressamente delineata dalla norma in esame) consiste nel divieto per il giudice di pronunciarsi, senza esserne richiesto, su eccezioni rilevabili solo per iniziativa di parte.
Si tratta delle c.d. eccezioni in senso proprio, le quali si differenziano da quelle denominate eccezioni in senso lato, rilevabili anche d'ufficio dal giudice.
Così come detto per le domande, spetta al giudice interpretare l'eccezione proposta, valutando, eventualmente, la presenza di eccezioni implicite. Se è vero, infatti, che l'eccezione non postula un ampliamento o, comunque, un mutamento della pretesa, è altrettanto vero che tale attività difensiva allarga comunque il thema decidendum, attraverso l'allegazione e l'introduzione in giudizio di ulteriori fatti (modificativi, impeditivi e estintivi), ontologicamente diversi da quelli costitutivi allegati dall'attore.

La norma in esame, inoltre, presuppone la distinzione tra eccezioni in senso lato (rilevabili anche ex officio da parte del giudice) ed eccezioni in senso stretto (rilevabili unicamente ad opera di parte), considerato che solo a queste ultime si applica il divieto di cui all'art. 112 c.p.c.
Sono considerate eccezioni in senso stretto soltanto quelle espressamente definite come tali dalla legge e che corrispondono all'esercizio di un diritto potestativo; qualora si versi in situazioni poste al di fuori di tale nozione, i fatti ritualmente accertati ed acquisiti alla causa possono essere utilizzati dal giudice anche se non vi è una formale istanza o difesa di parte che li assuma a proprio fondamento.

Occorre precisare che anche per le eccezioni rilevabili ex officio, il potere decisorio del giudice non è del tutto privo di vincoli; infatti, egli deve fare esclusivo riferimento alle allegazioni operate dalle parti e, quand'anche un'eccezione possa essere rilevata d'ufficio, il giudice potrà pronunciarsi sulla stessa se e solo se i fatti (estintivi, modificativi e impeditivi) ad essa sottesi siano stati allegati dalle parti o, comunque, tempestivamente entro i termini previsti dal sesto comma dell'art. 183 del c.p.c..

Massime relative all'art. 112 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 651/2022

L'omessa statuizione sulle spese di lite, integra una lesione del diritto costituzionale, di cui agli artt. 24 e 111 Cost., ad una tutela giurisdizionale effettiva e tendenzialmente completa che contenga una statuizione sulle spese di lite conseguente al "decisum". Infatti, gli artt. 91 -98 c.p.c., stabilendo un obbligo officioso del giudice di provvedere sulle spese del procedimento, hanno natura inderogabile e, in correlazione con l'art. 112 c.p.c., esprimono il principio, che costituisce un cardine della tutela processuale civile, della corrispondenza, necessaria e doverosamente completa, tra le domande delle parti e le statuizioni giudiziali.(Nella specie la S.C. ha ritenuto sussistente il vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata che, nell'accogliere integralmente la domanda di annullamento del decreto di espulsione, aveva omesso ogni statuizione sulle spese di lite). (Cassa con rinvio, GIUDICE DI PACE CHIETI, 15/07/2020).

Cass. civ. n. 48/2022

In tema di assorbimento cd. improprio, nel caso di rigetto di una domanda in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo che rende vano esaminare le altre, sul soccombente non grava l'onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, ma è sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa. (In applicazione del principio, la S.C. ha precisato che, a fronte di una decisione di primo grado che, decidendo sulla revocatoria di rimesse in conto corrente, ha rigettato la domanda per difetto di scientia decoctionis, senza nulla dire sulla revocabilità delle rimesse, l'appellante correttamente può limitarsi a sostenere, nel giudizio di impugnazione, che la banca fosse consapevole della situazione di decozione del correntista). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 12/03/2014).

Cass. civ. n. 40896/2021

In tema di contratto di collaborazione autonoma, la nullità per difetto di forma scritta non può essere dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità, in seno alla memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., ma occorre la tempestiva proposizione della questione nel giudizio di merito, a nulla rilevando che essa sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del processo, atteso che il corrispondente potere del giudice incontra, da un lato, il limite della necessità di un accertamento di fatto e, dall'altro, dev'essere coordinato con il principio della domanda, fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c.. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO SALERNO, 07/07/2015).

Cass. civ. n. 39376/2021

Gli interessi "compensativi" (o risarcitori) sono dovuti dal debitore in caso di credito al risarcimento del danno extracontrattuale sulle somme liquidate a tale titolo, con decorrenza dalla maturazione del diritto - e cioè dal momento del fatto illecito - e fino al passaggio in giudicato della sentenza che decide sulla loro liquidazione, in funzione compensativa del pregiudizio subito dal creditore per il tardivo conseguimento della somma corrispondente all'equivalente pecuniario dei danni subiti, dei quali, quindi, costituiscono, al pari della rivalutazione monetaria, una componente, sicchè possono essere riconosciuti anche d'ufficio, senza che occorra alcuna specifica richiesta della parte interessata, comprendendo la domanda della parte creditrice relativa al capitale anche quella per gli interessi. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 16/06/2016).

Cass. civ. n. 36659/2021

In tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi - contrariamente a quanto avviene nell'ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno, di cui integrano una componente necessaria - hanno fondamento autonomo rispetto al debito cui accedono e, pertanto, corrispettivi, compensativi o moratori che siano, possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., soltanto su espressa domanda della parte. Ove questa non specifichi, tuttavia, la natura degli accessori richiesti, si presumono domandati gli interessi corrispettivi - dovuti indipendentemente dalla mora e dall'inadempimento, essendo fondati su presupposti diversi da quelli che giustificano l'attribuzione degli interessi di mora - con conseguente tardività della domanda di attribuzione degli interessi moratori formulata solo in appello. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CAGLIARI, 27/03/2020).

Cass. civ. n. 36353/2021

Il rilievo d'ufficio di una nullità sostanziale è ammissibile esclusivamente se basato su fatti ritualmente introdotti, o comunque acquisiti in causa, secondo le regole che disciplinano, anche dal punto di vista temporale, il loro ingresso nel processo, non potendosi fondare su fatti di cui il giudice (o la parte, tardivamente rispetto ai propri oneri) possa ipotizzare solo in astratto la verificazione e la cui introduzione presupponga l'esercizio di un potere di allegazione ormai precluso in rito.(Nella specie, la S.C. ha escluso che, in tema di pubblico impiego privatizzato, potesse essere rilevata d'ufficio la nullità del licenziamento disciplinare, intimato da organo incompetente ex art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, tardivamente eccepita, non risultando acquisite le circostanze di fatto relative all'organizzazione interna dell'ente ed alle modalità con cui era stato adempiuto l'obbligo di previa individuazione dell'UPD). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 18/07/2019).

Cass. civ. n. 30303/2021

L'eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l'inerzia del titolare, senza che rilevi l'erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO LECCE, 10/01/2014).

Cass. civ. n. 27169/2021

La domanda di accertamento della responsabilità del convenuto nella determinazione di un sinistro stradale comporta, "ex se", che il giudice possa applicare la previsione dell'art. 2054, comma 2, c.c., sempre che la parte, pur non avendo specificamente dedotto il titolo concorsuale di responsabilità, abbia ritualmente prospettato gli elementi di fatto da cui esso possa desumersi, e ciò in ragione del fatto che l'accertamento del concorso paritario costituisce un possibile esito (di accoglimento parziale) dell'originaria domanda. Qualora il giudice di primo grado non abbia rilevato d'ufficio il concorso di colpa, sul punto, senza che la domanda possa essere considerata nuova, la parte ha l'onere di proporre appello, in quanto la rilevabilità d'ufficio non comporta che essa possa farsi valere in ogni stato e grado del processo.

Cass. civ. n. 26118/2021

L'eccezione di intervenuta transazione non forma oggetto di un'eccezione in senso stretto sottratta al rilievo officioso, come quelle per le quali la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi, e pertanto essa può essere rilevata dal giudice d'ufficio, anche in appello, non essendo il relativo rilievo subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte, purché i fatti risultino documentati "ex actis". (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che fosse ammissibile in appello l'eccezione di transazione intervenuta nel corso del giudizio, indipendentemente dalla sua natura novativa o non novativa). (Cassa e decide nel merito, CORTE D'APPELLO MILANO, 03/10/2018).

Cass. civ. n. 20363/2021

L'omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, alla proposizione di una tale domanda, non consegue l'obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito. (Fattispecie in tema di accertamento sintetico del reddito in cui il contribuente lamentava, in sede di legittimità, l'omesso esame da parte della CTR del reale prezzo di acquisto del credito fondiario in contestazione senza aver precisato nel ricorso per cassazione come lo avesse provato, donde la rilevata aspecificità della critica). (Rigetta, COMM.TRIB.REG. ROMA, 18/12/2013).

Cass. civ. n. 17463/2021

L'eccezione di risoluzione del contratto per avveramento della condizione risolutiva, corrispondendo all'esercizio di un diritto potestativo, è un'eccezione in senso stretto, che il giudice non può rilevare d'ufficio, né la parte sollevare per la prima volta in appello. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 21/05/2019).

Cass. civ. n. 16608/2021

Il dovere imposto al giudice di non pronunciare oltre i limiti della domanda, né di pronunciare d'ufficio su eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti, non comporta l'obbligo di attenersi all'interpretazione prospettata dalle parti in ordine ai fatti, agli atti ed ai negozi giuridici posti a base delle loro domande ed eccezioni, essendo la valutazione degli elementi documentali e processuali, necessaria per la decisione, pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni, ancorché concordi, espresse in proposito dai contendenti. Al riguardo non è configurabile un vizio di ultrapetizione, ravvisabile unicamente nel caso in cui il giudice attribuisca alla parte un bene non richiesto, o maggiore di quello richiesto. (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 18/10/2019).

Cass. civ. n. 14410/2021

Nel caso in cui giudice di primo grado, dopo aver preso la causa in decisione, l'abbia rimessa sul ruolo al fine di esercitare il potere di cui all'art. 213 c.p.c. per acquisire d'ufficio atti o documenti che la parte era in condizione di produrre in giudizio, e successivamente, all'esito di ulteriore rimessione in istruttoria, abbia disposto una consulenza tecnica d'ufficio, il giudice d'appello, ove la questione risulti ritualmente sollevata con l'atto d'impugnazione, sul rilievo della inutilizzabilità della documentazione illegittimamente acquisita d'ufficio in prime cure, nonché della nullità derivata della disposta C.T.U., deve riportare il processo allo stato in cui si trovava al momento della prima rimessione sul ruolo, decidendo nel merito allo stato degli atti, o rimetterlo, a sua volta, in istruttoria, esercitando i poteri di cui all'art. 356 c.p.c., eventualmente disponendo nuova consulenza tecnica. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 11/01/2018).

Cass. civ. n. 12159/2021

Nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., il prescindere dalla specifica quantificazione formulata dalla parte in ordine a ciascuna delle voci di danno oggetto della domanda, salvo che tali indicazioni non siano da ritenere - in base ad apprezzamento di fatto concernente l'interpretazione della domanda e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione - meramente indicative. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva ritenuto, all'esito delle risultanze peritali, come mera "emendatio" l'ampliamento dell'originaria domanda attrice, così trascurando di considerare la limitazione posta dalla stessa danneggiata alla propria domanda risarcitoria manifestata attraverso la quantificazione analitica di ogni singola voce di danno e il relativo ammontare espresso in una somma complessiva certa e determinata, tale da escludere un'ulteriore richiesta di liquidazione del danno secondo giustizia ed equità). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO PALERMO, 20/02/2018).

Cass. civ. n. 5832/2021

In materia di procedimento civile, l'applicazione del principio "iura novit curia", di cui all'art. 113, comma 1, c.p.c., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. Tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extra-petizione, di cui all'art. 112 c.p.c., in applicazione del quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che, rispetto all'originaria di domanda di applicazione della comunione tacita familiare di cui all'art. 2140 c.c. abrogato, costituisce inammissibile "mutatio libelli" e non già mera riqualificazione giuridica la pretesa volta a conseguire, in rapporto alla quantità e qualità del lavoro prestato, i diritti nascenti dall'impresa familiare ex art. 230-bis c.c. ancora dovuti al momento della cessazione del rapporto di collaborazione). (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO VENEZIA, 29/08/2017).

Cass. civ. n. 5257/2021

Se il giudice d'appello ometta di pronunciarsi sull'eccezione di tardività del gravame, la parte che intenda evitare sul punto la formazione del giudicato ha l'onere di impugnare per cassazione la sentenza d'appello invocando il vizio di omessa pronuncia, mentre non può limitarsi a riproporre puramente e semplicemente in sede di legittimità la questione della tardività dell'appello. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 06/09/2019).

Cass. civ. n. 4487/2021

Quando la causa viene trattenuta in decisione senza che il giudice istruttore si sia pronunciato espressamente sulle istanze istruttorie avanzate dalle parti, il solo fatto che la parte non abbia, nel precisare le conclusioni, reiterato le dette istanze istruttorie, non consente al decidente di ritenerle abbandonate, ove la volontà in tal senso non risulti in modo inequivoco. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, in assenza di un provvedimento di rigetto sulle istanze istruttorie conseguenti alla querela di falso proposta in corso di causa, aveva ravvisato nel generico rinvio della parte alle "conclusioni di cui agli atti" una tacita rinuncia alle stesse). (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO BOLOGNA, 07/03/2017).

Cass. civ. n. 2830/2021

Nel caso in cui, pur in mancanza di espresso esame del motivo di impugnazione relativo alle spese di primo grado, l'appello sia stato interamente rigettato nel merito con condanna dell'appellante al pagamento integrale delle spese di lite anche del secondo grado, non ricorre l'ipotesi dell'omesso esame di un motivo di appello, né quella del difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (cd. "minuspetizione"), atteso che la condanna alle spese del secondo grado implica necessariamente il giudizio sulla correttezza di quella pronunciata dal primo giudice, sicché il motivo di gravame relativo a tale condanna deve intendersi implicitamente respinto e assorbito dalla generale pronuncia di integrale rigetto dell'impugnazione e piena conferma della sentenza di primo grado. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO FIRENZE, 08/11/2017).

Cass. civ. n. 1616/2021

Il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., riguarda soltanto l'ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione. (La S.C., nell'enunciare il detto principio, ha escluso che ricorresse la violazione dell'art. 112 c.p.c. in un caso in cui il ricorrente si era lamentato che il giudice del merito, chiamato a decidere sull'osservanza dei termini previsti per l'azione di garanzia per i vizi, non aveva "fatto buon uso dei suoi poteri di indagine sui beni oggetto della compravendita"). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 21/10/2015).

Cass. civ. n. 459/2021

In tema di giudizio di cassazione, integra violazione dell'art. 112 c.p.c. l'omessa pronuncia sul fatto avente effetto impeditivo, modificativo o estintivo, allegato dal convenuto in funzione di eccezione ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c., mentre è suscettibile di determinare vizio di motivazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. la pretermissione da parte del giudice del fatto secondario, allegato in funzione di contestazione dell'esistenza storica del fatto principale dedotto dall'attore. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO L'AQUILA, 11/09/2018).

Cass. civ. n. 29920/2020

L'eccezione di estinzione del credito per rinunzia al diritto e, in particolare, per remissione del debito rientra nel novero di quelle che possono essere proposte soltanto dalle parti non potendo il giudice rilevarle d'ufficio. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE TRANI, 30/04/2015).

Cass. civ. n. 27704/2020

In tema di esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, il giudice di legittimità può ritenere fondata la questione sollevata nel ricorso per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte ed individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito e senza confliggere con il principio di monopolio della parte nell'esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la S.C. possa rilevare l'efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l'integrazione di un'eccezione in in senso stretto. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO CATANIA, 01/12/2016).

Cass. civ. n. 10069/2020

La domanda di demolizione di una costruzione per la generica violazione delle norme in tema di distanze legali non esclude che il giudice, investito della decisione, possa pronunciarsi sulla legittimità dell'opera avuto riguardo alle previste distanze non solo fra costruzioni, ma anche dal confine, nonché a quelle stabilite della normativa cosiddetta antisismica di cui alla legge 25 novembre 1962, n. 1684, senza per questo incorrere in violazione dell'art. 112 c.p.c. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 19/02/2016).

Cass. civ. n. 9692/2020

Nell'azione risarcitoria esperita nei confronti del proprietario di un'unità condominiale (nella specie, per danni conseguenti a perdite idriche provenienti da tubazioni), la successiva deduzione della qualità di condomino del convenuto costituisce una modificazione della domanda ammissibile ai sensi e nei limiti dell'art. 183, comma 6, c.p.c. e non incorre nel divieto di formulazione di nuove domande, in quanto l'elemento identificativo soggettivo delle "personae" è immutato e la domanda modificata, relativa alla stessa vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l'atto introduttivo, non modifica le potenzialità difensive della controparte ed è connessa a quella originaria in termini di "alternatività". (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO ROMA, 30/12/2016).

Cass. civ. n. 8819/2020

Nei procedimenti in materia di protezione internazionale, i presupposti necessari al riconoscimento della protezione umanitaria devono essere individuati autonomamente rispetto a quelli previsti per le due protezioni maggiori, non essendo tra loro sovrapponibili, ma i fatti storici posti a fondamento della positiva valutazione della condizione di vulnerabilità ben possono essere gli stessi già allegati per ottenere il riconoscimento dello "status" di rifugiato o la concessione della protezione sussidiaria, spettando poi al giudice qualificare detti fatti ai fini della riconduzione all'una o all'altra forma di protezione. (Cassa con rinvio, TRIBUNALE BOLOGNA, 16/08/2019).

Cass. civ. n. 4175/2020

La nullità della fideiussione posta a fondamento dell'azione revocatoria è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità, ma non può essere accertata sulla base di una "nuda" eccezione, sollevata per la prima volta con il ricorso per cassazione, basata su contestazioni in fatto in precedenza mai effettuate, a fronte della quale l'intimato sarebbe costretto a subire il "vulnus" delle maturate preclusioni processuali. (Nella specie, un istituto di credito ha esercitato l'azione revocatoria nei confronti di alcuni fideiussori e questi ultimi hanno eccepito, solo davanti alla S.C., la nullità della garanzia da loro prestata perché conforme ad uno schema contrattuale elaborato dall'ABI, in tema di clausole da apporre alle fideiussioni, dichiarato illegittimo dall'Autorità competente in quanto conseguente ad un'intesa fra imprese restrittiva della concorrenza). (Rigetta, CORTE D'APPELLO BRESCIA, 26/01/2018).

Cass. civ. n. 3968/2020

Il mancato regolamento delle spese di un procedimento contenzioso da parte del giudice - che, ai sensi dell'art. 91 c.p.c., avrebbe dovuto provvedervi in sentenza o in altro provvedimento decisorio emesso a definizione del procedimento - integra un vizio di omessa pronunzia riparabile solo con l'impugnazione, se il giudice non ha statuito sulle spese nemmeno in parte motiva. (Cassa con rinvio, COMM.TRIB.REG. ROMA, 13/03/2018).

Cass. civ. n. 3893/2020

Sebbene sia consentito al giudice d'appello qualificare il contratto oggetto del giudizio in modo diverso rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado, tale attività gli è vietata se, per pervenire alla nuova qualificazione, debba prendere in esame fatti nuovi e non dedotti dalle parti, né rilevati dal giudice di primo grado. Pertanto, una volta che un contratto di garanzia sia stato qualificato come fideiussione tipica dal giudice di primo grado, è viziata da ultrapetizione la sentenza con la quale il giudice d'appello lo qualifichi come contratto autonomo di garanzia, facendo leva sul contenuto di alcune clausole contrattuali non considerate dal giudice di prime cure. (Cassa con rinvio, CORTE D'APPELLO NAPOLI, 24/07/2017).

Cass. civ. n. 2334/2020

In tema di provvedimenti del giudice, l'assorbimento in senso improprio - configurabile quando la decisione di una questione esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre - impedisce di ritenere sussistente il vizio di omessa pronuncia, il quale è ravvisabile solo quando una questione non sia stata, espressamente o implicitamente, ritenuta assorbita da altre statuizioni della sentenza. (Nella specie la S.C. ha escluso il vizio di omessa pronuncia nella sentenza del giudice di appello che confermando la statuizione di primo grado di inammissibilità dell'atto di intervento, ha ritenuto assorbite le questioni sulla legittimazione passiva e sulla integrità del contraddittorio sollevate dallo stesso interveniente appellante). (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANIA, 06/08/2018).

Cass. civ. n. 2153/2020

Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la motivazione accolga una tesi incompatibile con quella prospettata, implicandone il rigetto, dovendosi considerare adeguata la motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l'analitica confutazione delle tesi non accolte o la particolare disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto adeguata la motivazione di una sentenza della CTR, che, a fronte della specifica eccezione relativa all'applicazione della presunzione di cui all'art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 e dell'art. 51 d.P.R. n. 633 del 1972 a tutti i movimenti bancari, si era limitata a richiamare l'orientamento della corte di cassazione secondo cui la presunzione legale di cui alle predette norme poteva essere vinta solo con una giustificazione analitica sui singoli movimenti, non con argomenti generici). (Rigetta, COMM.TRIB.REG. GENOVA, 23/07/2015).

Cass. civ. n. 34024/2019

L'azione intesa a far dichiarare la simulazione relativa è diversa da quella diretta a ottenere la declaratoria di simulazione assoluta, sia con riferimento al "petitum" che alla "causa petendi", comportando le due domande l'accertamento di fatti differenti e tendendo, soprattutto, al conseguimento di effetti diversi, secondo la differenziazione generale prevista nei primi due commi dell'art. 1414 c.c.; ne consegue che si configura la violazione dell'art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, qualora il giudice di merito abbia rilevato e ritenuto d'ufficio che fosse stata proposta una domanda di simulazione assoluta anziché relativa.

Cass. civ. n. 33926/2019

La nullità, quale forma più grave di invalidità, comprende, nell'ambito del "petitum", anche le ragioni dell'annullamento. Ne consegue che, nel caso in cui la domanda o l'eccezione di nullità dell'atto si fondi sui medesimi fatti che, più correttamente, dovrebbero condurre al suo annullamento, il giudice può dichiarare l'annullamento dell'atto, anziché la sua radicale nullità, senza per questo incorrere nel vizio di ultrapetizione. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso proposto sul presupposto che il giudice di merito fosse incorso in vizio di ultrapetizione, avendo dichiarato la nullità degli atti impositivi per incompetenza territoriale, benché tale vizio desse luogo alla loro mera annullabilità, non eccepita dal contribuente).

Cass. civ. n. 26764/2019

Nel caso in cui il giudice del merito abbia ritenuto, senza ulteriori precisazioni, che le circostanze dedotte per sorreggere una certa domanda (o eccezione) siano generiche ed inidonee a dimostrare l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto stesso (o dell'eccezione), non può ritenersi sussistente né la violazione dell'art. 132 n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione o motivazione apparente, né la violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia, mentre, qualora si assuma che una tale pronuncia comporti la mancata valorizzazione di fatti che si ritengano essere stati affermati dalla parte con modalità sufficientemente specifiche, può ammettersi censura, da articolare nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., qualora uno o più dei predetti fatti integrino direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione dell'accaduto idonea ad integrare gli estremi della fattispecie rivendicata.

Cass. civ. n. 25690/2019

Nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., il prescindere, travalicandole, dalle specifiche indicazioni quantitative della parte in ordine a ciascuna delle voci di danno elencate in domanda, salvo che tali indicazioni non siano da ritenere - in base ad apprezzamento di fatto concernente l'interpretazione della domanda e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione - meramente indicative (come sarebbe lecito concludere allorché la parte, pur dopo l'indicazione, chieda comunque che il danno sia liquidato secondo giustizia ed equità). (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che, nel risarcire il danno biologico occorso alla lavoratrice in conseguenza della ritardata reintegra nel posto di lavoro, lo aveva liquidato nella misura richiesta nell'appello incidentale, in mancanza della richiesta di liquidazione di somme anche maggiori eventualmente risultanti da un diverso accertamento).

Cass. civ. n. 17897/2019

Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione ("petitum" e "causa petendi"), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate.

Cass. civ. n. 7868/2019

La circostanza che l'attore abbia erroneamente qualificato il tipo di pregiudizio non patrimoniale di cui chiede il risarcimento non è ostativa all'accoglimento della domanda, se di quel pregiudizio, intrinsecamente connesso alla situazione data, abbia comunque allegato e provato gli elementi costitutivi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di merito che, in un caso di risoluzione del contratto preliminare, ha risarcito il pregiudizio derivante dal mancato godimento dell'immobile anticipatamente consegnato ai promissari acquirenti, benché la parte avesse lamentato un danno da mancato adempimento).

Cass. civ. n. 6985/2019

Il giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa, a differenza di quanto avviene qualora dichiari l'inammissibilità della domanda o il suo difetto di giurisdizione, o competenza, non si priva della "potestas iudicandi"in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché, ove si pronunci anche su di esse,le relative decisioni non configurano "obiter dicta", ma ulteriori "rationes decidendi", che la parte ha l'interesse e l'onere d'impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il "decisum".

Cass. civ. n. 5402/2019

Nell'interpretazione della domanda giudiziale il giudice del merito incontra un duplice ordine di limiti, consistente nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato e nel divieto di sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella espressamente e formalmente proposta. Egli, pertanto, deve tenere conto dei limiti oggettivi della domanda, quali risultano non soltanto dal contenuto dell'atto introduttivo del giudizio, ma anche dalle conclusioni definitive precisate dopo la chiusura dell'istruzione, poste in relazione con la citazione e con le eventuali modifiche e trasformazioni delle conclusioni originarie, mentre non può desumere il concreto contenuto della domanda giudiziale dalla comparsa conclusionale la quale, ai sensi dell'art. 190 c.p.c., ha un carattere meramente illustrativo delle conclusioni già fissate davanti all'istruttore. (In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della corte d'appello che, anziché interpretare la domanda alla luce del contenuto oggettivo della stessa, si era basata su un passaggio argomentativo della memoria di replica).

Cass. civ. n. 5153/2019

Il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti.

Cass. civ. n. 2060/2019

Incorre nel vizio di ultrapetizione la sentenza del giudice del merito che pronunci su una domanda sulla quale vi sia stata rinuncia, tanto se intervenuta nel giudizio di primo grado, quanto in quello d'appello.

Cass. civ. n. 33361/2018

Proposta dal convenuto domanda riconvenzionale subordinata all'accoglimento di quella principale dell'attore, è viziata da ultrapetizione la decisione con cui il giudice, respinta la domanda principale, pronunci anche sulla riconvenzionale, rigettandola.

Cass. civ. n. 27414/2018

La domanda giudiziale con cui la parte intenda fare accertare la nullità di un testamento, al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un'ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo atto dipendente da un'invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicché il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità del testamento, può pronunciarne l'annullamento, ai sensi dell'art. 606, comma 2, c.c., ove quest'ultimo risulti fondato sugli stessi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione; né rileva, al riguardo, il principio di conservazione delle ultime volontà del defunto, non ricorrendo, nel caso in esame, una questione di interpretazione del testamento, bensì di qualificazione della suddetta domanda di nullità.

Cass. civ. n. 27405/2018

In relazione all'opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione. Infatti, mentre il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto, soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), il secondo spetta alla parte (ed è soggetto, perciò, alle preclusioni stabilite per le attività di parte) solo qualora la manifestazione della sua volontà sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nell'ipotesi di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva), ovvero quando singole disposizioni espressamente indichino come indispensabile l'iniziativa di parte; in ogni altro caso, si deve ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze imposte, atteso che il generale potere-dovere di rilievo d'ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce semplicemente nell'attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, purché la richiesta della parte non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo, però, in entrambe le situazioni necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati. (Nella specie, a fronte della richiesta attorea di risarcimento dei danni conseguenti ad occupazione illegittima di suoli privati, la S.C. ha ritenuto che non fosse preclusa l'eccezione con la quale il Comune convenuto aveva dedotto, nella comparsa conclusionale di primo grado, l'avvenuta destinazione ad uso pubblico dei terreni in esame per "dicatio ad patriam", trattandosi di eccezione in senso lato, fondata su fatti acquisiti regolarmente al processo e confermati dall'istruttoria, e non rilevando che, in origine, fosse stato piuttosto dedotta l'acquisizione dei terreni all'esito di un procedimento espropriativo per pubblica utilità).

Cass. civ. n. 26733/2018

Nel processo civile, è affetta da vizio di ultrapetizione la decisione che dichiari l'estinzione del giudizio per una "causa petendi" diversa da quella indicata dalle parti. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ravvisato il vizio in questione nella pronuncia impugnata che aveva dichiarato cessata la materia del contendere, a fronte di un'istanza del contribuente di "rinuncia al proseguimento del contenzioso" non subordinata a quella dell'Amministrazione finanziaria al recupero del proprio credito nella misura dei due terzi conseguente al rigetto del ricorso di primo grado).

Cass. civ. n. 25933/2018

Se una sentenza di condanna al risarcimento del danno viene impugnata dal soccombente soltanto nella parte in cui se ne afferma sussistere la responsabilità, incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice del gravame il quale, senza modificare le statuizioni sulla responsabilità, modifichi la quantificazione del danno. (Nella specie la S.C. ha cassato senza rinvio la sentenza della corte d'appello che aveva riformato la statuizione avente ad oggetto l'entità del risarcimento del danno spettante al lavoratore per licenziamento illegittimo, nonostante il datore di lavoro non avesse, sul punto, formulato specifico motivo di gravame).

Cass. civ. n. 21335/2018

Nel caso in cui l'attore abbia formulato le sue domande precisando espressamente di limitarne il contenuto perché ritiene che ulteriori e maggiori pretese non potrebbero essere accolte, il giudizio sulle domande così formulate non può estendersi, neppure implicitamente, all'accertamento della fondatezza delle maggiori domande che quest'ultimo non ha proposto e sulle quali, quindi, il giudice non ha il potere di pronunciarsi.

Cass. civ. n. 20718/2018

Non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che le doglianze dell'appellante principale sulla ritenuta violazione delle distanze dei balconi aggettanti fossero state superate dall'accoglimento, nel merito, dell'appello incidentale riguardante la distanza dell'intero fabbricato).

L'interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata ed era compresa nel "thema decidendum", tale statuizione, ancorché erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come "error in procedendo", ma attiene al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte.

Cass. civ. n. 20707/2018

Quando l'attore, con l'atto introduttivo del giudizio, rivendichi, per lo stesso titolo, l'attribuzione di una somma determinata ovvero dell'importo, non quantificato, eventualmente maggiore, che sarà accertato all'esito del giudizio, non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che condanni il convenuto al pagamento di una somma maggiore di quella risultante dalla formale quantificazione inizialmente operata dall'istante, ma acclarata come a quest'ultimo spettante in base alle emergenze acquisite nel corso del processo.

Cass. civ. n. 16853/2018

La locuzione giurisprudenziale "minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno" individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall'effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull'intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione. (Nella specie, la contestazione in ordine alla sussistenza dei presupposti di operatività dell'art. 19 del d.P.R. n. 509 del 1979, individuata dal giudice di primo grado come regolatrice della pretesa di rimborso delle spese legali sostenute nel processo penale, è stata ritenuta sufficiente a censurare la relativa statuizione, sulla quale, pertanto, non si era verificato alcun giudicato interno).

Cass. civ. n. 14077/2018

La modificazione, da parte del giudice di appello, della qualificazione giuridica della domanda operata dal primo giudice è illegittima - per violazione del giudicato interno formatosi in ragione dell'omessa impugnazione sul punto della parte interessata - solo se detta qualificazione abbia condizionato l'impostazione e la definizione dell'indagine di merito, sicché è consentita la riqualificazione in termini di ripetizione di indebito, ex art. 2033 c.c., della domanda originariamente qualificata come azione di ingiustificato arricchimento, ex art. 2041 c.c., quando i fatti dedotti in giudizio dalle parti siano rimasti pacificamente acclarati e non modificati.

Cass. civ. n. 11289/2018

La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il "petitum" che va determinato con riferimento a quello che viene domandato nel contraddittorio sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l'attore intende conseguire, ed alle eccezioni che, in proposito, siano state sollevate dal convenuto, ma non concerne le ipotesi in cui il giudice, espressamente o implicitamente, dia al rapporto controverso o ai fatti che siano stati allegati quali "causa petendi" dell'esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti.

Cass. civ. n. 1539/2018

La differenza fra l'omessa pronuncia di cui all'art. 112 c.p.c. e l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., applicabile "ratione temporis", si coglie nel senso che, mentre nella prima l'omesso esame concerne direttamente una domanda od un'eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d'appello, uno dei fatti costitutivi della "domanda" di appello), nella seconda ipotesi l'attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l'eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un'eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia.

Cass. civ. n. 906/2018

La violazione del principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., sussiste quando il giudice attribuisca, o neghi, ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno virtualmente, nella domanda, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda; tale violazione, invece, non ricorre quando il giudice non interferisca nel potere dispositivo delle parti e non alteri nessuno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione.

Cass. civ. n. 29733/2017

In tema di divisione ereditaria, la determinazione del conguaglio in denaro, ai sensi dell'art. 728 c.c., prescinde dalla domanda di parte poiché concerne l'attuazione del progetto divisionale che appartiene alla competenza del giudice il quale, pertanto, deve procedere d'ufficio alla relativa rivalutazione, purché vi sia stata un'apprezzabile lievitazione del prezzo di mercato del bene, tale da alterare la funzione di riequilibrio propria del suddetto conguaglio, gravando sulla parte interessata solo un onere di allegazione circa l'avvenuta verificazione della sproporzione eventualmente intervenuta.

Cass. civ. n. 28492/2017

Il principio di omnicomprensività della liquidazione del danno non patrimoniale alla persona comporta la valutazione complessiva dei pregiudizi subiti, con la conseguenza che il giudice d'appello, sollecitato a rivalutare l'adeguatezza della somma globalmente riconosciuta per l'assunta insufficienza della liquidazione di un determinato tipo di pregiudizio, può riconsiderare anche le ulteriori voci di cui il danno non patrimoniale si compone, in funzione della verifica della congruità della liquidazione complessiva operata dal giudice di primo grado, senza che il riequilibrio tra le varie voci di cui si compone il danno non patrimoniale implichi una "reformatio in peius" della sentenza, o un vizio di ultrapetizione.

Cass. civ. n. 1361/2017

Non incorre nella violazione dell'art. 112 c.p.c. il giudice che, a fronte della domanda di restituzione di beni oggetto di compravendita dissimulante una donazione, pronunci d'ufficio una condanna del convenuto al pagamento del loro valore, per il caso in cui essi siano già stati alienati, atteso che la reintegrazione per equivalente rappresenta un surrogato legale della reintegrazione in forma specifica, con la conseguenza che nella domanda diretta al trasferimento del bene può ritenersi implicita la richiesta volta all'acquisizione del suo equivalente pecuniario.

Cass. civ. n. 17300/2016

In tema di impugnativa di licenziamento, la pronuncia giudiziale che, a fronte di una richiesta di tutela reale ai sensi dell'art. 18 st.lav. per nullità del licenziamento e, in via subordinata, di tutela obbligatoria di cui all'art. 8 della l. n. 604 del 1966 per carenza di giusta causa o giustificato motivo, esclusa la nullità del recesso datoriale, ordini la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, incorre in violazione dell'art. 112 c.p.c., in quanto riconosce una tutela più ampia di quella richiesta dalla parte con il ricorso introduttivo.

Cass. civ. n. 12392/2016

In tema di danni cagionati da animali, la ricorrenza del caso fortuito, quale causa di esclusione della responsabilità del proprietario, attiene al profilo probatorio, sicché, non costituendo oggetto di eccezione in senso proprio, è rilevabile d'ufficio.

Cass. civ. n. 9241/2016

In materia di responsabilità da sinistro stradale, l'omesso uso del casco protettivo da parte di un motociclista vittima di incidente può essere fonte di corresponsabilità del medesimo, a condizione che tale infrazione abbia concretamente influito sulla eziologia del danno, circostanza che può essere accertata anche d'ufficio dal giudice, giacché riconducibile alla previsione di cui all'art. 1227, comma 1, c.c.

Cass. civ. n. 21524/2015

In tema di vizi della cosa venduta, l'ignoranza incolpevole del venditore, agli effetti dell'art. 1494 c.c., integra un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio, purché risultante "ex actis".

Cass. civ. n. 19502/2015

Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto, sicché, proposta azione di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia "ultra petita" il giudice che accerti la nullità del contratto e condanni il promittente venditore alla restituzione della caparra stessa, producendo, del resto, la risoluzione e la nullità effetti diversi quanto alle obbligazioni risarcitorie, ma identici quanto agli obblighi restitutori delle prestazioni.

Cass. civ. n. 18243/2015

Gli interessi sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno da fatto illecito (nella specie, per irreversibile trasformazione di un'area da parte della P.A.), hanno fondamento e natura diversi da quelli moratori, regolati dall'art. 1224 c.c., in quanto sono rivolti a compensare il pregiudizio derivante al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente pecuniario del danno subito, di cui costituiscono, quindi, una necessaria componente, al pari di quella rappresentata dalla somma attribuita a titolo di svalutazione monetaria, la quale non configura il risarcimento di un maggiore e diverso danno, ma soltanto una diversa espressione monetaria del danno medesimo (che, per rendere effettiva la reintegrazione patrimoniale del danneggiato, deve essere adeguata al mutato valore del denaro nel momento in cui è emanata la pronuncia giudiziale finale). Ne consegue che nella domanda di risarcimento del danno per fatto illecito è implicitamente inclusa la richiesta di riconoscimento sia degli interessi compensativi sia del danno da svalutazione monetaria - quali componenti indispensabili del risarcimento, tra loro concorrenti attesa la diversità delle rispettive funzioni - e che il giudice di merito deve attribuire gli uni e l'altro anche se non espressamente richiesti, pure in grado di appello, senza per ciò solo incorrere in ultrapetizione.

Cass. civ. n. 17956/2015

La decisione di accoglimento della domanda della parte comporta anche la reiezione dell'eccezione d'inammissibilità della domanda stessa, avanzata dalla controparte, senza che, in assenza di specifica argomentazioni, sia configurabile un vizio di omessa motivazione, dovendosi ritenere implicita la statuizione di rigetto ove la pretesa o l'eccezione (nella specie, di inammissibilità dell'impugnazione del lodo) non espressamente esaminata risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Cass. civ. n. 17899/2015

Il collegamento tra negozi, tutti già dedotti in giudizio, può essere individuato dal giudice di merito anche d'ufficio, rientrando nel suo potere di verifica e valutazione dei fatti costitutivi della pretesa attorea in base all'interpretazione degli atti negoziali sottoposti alla sua attenzione. Ne consegue che l'esistenza del collegamento negoziale non è oggetto di eccezione in senso stretto, ma di mera difesa, deducibile dalla parte convenuta anche con l'atto di appello.

Cass. civ. n. 14654/2015

L'eccezione di pagamento ha efficacia estintiva di un rapporto giuridico indipendentemente dal tramite di una manifestazione di volontà della parte, sicché integra un'eccezione in senso lato, rilevabile d'ufficio dal giudice sulla base degli elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti (nella specie, mediante le scritture contabili esibite e la consulenza tecnica d'ufficio disposta in ordine a quest'ultime), ancorché la questione non sia stata proposta dal convenuto ai sensi dell'art. 180, comma 2, cod. proc. civ., nel testo, applicabile "ratione temporis", anteriore alle modifiche di cui al d.l. n. 35 del 2005, convertito nella legge n. 80 del 2005.

Cass. civ. n. 13405/2015

Qualora l'appaltatore, in corso d'opera, chieda la risoluzione del contratto per inadempimento del committente ed il "pagamento del prezzo" dei lavori già eseguiti, la sentenza del giudice del merito, la quale, riconosciuta la fondatezza della prima domanda, accolga anche la seconda, pur rilevandone l'impropria formulazione in termini di versamento del corrispettivo, anziché, secondo i principi della risoluzione del contratto ad esecuzione continuata o periodica, in termini di "restitutio in integrum" a mezzo di equivalente pecuniario, non incorre in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., trattandosi di mera qualificazione giuridica della domanda, fermi restando i fatti dedotti a suo fondamento.

Cass. civ. n. 12953/2015

In tema di rivendicazione, il giudice può riconoscere l'esistenza di una proprietà "pro quota" pure laddove si assuma esistere una proprietà esclusiva, senza con ciò trasmodare dai limiti della domanda, ricorrendo il vizio di ultrapetizione soltanto allorché dalla pronunzia derivino effetti giuridici più ampi di quelli richiesti dall'attore.

Cass. civ. n. 11377/2015

In tema di contratto stipulato da "falsus procurator", la deduzione del difetto o del superamento del potere rappresentativo e della conseguente inefficacia del contratto, da parte dello pseudo rappresentato, integra una mera difesa, atteso che la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è un elemento costitutivo della pretesa del terzo nei confronti del rappresentato, sicché il giudice deve tener conto della sua assenza, risultante dagli atti, anche in mancanza di una specifica richiesta di parte.

Cass. civ. n. 8872/2015

Nel caso in cui il giudice di merito statuisca su una questione proposta dal ricorrente in primo grado in via incidentale, ritenendola, invece, quale domanda autonoma, sussiste violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., sicché la sentenza deve essere cassata per essere incorsa in vizio di ultrapetizione. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che le richieste del direttore amministrativo di un conservatorio di condanna della P.A. a bandire una procedura concorsuale per la copertura del posto e, in via strumentale, di accertare e dichiarare l'illegittimità della già avvenuta nomina di un nuovo direttore amministrativo con contratto individuale, costituissero un'unica domanda).

Cass. civ. n. 3417/2015

L'omessa pronuncia, quale vizio della sentenza, può essere utilmente prospettata solo con riguardo alla mancanza di una decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che, ritualmente e incondizionatamente proposta, richiede una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Tale vizio deve essere pertanto escluso in relazione a una questione esplicitamente o anche implicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza e che è, quindi, suscettibile di riesame nella successiva fase del giudizio, se riprospettata con specifica censura.

Cass. civ. n. 2687/2015

Integra violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., l'omessa pronuncia su un'eccezione di parte, ritualmente sollevata in giudizio, avente ad oggetto la tardiva introduzione, con l'atto di appello, di nuove allegazioni di fatto, che, alterando uno dei presupposti della domanda iniziale, inseriscano nel processo un nuovo tema d'indagine, sul quale non si sia formato in precedenza il contraddittorio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza d'appello che aveva valorizzato a fronte delle lacunose indicazioni, contenute nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado - ai fini dell'individuazione dei fatti determinativi dell'evento lesivo - nuove ed ulteriori circostanze, introdotte in sede di impugnazione, che non si erano risolte in una mera specificazione del "thema decidendum", ma in un suo sostanziale ampliamento).

Cass. civ. n. 19304/2014

Il principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, impedisce al giudice, che accolga la domanda principale di una parte, di esaminare e decidere la domanda che quest'ultima abbia proposto solo in via subordinata al mancato accoglimento della prima, a nulla rilevando che le due domande si trovino in rapporto di obiettiva compatibilità.

Cass. civ. n. 11371/2014

La domanda di annullamento del contratto per violenza morale non può essere riqualificata dal giudice come domanda di annullamento per dolo, egli incorrendo, altrimenti, in ultrapetizione per mutamento del fatto costitutivo.

Cass. civ. n. 7809/2014

In tema di violazione delle distanze legali, non incorre in ultrapetizione il giudice che, richiesto dell'ordine di demolizione della costruzione, ne ordini il semplice arretramento, essendo la decisione contenuta nei limiti della più ampia domanda di parte, senza esulare dalla "causa petendi", intesa come l'insieme delle circostanze di fatto poste a fondamento della pretesa.

Cass. civ. n. 6226/2014

In tema di interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle formali parole utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volontà effettiva, nonché delle finalità che la parte intende perseguire.

Cass. civ. n. 5952/2014

Il potere del giudice di rilevare d'ufficio le nullità del contratto di assicurazione (nella specie, per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti) o delle singole clausole di esso va coordinato necessariamente con il principio dispositivo e con quello della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Ne consegue che il contraente, laddove deduca la nullità di una clausola di delimitazione del rischio, è tenuto ad allegare ritualmente i fatti costitutivi dell'eccezione (ovvero l'esistenza della clausola, la sua inconoscibilità, il suo contenuto in tesi vessatorio) nella comparsa di risposta o con le memorie di cui all'art. 183 cod. proc. civ.

Cass. civ. n. 5923/2014

Il potere del giudice di rilievo d'ufficio dell'eccezione non implica il superamento del divieto della scienza privata, occorrendo pur sempre che determinati fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino acquisiti agli atti. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il rilievo del giudicato esterno si fondava su una circostanza - l'emissione di una precedente sentenza ormai incontestabile - non dedotta da alcuna delle parti e, quindi, verosimilmente introdotta in giudizio attraverso il ricorso alla scienza privata del giudice, essendo le due decisioni affidate allo stesso relatore).

Cass. civ. n. 4744/2014

Nel giudizio di responsabilità ex art. 1669 cod. civ., non incorre in ultrapetizione il giudice che, richiesto di condannare l'appaltatore al pagamento della somma necessaria per eliminare i vizi dell'opera, lo condanni a pagare la medesima somma a titolo di risarcimento del danno, non ricorrendo un titolo diverso da quello della domanda, poiché il costo dell'eliminazione dei difetti è parte del generico ed onnicomprensivo danno risarcibile.

Cass. civ. n. 4493/2014

In tema di risoluzione del contratto, incorre in ultrapetizione il giudice che, a fronte di una domanda di risoluzione per inadempimento, pronunci la risoluzione consensuale.

Cass. civ. n. 4205/2014

Mentre nell'interpretazione dei provvedimenti giurisdizionali si deve fare applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 12 e seguenti delle preleggi, in ragione dell'ammissibilità di tali provvedimenti, per natura ed effetti, agli atti normativi, nell'interpretazione degli atti processuali delle parti occorre, fare riferimento ai criteri di ermeneutica di cui all'art. 1362 cod. civ., che valorizzano l'intenzione delle parti e che, pur essendo dettati in materia di contratti, hanno portata generale.

Cass. civ. n. 28663/2013

La figura dell'assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l'assorbimento non comporta un'omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell'assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l'unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa.

Cass. civ. n. 28660/2013

Nella domanda di condanna al pagamento di una determinata somma di danaro deve ritenersi sempre implicita la richiesta della condanna al pagamento di una somma minore, con la conseguenza che la pronuncia del giudice del merito di condanna ad una somma minore di quella richiesta non è viziata da extrapetizione.

Cass. civ. n. 25775/2013

L'obbligo di risarcimento del danno da fatto illecito, contrattuale o extracontrattuale, ha per oggetto l'integrale reintegrazione del patrimonio del danneggiato e, pertanto, nella domanda di risarcimento del danno deve ritenersi implicitamente inclusa la richiesta di compenso per il pregiudizio subito dal creditore a causa del ritardato conseguimento dell'equivalente monetario del danno, non incorrendo nel vizio di ultrapetizione il giudice che, in mancanza di espressa domanda, liquidi il conseguente danno da lucro cessante.

Cass. civ. n. 25608/2013

Spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l'attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova. Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità.

Cass. civ. n. 25244/2013

L'azione reale di regolamento di confini contiene implicitamente quella personale di apposizione dei termini, quale pretesa accessoria e consequenziale, solo quando manchi un confine certo e determinato e difettino anche i segni esteriori dello stesso per cui, al di fuori di questa ipotesi, e in assenza di esplicita domanda incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che abbia condannato la parte soccombente ad installare sul confine una recinzione.

Cass. civ. n. 22083/2013

Il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali.

Cass. civ. n. 21397/2013

La liquidazione d'ufficio di un corrispettivo d'opera in misura inferiore a quella pretesa non richiede una specifica istanza dell'attore, non avendo le parti l'onere di sollecitare il giudice all'esercizio dei suoi poteri officiosi, qual è quello di accogliere la domanda per un importo inferiore rispetto al domandato, ed imponendo la mancanza di convenzione sul corrispettivo, al pari del difetto sulla relativa prova, non già il rigetto della domanda, ma l'accoglimento di questa per un importo minore del preteso, previa determinazione "officio iudicis" in base all'art. 2225 c.c..

Cass. civ. n. 18602/2013

Poiché nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l'efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale), l'eccezione di interruzione della prescrizione integra un'eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d'ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, dovendosi escludere, altresì, che la rilevabilità ad istanza di parte possa giustificarsi in ragione della (normale) rilevabilità soltanto ad istanza di parte dell'eccezione di prescrizione, giacché non ha fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, qual è l'interruzione della prescrizione.

Cass. civ. n. 12473/2013

Non incorre nel difetto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, ai sensi dell'art. 112 cod. proc. civ., il giudice che, in presenza di una domanda che deduce l'invalidità di un testamento olografo sia per incapacità del testatore, sia per la falsità dell'atto, dichiari la nullità dello stesso, avendo accertato la mancanza dell'autografia ed avendo ritenuto assorbente tale causa di nullità rispetto a quella di annullamento per difetto di capacità, in quanto la nullità, quale forma più grave di invalidità, comprende, nell'ambito del "petitum", le ragioni dell'annullamento e la decisione della domanda assorbente, comportando una tutela più piena, che rende superflua la pronuncia sulla domanda assorbita, ormai non sorretta da alcun concreto interesse.

Cass. civ. n. 7220/2013

È affetta dal vizio di ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., la decisione resa all'esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la quale - revocato parzialmente il provvedimento monitorio - ordini, in assenza di apposita domanda, la restituzione della somma versata in eccedenza in forza di esso, ritenuta la restituzione "necessaria conseguenza" della revoca parziale, atteso, invece, che la domanda di restituzione di una parte della somma compresa nel decreto ingiuntivo presenta una propria autonomia rispetto alla richiesta, sia pur implicita, di revoca parziale del decreto stesso, da rapportarsi alle ragioni su cui l'ingiunto ha fondato i motivi di opposizione.

Cass. civ. n. 2075/2013

La risoluzione del contratto pur comportando, per l'effetto retroattivo sancito dall'art. 1458 c.c., l'obbligo del contraente di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice ad emettere il provvedimento restitutorio in assenza di domanda dell'altro contraente, atteso che rientra nell'autonomia delle parti disporre degli effetti della risoluzione, chiedendo, o meno, la restituzione della prestazione rimasta senza causa.

Cass. civ. n. 350/2013

La nullità delle clausole che prevedono un tasso d'interesse usurario è rilevabile anche di ufficio, non integrando gli estremi di un'eccezione in senso stretto, bensì una mera difesa, che può essere proposta anche in appello, nonché formulata in comparsa conclusionale, sempre che sia fondata su elementi già acquisiti al giudizio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha respinto il corrispondente motivo di impugnazione in considerazione della tardività dell'allegazione, avvenuta solo nella comparsa conclusionale in sede di appello, degli elementi di fatto fondanti la invocata nullità della convenzione di interessi).

Cass. civ. n. 22893/2012

In tema di responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli o motore, è rilevabile d'ufficio l'incapienza del massimale minimo di legge, rispetto al danno patito dalla vittima di un sinistro stradale indennizzabile da parte dell'impresa designata per conto del fondo di garanzia vittime della strada.

Cass. civ. n. 22382/2012

Il giudice investito da una domanda di risarcimento del danno ambientale può condannare il responsabile al ripristino dello stato dei luoghi o al risarcimento in forma specifica anche d'ufficio, dovendosi considerare la richiesta di tutela reale, alla stregua delle modifiche della relativa disciplina introdotte dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, sempre insita nella domanda risarcitoria.

Cass. civ. n. 21463/2012

In tema di compravendita, il potere della parte di disporre delle eccezioni di prescrizione e decadenza dell'azione di garanzia si limita agli elementi costitutivi delle eccezioni stesse, ossia al decorso del tempo e alla volontà di profittare del conseguente effetto estintivo, mentre non concerne l'individuazione del tipo di garanzia applicabile, che è compito del giudice determinare, eventualmente riqualificando la fattispecie dedotta in giudizio (nella specie, garanzia di buon funzionamento, soggetta ai termini ex art. 1512 c.c., in luogo della garanzia edilizia, soggetta ai termini ex art. 1495 c.c.).

Cass. civ. n. 21245/2012

La domanda di risarcimento del danno da perdita delle chance di guarigione di un prossimo congiunto, in conseguenza d'una negligente condotta del medico che l'ebbe in cura, deve essere formulata esplicitamente, e non può ritenersi implicita nella richiesta generica di condanna del convenuto al risarcimento di "tutti i danni" causati dalla morte della vittima.

Cass. civ. n. 16450/2012

Nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., il prescindere, travalicandole, dalle specifiche indicazioni quantitative della parte in ordine a ciascuna delle voci di danno elencate in domanda, salvo che tali indicazioni non siano da ritenere - in base ad apprezzamento di fatto concernente l'interpretazione della domanda e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione - meramente indicative (come sarebbe lecito concludere allorché la parte, pur dopo l'indicazione, chieda comunque che il danno sia liquidato secondo giustizia ed equità).

Cass. civ. n. 13945/2012

Il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un "nomen juris" diverso da quello indicato dalle parti, purché non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio. Pertanto incorre nel vizio di ultrapetizione la decisione che, a fronte di una domanda di risoluzione della locazione per inadempimento del conduttore e di conseguente condanna al rilascio dell'immobile locato, accolga la domanda di rilascio ritenendo stipulato tra le parti un comodato senza determinazione di durata, atteso che tale decisione pone a suo fondamento un fatto estraneo alla materia del contendere, qual è la richiesta di restituzione del bene ex art. 1810 c.c., introducendo nel processo una "causa petendi" diversa da quella enunciata dalla parte a sostegno della domanda.

Cass. civ. n. 12218/2012

È viziata da extrapetizione la sentenza che, a fronte di una domanda di ristoro del danno patrimoniale, condanni il convenuto a risarcire anche quello non patrimoniale, a nulla rilevando che l'attore avesse domandato, in via subordinata, la condanna del convenuto al pagamento della "somma maggiore o minore che risulterà accertata in corso di causa".

Cass. civ. n. 9457/2012

Non incorre in extrapetizione il giudice che, adito da alcuni comproprietari per la condanna di un altro comproprietario a restituire loro il bene comune, da questo detenuto (nella specie, per effetto di transazione ex art. 46 della legge n. 203 del 1982), ordini la restituzione del bene "alla comunione", onde consentire alla comunione stessa di disporre del bene e, attraverso la maggioranza, di goderne, in modo diretto o indiretto.

Cass. civ. n. 8366/2012

La domanda giudiziale con cui la parte intenda far accertare la nullità di un testamento pubblico (nella specie, per la mancata indicazione dell'ora della sottoscrizione), al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un'ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo atto dipendente da un'invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicché il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità del testamento, può pronunciarne l'annullamento, ai sensi dell'art, 606, secondo comma, c.c., ove quest'ultimo risulti fondato sui medesimi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione; né rileva, al riguardo, il principio di conservazione delle ultime volontà del defunto, non ricorrendo, nel caso in esame, una questione di interpretazione del testamento, bensì una questione di qualificazione della domanda di nullità dello stesso.

Cass. civ. n. 7663/2012

La figura dell'assorbimento, che esclude il vizio di omessa pronuncia, ricorre, in senso proprio, quando la decisione sulla domanda cd. assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, che con la pronuncia sulla domanda cd. assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, e, in senso improprio, quando la decisione cd. assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che non rientra tra le ipotesi di assorbimento la situazione in cui la decisione adottata non esclude la necessità, né la possibilità di pronunciare sulle altre questioni prospettate dalla parte, la quale conserva interesse alla decisione sulle stesse. (Nella specie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che, dopo aver ritenuto applicabile la disciplina in materia di recupero di aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune, aveva dichiarato assorbite le ulteriori questioni sulla correttezza del calcolo degli aiuti e degli interessi, sulla motivazione del provvedimento impugnato e sulla decadenza e prescrizione dell'azione di recupero).

Cass. civ. n. 7653/2012

Il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l'attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all'attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto. (Nella specie, la S.C. ha escluso che la sentenza impugnata fosse incorsa nel vizio di omessa pronuncia laddove, a fronte della doglianza di illegittimità delle modalità di determinazione della percentuale di ricarico adottate dall'Amministrazione finanziaria per accertare la base imponibile, aveva espressamente affermato la legittimità di criteri seguiti).

Cass. civ. n. 7268/2012

Il rapporto tra le istanze delle parti e la pronuncia del giudice, agli effetti dell'art. 112 c.p.c., può dare luogo a due diversi tipi di vizi: se il giudice omette del tutto di pronunciarsi su una domanda od un'eccezione, ricorrerà un vizio di nullità della sentenza per "error in procedendo", censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c.; se, invece, il giudice si pronuncia sulla domanda o sull'eccezione, ma senza prendere in esame una o più delle questioni giuridiche sottoposte al suo esame nell'ambito di quella domanda o di quell'eccezione, ricorrerà un vizio di motivazione, censurabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c.. L'erronea sussunzione nell'uno piuttosto che nell'altro motivo di ricorso del vizio che il ricorrente intende far valere in sede di legittimità, comporta l'inammissibilità del ricorso.

Cass. civ. n. 29849/2011

Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, richiesto di emanare sentenza costitutiva che tenga luogo di vendita immobiliare, integri la descrizione dell'immobile offerta dall'attore con i dati catastali evincibili dal preliminare o da altri atti di causa, giacchè egli è tenuto, al fine di garantire la piena corrispondenza della decisione alle sue finalità pratiche, alla specificazione, di significato e portata meramente formali, dei dati (confini ed elementi catastali) occorrenti per la trascrizione dello statuito trasferimento.

Cass. civ. n. 27648/2011

Non viola il disposto dell'art. 112 c.p.c. la qualificazione, da parte del giudice di merito, della domanda proposta dall'attore come di responsabilità precontrattuale, ancorché nella citazione il medesimo abbia chiesto il pagamento del compenso pattuito nel contratto poi non concluso, in quanto sussista la rappresentazione degli elementi in fatto, idonei a dimostrare la lesione della buona fede tenuta dalla parte istante nel corso della vicenda, e, quindi, la violazione dell'obbligo sancito dall'art. 1337 c.c., la cui fattispecie delinea quel particolare rapporto che, con le trattative, si instaura fra le parti.

Cass. civ. n. 22529/2011

Non incorre in violazione del principio della domanda, di cui all'art. 112 c.p.c., il giudice che, a fronte di una richiesta di condanna degli enti convenuti "ciascuno per quanto di sua spettanza", affermi la responsabilità diretta del Comune convenuto, trattandosi di locuzione con cui si rimette al giudice l'individuazione dei soggetti giuridicamente tenuti alla prestazione (nella specie, restituzione e riduzione in pristino di terreni occupati dalla P.A.).

Cass. civ. n. 20311/2011

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un'espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l'impostazione logico-giuridica della pronuncia.

Cass. civ. n. 9395/2011

La rilevabilità d'ufficio della nullità del contratto in ogni stato e grado del processo opera solo se da parte dell'attore se ne richieda l'adempimento, essendo il giudice tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni dell'azione e a rilevare d'ufficio le eccezioni che, senza ampliare l'oggetto della controversia, tendano al rigetto della domanda e possano configurarsi come mere difese del convenuto. Ne consegue che quando la domanda sia, invece, diretta a far valere l'invalidità del contratto o a pronunciarne la risoluzione per inadempimento, non può essere dedotta tardivamente un'eccezione di nullità diversa da quelle poste a fondamento della domanda, essendo il giudice, sulla base dell'interpretazione coordinata dell'art. 1421 c.c. e 112 c.p.c., tenuto al rispetto del principio dispositivo, anche alla luce dell'art. 111 Cost., che richiede di evitare, al di là di precise indicazioni normative, ampliamenti dei poteri d'iniziativa officiosa

Cass. civ. n. 4288/2011

Nell'azione di regolamento di confini l'attore non è tenuto a proporre un'espressa domanda di rilascio della porzione di terreno indebitamente occupata dalla controparte, essendo tale domanda implicita nella proposizione dell'azione. Essa, pertanto, può essere specificata all'udienza di precisazione delle conclusioni, senza che ciò configuri la proposizione di una domanda nuova e, dunque, inammissibile, il cui accoglimento vizierebbe di ultrapetizione la pronuncia del giudice.

Cass. civ. n. 2956/2011

Il giudice può rilevare d'ufficio la nullità di un contratto, a norma dell'art. 1421 c.c., anche se sia stata proposta la domanda di annullamento (o di risoluzione o di rescissione del contratto, senza incorrere nel vizio di ultrapetizione, atteso che in ognuna di tali domande è implicitamente postulata l'assenza di ragioni che determinino la nullità del contratto medesimo; ne consegue che il rilievo di quest'ultima da parte dei giudice dà luogo a pronunzia non eccedente i limiti della causa, la cui efficacia resta commisurata nei limiti della domanda proposta, potendo quindi estendersi all'intero rapporto contrattuale se questa lo investa interamente.

Cass. civ. n. 455/2011

Il giudice di merito ha il potere-dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione; tale potere incontra peraltro il limite del rispetto dell'ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il "petitum" e la "causa petendi", senza l'introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto. Pertanto, il vizio di ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell'azione ("petitum" e "causa petendi") e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto ("petitum" immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso ("petitum" mediato). Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato. (Nella specie, la Corte di merito, investita della questione avente come presupposto la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e la illegittimità del licenziamento disposto dalla società datoriale, con conseguente richiesta di reintegra nel posto di lavoro e condanna della società al pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino all'effettiva reintegra, pur ritenendo la interruzione di fatto del rapporto e la mancanza di prova in ordine al dedotto licenziamento, aveva condannato la società resistente al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede, argomentando dalla affermata continuità giuridica del rapporto lavorativo in questione. La S.C., in applicazione del riportato principio, ha cassato la sentenza impugnata ritenendo sussistente il lamentato vizio di ultrapetizione della stessa).

Cass. civ. n. 25516/2010

Sussiste violazione dell'art. 112 c.p.c. allorché il giudice, a fronte della domanda di nullità, proposta dal fideiussore opponente, di una clausola del contratto di fideiussione e di inefficacia dello stesso, abbia, invece, rilevato d'ufficio la mancanza di prova circa la forma scritta del contratto di conto corrente concluso dal debitore principale e la conseguente nullità del medesimo, ai sensi dell'art. 1421 c.c., posto che, essendo onere del convenuto (nel caso di decreto ingiuntivo, dell'opponente) quello di prendere posizione sui fatti posti a fondamento della domanda, dal mancato assolvimento di tale onere discende che i fatti non contestati devono ritenersi non controversi e non richiedenti specifiche dimostrazioni.

Cass. civ. n. 25140/2010

In materia di procedimento civile, sussiste vizio di "ultra" o "extra" petizione ex art. 112 c.p.c. quando il giudice pronunzia oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, ovvero su questioni non formanti oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato. Tale principio va peraltro posto in immediata correlazione con il principio "iura novit curia" di cui all'art. 113, primo comma, c.p.c., rimanendo pertanto sempre salva la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti e ai rapporti dedotti in lite nonché all'azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, e ponendo a fondamento della sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti. (Nella specie, la S.C. ha escluso la sussistenza della lamentata violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato in presenza della qualificazione, operata del giudice del merito, del fatto storico dedotto, consistente nella pretesa violazione delle prescrizioni dell'art. 1 della legge 23 luglio 1991, n. 223, unitamente a quelle dell'art. 5 della legge 20 maggio 1975, n. 164, in tema di contenuto delle comunicazioni occorrenti al fine della messa in cassa integrazione dei lavoratori e di mancata indicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione).

Cass. civ. n. 24081/2010

Il rimborso forfettario delle spese generali ai sensi dell'art. 14 delle disposizioni generali della tariffa professionale forense, approvata con d.m. 8 aprile 2004, n. 127, non può essere liquidato d'ufficio nel procedimento speciale disciplinato dalla legge 13 giugno 1942, n. 794, occorrendo, in tale procedimento, apposita domanda con cui il professionista chieda, in applicazione dei principi previsti dagli artt. 99 e 112 c.p.c., la corresponsione in proprio favore del suddetto compenso.

Cass. civ. n. 23851/2010

I diritti reali, in quanto diritti assoluti, appartengono alla categoria dei diritti c.d. autodeterminati, che si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto e non per il titolo che ne costituisce la fonte. Pertanto, da un lato l'attore può mutare titolo della domanda senza incorrere nelle preclusioni della modifica della "causa petendi", dall'altro il giudice può accogliere il "petitum" in base ad un titolo diverso da quello dedotto senza violare il principio della domanda di cui all'art. 112 c.p.c..

Cass. civ. n. 16876/2010

Nello stesso giudizio possono essere proposte, in forma alternativa o subordinata, due diverse richieste tra loro incompatibili, senza che con ciò venga meno l'onere della domanda ed il dovere di chiarezza che l'attore è tenuto ad osservare nelle proprie allegazioni; ne consegue che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che accolga una delle domande come sopra proposte, in quanto il rapporto di alternatività e di subordinazione tra esse esistente non esclude che ciascuna di esse rientri nel "petitum".

Cass. civ. n. 16152/2010

Il principio secondo il quale la portata precettiva di una pronunzia giurisdizionale va individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione, trova applicazione soltanto quando il dispositivo contenga comunque una pronuncia di accertamento o di condanna e, in quanto di contenuto precettivo indeterminato o incompleto, si presti ad integrazione, ma non quando il dispositivo manchi del tutto, giacché in tal caso ricorre un irrimediabile vizio di omessa pronuncia su una domanda o un capo di domanda denunciabile ai sensi dell'art. 112 c.p.c., non potendo la relativa decisione, con il conseguente giudicato, desumersi da affermazioni contenute nella sola parte motiva. (Nella specie la S.C. ha ritenuto sussistente il vizio di omessa pronuncia della sentenza impugnata in relazione alla domanda di restituzione delle spese processuali corrisposte al procuratore distrattario in virtù della sentenza di primo grado, non essendovi alcuna statuizione sul punto nel dispositivo, e risultando irrilevante a tale fine l'affermazione, contenuta in motivazione, secondo la quale non si provvedeva al riguardo in mancanza di prova del relativo pagamento).

Cass. civ. n. 15397/2010

Il danneggiato da un sinistro stradale che intenda invocare la responsabilità ultramassimale dell'assicuratore della r.c.a. del responsabile incorso in c.d. "mala gestio" impropria non ha l'onere di formulare la relativa domanda in modo espresso, potendosi la stessa ritenere necessariamente ricompresa nella richiesta di condanna dell'assicuratore stesso all'integrale risarcimento del danno; al contrario, l'assicurato, il quale intenda invocare la responsabilità ultramassimale del proprio assicuratore della r.c.a., per c.d. "mala gestio" propria, ha l'onere di formulare in modo esplicito la relativa domanda.

Cass. civ. n. 15375/2010

Il mancato avveramento della condizione sospensiva concreta non un'eccezione in senso proprio, ma una semplice difesa volta a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, che deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d'ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte.

Cass. civ. n. 5842/2010

La richiesta di rinvio alla Corte di giustizia CE su una questione pregiudiziale di interpretazione del diritto comunitario, in applicazione dell'art. 234 del Trattato CE, non è configurabile come autonoma domanda, rispetto alla quale, nel caso di omessa specifica pronuncia, possa farsi questione del rispetto del principio di cui all'art. 112 c.p.c., ponendo tale richiesta una questione di diritto preliminare alla decisione sulla domanda di merito proposta dalla parte. Ne consegue che la richiesta può essere prospettata per la prima volta nel grado di appello e nel ricorso per cassazione, e, solo nel giudizio di cassazione, stante la natura di giudice di ultimo grado, la facoltà di rinvio si trasforma - ricorrendone le condizioni di rilevanza e decisività - in un obbligo.

Cass. civ. n. 3593/2010

Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno, qualora l'attore, dopo avere indicato analiticamente le voci di danno di cui chiede il ristoro ed il relativo ammontare, abbia dichiarato di rimettersi comunque "alla valutazione equitativa del giudice", il giudice non può pronunciare condanna per importi superiori a quelli richiesti dalla parte, giacché quella formula in difetto di una esplicita dichiarazione in tal senso, non può intendersi come una domanda di somme anche maggiori rispetto a quelle indicate, ma solo come richiesta al giudice di effettuare la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell'art. 1126 c.c.

Cass. civ. n. 3012/2010

Il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare, il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il "petitum" e la "causa petendi". (Nella specie la S.C ha ritenuto, in relazione ad un giudizio per inadempimento contrattuale, che la domanda di risarcimento danni presupponesse quella di risoluzione del contratto, da ritenere proposta anche se non espressa con formula "sacramentale", perché nel contenuto della domanda originaria ad essa veniva fatto espresso riferimento).

Cass. civ. n. 26516/2009

La produzione e la vendita di tabacchi lavorati costituiscono attività pericolose ai sensi dell'art. 2050 c.c., poiché i tabacchi, avendo come unica destinazione il consumo mediante il fumo, contengono in sé una potenziale carica di nocività per la salute umana; ne consegue che, ove il danneggiato abbia proposto una domanda risarcitoria - ai sensi dell'art. 2043 c.c. - nei confronti del produttore-venditore di tabacco, viola l'art. 112 c.p.c. ed incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che sostituisca a tale domanda quella, nuova e diversa, di cui all'art. 2050 c.c., la quale integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva. (Nella specie, l'originaria domanda risarcitoria era fondata sul carattere ingannevole delle diciture "Light" e "Extra Light" apposte sulla confezione di una marca di sigarette).

Cass. civ. n. 25055/2009

In tema di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, il giudice di merito che, a fronte di una domanda di simulazione assoluta di un contratto - nella specie vendita di azioni societarie -, ne dichiari invece la simulazione relativa, viola l'art. 112 c.p.c., giacchè quest'ultima azione, essendo diversa dalla prima per "petitum" e "causa petendi", comporta l'accertamento di fatti nuovi e differenti.

Cass. civ. n. 23734/2009

In tema di risarcimento del danno, il fatto colposo del creditore che abbia contribuito al verificarsi dell'evento dannoso - ipotesi regolata dall'art. 1227, primo comma, c.c. - è rilevabile d'ufficio, per cui la sua prospettazione non richiede la proposizione di un'eccezione in senso proprio, costituendo mera difesa, a differenza dell'aggravamento del danno derivante dal comportamento colposo successivo del danneggiato, previsto dal secondo comma della medesima disposizione.

Cass. civ. n. 23490/2009

Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti da questa posti a fondamento della domanda, le attribuisca un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato, rispetto a quello richiesto. Ne consegue che, proposta in primo grado una domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare, e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronunzia "ultra petita" il giudice il quale ritenga che il contratto si sia risolto non già per inadempimento del convenuto, ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti (ex art. 1453, secondo comma, c.c.) e condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra (la cui ritenzione è divenuta "sine titulo") e non del doppio di essa.

Cass. civ. n. 21930/2009

Non viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice di merito che a fronte della domanda di accertamento del diritto di proprietà su di un immobile, riconosca invece il diritto di superficie, costituendo questo un "minus" rispetto al primo, perché attiene a facoltà che sono normalmente comprese nella proprietà, dalla quale, per espressa previsione dell'art. 952 c.c., possono essere scorporate, con attribuzione ad un soggetto diverso dal proprietario di una parte soltanto delle facoltà dominicali. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva riconosciuto l'usucapione del diritto di superficie di un lastrico solare in favore della parte che aveva chiesto l'accertamento dell'usucapione del diritto di proprietà sulla medesima area).

Cass. civ. n. 10124/2009

Viola il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., il giudice di merito che, in una causa di risarcimento del danno per sinistro stradale, avendo l'attore chiesto affermarsi la responsabilità del convenuto, conducente della vettura antagonista, solo a titolo di colpa concorrente nella causazione del sinistro, abbia invece ritenuto la responsabilità esclusiva del convenuto medesimo.

Cass. civ. n. 8527/2009

La novazione non forma oggetto di un'eccezione in senso proprio, come si deduce dalla nozione e dalla disciplina quali delineate negli artt. 1230 - 1235 c.c., poste a raffronto con l'espressa previsione della non rilevabilità d'ufficio della compensazione (art. 1242 c.c.), e quindi il giudice può rilevare d'ufficio il fatto corrispondente, ove ritualmente introdotto nel processo. (Nella specie, la S.C., verificato, dalla sentenza impugnata e dai contenuti del motivo di ricorso, che gli elementi costitutivi della fattispecie novativa non erano stati ritualmente allegati e sottoposti all'accertamento del giudice, ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che, accertata la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato con il socio di una cooperativa, pacificamente non impedito dallo statuto della società, aveva escluso che detto rapporto dovesse ritenersi estinto per effetto della costituzione del rapporto sociale, stante l'ammissibile coesistenza dei due rapporti).

Cass. civ. n. 5131/2009

In tema di rivendicazione, il giudice di merito è tenuto innanzitutto a verificare l'esistenza, la validità e la rilevanza del titolo dedotto dall'attore a fondamento della pretesa, e ciò a prescindere da qualsiasi eccezione del convenuto,giacchè, investendo tale indagine uno degli elementi costitutivi della domanda, la relativa prova deve essere fornita dall'attore e l'eventuale insussistenza deve essere rilevata dal giudice anche d'ufficio. Per quanto attiene, in particolare, alla identità del bene domandato dall'attore con quello descritto nel titolo stesso, i dati catastali non hanno valore di prova ma di semplice indizio, costituendo le mappe catastali un sistema secondario e sussidiario rispetto all'insieme degli elementi raccolti in fase istruttoria. (Nella specie, la S.C. ha respinto il ricorso contro la sentenza di merito che - in un giudizio di rivendicazione di un immobile nel quale il convenuto aveva eccepito, fin dalla comparsa di risposta, una situazione possessoria fondata sul principio "possideo quia possideo" - aveva rigettato la domanda nella convinzione che, gravando sugli attori la "probatio diabolica", questa non fosse stata in concreto conseguita).

Cass. civ. n. 3357/2009

Il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., rilevante ai fini di cui all'art. 360, n. 4 dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione ad istanze istruttorie (come quella di ammissione di una c.t.u.) per le quali l'omissione è denunciabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione.

Cass. civ. n. 2558/2009

In tema di luci e vedute, viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice di merito che, adito allo scopo di sentir dichiarare l'illegittimità di alcune vedute aperte in una costruzione eretta in sopraelevazione, ne abbia imposto la regolarizzazione invece come "luci". Diversi sono infatti, i presupposti per l'una e l'altra disciplina, riguardando l'art. 905 cod. civ. le aperture che consentono di "inspicere" e di "prospicere", cioè di vedere ed affacciarsi verso il fondo del vicino, ed invece gli artt. 901 e 902 cod. civ. il diritto di praticare aperture in direzione di quello per attingere luce ed aria; così come diversi sono i rimedi, poiché l'inosservanza delle distanze dettate dall'art. 905 cod. civ. può essere eliminata soltanto dall'arretramento o chiusura delle vedute, mentre le prescrizioni sulle luci possono farsi rispettare attraverso la loro semplice regolarizzazione.

Cass. civ. n. 1954/2009

Non sussiste il vizio di "extrapetizione" (art. 112 c.p.c.) se il giudice dell' opposizione a decreto ingiuntivo - giudizio di cognizione proposto non solo per accertare l'esistenza delle condizioni per l'emissione dell' ingiunzione, ma anche per esaminare la fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi, offerti dal medesimo e contrastati dall'ingiunto - revoca il provvedimento monitorio ed emette una sentenza di condanna di questi per somma anche minore rispetto a quella ingiunta, dovendosi ritenere che nella originaria domanda di pagamento di un credito, contenuta nel ricorso per ingiunzione, e nella domanda di rigetto dell'opposizione (o dell'appello dell'opponente) sia ricompresa quella subordinata di accoglimento della pretesa per un importo minore.

Cass. civ. n. 1701/2009

Il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito. Pertanto la sentenza che si assuma avere erroneamente rigettato l'eccezione di inammissibilità dell'appello non è censurabile in sede di legittimità per violazione dell'art. 112 c.p.c..

Cass. civ. n. 23670/2008

L'effettiva titolarità passiva del rapporto giuridico controverso, poiché attiene al merito della controversia, rientra nel potere dispositivo e nell'onere deduttivo e probatorio della parte interessata. Il suo difetto, pertanto, non può essere rilevato d'ufficio dal giudice, ma deve essere dedotto nei tempi e modi previsti per le eccezioni di parte e non può, quindi, essere sollevato per la prima volta in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 19693/2008

Il provvedimento di riunione di cause, che si adegua al principio dell'economia dei giudizi, costituisce espressione del potere ordinatorio del giudice che lo esercita incensurabilmente, e, pertanto, non è suscettibile di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari; conseguentemente, l'omessa riunione di procedimenti relativi alla stessa causa, che non risulta tra l'altro sanzionata da nullità, non può assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale può quindi configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112 c.p.c..

Cass. civ. n. 16621/2008

Il potere del giudice di rilevare d'ufficio la nullità (o l'inesistenza ) di un contratto, in base all'art. 1421 c.c., va coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., nel senso che solo se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice può rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, l'eventuale nullità dell'atto stesso, e che se, invece, la contestazione attenga direttamente alla illegittimità dell'atto, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d'ufficio, nè può esser dedotta per la prima volta in grado d'appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte. Ne consegue che è consentito al giudice d'appello, senza per questo incorrere nel vizio di ultrapetizione, rilevare la nullità (o l'inesistenza ) del contratto in base ad una ragione diversa da quella prospettata dall'appellante che sia rimasto soccombente nel primo grado del giudizio contro di lui iniziato per l'esecuzione del contratto, nascendo il potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell'azione, anteriormente alla eventuale eccezione di nullità del convenuto, anche se proposta con riconvenzionale o, successivamente, come motivo di gravame. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile, perché nuova, la domanda, formulata per la prima volta in appello, volta alla declaratoria di nullità delle clausole di un contratto di affitto di fondo rustico nella parte in cui le stesse prevedevano anche un compenso correlato al ricavato della vendita del prodotto legnoso ottenuto dal taglio periodico del bosco, mai effettuato, e aveva riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni per la mancata esecuzione dei tagli ).

Cass. civ. n. 16017/2008

Mentre l'effetto estensivo della nullità della singola clausola o del singolo patto all'intero contratto, avendo carattere eccezionale rispetto alla regola della conservazione, non può essere dichiarato d'ufficio dal giudice con la conseguenza che incombe alla parte che assuma l'estensione l'onere di provare l'interdipendenza del resto del contratto dalla clausola o dal patto inficiato da nullità, non è vero il contrario, poiché mentre nel primo caso il giudice che pronunci la nullità dell'intero contratto senza essere stato investito della relativa domanda viola il principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato, nel secondo caso egli pronuncia pur sempre nei limiti della domanda della parte, accogliendola solo parzialmente.

Cass. civ. n. 11164/2008

Quando il giudice adito con la prospettazione della idoneità di determinati fatti ad integrare la fattispecie costitutiva di una domanda di tutela del possesso ritiene che essi integrerebbero invece, astrattamente, i fatti costitutivi di una domanda diversa e, anziché limitarsi a rigettare la domanda possessoria, si considera investito della diversa domanda che i fatti prospettati sarebbero stati idonei a integrare e si dichiara incompetente sulla medesima, la decisione così assunta deve ritenersi erroneamente dichiarativa di incompetenza, poiché quella che il giudice ha considerato come qualificazione della domanda non è tale, essendo egli chiamato a decidere solo sulla domanda possessoria. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato la competenza del tribunale che, investito di una domanda possessoria, ritenendo che la medesima fosse fondata sull'esistenza di un titolo contrattuale agrario, aveva invece dichiarato la propria incompetenza per essere competente la sezione specializzata agraria ).

Cass. civ. n. 3863/2008

La domanda di accertamento del diritto del lavoratore ad essere inquadrato, anziché nella qualifica richiesta, in una qualifica diversa ed inferiore, ma pur sempre superiore alla qualifica attribuita dal datore di lavoro, può ritenersi domanda implicitamente inclusa in quella proposta, purché vi sia la corrispondente prospettazione degli elementi di fatto e, segnatamente, della declaratoria contrattuale che sorregga la qualifica intermedia. Pertanto, incorre nel vizio di omessa pronuncia il giudice di merito che abbia rigettato la domanda di inquadramento nella qualifica superiore, omettendo l'esame della domanda implicitamente proposta in relazione alla qualifica intermedia. Tale vizio deve essere specificamente denunciato in appello, potendo, il giudice di appello, pronunciare sul riconoscimento della qualifica intermedia solo ove ciò sia stato oggetto di uno specifico motivo di impugnazione ed incorrendo, invece, nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in caso di pronuncia sulla domanda non espressamente riproposta e da intendersi rinunciata ex art. 346 c.p.c.

Cass. civ. n. 2860/2008

I negozi posti in essere dal falsus procurator non sono nulli, bensì privi di efficacia e tale inefficacia non è rilevabile d'ufficio, ma solo su eccezione di parte, a sollevare la quale è legittimato soltanto lo pseudo rappresentato. Tuttavia, ove la parte, allegando la mancanza di potere rappresentativo, invochi la nullità del contratto concluso dal falsus procurator non incorre in vizio di ultrapetizione il giudice che ne dichiari la semplice inefficacia, posto che quest'ultima costituisce un minus rispetto alla nullità ed in essa può ritenersi virtualmente compresa.

Cass. civ. n. 837/2008

Poiché la giusta causa ed il giustificato motivo soggettivo di licenziamento costituiscono mere qualificazioni giuridiche, devolute al giudice, dei fatti che il datore di lavoro ha posto a base del recesso, la impugnazione della sentenza di primo grado che ha dichiarato la legittimità o illegittimità del licenziamento per sussistenza o insussistenza della giusta causa comprende la minor domanda relativa alla declaratoria della legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, ed abilita il giudice di appello a pronunciarsi in tal senso anche in mancanza di espressa richiesta della parte, senza che vi sia lesione dell'art. 112 c.p.c.

Cass. civ. n. 24655/2007

Non integra ultrapetizione, ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., la fissazione d'ufficio di un termine per l'adempimento della controprestazione nella sentenza costitutiva degli effetti del contratto non concluso, giacché, non prevedendo l'articolo 2932, secondo comma, c.c., alcun termine per essa, lo stesso deve essere necessariamente stabilito dal giudice secondo la previsione dell'articolo 1183, primo comma, c.c.

Cass. civ. n. 23909/2007

Qualora il datore di lavoro chieda l'accertamento giudiziale della legittimità del licenziamento intimato al dipendente, la sentenza che in luogo del rigetto della domanda statuisca l'illegittimità del recesso non è affetta da vizio di ultrapetizione, atteso che il richiesto accertamento implica che sia verificata anche la difesa svolta dal convenuto, con la contestazione della fondatezza della pretesa dell'attore, e la adottata declaratoria di illegittimità riflette il risultato di quella verifica.

Cass. civ. n. 23819/2007

Nella domanda di risoluzione, o comunque di cessazione, del rapporto di locazione deve ritenersi implicita quella di rilascio dell'immobile; parimenti, nella sentenza di accoglimento della domanda di cessazione della locazione deve ritenersi implicito l'ordine di rilascio dell'immobile locato.

Cass. civ. n. 21484/2007

In riferimento al principio di necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato, pur dovendosi affermare che al giudice spetta il potere di dare qualificazione giuridica alle eccezioni proposte, tuttavia tale potere trova un limite in relazione agli effetti giuridici che la parte vuole conseguire deducendo un certo fatto, nel senso che la prospettazione di parte vincola il giudice a trarre dai fatti esposti l'effetto giuridico domandato. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito la quale — in relazione ad una domanda di arretramento di una costruzione fino al limite delle distanze legali —, avendo il convenuto eccepito che la costruzione era stata legittimamente eretta molto tempo prima, aveva qualificato tale eccezione come usucapione dello ius aedificandi a distanza inferiore da quella legale; la S.C. ha rilevato che una simile eccezione è da qualificare come eccezione in senso stretto, la cui rilevabilità d'ufficio è sottratta al giudice).

Cass. civ. n. 16993/2007

In tema di contratti, la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per l'inadempimento di controparte senza doverne provare l'importanza, sicché la risoluzione del contratto per il verificarsi del fatto considerato non può essere pronunziata d'ufficio, ma solo se la parte nel cui interesse la clausola è stata inserita nel contratto dichiara di volersene avvalere.

Cass. civ. n. 15981/2007

La domanda giudiziale con cui la parte intenda far accertare la nullità di un contratto, al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un'ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo contratto dipendente da una invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicché il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità di un contratto, può pronunciarne l'annullamento, ove quest'ultimo risulti fondato sui medesimi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata la quale, nell'escludere la sussistenza della nullità del contratto individuale di lavoro stipulato tra il presidente in carica della società datrice di lavoro ed un suo dirigente, aveva però omesso di indagare se, in forza delle allegazioni in fatto su cui si fondavano le difese della società in entrambi i gradi del giudizio, potesse invece ravvisarsi una ipotesi di annullabilità del medesimo contratto per conflitto d'interessi ex art. 1394 c.c.).

Cass. civ. n. 15756/2007

Il principio dell'automatica estensione delle domande (nella specie, di risarcimento) al terzo che il convenuto abbia chiamato in causa, indicandolo come effettivo e diretto obbligato, non opera quando il terzo non abbia partecipato al giudizio in tale veste, ma sia in esso intervenuto per far affermare la propria qualità di titolare, in luogo dell'attore, del diritto da questi fatto valere a fondamento della domanda di risarcimento del danno. Incorre, pertanto, nel vizio di ultrapetizione il giudice che condanni, in questo caso, il terzo intervenuto al risarcimento del danno in solido con il convenuto.

Cass. civ. n. 15496/2007

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato come il principio del tantum devolutum quantum appellatum che importano il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto (petitum mediato) oppure di emettere una qualsiasi pronuncia su domanda nuova, non ostano a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed, in genere, all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dalle parti. Non configurano una inammissibile domanda nuova le deduzioni di parte rese in appello, ove non comportino il mutamento del fatto costitutivo oppure del fatto impeditivo, estintivo o modificativo sul quale di fonda la domanda oppure l'eccezione, ma si limitino ad invocarne a sostegno norme giuridiche diverse. (Nella specie, un ente previdenziale aveva fondato la propria pretesa contributiva su norma giuridica diversa da quella invocata nel grado precedente del giudizio, senza che la S.C. ravvisasse mutamento dei fatti dedotti in giudizio).

Cass. civ. n. 14751/2007

L'interpretazione della domanda giudiziale costituisce operazione riservata al giudice del merito, il cui giudizio, risolvendosi in un accertamento di fatto, non è censurabile in sede di legittimità quando sia motivato in maniera congrua ed adeguata, avendo riguardo all'intero contesto dell'atto, senza che ne risulti alterato il senso letterale e tenendo conto della sua formulazione letterale nonché del contenuto sostanziale, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire, senza essere condizionato al riguardo dalla formula adottata dalla parte stessa. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell'enunciato principio, ha rigettato il ricorso e confermato l'impugnata sentenza, con la quale il giudice del merito aveva interpretato la domanda contenuta nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado come diretta a conseguire il risarcimento dei soli danni all'immagine dell'azienda con sviamento della clientela in conseguenza della condotta molestatrice del convenuto proprietario del locale e denunziata anche con querela in sede penale, indicando puntualmente e analiticamente le ragioni in virtù delle quali era pervenuto a tale qualificazione).

Cass. civ. n. 14581/2007

Le eccezioni in senso lato, ovvero rilevabili anche d'ufficio, qualora coinvolgano un interesse pubblico in campo processuale (quali le eccezioni di giudicato) possono essere rilevate addirittura in ogni stato e grado del processo, ma se sono relative ad un diritto di carattere sostanziale il cui esercizio in campo processuale non incide in alcun modo su interessi pubblici, quand'anche siano qualificabili come eccezioni in senso lato, hanno una rilevabilità condizionata al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio. Ne consegue che (fatti salvi casi particolari) è vietato al giudice porre alla base della propria decisione fatti che non rispondano ad una tempestiva allegazione delle parti, ovvero il giudice non può basare la propria decisione su un fatto, ritenuto estintivo, modificativo o impeditivo, che non sia mai stato dedotto o allegato dalla parte o comunque non sia risultante dagli atti di causa, e che tale allegazione non solo è necessaria ma deve essere tempestiva, ovvero deve avvenire al massimo entro il termine ultimo entro il quale nel processo di primo grado si determina definitivamente il thema decidendum ed il thema probandum ovvero entro il termine perentorio eventualmente fissato dal giudice ex art. 183, quinto comma, c.p.c. (Principio affermato dalla S.C. in relazione ad eccezione concernente l'entità del massimale assicurativo ed a questione di tardività della medesima).

Cass. civ. n. 13705/2007

Il vizio di omessa pronunzia non rientra fra quelli che determinano la regressione del processo dallo stadio di appello a quello precedente, ma comporta la necessità, per il giudice d'appello che dichiari il vizio, di porvi rimedio, trattenendo la causa e decidendola nel merito. Ne consegue che l'appellante ha l'onere non solo di denunciare e documentare l'esistenza del vizio che inficia la sentenza appellata, ma di indicare, altresì, le ragioni poste a fondamento della domanda non esaminata nel merito, risolvendosi altrimenti la sola prospettazione del vizio di rito in una causa di inammissibilità del gravame, non sussistendo le condizioni per emettere una pronuncia sulla domanda trascurata dal giudice di primo grado.

Cass. civ. n. 12402/2007

Al giudice compete soltanto il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti, il nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il giudice stesso può interpretare il titolo su cui si fonda la controversia e anche applicare una norma di legge diversa da quella invocata dalla parte interessata, ma, onde evitare di incorrere nel vizio di ultrapetizione, deve lasciare inalterati sia il petitum che la causa petendi senza attribuire un bene diverso da quello domandato e senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto. (In applicazione di questi principi, la Corte ha escluso che potesse qualificarsi come istanza di riduzione per lesione di legittima una domanda qualificata dalla parte come petizione di eredità e, in secondo grado, come rivendicazione, per il difetto, anche nelle deduzioni dell'attrice, dei presupposti essenziali di questa domanda, e cioè l'esistenza di una disposizione testamentaria o di una donazione e l'allegazione che, a causa di esse, il legittimario aveva subito una riduzione della sua quota di legittima spettantegli per legge).

Cass. civ. n. 12084/2007

La mancata statuizione — nel dispositivo della sentenza — in ordine ad un determinato capo della domanda configura il vizio di omessa pronuncia riguardo a quel capo, denunciabile ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., non potendo la esistenza della relativa decisione desumersi da affermazioni contenute nella sola motivazione.

Cass. civ. n. 12075/2007

La risoluzione consensuale del contratto non costituisce materia di eccezione in senso stretto, ma è un fatto estintivo dei diritti nascenti dal contratto, che può essere accertato anche d'ufficio dal giudice. (Nella specie, essendo stato accertato il fatto estintivo dell'avvenuta risoluzione del contratto, il giudice ha ritenuto di non poter accogliere la domanda risarcitoria di una delle parti in quanto l'accordo sulla risoluzione del contratto aveva tolto ogni efficacia al fatto costitutivo del diritto al risarcimento).

Cass. civ. n. 11843/2007

L'eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, e cioè l'inerzia del titolare, a nulla rilevando che chi la invochi abbia erroneamente individuato il termine applicabile, ovvero il momento iniziale o finale di esso: queste ultime infatti sono questioni di diritto, sulle quali il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte.

Cass. civ. n. 11837/2007

È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., nella parte in cui consente il rilievo d'ufficio della questione attinente alla legittimazione ad agire in ogni stato e grado del processo; infatti, la legitimatio ad causam non attiene al merito della causa ma alla regolare instaurazione del contraddittorio, la cui sussistenza può essere accertata dal giudice, sulla base della prospettazione offerta dall'attore, sino alla conclusione del processo, col solo limite del giudicato interno, e senza necessità d'impulso delle parti, senza che ciò arrechi un vulnus al diritto di difesa delle stesse.

Cass. civ. n. 11460/2007

Qualora l'attore abbia richiesto la condanna del convenuto al pagamento di una determinata somma a titolo di differenze non corrisposte di canoni di locazione, il giudice del merito non può emanare una condanna generica e rimettere la liquidazione eventuale del credito medesimo al calcolo affidato alle stesse parti in base a criteri parametrici neppure indicati, ma, nel rispetto del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, deve determinare il credito in base agli elementi acquisiti al processo, oppure rigettare la domanda per difetto di prova.

Cass. civ. n. 11108/2007

Posto, in generale, il principio secondo cui tutte le ragioni che possono condurre al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d'ufficio, in base alle risultanze rite et recte acquisite al processo, nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole processuali, con l'effetto che la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza del titolo — che rappresenta la funzione propria della sua giurisdizione — deve essere compiuta, di norma, ex officio in ogni stato e grado del processo, nell'ambito proprio di ognuna delle sue fasi, si deve affermare che detto principio trova il suo principale limite — in relazione al disposto dell'art. 112 c.p.c. — nell'inammissibilità della pronuncia d'ufficio sulle eccezioni, perciò denominate «proprie» e specificamente previste normativamente, che possono essere proposte soltanto dalle parti, ricadendo, in virtù di una scelta proveniente dalla legge sostanziale e giustificatesi in ragione della tutela di particolari interessi di merito, nella sola loro disponibilità, ed esse si identificano, nel processo del lavoro, con quelle richiamate negli artt. 416, comma secondo, e 437, comma secondo, c.p.c., rispettivamente per il giudizio di primo grado e per quello di appello. Peraltro, tale limitazione si estende anche a quelle ipotesi di eccezioni in cui l'iniziativa necessaria della parte, a prescindere dall'espressa previsione di legge, è richiesta «strutturalmente» perché il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio, come si verifica con riguardo a tipiche azioni costitutive, nelle quali la scelta del debitore di eccepire o meno il fatto o la situazione giuridica impeditiva o estintiva discende dalla tutela di un interesse di merito dello stesso debitore di adempiere comunque alla pretesa attorea. Alla luce di ciò può asserirsi che non rientra nel novero delle eccezioni che sfuggono al rilievo d'ufficio quella inerente (come nella specie), nelle controversie di lavoro, alla deduzione di inapplicabilità della clausola contrattuale dedotta dal lavoratore, per la cui proposizione, quindi, non si prospetta configurabile la decadenza stabilita dai richiamati artt. 416 e 437 del codice di rito.

Cass. civ. n. 10825/2007

Nelle obbligazioni di valore, quale quella di risarcimento del danno determinato da un fatto illecito, gli interessi per il ritardo nel pagamento della somma dovuta costituiscono una componente implicita nella domanda risarcitoria e, come tali, non solo spettano di pieno diritto al danneggiato, anche in assenza di un'espressa richiesta, ma sono dovuti anche in mancanza di una prova rigorosa del mancato guadagno, potendo tale prova essere offerta dalla parte e riconosciuta dal giudice ricorrendo a criteri presuntivi ed equitativi, previa valutazione delle circostanze attinenti al caso specifico. (Nella fattispecie, relativa al risarcimento per le lesioni gravi riportate a causa di un incidente stradale, la S.C. ha escluso l'errore della corte di merito per avere questa liquidato, in favore della danneggiata, in mancanza di allegazione e prova, gli interessi per il ritardato pagamento del danno biologico e morale).

Cass. civ. n. 6945/2007

Il principio della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione, implica unicamente il divieto, per il giudice, di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda, ma non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti di causa autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti. Tale principio deve quindi ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell'ambito del petitum rilevi d'ufficio un'eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall'attore, può essere sollevata soltanto dall'interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda. (Nella fattispecie. la S.C. ha ritenuto che fosse incorsa nel vizio di ultrapetizione la corte di merito che - senza impugnazione sul punto - aveva corretto il metodo equitativo, utilizzato dal primo giudice, per la quantificazione del danno biologico, rideterminato sulla base dei parametri indicati nelle tabelle elaborate dal tribunale competente, «personalizzate» in relazione al caso concreto).

Cass. civ. n. 6361/2007

Perché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un'eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall'altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l'una o l'altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primis la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del «fatto processuale» detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all'adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi.

Cass. civ. n. 5278/2007

Qualora la parte abbia richiesto gli interessi secondo il tasso bancario o comunque superiore, non è viziata da extrapetizione la pronuncia del giudice che li abbia liquidati nella misura legale, essendo una tale richiesta implicitamente contenuta in quella più ampia di pagamento degli interessi secondo un tasso più elevato.

Cass. civ. n. 4804/2007

L'eccezione di rinuncia alla prescrizione non integra un'eccezione in senso proprio e, pertanto, può essere presa in esame dal giudice, anche d'ufficio, senza bisogno di un'apposita iniziativa della parte interessata, purché i fatti sui quali essa si fonda, anche se non allegati dalle parti, siano stati ritualmente acquisiti al processo.

Cass. civ. n. 2746/2007

In tema di ultrapetizione o extrapetizione, va distinta l'ipotesi in cui, in corso di causa, la parte deduca a fondamento della domanda fatti nuovi e diversi da quelli in precedenza dedotti — introducendo così nuovi temi di indagine — dall'ipotesi in cui, rimanendo inalterati i fatti dedotti, essa ne dia una diversa qualificazione giuridica, verificandosi nella prima ipotesi un mutamento della domanda e nella seconda un semplice mutamento della qualificazione giuridica. Ne consegue che non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che — fermi restando i fatti posti a fondamento della domanda di risarcimento dei danni —, ritenga una fattispecie di responsabilità di tipo extracontrattuale, pur avendone la parte dedotto il diverso titolo contrattuale, limitandosi in tal caso soltanto a dare una diversa qualificazione giuridica della domanda, senza mutamento dei fatti sui quali si fonda.

Cass. civ. n. 1087/2007

Soltanto gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento da atto illecito, costituendo una componente del risarcimento del danno, possono essere attribuiti anche in assenza di espressa domanda della parte creditrice, mentre, in tutti gli altri casi, gli interessi, avendo un fondamento autonomo e integrando obbligazioni distinte rispetto a quelle principali, attinenti alle somme alle quali si aggiungono, possono essere riconosciuti solo su espressa domanda degli aventi diritto. (Principio affermato dalla S.C. in relazione a procedimento avente ad oggetto la domanda, nei confronti di un altro proprietario, di rimborso pro quota delle spese di appalto cui il comproprietario dell'immobile era stato condannato in precedente giudizio).

Cass. civ. n. 24495/2006

La interpretazione della domanda, in base alla quale il giudice del merito ritenga in essa compresi o meno alcuni aspetti della controversia, spetta allo stesso giudice, ed attiene al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte. Ne consegue che un eventuale errore al riguardo può concretizzare solo una carenza nella interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sub specie di vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Nella fattispecie, relativa ad una causa di separazione personale tra coniugi, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione della Corte di merito che, sulla base della puntualizzazione, testualmente operata dall'appellante in sede di precisazione delle conclusioni — e confermata dall'atteggiamento conciliativo tenuto dalle parti in detta occasione —, secondo cui le domande «in particolare» attenevano alla mera pronuncia della separazione, all'affidamento della figlia ed al pagamento dell'assegno di mantenimento, aveva escluso, ai fini della individuazione del petitum ogni rilievo, ritenendolo generico, del richiamo alle domande contenute nell'atto introduttivo ed agli ulteriori verbali).

Cass. civ. n. 21745/2006

Il vizio di extrapetizione o di ultrapetizione ricorre solo quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti del petitum e delle eccezioni hinc ed inde dedotte, ovvero su questioni che non siano state sollevate e che non siano rilevabili d'ufficio, attribuisca alla parte un bene non richiesto, e cioè non compreso nemmeno implicitamente o virtualmente nella domanda proposta. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso qualora il giudice, contenendo la propria decisione entro i limiti delle pretese avanzate o delle eccezioni proposte dalle parti, e riferendosi ai fatti da esse dedotti, abbia fondato la decisione stessa sulla valutazione unitaria delle risultanze processuali, pur se in base ad argomentazioni o considerazioni non prospettate dalle parti medesime.

Cass. civ. n. 17442/2006

Non si ha omessa pronuncia qualora la sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro, emessa in primo grado, sia impugnata solo in relazione all'ammontare del debito, e tale ammontare sia diversamente rideterminato dalla sentenza di appello in una somma maggiore o minore senza contenere anche la pronuncia di condanna del debitore al pagamento. In questo caso, infatti, le due sentenze si integrano l'una con l'altra, dovendo complessivamente essere intese come sentenza di condanna al pagamento della maggior somma liquidata dal giudice di secondo grado.

Cass. civ. n. 16961/2006

Nel caso di contratto sottoposto a condizione sospensiva, qualora una parte, deducendo che la condizione deve considerarsi avverata — ai sensi dell'art. 1359 c.c. — per essere mancata per causa imputabile all'altro contraente, agisca in giudizio chiedendo la condanna di quest'ultimo all'adempimento della prestazione pattuita, incorre in vizio di extrapetizione la sentenza del giudice di merito che, previa affermazione dell'inadempimento del convenuto agli obblighi imposti dal contratto, lo condanni al risarcimento dei danni, sia o meno tale indadempimento collegato alla inosservanza del dovere delle parti — ax art. 1358 c.c. — di comportarsi secondo buona fede durante la pendenza della condizione.

Cass. civ. n. 13459/2006

In tema di simulazione, atteso il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il giudice non può ritenere la simulazione se nessuna delle parti ne alleghi l'esistenza, incorrendo altrimenti nella violazione dell'art. 112 c.p.c. Tale principio dev'essere coordinato con gli ulteriori limiti stabiliti dalla legge processuale, per effetto dei quali la simulazione, che può essere fatta valere sia in via di azione che di eccezione, nel primo caso dev'essere proposta nel giudizio di primo grado, a pena d'inammissibilità rilevabile anche d'ufficio, mentre nel secondo caso può essere riproposta anche nel giudizio di appello.

Cass. civ. n. 11756/2006

l vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d'appello è configurabile allorché manchi completamente l'esame di una censura mossa al giudice di primo grado; la violazione non ricorre nel caso in cui il giudice d'appello fondi la decisione su un argomento che totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga l'accoglimento o il rigetto. Infatti nel primo caso l'esame della censura è inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata.

Cass. civ. n. 11039/2006

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) — come il principio del tantum devolutum quantum appellatum (artt. 434 e 437 c.p.c.) — non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti, autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed, in genere, all'applicazione di una norma giuridica, diversa da quella invocata dall'istante, ma implica tuttavia il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita — diverso da quello richiesto (petitum mediato) — oppure di emettere qualsiasi pronuncia — su domanda nuova, quanto a causa petendi — che non si fondi, cioè, sui fatti ritualmente dedotti o, comunque, acquisiti al processo — anche se ricostruiti o giuridicamente qualificati dal giudice in modo diverso rispetto alle prospettazioni di parte — ma su elementi di fatto, che non siano, invece, ritualmente acquisiti come oggetto del contraddittorio. Coerentemente, il principio — secondo cui l'interpretazione di qualsiasi domanda, eccezione o deduzione di parte dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito — non trova applicazione quando si assuma che l'accertamento del giudice di merito, appunto, abbia determinato un vizio — che sia riconducibile alla violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato oppure dell'effetto devolutivo dell'appello — trattandosi, in tale caso, della denuncia di un error in procedendo, in relazione al quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali.

Cass. civ. n. 8953/2006

L'interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata — ed era compresa nel thema decidendum tale statuizione, ancorchè erronea, non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea. In tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo ma attiene al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nell'interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione. (Nella specie, relativa ad azione di risarcimento del danno per diffamazione a mezzo stampa, la S.C. ha escluso il vizio di ultrapetizione e confermato la decisione della corte territoriale che, con articolata ed adeguata motivazione, aveva ritenuto che a sostegno della domanda era stata allegata anche la presentazione complessiva della notizia).

Cass. civ. n. 7247/2006

In tema di responsabilità civile obbligatoria derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, nella fattispecie disciplinata dagli artt. 19 e 21 della legge n. 990 del 1969, il diritto del danneggiato al risarcimento nasce, per volontà di legge, limitato, con la conseguenza che il relativo limite del massimale, entro il quale è tenuta la compagnia designata, non rappresentando un mero elemento impeditivo od estintivo, ma valendo per l'appunto a configurare ed a delimitare normativamente il suddetto diritto, è rilevabile, anche d'ufficio, dal giudice e deve essere riferito alla tabella vigente al momento in cui il danno si è verificato.

Cass. civ. n. 5444/2006

La differenza fra l'omessa pronuncia di cui all'art. 112 c.p.c. e l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui al n. 5 dell'art. 360 c.p.c. si coglie, infatti, nel senso che nella prima l'omesso esame concerne direttamente una domanda od un'eccezione introdotta in causa (e, quindi, nel caso del motivo d'appello uno dei fatti costituitivi della «domanda» di appello), mentre nel caso dell'omessa motivazione l'attività di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o l'eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un'eccezione e, quindi su uno dei fatti Cosiddetto principali della controversia.

Cass. civ. n. 5246/2006

Il dovere del giudice di pronunciare su tutta la domanda, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., va riferito appunto alla domanda, e dunque all'istanza con la quale la parte chiede l'emissione di un provvedimento giurisdizionale in ordine al diritto sostanziale dedotto in giudizio, sicchè non è configurabile un vizio di infrapetizione per l'omessa adozione da parte del giudice di un provvedimento di carattere ordinatorio (nella specie, la sospensione necessaria del giudizio, ai sensi dell'art. 295 c.p.c.).

Cass. civ. n. 4925/2006

In tema di danni, il risarcimento per equivalente costituisce un minus rispetto al risarcimento in forma specifica. Pertanto, qualora il danneggiato abbia domandato solo il risarcimento in quest'ultima forma, ai sensi del secondo comma dell'articolo 2058 c.c., per il quale può disporsi il risarcimento per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore, — disposizione che è applicabile anche in caso di responsabilità contrattuale —, il giudice può condannare d'ufficio al risarcimento per equivalente senza incorrere nella violazione dell'articolo 112 c.p.c.

Cass. civ. n. 4828/2006

Quando l'attore, con l'atto introduttivo del giudizio, rivendichi, per lo stesso titolo, l'attribuzione di una somma determinata, ovvero dell'importo, non quantificato, eventualmente maggiore, che sarà accertato all'esito del giudizio, non incorre in ultrapetizione il giudice che condanni il convenuto al pagamento di una somma maggiore di quella risultante dalla formale quantificazione inizialmente operata dall'istante, ma acclarata come a quest'ultimo spettante in base alle emergenze acquisite nel corso del processo.

Cass. civ. n. 4598/2006

Ai fini della identificazione della causa petendi posta dalla parte a base della domanda non rilevano tanto le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l'insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta, sicché è compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa. Ne consegue che la enunciazione formulata dalla parte delle ragioni di diritto su cui la sua pretesa si fonda può valere a circoscrivere la cognizione del giudice solo nella misura in cui essa stia a significare che la parte medesima ha inteso trarre dai fatti esposti soltanto quelle e non altre conseguenze giuridiche. (Nella specie è stata cassata, perché affetta da extrapetizione, la sentenza che, nell'accogliere la domanda subordinata di risarcimento del danno lamentato dall'attrice in conseguenza della costruzione realizzata in violazione delle distanze prescritte dall'art. 873 c.c., dedotta a fondamento dell'azione, aveva individuato il pregiudizio nella diminuzione di panoramicità e di amenità-derivante dallo stesso manufatto — che, non essendo stata mai prospettata in giudizio, esulava dal thema decidendum).

Cass. civ. n. 4206/2006

La parte che deduce il contrasto di una norma legge statale con la disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato ha l'onere di allegare e provare gli elementi di fatto necessari a dimostrare la ricorrenza nel caso concreto di un aiuto di Stato, essendo escluso che il giudice di merito debba accertare d'ufficio l'esistenza di tali elementi al fine dell'eventuale disapplicazione della norma in questione. Ne consegue che qualora l'incompatibilità comunitaria dell'azione revocatoria esercitata nell'ambito della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, di cui al D.L. 30 gennaio 1979, n. 26, convertito in legge 3 aprile 1979, n. 95 (applicabile ratione temporis), non venga dedotta in astratto, ma in relazione ad un fatto specifico — quale, nella specie, l'essere stata detta azione promossa in pendenza della fase conservativa della procedura e prima dell'inizio della fase liquidatoria — il giudice non può conoscere dell'eccezione se non sono allegati e provati i fatti su cui essa si fonda, mentre il potere di allegazione della parte interessata va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile, soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze. (Sulla base dell'enunciato principio, la S.C. ha ritenuto quindi tardiva, ai sensi del combinato disposto degli artt. 183 e 345 c.p.c., l'eccezione «comunitaria» proposta dal convenuto in revocatoria soltanto nella comparsa conclusionale in primo grado e quindi rinnovata con l'atto di appello).

Cass. civ. n. 4184/2006

Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, anche senza una specifica domanda della parte, le attribuisca il risarcimento dei danni non patrimoniali di cui essa risulti aver sofferto in conseguenza del fatto illecito costituente reato posto a fondamento della sua domanda di risarcimento di danni, la quale — salva espressa specificazione — deve ritenersi comprensiva di tutti i danni e, quindi, anche di quelli morali.

Cass. civ. n. 2468/2006

L'eccezione di interruzione della prescrizione integra un'eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d'ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, con l'effetto che tale definizione della suddetta eccezione, pur comportando conseguenze in ordine alla rilevabilità ex officio e alla diversa configurabilità dell'onere di proposizione, non determina, tuttavia, la facoltà di produrre per la prima volta in appello il documento attestante l'avvenuta interruzione, ove una qualche prova in merito non sia stata acquisita né il fatto interruttivo sia stato allegato in primo grado. (Nella specie, la S.C., enunciando il riportato principio, ha respinto il ricorso, rilevando che, correttamente, con la sentenza di appello era stata ritenuta la tardività dell'eccezione di interruzione della prescrizione in ordine all'esercizio del diritto ad ottenere dall'Inps la rivalutazione e gli interessi sui ratei di pensione corrisposti al ricorrente in ritardo, siccome formulata solo con l'atto di appello, ravvisandosi, nel contempo, l'inammissibilità della produzione in sede di discussione nel giudizio di appello di altra documentazione attestante l'avvenuta interruzione).

Cass. civ. n. 421/2006

Nell'ambito delle eccezioni in senso stretto — sottratte al rilievo officioso — rientrano unicamente quelle per le quali la legge richiede espressamente che sia soltanto la parte a rilevare i fatti impeditivi, estintivi o modificativi, oltre quelle che corrispondono alla titolarità di un'azione costitutiva. Tutte le altre ragioni, invece, che possono portare al rigetto della domanda per difetto delle sue condizioni di fondatezza, o per la successiva caducazione del diritto con essa fatto valere, possono essere rilevate anche d'ufficio, come nel caso del fatto estintivo sopravvenuto che emerga dalle risultanze processuali ritualmente acquisite. (Nella specie, la S.C., sulla scorta del suddetto principio, ha confermato la sentenza di appello con la quale era stata esclusa l'assoggettabilità al regime processuale delle eccezioni in senso stretto — e perciò, ritenuta la sua rilevabilità d'ufficio — della sopravvenuta transazione novativa tra le parti).

Cass. civ. n. 18128/2005

In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 c.c. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio per ricondurre l'autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare meritevole di tutela, e ciò sia con riferimento alla penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione avvenga perché l'obbligazione principale è stata in parte eseguita, giacché in quest'ultimo caso la mancata previsione da parte dei contraenti di una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell'obbligazione si traduce comunque in una eccessività della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.

Cass. civ. n. 10922/2005

In tema d'interpretazione della domanda, il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione dando al rapporto dedotto in giudizio il nomen iuris anche in difformità rispetto alla prospettazione formulata dalle parti, purché lasci inalterati il petitum e la causa petendi azionati e, quindi, non attribuisca un bene diverso da quello domandato e non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto; pertanto, incorre nel vizio d'extrapetizione la decisione che, in presenza di una domanda di risoluzione per vizi della cosa venduta, accolga la domanda, ritenendo la cosa - sulla base dell'esame di corrispondenza intercorsa fra le parti - priva delle qualità pattuite per l'uso al quale la stessa era destinata, poiché, a differenza della garanzia per vizi - che ha la finalità di assicurare l'equilibrio contrattuale in attuazione del sinallagma funzionale indipendentemente dalla colpa del venditore - l'azione di cui all'art. 1497 c.c., rientrando in quella disciplinata in via generale dall'art. 1453 c.c., postula che l'inadempimento posto a base della domanda di risoluzione e/o di risarcimento del danno sia imputabile a colpa dell'alienante ed abbia non scarsa importanza, tenuto conto dell'interesse della parte non inadempiente; inoltre, poiché nell'ipotesi di mancanza delle qualità pattuite o promesse assume rilievo decisivo il ruolo della volontà negoziale, l'indagine che il giudice deve compiere ha necessariamente ad oggetto un elemento fattuale diverso ed estraneo rispetto alla fattispecie relativa alla presenza di un vizio o difetto che rendono la cosa venduta inidonea all'uso al quale la stessa è «normalmente» destinata. (Nella specie la sentenza impugnata, nell'accogliere la domanda di risoluzione della vendita di un impianto telefonico intercomunicante nello stabilimento industriale dell'acquirente perché privo della segretezza interna delle comunicazioni, aveva ritenuto che tale requisito non configurasse un vizio dell'apparecchiatura, come dedotto dall'attrice a fondamento dell'azione, ma rientrasse fra le qualità essenziali pattuite dai contraenti in relazione alla specifica destinazione d'uso dell'impianto).

Cass. civ. n. 3388/2005

Poichè il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: il che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte ovvero quando egli pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all'attività svolta dal giudice per supportare l'adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio. Pertanto, non integra il vizio di omessa pronuncia la mancata confutazione, da parte del giudice che rigetta l'opposizione ad ordinanza — ingiunzione, dell'argomentazione svolta in uno dei motivi di opposizione, considerato, appunto, che il vizio di omessa pronuncia è escluso dalla pronuncia sull'accertamento della pretesa punitiva fatta valere dall'amministrazione nei confronti del destinatario dell'ordinanza — ingiunzione, detto accertamento rappresentando l'oggetto del giudizio di opposizione ad ordinanza — ingiunzione. Escluso il vizio di omessa pronuncia, il mancato esame di un motivo, da parte del giudice dell'opposizione, giustifica, peraltro, l'annullamento, da parte della Suprema Corte, della sentenza impugnata a condizione che le questioni di fatto, proposte con il motivo non esaminato, siano decisive ai fini dell'accertamento dei fatti sui quali si fonda la pretesa punitiva dell'amministraizone ovvero che, trattandosi di questioni in diritto, le stesse non siano infondate: nel primo caso dovendo essere denunciato un vizio di motivazione, nel secondo un vizio di violazione di legge. Tuttavia, quando il motivo non esaminato dal giudice dell'opposizione propone infondate questioni di diritto, lo iato esistente tra pronuncia di rigetto e mancato esame del motivo per cui l'annullamento è stato domandato deve essere colmato dalla Corte di Cassazione attraverso l'impiego del potere di correzione della motivazione (art. 384, secondo comma, c.p.c.), integrando la decisione di rigetto pronunciata dal giudice dell'opposizione mediante l'enunciazione delle ragioni che la giustificano in diritto, senza necessità di rimettere al giudice di rinvio il compito di dichiarare infondato in diritto il motivo non esaminato.

Cass. civ. n. 564/2005

In tema di risarcimento del danno, l'art. 1227 c.c., nel disciplinare il concorso di colpa del creditore nella responsabilità contrattuale, applicabile per l'espresso richiamo di cui all'art. 2056 c.c. anche alla responsabilità extracontrattuale, distingue l'ipotesi in cui il fatto colposo del creditore o del danneggiato abbia concorso al verificarsi del danno (comma primo), da quella in cui il comportamento dei medesimi ne abbia prodotto soltanto un aggravamento senza contribuire alla sua causazione (secondo comma); Solo la situazione contemplata nel secondo comma costituisce oggetto di una eccezione in senso stretto, nel primo caso, invece, il giudice di merito deve d'ufficio verificare, sulla base delle prove acquisite, se il danneggiato abbia o meno concorso a determinare il danno; al riguardo — una volta che il danneggiato abbia offerto la prova del danno e della sua derivazione causale dall'illecito — costituisce onere probatorio del danneggiante dimostrare che il danno sia stato prodotto, pur se in parte, anche dal comportamento del danneggiato (art. 1227 c.c., primo comma) ovvero che il danno sia stato ulteriormente aggravato da quest'ultimo (art. 1227 c.c., secondo comma).

Cass. civ. n. 23694/2004

Non sussiste la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato se il giudice, adito con intimazione di sfratto per finita locazione, mutato il rito per l'opposizione dell'intimato (art. 667 c.p.c.), accoglie la domanda per finita locazione, dichiarando finita la locazione dopo l'instaurazione del giudizio perché la diversità tra le due fattispecie previste dall'art. 657 c.p.c. — intimazione di licenza per finita locazione, se il contratto non è ancora scaduto; di sfratto se è già scaduto — rileva soltanto se l'intimato non compare, o comparendo non si oppone (art. 663 c.p.c.), mentre se questi si oppone non si può più procedere alla convalida e si instaura un giudizio ordinario volto ad accertare se è fondata la domanda di rilascio, contenuta nell'istanza di intimazione.

Cass. civ. n. 19274/2004

Qualora il giudice di primo grado, nel decidere sulla domanda riconosca all'attore un diritto diverso da quello del quale egli ha chiesto il riconoscimento e l'attore impugni la decisione deducendo l'errore compiuto dal primo giudice, senza che a sua volta il convenuto la impugni, correttamente il giudice d'appello procede all'annullamento della decisione di primo grado e, quindi, all'esame della domanda relativamente al diritto che ne è oggetto, accertandone l'infondatezza e rigettandola, atteso che il giudice d'appello, quando, come nella specie, accerti un vizio di extrapetizione in cui è incorso il giudice di primo grado per avere deciso su una domanda diversa da quella effettivamente proposta, deve, una volta annullata la decisione di primo grado, senz'altro decidere su quella domanda. Ne consegue che è infondato il motivo di ricorso per cassazione con il quale l'attore appellante lamenti che il giudice d'appello, nel decidere sulla domanda effettivamente proposta, abbia violato i limiti di quanto devolutogli (principio affermato dalla Suprema Corte in un caso in cui il primo giudice aveva riconosciuto l'assegno di invalidità là dove era stata richiesta la pensione di inabilità).

Cass. civ. n. 18653/2004

Ai fini di una corretta interpretazione della domanda, il giudice di primo grado è tenuto ad interpretare le conclusioni contenute nell'atto di citazione, alle quali si è riportato l'attore in sede di precisazione delle conclusioni, tenendo conto della volontà della parte quale emergente non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nella citazione, ma anche dall'intero complesso dell'atto che le contiene, considerando la sostanza della pretesa, così come è stata costantemente percepita dalle parti nel corso del giudizio di primo grado, tenendo conto non solo delle deduzioni e delle conclusioni inizialmente tratte nell'atto introduttivo, ma anche della condotta processuale delle parti, nonché delle precisazioni e specificazioni intervenute in corso di causa.

Cass. civ. n. 18068/2004

Nell'interpretazione della domanda occorre tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile, oltre che dal tenore delle deduzioni svolte nell'atto introduttivo e nei successivi scritti difensivi, anche dallo scopo cui la parte mira con la sua richiesta e tenuto conto altresì delle eventuali modifiche e trasformazioni che la domanda ha subito nel corso del giudizio. Ne consegue, fra l'altro, che la pur generica formulazione della domanda introduttiva di accertamento dell'indennità di espropriazione (e delle conclusioni che ad essa domanda si riportano), si presta comunque ad una interpretazione lata del petitum nel senso di comprendervi la determinazione dell'indennità di occupazione; ciò anche in ragione del fatto che la richiesta degli interessi sull'indennità di espropriazione, a decorrere dall'occupazione, altro non rappresenta che il criterio di liquidazione dell'indennità occupatoria.

Cass. civ. n. 17610/2004

Al giudice compete soltanto il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti, il nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il giudice stesso può interpretare il titolo su cui si fonda la controversia ed anche applicare una norma di legge diversa da quella invocata dalla parte interessata, ma, onde evitare di incorrere nel vizio di ultrapetizione, deve lasciare inalterati sia il petitum che la causa petendi senza attribuire un bene diverso da quello domandato e senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto.

Cass. civ. n. 16501/2004

Rientrano tra le eccezioni in senso stretto soltanto quelle come tali espressamente definite dalla legge, nonché quelle corrispondenti all'esercizio di un diritto potestativo. Ne consegue che qualora si versi al di fuori di tale nozione (come nella specie, relativa all'attribuzione ad un contratto di effetto novativo su un precedente rapporto obbligatorio) i fatti ritualmente acquisiti alla causa possono essere utilizzati dal giudice anche in assenza di formali difese che li assumano a fondamento.

Cass. civ. n. 16033/2004

Non è configurabile il vizio di omessa pronuncia in relazione ad una domanda che il giudice di appello non sia tenuto a prendere in esame in quanto proposta in violazione del divieto di nuove domande, sancito dagli artt. 345, comma primo, e 437, comma secondo, c.p.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, censurata per omessa pronuncia in relazione alla asseritamene dedotta domanda di nullità del contratto di formazione lavoro, rilevando che gli elementi di fatto che avrebbero dovuto portare all'accertamento della nullità non erano stati introdotti nel giudizio, con conseguente preclusione della possibilità di rilevare la nullità d'ufficio in sede di legittimità).

Cass. civ. n. 13824/2004

Il difetto di trascrizione della domanda diretta a dar dichiarare la nullità di un atto, soggetto a trascrizione, nel termine di decadenza di cinque anni previsto dall'art. 2652, deve essere dedotto dalla parte interessata a farlo valere in proprio favore, e non può essere rilevato di ufficio, senza che in contrario, possa ritenersi che i diritti derivanti dalla trascrizione sono indisponibili per il fatto che la pubblicità è presupposto di certezza per una serie indefinita di posizioni giuridiche, atteso che essi restano pur sempre nell'ambito patrimoniale e privatistico e la tutela, che la trascrizione assicura, riguarda non posizioni di interesse generale, ma quelle del primo acquirente e dei successivi aventi causa, ai quali resta dunque attribuito l'onere di far valere eventuali omissioni o ritardi delle relative formalità.

Cass. civ. n. 13740/2004

La domanda intesa al riconoscimento di una qualifica professionale superiore include implicitamente quella di riconoscimento delle qualifiche che, ancorché inferiori a quella richiesta, siano, nell'ambito del medesimo genere di mansioni, pur sempre superiori a quella attribuita al lavoratore dal datore di lavoro.

Cass. civ. n. 13014/2004

Incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice di appello che esamini una questione non espressamente prospettata nei motivi d'appello, che non possa ritenersi tacitamente proposta, non essendo in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate e non costituendone neppure l'antecedente logico-giuridico. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, che aveva escluso dal computo dello straordinario dovuto a un dipendente delle Ferrovie dello Stato la voce prevista dall'art. 81 della legge n. 34 del 1970, in quanto essa prevedeva speciali emolumenti per prestazioni lavorative particolarmente gravose o disagiate, benché l'inclusione operata dal giudice di primo grado non fosse stata contestata con i motivi di appello).

Cass. civ. n. 12174/2004

In tema di obbligazioni solidali passive, per le quali costituisce regola fondamentale che tutti i debitori siano tenuti ad un medesima prestazione in modo che l'adempimento di uno libera tutti i coobbligati (art. 1292 c.c.), l'avvenuto pagamento determina l'estinzione ipso iure del debito anche nei confronti di tutti gli altri coobbligati, e tale effetto estintivo, rilevabile e deducibile anche in sede di legittimità — atteso che l'eccezione di pagamento integra una mera difesa della quale il giudice deve tenere conto ove essa risulti comunque provata, anche in mancanza di un'espressa richiesta in tal senso — opera anche nei confronti di altro coobbligato che non si sia avvalso della facoltà di invocare, in altro giudizio di merito, l'estensione ex art. 1306 c.c. del giudicato già conseguito dall'altro coobbligato.

Cass. civ. n. 11639/2004

L'interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata — ed era compresa nel thema decidendum tale statuizione, ancorché erronea non può essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non è logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea; la sentenza non può pertanto essere annullata per ultrapetizione se preliminarmente non si annulli quella parte di essa in cui si sono spiegate le ragioni che hanno indotto alla trattazione della questione. In tal caso, l'errore del giudice non si configura come error in procedendo ma attiene esclusivamente al momento logico relativo all'accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali, pertanto detto errore può concretizzare solo una carenza nella interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione di cui all'art. 350 n. 5 c.p.c., giacché la ricostruzione del contenuto di tali atti è compito istituzionale del giudice del merito. (Nella specie, la S.C. ha ravvisato il vizio di ultrapetizione in una decisione della Corte territoriale, relativa alla impugnativa di un licenziamento a seguito di procedura di riduzione di personale, in relazione alla trasformazione di un semplice inciso contenuto nel ricorso introduttivo — le cui censure si incentravano in realtà sulla fonte dei criteri derogatori dei requisiti di legge per il licenziamento — in un ulteriore motivo di impugnazione del licenziamento, avente riguardo all'utilizzo di criteri differenti a seconda delle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso aziendale sicché i «criteri differenti» erano divenuti l'asse portante della decisione censurata.)

Cass. civ. n. 11455/2004

Il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c. — che implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda — deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri alcuno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione (petitum e causa petendi), attribuendo o negando ad alcuno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nella domanda, ovvero, pur mantenendosi nell'ambito del petitum rilevi d'ufficio un'eccezione in senso stretto che, essendo diretta ad impugnare il diritto fatto valere in giudizio dall'attore, può essere sollevata soltanto dall'interessato, oppure ponga a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere, introducendo nel processo un titolo (causa petendi) nuovo e diverso da quello enunciato dalla parte a sostegno della domanda, mentre non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito fosse incorso nella violazione del predetto principio in quanto, avendo nel ricorso introduttivo il lavoratore contestato la legittimità del collocamento in cassa integrazione, invocando a sostegno della sua domanda specifiche ragioni dirette a comprovare la mancanza di una effettiva causale della sospensione dal lavoro, il giudice dell'appello non poteva d'ufficio dare rilievo a diverse e non dedotte ragioni quali, nella specie, l'esercizio arbitrario del potere imprenditoriale di scelta dei lavoratori da sospendere).

Cass. civ. n. 8225/2004

Nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice di merito, non condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte, ha il potere-dovere di accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte e dalle precisazioni dalla medesima fornite nel corso del giudizio, nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e di non sostituire d'ufficio un'azione diversa da quella esercitata. Tale ampio potere, attribuito al giudice per valutare la reale volontà della parte quale desumibile dal complessivo comportamento processuale della stessa, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità soltanto se il suo esercizio ha travalicato i predetti limiti, ovvero è insufficientemente o illogicamente motivato.

Per la proposizione di un'eccezione sostanziale non si richiede che la parte impieghi formule sacramentali, ma è sufficiente qualsiasi deduzione, anche implicita, che la riveli, come ad esempio l'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio che sia volto a contrastare la domanda avversaria. Incorre pertanto in error in procedendo il giudice di merito che, di fronte a una richiesta di prova, da parte del convenuto in revindica, volta a dimostrare il possesso ultraventennale del bene controverso, e quindi astrattamente idonea a paralizzare la pretesa di controparte, ometta di esaminare l'eccezione riconvenzionale di usucapione implicita in tale richiesta, anche se non espressamente formulata, e di valutare, di conseguenza, se il mezzo istruttorio è ammissibile e rilevante (principio affermato in relazione ad eccezione riconvenzionale proposta in appello in procedimento instaurato anteriormente alla novella introdotta con legge n. 353/1990).

Cass. civ. n. 8128/2004

Una corretta interpretazione della domanda giudiziale postula non solo la sua analisi letterale, ma anche e soprattutto la sua valutazione contenutistico-sostanziale, avuto riguardo alle finalità perseguite dalla parte, ond'è che un'istanza non esplicitamente e formalmente proposta ben può ritenersi implicitamente introdotta e virtualmente contenuta nella domanda espressamente avanzata, ove risulti in rapporto di connessione necessaria con il petitum e la causa petendi di questa, con il solo limite di non estenderne l'ambito di riferimento. Ne consegue che, qualora sia stata introdotta dall'attore un'azione per denuncia di nuova opera che (come nella specie) esprima anche l'intento di esercitare un'azione di reintegrazione o manutenzione nel possesso di un bene immobile, la richiesta di ripristino dello stato dei luoghi — e cioè di demolizione del manufatto o della parte di esso realizzata prima del provvedimento di sospensione, se intervenuto, — deve comunque considerarsi logicamente inclusa nell'originario petitum nonostante il ricorso introduttivo della fase cautelare contenesse la sola richiesta di sospensione dei lavori.

Cass. civ. n. 6191/2004

Il potere del giudice di dichiarare d'ufficio la nullità ex art. 1421 c.c. va coordinato col principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.p.c., con la conseguenza che soltanto se sia in contestazione l'applicazione o l'esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, indipendentemente dall'attività assertiva delle parti, l'eventuale nullità dell'atto stesso, mentre, qualora il tema verta direttamente sulla illegittimità di questo, una diversa ragione di nullità non può essere rilevata d'ufficio né può essere dedotta per la prima volta in grado di appello, trattandosi di domanda nuova e diversa da quella ab origine proposta dalla parte nell'esercizio del suo diritto di azione.

Cass. civ. n. 4754/2004

Ai fini della interpretazione della domanda giudiziale non sono utilizzabili i criteri di interpretazione del contratto dettati dall'art. 1362 e seguenti c.c., in quanto non esiste una comune intenzione delle parti da individuare, e può darsi rilievo alla soggettiva intenzione della parte attrice solo nei limiti in cui essa sia stata esplicitata in modo tale da consentire al convenuto di cogliere l'effettivo contenuto della domanda formulata nei suoi confronti, per poter svolgere una effettiva difesa. L'interpretazione della domanda si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in cassazione solo sotto il profilo del vizio di motivazione e non per violazione di legge.

Cass. civ. n. 3403/2004

Il vizio di omessa pronuncia — configurabile allorchè manchi completamente il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto — non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto, con la conseguenza che la questione, implicitamente o esplicitamente assorbita in altre statuizioni della sentenza, sarà suscettibile di riesame in sede di gravame; ragionando altrimenti si finirebbe per far coincidere il vizio di omessa pronuncia con la previsione di cui all'art. 360 n. 5 c.p.c.

Cass. civ. n. 17913/2003

Non configura violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato la statuizione di rilascio di un immobile per una data diversa da quella indicata dall'attore, ed individuata dal giudice sulla base dell'esatto accertamento dell'epoca di inizio del rapporto di locazione.

Cass. civ. n. 17375/2003

L'azione di arricchimento senza causa costituisce un'azione autonoma, per diversità della causa petendi rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale, così che deve escludersi che possa ritenersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo, nè può ritenersi consentito al giudice del merito sostituire la pretesa avanzata con la domanda di indennizzo per arricchimento senza causa.

Cass. civ. n. 16765/2003

Il giudice ha il dovere di controllare la rilevanza giuridica dei fatti indicati dal ricorrente, relativi all'esistenza del diritto vantato, ancorché il convenuto non li abbia contestati, giacché la non contestazione dei “fatti” allegati da controparte ne rende superflua la prova, ma quanto agli aspetti in diritto della pretesa non esime il giudice dal dovere di corretta interpretazione ed applicazione della norma invocata. (Nella specie, relativa ad indennità di maternità, la S.C ha cassato la sentenza di merito che aveva qualificato eccezione in senso proprio il rilievo svolto in sede d'appello dall'ente previdenziale circa la mancanza del requisito contributivo della sussistenza di un rapporto di lavoro in atto alla data di inizio dell'astensione obbligatoria e aveva ritenuto l'ente decaduto dalla facoltà di sollevare detta eccezione; affermando il principio di cui alla massima la S.C ha rilevato che le deduzioni della stessa parte istante in ordine alle date di risoluzione del rapporto e di inizio del periodo di astensione obbligatoria evidenziavano che quest'ultimo era iniziato dopo il decorso dei sessanta giorni dalla cessazione del lavoro e quindi oltre il termine a partire dal quale il diritto era precluso, in mancanza di ulteriori circostanze legittimanti).

Cass. civ. n. 14773/2003

Poiché la violazione dell'art. 112 c.p.c. ricorre quando il giudice di merito, pronunciando oltre i limiti delle domande dalle parti, ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuisce o nega un bene della vita diverso rispetto a quello domandato, è inammissibile per difetto di interesse la censura all'interno della quale non si chiarisce quel è il bene della vita sul quale sia intervenuta la pronuncia non richiesta.

Cass. civ. n. 6753/2003

In tema di chiamata di terzo da parte del convenuto che ritenga il soggetto da lui indicato l'unico effettivamente e direttamente obbligato alla pretesa dell'attore, l'erronea difforme qualificazione dell'azione come chiamata in garanzia impropria ridonda in vizio d'extrapetizione, dacché importa la pronunzia su una domanda diversa da quella sostanzialmente e formalmente proposta con l'atto ex art. 106 c.p.c., con conseguenze diverse in ordine alla estensibilità automatica dell'originaria domanda attorea al terzo chiamato, consentita solo nell'ipotesi di chiamata diretta. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui il condominio convenuto chiami in causa il consorzio appaltatore quale unico responsabile dei danni denunziati dai condomini attori e che, effettivamente, i danni risultino cagionati da gravi difetti dell'edificio condominiale imputabili all'appaltatore, deve dichiararsi la responsabilità di questi ai sensi dell'art. 1669 c.c., di natura extracontrattuale; ciò, da un lato, per escludere la responsabilità del condominio ex art. 2051 c.c. in relazione alla causa d'esonero prevista dalla stessa norma e, d'altro lato, per affermare l'obbligo risarcitorio del terzo chiamato direttamente nei confronti degli attori.

Cass. civ. n. 41/2003

Una volta che, in assenza di contrasti tra le parti circa l'applicabilità del contratto collettivo al rapporto di lavoro dedotto in giudizio, risulti invocata dal lavoratore l'applicazione di una clausola collettiva, rispetto alla quale il contratto individuale introduce una disciplina peggiorativa, non va ultra petita il giudice che consideri inoperante tale ultimo patto, non essendo a tal fine indispensabile una formale eccezione di nullità della clausola individuale, per contrasto con quella collettiva, atteso che il lavoratore, invocando la clausola collettiva (rispetto alla quale il contratto individuale introduce una disciplina peggiorativa) non fa altro che invocare lo specifico regime previsto dall'art. 2077 c.c.

Cass. civ. n. 14734/2002

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato fissato dall'art. 112 c.p.c. non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante; esso implica però il divieto per il giudice stesso di attribuire alla parte un bene non richiesto, o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa ma che si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio come oggetto del contraddittorio e non tenuti in alcun conto dal primo giudice

Cass. civ. n. 11766/2002

In tema di risarcimento del danno per sinistro verificatosi durante la prestazione lavorativa, il risarcimento può essere richiesto al datore di lavoro con due distinte azioni una proposta a titolo di responsabilità contrattuale e l'altra a titolo di responsabilità extracontrattuale; la scelta tra le due azioni e l'eventuale loro esercizio cumulativo nel processo rientrano nel potere dispositivo della parte, con la conseguenza che, ove la parte opti per una di esse, non è consentito al giudice, in violazione dell'art. 112 c.p.c., sostituirsi all'attore nella scelta che avrebbe potuto operare ed accogliere la domanda in base ad un titolo diverso.

Cass. civ. n. 10542/2002

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non osta a che il giudice d'appello operi una ricostruzione dei fatti diversa da quella prospettata dalle parti, o renda una qualificazione giuridica autonoma rispetto a quella della sentenza impugnata e criticata dalle parti, con il limite attinente al divieto del giudice stesso di attribuire un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa e che si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio come oggetto del contraddittorio e non tenuti in alcun conto dal primo giudice (nella specie, legittimamente il giudice del gravame ha negato la prescrizione del diritto risarcitorio del danno da occupazione illegittima, non già condividendo la localizzazione del dies a quo della prescrizione, operata dal giudice di primo grado, ma autonomamente qualificando il fatto in termini di illecito permanente, per la mancanza di una dichiarazione di pubblica utilità).

Cass. civ. n. 9159/2002

L'omessa pronuncia avverso specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integrando una violazione dell'art. 112 c.p.c., cosituisce una violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell'art. 360, n. 4, c.p.c. e non come violazione o falsa applicazione di norme di diritto, né tanto meno come vizio della motivazione.

Cass. civ. n. 2214/2002

Il mancato avveramento della condizione sospensiva, concretando non un'eccezione in senso proprio ma una semplice difesa volta a contestare la sussistenza dei fatti costitutivi della domanda, deve essere esaminata e verificata dal giudice anche d'ufficio, indipendentemente dalle argomentazioni e richieste della parte.

Cass. civ. n. 2078/2002

Nel giudizio di risarcimento del danno derivante da fatto illecito, costituisce violazione della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., il prescindere, travalicandole, dalle specifiche indicazioni quantitative della parte in ordine a ciascuna delle voci di danno elencate in domanda, a meno che tali indicazioni non siano da ritenere — in base ad apprezzamento di fatto concernente l'interpretazione della domanda e censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione — meramente indicative (come sarebbe lecito concludere allorché la parte, pur dopo l'indicazione, chieda comunque che il danno sia liquidato secondo giustizia ed equità).

Cass. civ. n. 752/2002

I danni futuri consistenti nelle spese che la vittima di un incidente stradale dovrà sostenere per cure ed assistenza, comprese quelle occorrenti per la collaborazione di terzi nelle faccende domestiche e personali, sono risarcibili purché il giudice accerti — con valutazione censurabile in sede di legittimità per vizi di motivazione — che tali spese saranno sostenute secondo una ragionevole e fondata attendibilità, e la relativa liquidazione non può che avvenire in via equitativa, ma il giudice è tenuto ad indicare, sia pure sommariamente, i criteri adoperati, in modo da evitare che la decisione sia arbitraria e sottratta ad ogni controllo.

Cass. civ. n. 572/2002

Non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che accoglie la domanda sulla base di una prospettazione che, seppur non espressamente formulata, possa ritenersi tacitamente proposta e virtualmente contenuta nella domanda introduttiva del giudizio e, con particolare riguardo al petitum e alla causa petendi, si trovi in rapporto di necessaria connessione con l'oggetto della lite senza estendere il diritto che l'attore ha inteso tutelare con l'azione proposta. (La S.C. ha escluso il vizio di cui all'art. 112 c.p.c. in un caso in cui, impugnato il licenziamento per violazione dell'art. 2110 c.c. e della disciplina contrattuale del periodo di comporto per malattia, l'annullamento era stato effettuato per violazione dell'art. 3 della legge n. 604/1966 in relazione all'impossibilità sopravvenuta della prestazione, non avendo il datore di lavoro, prima del licenziamento, provveduto a ricercare in ambito aziendale mansioni diverse cui adibire il lavoratore).

Cass. civ. n. 475/2002

Non costituisce violazione dell'art. 112 c.p.c. l'accoglimento, anche d'ufficio, fatto dal giudice, di una domanda che rientri in quella, di maggiore ampiezza, ritualmente proposta dalla parte (alla quale, del resto, è sempre consentito procedere alla riduzione della pretesa originariamente formulata). Ciò trova giustificazione nella ratio del citato art. 112, che è quella di garantire il contraddittorio, cioè di impedire che trovino accoglimento domande sulle quali la controparte non sia stata in grado di difendersi; esigenza questa che non è in alcun modo frustrata allorquando il bene accordato sia comunque ricompreso nel petitum tempestivamente formulato e non esuli dalla causa petendi, intesa come l'insieme delle circostanze di fatto, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica, posta a fondamento della pretesa. (Nella specie, la S.C., sulla base del sopra esposto principio, ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano accolto la domanda formulata in sede di precisazione delle conclusioni relativa all'arretramento di un balcone di cui originariamente ne era stata chiesta la demolizione).

Cass. civ. n. 10523/2001

In tema di risarcimento del danno dovuto al lavoratore per effetto della reintegrazione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori, l'eccezione con la quale il datore di lavoro, al fine di vedere ridotto al limite legale delle cinque mensilità di retribuzione l'ammontare del suddetto risarcimento, deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione, ovvero deduca la colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l'aggravamento del danno, non fa valere alcun diritto sostanziale di impugnazione, né l'eccezione stessa è identificabile come oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Pertanto, allorquando vi è stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possono ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d'ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l'acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato.

Cass. civ. n. 9621/2001

Il potere-dovere del giudice di qualificazione della domanda nei gradi successivi al primo va coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni, con la conseguenza che, con riferimento all'appello, deve ritenersi precluso al giudice di secondo grado di mutare d'ufficio la qualificazione ritenuta dal primo giudice, in mancanza di gravame sul punto ed in presenza, quindi, del giudicato formatosi su tale qualificazione. (Nella specie, la S.C. ha annullato con rinvio la sentenza di merito che, in relazione alla domanda di accertamento di crediti di lavoro proposta dal partecipante ad impresa familiare, aveva escluso la configurazione del rapporto come impresa familiare, seppure la relativa qualificazione non fosse stata oggetto di gravame ed anzi le parti avessero pacificamente convenuto sulla riconducibilità delle dedotte obbligazioni ai rapporti fra loro intercorsi nell'ambito di un'impresa familiare).

Cass. civ. n. 7783/2001

Fermo il rispetto delle allegazioni di fatto prospettate dalla parte, una volta che questa abbia dedotto il fatto asseritamente invalidante, spetta al giudice ricondurlo alla categoria della nullità ovvero dell'annullabilità, con la conseguenza che, permanendo immutata la situazione di fatto, la circostanza che il giudice qualifichi nullità la situazione che la parte abbia prospettato in termini di annullabilità, non concreta il vizio di ultrapetizione.

Cass. civ. n. 6712/2001

Il potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti, trova un limite — la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione— nel divieto di sostituire l'azione proposta con una diversa, perché fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi, con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine. Il potere di qualificazione della domanda nei gradi successivi al primo va, inoltre, coordinato con i principi propri del sistema delle impugnazioni, sicché, con riferimento all'appello, deve ritenersi precluso al giudice di secondo grado di mutare d'ufficio, in mancanza di gravame sul punto, la qualificazione operata dal primo giudice.

Cass. civ. n. 6666/2001

Nell'ambito del processo civile, il potere-dovere del giudice di conoscere ex officio di determinate questioni non determina la completa elisione del principio dispositivo, ma si coordina con esso e, in particolare, con la sua tipica manifestazione, costituita dalla disciplina dell'acquiescenza e della formazione del giudicato, di guisa che il suddetto potere viene meno quante volte sulla pronuncia di cui trattasi sia intervenuta una pronuncia che la parte soccombente non abbia in alcun modo censurato.

Cass. civ. n. 5129/2001

La qualificazione giuridica costituisce pronuncia di merito nel solo caso in cui il riconoscimento del rapporto giuridico costituisca contemporaneamente presupposto della competenza e la condizione per l'esercizio dell'azione in modo che, negata l'esistenza del rapporto o la chiesta qualificazione di esso, la domanda debba essere rigettata. In tal caso infatti, la pronuncia sulla qualificazione non rappresenta una mera declinatoria della competenza, ma si risolve in un vero e proprio rigetto della domanda nel merito. Nel caso invece in cui la qualificazione giuridica dell'azione venga effettuata incidenter tantum, in funzione cioè della decisione sulla competenza, senza alcuna rilevanza sull'esito definitivo della lite, essa non costituisce una pronuncia di merito, per modo che la sentenza non è impugnabile con l'appello.

Cass. civ. n. 15907/2000

La domanda giudiziale, per essere correttamente interpretata, deve esser considerata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche nel suo contenuto sostanziale, avendo riguardo alle finalità perseguite dalla parte, sì che un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi, senza però estenderne l'ambito di riferimento. Pertanto la domanda di accertamento, in via principale, della proprietà di un bene a titolo derivativo involge, almeno virtualmente, la questione relativa all'acquisto del medesimo diritto per usucapione, con la conseguenza che il giudice che la accoglie a tale diverso titolo non incorre nel vizio di ultrapetita.

Cass. civ. n. 15345/2000

Un'istanza non espressamente e formalmente proposta può ritenersi implicitamente introdotta e virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio quando si trovi in rapporto di connessione necessaria con il “petitum” e la “causa petendi”, senza estenderne l'ambito soggettivo di riferimento. Ne consegue che nella domanda di inefficacia della misura del sequestro giudiziario avanzata dal sequestrato non è tacitamente sussumibile altresì la domanda di liquidazione dei compensi al custode, diversi essendone sia i soggetti sia l'oggetto, nel senso che la seconda investe un terzo estraneo al rapporto principale dedotto in giudizio ed è affatto distinta, quanto agli elementi essenziali, dalla prima, potendo risultare indipendente anche dallo stesso procedimento in cui venga emessa la statuizione richiesta in materia cautelare.

Cass. civ. n. 11559/2000

Il vizio di extrapetizione in cui sia incorso il giudice determina una nullità relativa della decisione non rilevabile d'ufficio, e perciò per poter essere corretto dal giudice del gravame deve formare oggetto di specifico motivo di impugnazione, altrimenti questo giudice incorre anch'esso nell'errore di ultrapetizione.

Cass. civ. n. 8636/2000

Il vizio di ultra o extra petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti ovvero su questioni estranee all'oggetto del giudizio e non rilevabili d'ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che il giudice è libero non solo di individuare l'esatta natura dell'azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma di rilevare altresì indipendentemente dall'iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l'efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all'obbligo inerente all'esatta applicazione della legge.

Cass. civ. n. 8266/2000

Nell'ipotesi in cui il lavoratore abbia chiesto in giudizio la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli ed il datore di lavoro abbia chiesto il rigetto della domanda eccependo le dimissioni del dipendente, incorre nel vizio di extrapetizione il giudice che, d'ufficio, dichiari la cessazione del rapporto lavorativo per mutuo consenso ai sensi dell'art. 1372 c.c.

Cass. civ. n. 4592/2000

I vizi di ultra ed extra petizione non determinano una nullità insanabile della sentenza, sono denunciabili solo con gli ordinari mezzi di impugnazione e non sono rilevabili d'ufficio dal giudice dell'impugnazione; pertanto, poiché nell'udienza di discussione davanti alla Corte di cassazione le parti non possono proporre nuovi motivi di censura, è inammissibile in tale sede la deduzione della violazione dell'art. 112 c.p.c. da parte del giudice di merito.

Cass. civ. n. 108/2000

L'improponibilità di una domanda giudiziale integra una questione rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, trattandosi di materia sottratta alla disponibilità delle parti, sicché il giudice è tenuto ad accertare le condizioni che rendono proponibile l'azione anche in mancanza di una specifica contestazione al riguardo.

Cass. civ. n. 4317/2000

Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione.

Cass. civ. n. 3538/2000

In sede di giudizio di legittimità, va tenuta distinta l'ipotesi in cui si lamenta l'omesso esame di una domanda da quella in cui si censura l'interpretazione data alla domanda stessa, ritenendosi in essa compresi o esclusi alcuni aspetti della controversia in base ad una valutazione non condivisa dalla parte. Nel primo caso si verte propriamente in tema di violazione dell'art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura tipicamente processuale, per risolvere il quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere al diretto esame degli atti e di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla richiesta pronunzia. Nel secondo caso, poiché l'interpretazione della domanda e l'apprezzamento della sua ampiezza e del suo contenuto costituiscono un tipico accertamento di fatto, come tale attribuito dalla legge al giudice del merito, alla Corte di legittimità è solo riservato il controllo della motivazione che sorregge sul punto la pronunzia impugnata.

Cass. civ. n. 3345/2000

Nel giudizio di impugnativa di un licenziamento, l'eccezione cosiddetta dell'aliunde perceptum — vale a dire la deduzione della rioccupazione del lavoratore licenziato al fine di limitare il danno da risarcire a seguito di un licenziamento illegittimo intervenuto nell'area della tutela reale, o anche a seguito di un licenziamento, intimato al di fuori di tale area, che sia inefficace, perché privo dei requisiti formali richiesti dall'art. 2 della legge n. 604 del 1966 (come nella specie, relativa a licenziamento orale in piccola impresa) — non costituisce un'eccezione in senso stretto, atteso che con essa non si introducono fatti diversi da quello che costituisce oggetto del giudizio per effetto della domanda dell'attore. Ne consegue che quando la prova della rioccupazione del lavoratore licenziato risulti ritualmente acquisita al processo, anche se per iniziativa del lavoratore, il giudice ne deve tenere conto anche d'ufficio e, in difetto, l'omissione può formare oggetto di un motivo di gravame.

Cass. civ. n. 27/2000

Nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice di merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del medesimo, nonché del provvedimento in concreto richiesto. (Nella specie, la S.C. ha escluso la sussistenza del vizio di extrapetizione nella decisione del giudice di merito che, in sede di impugnazione della delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione del diritto d'informazione dell'assemblea, ne aveva dichiarato la nullità per violazione delle norme in tema di chiara e precisa redazione del bilancio in forza del collegamento, emergente dalla domanda, tra diritto all'informazione e principio di chiarezza, il quale trova il naturale corollario nelle regole dell'informazione in assemblea).

Cass. civ. n. 1461/2000

Il giudice non è vincolato alla qualificazione prospettata dalla parte ed è libero di discostarsene nell'esercizio del potere-dovere di autonoma qualificazione discendente dal principio iura novit curia, purché la qualificazione da lui adottata non si risolva nella sostituzione dell'azione espressamente o virtualmente proposta con altra, fondata cioè su fatti diversi o su diversa causa petendi.

Cass. civ. n. 12694/1999

Non viola il principio della corrispondenza tra chiesto e giudicato il giudice che, investito di una domanda di risarcimento ex art. 2043 c.c., fondi l'accoglimento della domanda sulla responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c.

Cass. civ. n. 11525/1999

Nell'azione proposta dal proprietario di un immobile contro il proprietario di un immobile vicino allo scopo di ottenere la remissione in pristino di quest'ultimo, per la dedotta contrarietà delle opere compiute alle prescrizioni degli strumenti urbanistici locali, non può ritenersi implicitamente compresa l'azione di risarcimento del danno, stante il diverso carattere delle due azioni, di natura reale la prima e obbligatoria la seconda, la quale ultima può differire dalla prima anche per quanto riguarda i soggetti. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza annullata dalla Suprema Corte per ultrapetizione, rilevata l'infondatezza della domanda sul piano della tutela ripristinatoria, poiché le norme violate non erano integrative di quelle del codice civile sui rapporti di vicinato, aveva condannato il convenuto al risarcimento del danno).

Cass. civ. n. 11455/1999

Il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c. se non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti nonché in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante, implica però il divieto del giudice stesso di attribuire alla parte un bene non richiesto o, comunque, di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nei fatti di causa ma che si basi su elementi di fatto non ritualmente acquisiti in giudizio come oggetto del contraddittorio e non tenuti in alcun conto dal primo giudice. Ne consegue che se nel ricorso introduttivo del giudizio il lavoratore ha impugnato il licenziamento intimatogli nell'ambito della procedura prescritta dagli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991 invocando a fondamento della sua domanda specifiche ragioni dirette a comprovare la mancanza di una effettiva causale di detto licenziamento, il giudice non può d'ufficio, al fine di escludere la legittimità (e/o la configurabilità) del licenziamento collettivo, dare rilievo al diverso — e non dedotto — motivo del mancato raggiungimento del requisito numerico minimo di cui all'art. 24, primo comma, della citata legge n. 223.

Cass. civ. n. 10948/1999

La pronuncia, con cui il giudice del merito, per effetto dell'erroneo apprezzamento degli atti processuali, ha escluso la proposizione di una specifica domanda giudiziale, non viola l'art. 112 c.p.c., ma realizza un errore nella ricostruzione dell'effettivo contenuto dell'atto processuale, attività, questa che compete al giudice di merito nell'esercizio di un proprio potere e che è sindacabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo di motivazione.

Cass. civ. n. 9526/1999

L'art. 112 c.p.c., stabilendo che il giudice non deve oltrepassare i limiti della domanda, si applica, quale disposizione generale contenuta nel primo libro del codice di rito, anche all'appello, come ad ogni altro procedimento d'impugnazione. Sicché, quando l'appello sia stato diretto ad ottenere la condanna ad una prestazione (divisibile) in misura maggiore di quella riconosciuta dal giudice di primo grado, la mancata impugnazione della parte condannata produce un effetto preclusivo che, pur non potendo dirsi di giudicato in senso proprio, comporta tuttavia che la sentenza impugnata possa essere modificata esclusivamente per corrispondere all'unica impugnazione ed impedisce che operi in danno dell'appellante — con riforma in peggio — un'eventuale, sopravvenuta innovazione normativa, pur se espressamente dichiarata applicabile «anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato» (principio affermato in relazione ad ipotesi di accessione invertita, con sopravvenienza nel corso del giudizio dell'art. 5 bis, settimo comma bis, della legge n. 359 del 1992).

Cass. civ. n. 6893/1999

Non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato la condanna del soccombente alle spese — liquidabili anche d'ufficio — ancorché la parte da esso chiamata in garanzia le abbia chieste nei confronti dell'attore, vittorioso, non essendo ravvisabile, in tale erronea richiesta, nessuna rinuncia al diritto al rimborso.

Cass. civ. n. 4612/1999

La violazione dell'art. 112 c.p.c., nella quale sia incorsa la sentenza di primo grado per non aver pronunciato su una domanda della parte, non può essere dedotta per la prima volta in sede di ricorso per cassazione quando non abbia formato oggetto di uno specifico motivo di appello.

Cass. civ. n. 3474/1999

Nel caso in cui il convenuto, nel contestare la propria legittimazione, chiami in causa un terzo deducendo che il medesimo è il legittimato passivo, si verifica estensione automatica della domanda ad un terzo, onde il giudice può direttamente emettere nei confronti di lui una pronuncia di condanna anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza con ciò incorrere nel vizio di ultrapetizione. Nella suddetta ipotesi la causa è unica ed inscindibile, con la conseguenza che l'eccezione di incompetenza per territorio derogabile sollevata dal chiamato rimane priva di effetti a causa dell'incontestabilità della competenza nei confronti del convenuto che non ha sollevato la relativa eccezione.

Cass. civ. n. 1684/1999

In tema di risarcimento del danno, l'ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell'evento dannoso (primo comma dell'art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal secondo comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione. Solo la seconda di tali situazioni costituisce oggetto di una eccezione in senso proprio, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 112 c.p.c., mentre, ove il convenuto siasi limitato a contestare in toto la propria responsabilità, il giudice deve proporsi di ufficio l'indagine sul concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali si possa desumere la ricorrenza della concausa di danno, salva, pertanto, l'onere di apposita impugnazione per denunciare l'eventuale omissione di tale indagine ed evitare che la questione risulti preclusa nell'ulteriore corso del giudizio.

Cass. civ. n. 1358/1999

La questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che postuli l'applicazione della norma medesima, non può formare oggetto di un'autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, mentre la questione stessa, ancorché non esaminata dal giudice inferiore, resta deducibile e rilevabile nei successivi stati e gradi del giudizio che sia stato validamente instaurato, ove rilevante ai fini della decisione.

Cass. civ. n. 1108/1999

L'art. 112 c.p.c. impone al giudice di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia a quella richiesta e di non sostituire di ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta, ponendo a fondamento della decisione fatti e situazioni estranei alla materia del contendere perché nuovi e diversi da quelli enunciati a sostegno della pretesa. Qualora venga denunciata con ricorso per cassazione la violazione della suddetta regola, essendosi in presenza di un problema di natura tipicamente processuale, la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere al diretto esame degli atti processuali e di acquisire gli elementi di giudizio necessari alla valutazione della sussistenza della violazione stessa. (Nella specie la S.C. ha ritenuto viziata da extrapetizione e quindi nulla la sentenza di appello che — in un giudizio nel quale la materia del contendere era costituita dal riconoscimento del diritto alla conservazione di un assegno ordinario di invalidità come effetto giuridico dell'irrevocabilità del medesimo derivante da un precedente giudicato — aveva giustificato il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in esito all'accertamento della riduzione della capacità di lavoro dell'assicurata al di sotto dei limiti legali, costituente un fatto la cui esistenza non era stata minimamente dedotta e neppure costituiva un possibile sviluppo delle questioni sottoposte all'esame del giudice di merito).

Cass. civ. n. 977/1999

Fuori dell'ipotesi di interessi su somma dovuta a titolo di risarcimento del danno, i quali devono essere riconosciuti anche d'ufficio, in quanto, mirando a scongiurare il pregiudizio che deriva al creditore dal ritardato conseguimento dell'equivalente monetario del danno, costituiscono una componente del danno stesso e nascono dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, contemporaneamente e inscindibilmente, in tutti gli altri casi invece, gli interessi, siano essi moratori, corrispettivi o compensativi, avendo un fondamento autonomo rispetto a quello dell'obbligazione pecuniaria, possono essere attribuiti solo su espressa domanda dell'avente diritto.

Cass. civ. n. 258/1999

Il vizio di ultra o extra petizione ricorre soltanto quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri qualcuno degli elementi obiettivi dell'azione (petitum o causa petendi), attribuendo o negando a taluna delle parti un bene diverso da quello richiesto e non compreso nemmeno virtualmente o implicitamente nella domanda, o sostituendo l'azione espressamente o formalmente proposta con una diversa, fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi, con la conseguente introduzione nel processo di un nuovo o diverso titolo, accanto a quello posto dalla parte a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine. Non incorre in tale vizio il giudice che, adito in riassunzione abbia pronunziato su tutta la domanda già proposta innanzi al giudice dichiaratosi incompetente e non sulle sole diverse conclusioni formulate nell'atto di riassunzione, atteso che in caso di riassunzione il processo continua a norma dell'art. 50 c.p.c.

Cass. civ. n. 12146/1998

L'applicazione all'eccezione di prescrizione — la cui essenza è rappresentata dalla richiesta di accertamento dell'estinzione del diritto vantato dalla controparte per il decorso del tempo — del principio secondo cui la parte ha l'onere nel giudizio di allegare i fatti su cui si basano le sue domande o le sue eccezioni ma non anche quello di specificare le norme applicabili (che possono essere individuate dal giudice anche in maniera diversa rispetto alle eventuali deduzioni delle parti) comporta che, nel caso in cui sia eccepita la prescrizione ordinaria decennale (al quale va equiparata l'ipotesi di mancata specificazione del tipo di prescrizione) il giudice può fare applicazione di quella prescrizione più breve che sia effettivamente configurabile (salva l'ipotesi della previsione di una disciplina particolare riguardo ai fatti interruttivi o sospensivi), poiché pone a base della decisione un fatto ricompreso in quello dedotto (decorso di un periodo di tempo più breve di quello fatto valere dalla parte), mentre, in caso di deduzione di una prescrizione breve (già in primo grado, oppure in appello, con ammissibile ridimensionamento della originaria deduzione della prescrizione ordinaria), il giudice, se la stessa non sia effettivamente applicabile, non può applicare una prescrizione di maggiore durata, poiché altrimenti valorizzerebbe un fatto diverso da quello dedotto, con violazione del principio dispositivo.

Cass. civ. n. 12121/1998

Non sussiste il vizio di ultrapetizione — non configurabile qualora il giudice accolga una domanda che, pur non espressamente formulata, sia implicitamente contenuta in quella proposta — quando il giudice di merito in relazione alle mansioni dedotte del lavoratore ricorrente ed effettivamente svolte, riconosca il suo diritto all'inquadramento, invece che in una qualifica della categoria dei funzionari, in una qualifica inferiore nell'ambito della categoria dei quadri, che effettivamente risulti spettante al medesimo in base alle previsioni di una contrattazione collettiva sull'inquadramento del personale unitaria per le varie categorie, senza che possa in senso ostativo rilevare che i contratti collettivi presi in considerazione siano stati prodotti dal datore di lavoro a sostegno di una diversa tesi difensiva, poiché, in base al principio dell'acquisizione delle prove, il giudice è libero di formare il suo convincimento sulla base di tutte le risultanze istruttorie, quale che sia la parte ad iniziativa della quale sia avvenuto il loro ingresso nel giudizio.

Cass. civ. n. 11923/1998

Nell'ipotesi in cui la parte abbia eccepito la prescrizione decennale (cui è parificabile l'ipotesi in cui si sia limitata ad eccepire genericamente la prescrizione, dovendosi in tal caso ritenere che l'eccezione si riferisca alla prescrizione ordinaria decennale, che nell'ordinamento rappresenta la regola) il giudice può ritenere invece che si sia verificata una prescrizione breve, senza che ciò comporti violazione del principio dispositivo, sia perché è compito del giudice la qualificazione giuridica dei fatti, sia per l'ovvio rilievo che, allegando il decorso di un decennio, si è anche allegato il decorso di un termine più breve, sempre che non si tratti di casi in cui la legge, stabilendo la prescrizione breve, abbia anche dettato una particolare disciplina con riguardo ai fatti interruttivi o sospensivi; ne consegue che deve ritenersi consentito alla parte che abbia in primo grado eccepito genericamente la prescrizione dedurre in appello l'applicabilità della prescrizione quinquennale.

Cass. civ. n. 11458/1998

La deduzione di una transazione novativa, che integra un fatto estintivo della pretesa avversaria e cioè una eccezione in senso stretto, deve essere fatta valere in giudizio dalla parte che intende avvalersene. Qualora il giudice la rilevi d'ufficio incorre nel vizio di ultrapetizione.

Cass. civ. n. 9911/1998

La violazione del principio fondamentale di corrispondenza tra chiesto e pronunziato si verifica non soltanto nei casi in cui il giudice pronunci oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni delle parti, ma anche quando, esorbitando dai limiti della mera qualificazione della domanda, il medesimo proceda ad un mutamento della stessa, sostituendo la causa petendi dedotta in giudizio, con una differente basata su fatti diversi da quelli allegati dalle parti. Consegue, che è viziata da errore in procedendo la sentenza con la quale il giudice qualifichi la domanda non sulla base dei fatti dedotti, delle richieste avanzate e delle ragioni e deduzioni poste a sostegno delle richieste, bensì sulla base della mera identificazione di norme di legge, con illegittima obliterazione di ogni altra indagine (nella specie la S.C. ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 112 c.p.c.) poiché, il giudice di merito, dopo aver qualificato la domanda non su fatti dedotti (erronea esecuzione della prestazione medica di ossigenoterapia, con conseguente richiesta di gestione del danno) ma della sola indicazione della norma relativa alla prescrizione, aveva pronunziato su di una domanda di responsabilità aquiliana, sostituendo alla causa petendi quale emergeva dalla prospettazione dei fatti (inadempimento contrattuale), una diversa volta a sorreggere la responsabilità extracontrattuale).

Cass. civ. n. 2848/1998

Non viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che, accogliendo la domanda, pronuncia anche sulle conseguenze che ne derivano secondo l'ordinamento, pur se non espressamente richieste, perché la domanda giudiziale è volta a raggiungere uno scopo pratico.

Cass. civ. n. 2262/1998

Non viola il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato il giudice che, nell'esercizio del potere di interpretazione della domanda, indipendentemente dall'esattezza delle indicazioni della parte e senza mutare gli elementi obiettivi fissati dall'attore, dispone la cessazione della turbativa anziché la reintegrazione nel possesso, dato che la mera turbativa costituisce un minus rispetto allo spoglio e nella domanda di reintegrazione nel possesso è implicita l'istanza di manutenzione dello stesso.

Cass. civ. n. 1099/1998

In relazione all'opzione difensiva del convenuto consistente nel contrapporre alla pretesa attorea fatti ai quali la legge attribuisce autonoma idoneità modificativa, impeditiva o estintiva degli effetti del rapporto sul quale la predetta pretesa si fonda, occorre distinguere il potere di allegazione da quello di rilevazione, posto che il primo compete esclusivamente alla parte e va esercitato nei tempi e nei modi previsti dal rito in concreto applicabile (pertanto sempre soggiacendo alle relative preclusioni e decadenze), mentre il secondo compete alla parte (e soggiace perciò alle preclusioni previste per le attività di parte) solo nei casi in cui la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva; ovvero quando singole disposizioni espressamente prevedano come indispensabile l'iniziativa di parte, dovendosi in ogni altro caso ritenere la rilevabilità d'ufficio dei fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, senza che, peraltro, ciò comporti un superamento del divieto di scienza privata del giudice o delle preclusioni e decadenze previste, atteso che il generale potere-dovere di rilievo d'ufficio delle eccezioni facente capo al giudice si traduce solo nell'attribuzione di rilevanza, ai fini della decisione di merito, a determinati fatti, sempre che la richiesta della parte in tal senso non sia strutturalmente necessaria o espressamente prevista, essendo però in entrambi i casi necessario che i predetti fatti modificativi, impeditivi o estintivi risultino legittimamente acquisiti al processo e provati alla stregua della specifica disciplina processuale in concreto applicabile.

Cass. civ. n. 424/1998

Nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto piuttosto del contenuto sostanziale della pretesa, desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché del provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. Ove tale principio sia violato — e quindi venga denunziato un errore in procedendo, quale l'omessa pronunzia su di una domanda che si afferma regolarmente proposta — la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere direttamente all'esame e all'interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti.

Cass. civ. n. 9875/1997

La domanda giudiziale non è passibile di interpretazione in termini di dichiarazione di volontà diretta alla produzione di determinati effetti giuridici, risultando essa mera espressione di una richiesta di tutela ordinamentale in ordine alla situazione che si assume antigiuridica, con la conseguenza che il giudice, nella adottanda decisione, sarà tenuto a definire la questione sottopostagli con riferimento esclusivo alla situazione giuridica da lui accertata, senza che possa sussumersi nella sfera del rilevante giuridico la eventuale, diversa prospettazione di una delle parti, alla quale non è dato invocare, pertanto, un difetto di ultrapetizione con riguardo alla pronuncia che, di tali prospettazioni, non abbia tenuto conto alcuno, una decisione ultra petita potendosi configurare solo quando risulti investita una questione assolutamente non ricompresa nel thema decidendum. (Nella specie, la corte di merito aveva ritenuto che, quantomeno per motivi processuali, l'acquirente di un fondo rustico alienato senza il rispetto del relativo diritto di prelazione, intendesse, in concreto, proporre opposizione al riscatto — successivamente esercitato dall'avente diritto — per avere, in corso di giudizio, qualificato l'offerta del prezzo da parte del retraente come «non conforme al disposto dell'art. 1208, n. 7, c.c.», pur avendo in precedenza dichiarato «di non opporsi al riscatto». La S.C., nel confermare tale pronuncia, ha espresso il principio di diritto di cui in massima).

Cass. civ. n. 8605/1997

In caso di omessa pronuncia su una delle domande introdotte in causa, la parte ha il diritto di denunciare l'omissione in sede di gravame, ovvero di coltivare la domanda in separato giudizio, posto che la rinuncia implicita alla pretesa, correlabile al mancato esperimento del gravame, ha valore meramente processuale e non sostanziale, onde, nel separato giudizio successivamente introdotto, non potrà essere opposta una preclusione derivante dalla mancata impugnazione della precedente sentenza per omessa pronuncia; non costituiscono ostacolo alla riproposizione della domanda in primo grado neppure una impugnazione non validamente introdotta (e tale dichiarata), non potendo la preclusione all'esercizio del diritto derivare da pronunzie che concludano un processo per ragioni attinenti solo la sua promuovibilità o proseguibilità e potendosi ritenere operante il principio della cosiddetta «consumazione dell'impugnazione» soltanto rispetto al medesimo mezzo di gravame. Ne consegue che, dichiarata l'inammissibilità dell'appello incidentale tardivo censurante il vizio di omessa pronunzia, la parte conserva il diritto di riproporre la domanda in primo grado.

Cass. civ. n. 8258/1997

La domanda di accertamento dei diritti scaturenti da un contratto, proposta in via principale, postula la validità del contratto medesimo, con la conseguenza che il giudice può d'ufficio dichiararne la nullità anche in sede di impugnazione.

Cass. civ. n. 6069/1997

Considerata la facoltà del giudice di qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti dedotti e di accoglierla parzialmente, non si verifica la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato quando, lamentata da parte del lavoratore la violazione dell'obbligo di predeterminazione dei tempi della presentazione nel contratto a tempo parziale e affermato il conseguente suo diritto alla retribuzione per un orario pieno (per essere stato a totale disponibilità del datore di lavoro), il giudice qualifichi l'azione secondo uno schema risarcitorio e liquidi il danno nella misura di una quota delle retribuzioni richieste.

Cass. civ. n. 1881/1997

L'azione di arricchimento senza causa costituisce un'azione autonoma, per diversità della causa petendi, rispetto alle azioni fondate su titolo negoziale, così che deve escludersi come possa ritenersi proposta per implicito in una domanda fondata su altro titolo.

Cass. civ. n. 344/1997

L'azione di regolamento di confini si caratterizza per la sola finalità di rimozione di una situazione di incertezza, non anche per la realizzazione di effetti restitutori; sicché la sua proposizione non contiene implicitamente la domanda di rilascio della porzione di fondo eventualmente risultante occupata dal convenuto.

Cass. civ. n. 11157/1996

Per causa petendi idonea ad identificare la domanda della parte, non debbono intendersi già le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l'insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta. È infatti compito precipuo del giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa; sicché l'enunciazione che la parte faccia delle ragioni di diritto su cui la sua pretesa si fonda può valere a circoscrivere la cognizione del giudice solo nella misura in cui essa stia a significare che la parte medesima ha inteso trarre dai fatti esposti soltanto quelle e non altre conseguenze giuridiche

Cass. civ. n. 6746/1996

Il potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alle deduzioni delle parti, trova tuttavia un limite nel divieto per il giudice di sostituire l'azione proposta con una diversa, fondata su fatti diversi o su una diversa causa petendi, con la conseguente introduzione nel processo di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine, e comunque nel divieto, derivante dal principio dispositivo, di porre a base della decisione fatti diversi da quelli dedotti dalle parti.

Cass. civ. n. 4498/1996

Il vizio di omessa pronuncia correlato alla violazione dell'art. 112 c.p.c. è configurabile soltanto in ipotesi di mancanza di una decisione in ordine ad una domanda o ad un assunto che richieda una statuizione di accoglimento o di rigetto ed è pertanto da escludere quando ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie.

Cass. civ. n. 3494/1996

Il mancato esame di un'istanza istruttoria può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione solo quando l'istanza attenga a circostanze che, con giudizio di certezza e non di mera probabilità avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata. (Nella specie, il giudice di merito, adito da un giornalista radiotelevisivo con domanda di risarcimento del danno, anche alla reputazione professionale, per la mancata promozione alla qualifica superiore di caposervizio, a seguito di procedura concorsuale svoltasi in asserita violazione delle regole di correttezza e buona fede, in quanto sarebbero stati scelti criteri di valutazione tali da favorire altro concorrente politicamente «lottizzato», aveva negato ingresso alla prova testimoniale mirante a dimostrare che in occasione di altro scrutinio il datore di lavoro aveva adottato un criterio diverso di valutazione, che ove nuovamente adottato avrebbe comportato la promozione dell'attore. La S.C. nel confermare la decisione ha osservato che, costituendo la scelta del parametro di valutazione nelle procedure di promozione facoltà discrezionale del datore di lavoro, l'adozione di un criterio, che sfavorisca uno degli aspiranti favorendone un altro, non può dirsi contraria ai criteri di correttezza e buona fede, ove comunque si tratti, come nella specie, di un criterio di natura oggettiva e perciò facilmente verificabile, e non si dimostri altresì che esso sia stato adottato esclusivamente nella tornata concorsuale cui ha partecipato il dipendente prescelto, e non per altri scrutini svoltisi nel medesimo periodo).

Cass. civ. n. 3201/1996

Viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato il giudice che estende d'ufficio gli effetti favorevoli della sentenza, pronunciata tra il creditore e uno dei debitori in solido, agli altri coobbligati, atteso che l'art. 1306, secondo comma, c.c. non ammette una efficacia immediata, nei confronti dei coobbligati rimasti estranei al giudizio, della sentenza a loro favorevole, ma attribuisce semplicemente ad essi il potere di avvalersene.

Cass. civ. n. 2142/1996

Rientra nel potere-dovere del giudice l'interpretazione e la qualificazione delle richieste delle parti, al fine di determinarne l'effettivo contenuto e l'appropriata collocazione nell'ambito del diritto sostanziale. (Riaffermando tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che, in relazione al pagamento del corrispettivo di un contratto di appalto con la P.A., aveva interpretato la richiesta degli «interessi di legge dalle scadenze», formulata in sede di ricorso per decreto ingiuntivo dalla società cessionaria del prezzo dell'appalto, come diretta a conseguire gli interessi da ritardo nella misura e con la decorrenza normativamente previste dal capitolato generale delle opere pubbliche — artt. 35 e 36 D.P.R. n. 1063 del 1962 —).

Cass. civ. n. 969/1996

È corretto criterio di interpretazione della domanda (nella specie del contenuto della pretesa risarcitoria) che il giudice di primo grado interpreti le conclusioni, di non chiaro tenore letterale, contenute nell'atto di citazione, alle quali si è riportato l'attore all'udienza di precisazione, tenendo conto della sostanza della pretesa, così come è stata nel corso del giudizio di primo grado costantemente percepita da tutte le parti, e adegui la propria interpretazione a quella delle parti stesse, come essa emerge dalla inequivoca condotta processuale nel corso del giudizio di primo grado, rispetto alla quale è irrilevante una tardiva contestazione del contenuto della pretesa formulata con la comparsa conclusionale dal convenuto.

Cass. civ. n. 8924/1995

Spetta al giudice di merito il compito di definire la domanda propostagli dalla parte — domanda che, nel rito del lavoro, non può essere modificata nel corso del processo — identificando e qualificando giuridicamente il bene della vita destinato a formare oggetto del provvedimento richiesto (petitum) nonché il complesso degli elementi della fattispecie da cui deriva la pretesa dedotta in giudizio (causa petendi); il giudice dell'appello, ove sia investito della questione attraverso uno specifico mezzo di gravame, può a sua volta procedere ad una nuova qualificazione giuridica dei suddetti elementi, ma sempre entro i limiti di fatto originariamente prospettati dalla parte.

Cass. civ. n. 7080/1995

Nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto piuttosto del contenuto sostanziale della pretesa desumibile dalla situazione dedotta in causa e delle eventuali precisazioni nel corso del giudizio nonché del provvedimento chiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. Pertanto, la domanda con la quale venga chiesta la condanna dell'appaltatore ad eliminare in vizi dell'opera, bene è qualificata dal giudice di merito quale domanda di risarcimento in forma specifica del danno da responsabilità extracontrattuale ex art. 1669 c.c. anziché quale richiesta di adempimento contrattuale ex art. 1667 c.c., allorché a suo fondamento siano dedotti difetti della costruzione così gravi da incidere sugli elementi essenziali dell'opera stessa, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione.

Cass. civ. n. 2869/1995

La mancata statuizione delle spese del giudizio integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio della sentenza, stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto.

Cass. civ. n. 2859/1995

Il mancato esame di una richiesta istruttoria non integra omessa pronuncia e, quindi, violazione dell'art. 112 c.p.c. — perché questa norma riguarda solo le domande attinenti al merito — ma può dar luogo unicamente ad omesso esame di punto decisivo della controversia e, perciò, a vizio della sentenza rilevante ai sensi dell'art. 360 comma primo n. 5 del codice di rito ove afferisca a circostanze suscettibili di indurre ad una decisione diversa da quella adottata.

Cass. civ. n. 1459/1995

Non può ravvisarsi vizio di extrapetizione, nella pronuncia del giudice del merito il quale — essendo stata eccepita l'usucapione decennale — esamini e decida, sulla base degli effettuati accertamenti e degli acquisiti dati probatori, l'eccezione ai sensi dell'art. 1158 c.c., anziché in forza dell'art. 1159, ed affermi l'avvenuta usucapione ventennale, qualora il decorso del più ampio termine sia stato oggetto di specifiche allegazioni e di prove ufficialmente introdotte in causa.

Cass. civ. n. 1222/1995

Il giudice del merito ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente la domanda sulla base dei fatti dedotti dalla parte, indipendentemente dall'esattezza del nomen iuris attribuitole nell'atto introduttivo e in genere delle prospettazioni giuridiche di parte, mentre — oltre a dover rispettare il limite della necessaria corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (divieto di attribuire un bene della vita diverso da quello richiesto e nemmeno implicitamente compreso nella domanda o di pronunciarsi su eccezioni non proposte e non rilevabili d'ufficio) e il divieto di pronunciare su un'azione diversa da quella espressamente proposta — non può, per quanto attiene alla causa petendi, basare la decisione su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti, ponendo a fondamento della domanda un titolo nuovo e difforme da quello indicato. (Nella specie la S.C. ha escluso che fosse incorso nel vizio di extrapetizione o ultrapetizione il giudice di merito che, utilizzando gli elementi prospettati a fondamento della domanda e attribuendo alla parte attrice lo stesso bene della vita invocato, aveva ravvisato la costituzione tra le parti di una società di fatto laddove era stata dedotta l'esistenza — con riferimento ad epoca in cui l'istituto era disciplinato dall'art. 2140 c.c. — di una comunione tacita familiare. Peraltro il giudice di legittimità, oltre a sottolineare le affinità esistenti tra le due figure, ha anche rilevato che la possibilità di una qualificazione del rapporto nell'ambito societario era stata adombrata dalla stessa attrice e costituiva in sostanza una prospettazione in via gradata).

Cass. civ. n. 11163/1994

Nella domanda di risarcimento del danno per violazione delle norme di edilizia, fondata oltreché sul mancato rispetto delle distanze dai confini, anche sulla difformità della costruzione dalle prescrizioni comunali, è implicita la richiesta degli eventuali danni connessi soltanto al carattere amministrativamente illecito dell'opera realizzata: non incorre pertanto nel vizio di ultrapetizione il giudice che, investito di tale domanda, riconosca danni consistenti in diminuzione di visuale, amenità e soleggiamento del fondo dell'attore in conseguenza dell'opera edilizia illegittimamente realizzata dal confinante.

Cass. civ. n. 9166/1994

Poiché spetta al giudice dare alla domanda l'esatta qualificazione, indipendentemente dall'esattezza della indicazione della parte o dalla mancanza di indicazioni, con il solo limite di non mutarne gli elementi obiettivi come fissati dall'attore, legittimamente il giudice può qualificare quali mere turbative i fatti prospettati dalla parte come spoglio e da ciò trarre le dovute conseguenze sul piano dei rimedi possessori, anche agli effetti dell'art. 704 c.p.c. che, in pendenza del giudizio petitorio, prevede la competenza esclusiva ed inderogabile del giudice di tale giudizio, non trovando applicazione la competenza alternativa del pretore di cui al comma 2 del medesimo articolo, limitata ai ricorsi di reintegrazione nel possesso.

Cass. civ. n. 8184/1994

In forza del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (artt. 112 c.p.c.), il giudice adito con una domanda di indennizzo per indebito arricchimento non può accogliere la domanda a diverso titolo, ed in particolare a titolo di adempimento contrattuale o di negotiorum gestio, poiché l'azione di arricchimento senza causa diverge da queste ultime sia per il petitum — costituito dall'indennizzo per la diminuzione patrimoniale subita — che per la causa petendi, ossia per i fatti giuridici posti a suo fondamento.

Cass. civ. n. 1988/1993

Il principio secondo cui l'interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad un giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, non trova applicazione quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio riconducibile nell'ambito dell'art. 112 c.p.c., a norma del quale il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; in tal caso, infatti, deducendosi un vizio in procedendo, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto ed ha, quindi, il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali.

Cass. civ. n. 7565/1991

Nel caso in cui l'attore abbia formulato le sue domande precisando espressamente di limitarne il contenuto perché ritiene che ulteriori e maggiori pretese non potrebbero essere accolte, il giudizio sulle domande così formulate non può estendersi, neppure implicitamente, all'accertamento della fondatezza delle maggiori domande che quest'ultimo non ha proposto e sulle quali, quindi, il giudice non ha il potere di pronunciarsi.

Cass. civ. n. 4727/1984

La formula con cui una parte domanda al giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma «o in quella somma maggiore o minore che risulterà di giustizia» non può essere considerata — agli effetti dell'art. 112 c.p.c. — come meramente di stile, in quanto essa (come altre consimili), lungi dall'avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull'ammontare del danno effettivamente da liquidarsi e ha lo scopo di consentire al giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno senza essere vincolato all'ammontare della somma determinata che venga indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche.

Cass. civ. n. 4807/1979

Il potere-dovere del giudice di qualificare giuridicamente il rapporto controverso incontra un limite nel divieto di pronunciare ultra petita. Pertanto, poiché le ipotesi di interposizione reale e di interposizione fittizia si fondano su situazioni di fatto profondamente diverse, il giudice, allorché gli sia stata dedotta una situazione integrante gli estremi della prima fattispecie, non può accertare d'ufficio se, in base alle risultanze processuali, siano nel rapporto ravvisabili gli estremi costitutivi della seconda.

Cass. civ. n. 3220/1977

Poiché l'azione di regolamento di confini implicitamente comporta la richiesta di restituzione del dovuto, onde costituiscono pure e semplici inesattezze le indicazioni che l'attore abbia fatto sulla base della ignoranza dell'effettivo stato dei luoghi, non si ha ultrapetizione se il giudice, nel fissare il confine, assegni all'attore una zona di terreno non richiesta in citazione.

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Silvano F. chiede
mercoledì 14/07/2021 - Sardegna
“Salve, vi avevo gia' contattato in precedenza per una consulenza relativa ad una ingiunzione di pagamento nei confronti di una immobiliare. Uscita la sentenza di primo grado che ci ha visti vincitori. La controparte ha proposto appello innanzi la Corte di Roma ( 30 novembre p.v. )Vorrei sapere se fosse possibile che il vostro studio possa assumere la nostra difesa ed, in caso affermativo, i relativi costi.. Grazie”
Consulenza legale i 22/07/2021
In primo luogo, occorre premettere che il diritto non è una scienza esatta e le valutazioni si basano essenzialmente sui precedenti giurisprudenziali di legittimità (le sentenze della Corte di Cassazione) riguardo lo specifico argomento.
Tuttavia, un giudice di merito non è vincolato a detti precedenti e quindi, pur facendo un “pronostico” sulla base di questi, non si può avere la certezza su nessuna questione e/o esito di un giudizio.

Fatta questa doverosa premessa, in merito all’appello proposto da controparte si osserva quanto segue.

La sentenza di primo grado con cui il giudice ha revocato il decreto ingiuntivo appare adeguatamente motivata.
Effettivamente risulta che il contratto principale fosse sottoposto a condizione sospensiva (l’avvenuto rilascio della fideiussione) e quindi trova applicazione quanto previsto dall’art. 1757 c.c. secondo cui il diritto alla provvigione sorge nel momento in cui si verifica la condizione (che, nel caso in esame, non si è verificata).

Di contro, le argomentazioni riportate nell’atto di appello appaiono piuttosto fragili e superficiali.
Si contesta, tra l’altro, al giudice di aver violato l’art. 112 c.p.c. avendo preso in considerazione fatti e circostanze non dedotte da parte opponente.
In realtà, come ha evidenziato la Cassazione con la sentenza n.17897/2019: “Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato ogni qual volta il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell'azione ("petitum" e "causa petendi"), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell'ambito della domanda o delle richieste delle parti: ne deriva che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate.“
Nella presente vicenda, non appare esservi stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c. né, tantomeno dell’art. 113 c.p.c., come indicato nell’atto di appello in quanto il giudice ha (correttamente, a parere di chi scrive) applicato le norme di diritto (tra cui l’art.1757 c.c. sopra citato).

Da ultimo, nell’atto di appello non viene indicata neppure una sentenza di legittimità a sostegno delle proprie argomentazioni.

Alla luce di quanto precede, in risposta al quesito e fermo quanto evidenziato in premessa circa l’incertezza circa l’esito di ogni controversia giudiziale, possiamo affermare che vi sono buone probabilità che in appello venga confermata la sentenza di primo grado.