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Articolo 111 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Successione a titolo particolare nel diritto controverso

Dispositivo dell'art. 111 Codice di procedura civile

Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie (1)(2).

Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto (3).

In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale può esserne estromesso (4).

La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione (5).

Note

(1) Si precisa che in dottrina manca un'opinione unanime relativamente all'ambito di applicazione della norma in esame. Secondo alcuni autori la norma troverebbe applicazione solo nel caso in cui vi sia perfetta identità fra diritto controverso e trasferito, mentre altri estendono l'applicazione anche ai casi in cui il processo verta ad esempio su un'azione di impugnativa negoziale (nullità, risoluzione etc.) e sia trasferito il bene oggetto del contratto.
(2) Nell'ipotesi della successione a titolo particolare, l'alienante agisce o resiste in giudizio non più come legittimato ordinario bensì come sostituto processuale (art.81), continuando a stare in giudizio per un diritto di cui non è più titolare.
(3) Nell'ipotesi della successione a titolo particolare per causa di morte, ovvero del legato, il legatario acquista il bene al momento della morte del de cuius, ma il giudizio prosegue nei confronti dell'erede, ovvero il successore universale, che subentra ad una delle parti originarie venuta a mancare, acquistando così come l'alienante, la posizione di sostituto processuale.
(4) Secondo l'opinione prevalente in dottrina, l'intervento del successore a titolo particolare non appare riconducibile alle ipotesi di intervento volontario (art.105), trattandosi di fattispecie sui generis dal momento che il terzo interviene in un giudizio in cui è titolare del diritto sostanziale controverso e al fine di condizionare una decisione che produrrà tutti i suoi effetti nei suoi confronti. Il terzo può assumere la qualità di parte anche in quanto chiamato da uno dei contendenti o su ordine del giudice. Se il successore a titolo particolare interviene, il dante causa può essere estromesso: ai fini dell'estromissione occorre la richiesta in tal senso del dante causa e il consenso del successore.
(5) La sentenza che conclude il processo dispiega i suoi effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare, indipendentemente dal fatto che egli sia intervenuto o meno nel processo. L'inciso dell'ultimo comma della norma in commento circoscrive l'ambito soggettivo di efficacia della sentenza ai sensi dell'art. 2909 c.c.: se il successore a titolo particolare non intervenuto nel giudizio ha acquistato un bene mobile in buona fede [v. c.c. 1153] o ha trascritto l'acquisto in suo favore di un immobile anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale in cui si controverte [v. c.c. 2652 e 2653], il suo acquisto non potrà essere pregiudicato dall'eventuale soccombenza nel processo del dante causa.
Inoltre, la legittimazione ad impugnare la sentenza prescinde dall'intervento in giudizio del successore a titolo particolare. Anzi egli gode di un termine autonomo di impugnativa, non subendo la decadenza conseguente alla notifica della sentenza al suo dante causa. Qualora il trasferimento del diritto controverso fosse avvenuto ante causam, la legittimazione ad impugnare da parte del successore non intervenuto o chiamato nel giudizio di primo grado sussisterebbe solo nelle ipotesi di intervento in appello ex art. 344 o ex art. 404, ossia in caso di collusione a suo danno.

Ratio Legis

La norma descrive l'ipotesi della successione a titolo particolare che può avvenire sia per atto tra vivi che a causa della morte di una delle parti. Nel primo caso il processo prosegue tra le parti originarie, al fine di evitare l'inconveniente di mettere ciascuna delle parti in condizione di poter costringere l'altra a subire il continuo cambiamento del suo contraddittore. Nel secondo caso, il processo continua nei confronti dell'erede che subentra ad una delle parti originarie venute a mancare e che assume la veste di sostituto processuale.

Spiegazione dell'art. 111 Codice di procedura civile

L'art. 111 si apre disponendo al primo comma che, se in pendenza di giudizio si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie.
La dottrina processualcivilistica prevalente che si è occupata dell'argomento identifica il concetto di successione con quello di acquisto a titolo derivativo, ove l'avente causa è titolare di una situazione sostanziale dipendente dalla situazione sostanziale dell'autore della successione.
Si ritiene, invece, che debbano essere escluse dal campo di applicazione di questa norma le fattispecie aventi ad oggetto un acquisto a titolo originario (si pensi al caso dell'usucapione), ossia quei casi in cui sorge in capo all’avente causa un diritto nuovo, che non è legato al precedente da alcun vincolo di pregiudizialità e/o dipendenza.

Ciò posto, risulta abbastanza evidente che il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso nel corso del processo non svolge alcun effetto sul rapporto processuale, che continua a svolgersi tra le parti originarie, dando soltanto luogo ad una sostituzione processuale del dante causa, consentendo che la sentenza spieghi piena efficacia nei confronti dell'avente causa sostituito, anche se pronunciata senza la sua partecipazione al giudizio.

È pacificamente ammesso che il mutamento di titolarità della res litigiosa debba avvenire nel corso del processo, ovvero dopo il compimento del primo atto costitutivo dello stesso (ad es. la notifica dell'atto di citazione); qualora, invece, l'alienazione avvenisse antecedentemente, l'alienante si troverebbe ad essere privo della legittimazione ad agire, e pertanto dovrebbe essere l'acquirente ad assumere la veste di parte nel processo.

Il diritto in contestazione può essere trasferito da un soggetto ad un altro anche mortis causa. E’ questa l’ipotesi regolata dal secondo comma della norma in esame, il quale prevede che il processo prosegua ad opera del successore universale od in suo confronto.
Si tratta del caso in cui il diritto sia oggetto di un legato e si afferma in dottrina che, alla luce della normativa sostanziale vigente ed in particolare dell’art. 649 del c.c., è necessario che il legato abbia per oggetto la proprietà di una cosa determinata od un altro diritto di cui il testatore ritiene di essere il titolare.
Diverso, infatti, è il caso in cui il legato comporti soltanto un obbligo per l'erede di trasferire al legatario il bene litigioso; in questo caso, non realizzandosi un passaggio immediato del diritto dal testatore al legatario, va esclusa l'applicabilità della disposizione in esame.

Non vi è una definizione univoca, né in dottrina né in giurisprudenza, dell'oggetto della successione a titolo particolare nel diritto controverso.
Parte della dottrina ritiene che oggetto della successione sia non già il diritto sostanziale stricto sensu inteso, ma il “preteso diritto”.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che la successione abbia ad oggetto il diritto processuale al provvedimento di merito, e non già una situazione sostanziale
La giurisprudenza, dal canto suo, ritiene che, sottesa all'art. 111, sia la successione nel rapporto sostanziale oggetto di contesa.

Altro aspetto oggetto di indagine è stato quello relativo al nesso sussistente tra diritto sostanziale e processo, ciò che richiede di esaminare il tema dell'influenza che il mutamento della titolarità del diritto controverso può avere nel giudizio in corso.
Al riguardo si sono sviluppate due distinte teorie, ovvero la teoria dell'irrilevanza e la teoria della rilevanza.
La prima si fonda su una assoluta indipendenza tra il mutamento sostanziale (il trasferimento della res litigiosa) ed il processo, il che comporta che la successione nel diritto controverso non esplicherebbe influenza alcuna sul giudizio in corso, il quale prosegue fra le parti originarie come se nulla fosse mutato.
A tale teoria si contrappone la tesi della rilevanza, secondo cui sussiste un intimo nesso tra processo e suo contenuto.

Una rigorosa applicazione della tesi dell'irrilevanza dovrebbe indurre a ritenere che il ruolo ed i poteri spettanti alle parti originarie rimangano immutati e che il successore particolare debba qualificarsi come terzo, tranne per il caso in cui quest'ultimo decida di proporre intervento nel giudizio.
La maggior parte degli esponenti della tesi della rilevanza, invece, in conformità al postulato dell'influenza del fenomeno successorio sul processo, attribuisce all'alienante ed al successore universale il ruolo di sostituti processuali, riconoscendo in capo ai medesimi una legittimazione straordinaria a rimanere in giudizio a tutela di un diritto di cui è divenuto titolare un altro soggetto, ovvero il successore.

In forza del principio secondo cui il processo prosegue per opera dell'alienante o del successore universale, ne consegue che tali soggetti possono compiere tutti gli atti necessari per l'emanazione della sentenza (quali, a titolo esemplificativo, la presentazione al giudice di istanze, memorie e comparse, la precisazione delle conclusioni, ecc.).
E’ discusso in dottrina se l'alienante possa rinunciare agli atti processuali, o anche accettare la rinuncia della controparte.
Secondo alcuni Autori deve riconoscersi alla parte originaria la facoltà di compiere tali attività, in quanto la medesima gode della piena disponibilità del diritto oggetto del processo (pertanto, tutti gli atti processuali compiuti, compresi quelli che pregiudicano la posizione del successore particolare, devono ritenersi perfettamente validi).
Secondo altra parte della dottrina l'alienante può rinunciare agli atti ed accettare la rinuncia avversaria, ma soltanto nel corso del processo di primo grado.

Per quanto riguarda gli atti di disposizione del diritto controverso (esempio la conciliazione giudiziale, il riconoscimento dell'azione avversaria, la confessione ed il giuramento), la dottrina maggioritaria ne esclude l'esperibilità da parte dell'alienante; altri autori, invece, ritengono tali atti validi ed efficaci nel processo, purchè siano stati posti in essere in epoca anteriore rispetto all'intervento in causa dell'avente causa o del legatario.

Il terzo comma dell’art. 111 attribuisce al successore a titolo particolare la facoltà di intervenire o di essere chiamato nel processo e, previo consenso di tutte le parti, la possibilità di estromettere l'alienante e il successore universale.
Da ciò se ne deve far conseguire che egli non è litisconsorte necessario, assumendo tale qualità solo eventualmente ed in un momento successivo, laddove intervenga o sia chiamato nel processo, o ancora nel caso in cui eserciti la facoltà di impugnare la sentenza contro il dante causa.
La ratio di tale disposizione in merito all’intervento si ravvisa nell'esigenza di salvaguardare il diritto di difesa dell'avente causa o del legatario, reali titolari della res litigiosa.

Circa la qualificazione giuridica dell'ingresso in causa del successore particolare, la dottrina tradizionale ritiene che esso debba inquadrarsi nella categoria dell’intervento adesivo dipendente, e ciò sulla base della considerazione secondo cui il successore particolare non propone una domanda nuova, bensì pone in essere un'attività preordinata a sostenere la medesima pretesa fatta valere dall'alienante o dal successore universale.
Altra tesi, invece, riconduce tale fattispecie alla categoria dell'intervento litisconsortile (o adesivo autonomo), poichè in capo al successore che intende proporre intervento sussiste una legittimazione assimilabile a quella delle parti principali.

L'intervento volontario del successore non è soggetto ad alcuna limitazione e può essere esercitato in ogni stato e grado del processo; può essere sollecitato dalle parti in causa o dal giudice.
Sempre il terzo comma ammette la possibilità che, ove il successore particolare sia intervenuto, il dante causa od il successore universale siano estromessi dal giudizio.
Si osserva che la richiesta di estromissione deve essere presentata dall'alienante (o dal successore universale), in quanto è l’unico soggetto che presenta un interesse in tal senso; infatti, sia l'acquirente che la controparte hanno interesse alla presenza dell'autore della successione.
Il consenso di tutte le parti richiesto per l'estromissione può essere manifestato in modo espresso, ma, secondo l'opinione della dottrina maggioritaria, può anche essere tacito, ovvero essere desunto da un comportamento concludente.

Il quarto comma prevede che, in caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie e che, anche quando non vi sia estromissione del convenuto, la sentenza avrà comunque effetto contro il successore a titolo particolare.
La ratio di tale disposizione deve ricercarsi nell'esigenza di tutelare il soggetto che, non essendo coinvolto dal fenomeno successorio, rischia di ottenere una pronuncia inutiliter data, non opponibile al vero titolare del diritto controverso.

In relazione alle modalità con cui la sentenza è in grado di operare nei riguardi dell'acquirente o del legatario, parte della dottrina parla di efficacia di tale sentenza nei confronti dell'acquirente o del legatario, essendo questi ultimi soggetti terzi e titolari di un diritto giuridicamente diverso; altra parte della dottrina, invece, e precisamente gli esponenti della teoria della rilevanza del mutamento sostanziale nel processo (che ravvisano l'identità giuridica del diritto dell'autore con quello del successore), qualificano l'efficacia della sentenza come diretta.


Per quanto concerne il problema della efficacia esecutiva, nei confronti del successore, della sentenza resa tra le parti originarie, nel silenzio della legge tale problema è stato positivamente risolto dalla dottrina sulla base del combinato disposto degli artt. 475 e 477 c.p.c., con la conseguenza che, se in pendenza di causa viene trasferito un bene a titolo particolare, la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, è eseguibile anche a favore, o nei confronti, del successore particolare.

Il quarto comma, inoltre, nel sancire l'efficacia della sentenza nei confronti del successore particolare, fa salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione; proprio da tale parte della norma se ne fa derivare che esula dall'ambito applicativo dell'art. 111 la fattispecie di acquisto del diritto controverso a titolo originario.

Viene anche stabilito che la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, può essere impugnata dal successore particolare.
In realtà, i sostenitori della tesi dell'irrilevanza del mutamento sostanziale nel processo (che attribuiscono al successore singolare, non intervenuto in giudizio, il ruolo di terzo) dovrebbero ammettere che tale soggetto possa solo esperire l'opposizione di terzo di cui all'art. 404 del c.p.c., essendo questo proprio un rimedio predisposto a tutela di quei soggetti che sono estranei al processo, ma pregiudicati dalla sentenza resa tra le parti originarie (pertanto, l'unico legittimato ad impugnare la sentenza con i mezzi propri delle parti sarebbe l'alienante o il successore universale).

Diversamente, gli Autori che ritengono il successore come parte, anche soltanto dal punto di vista sostanziale, dovrebbero escludere la proponibilità, ad opera dello stesso, dell'opposizione di terzo, affermando la sua legittimazione ad avvalersi dei mezzi d'impugnazione che gli sono propri, quali l'appello, il ricorso in cassazione, la revocazione ed il regolamento di competenza.
La maggioranza della dottrina, comunque, ammette che il successore, anche se non intervenuto o non chiamato nella precedente fase di giudizio, possa avvalersi dei mezzi ordinari d'impugnazione.

L'ultimo tema da esaminare è quello della disciplina da applicare nel caso di successione a titolo particolare avvenuta nel corso di un processo esecutivo.
A tale proposito la dottrina non appare univoca, in quanto mentre alcuni autori ritengono applicabile la disposizione dell’art. 111 ad un processo esecutivo iniziato da un creditore che, prima della conclusione dell'esecuzione, alieni il suo diritto ad un terzo, altra parte della dottrina, invece, ritiene che dalla perdita, in capo al creditore, della titolarità del diritto sostanziale, ne derivi la carenza di legittimazione dello stesso ad agire esecutivamente (cosicché unico legittimato ad agire nel processo d'esecuzione sarebbe l'avente causa).
Ciò comporterebbe una dicotomia tra titolo esecutivo documentale (dal quale risulta come legittimato il dante causa) e titolo esecutivo sostanziale, in virtù del quale solo l'effettivo titolare del diritto sostanziale può legittimamente procedere coattivamente.

Massime relative all'art. 111 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 5987/2021

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso può tempestivamente impugnare per cassazione la sentenza di merito, ma non anche intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa, riguardante la disciplina di quell'autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione a quel giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che sono quelle che hanno partecipato al giudizio di merito. (Dichiara inammissibile, TRIBUNALE BERGAMO, 03/12/2014).

Cass. civ. n. 30189/2019

In ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e prima della scadenza del termine per l'impugnazione, il dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che l'impugnazione spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti la sentenza è stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore.

Cass. civ. n. 21690/2019

Ai sensi dell'art.111, comma 3, c.p.c., il successore a titolo particolare nel diritto controverso può intervenire o essere chiamato in causa in ogni grado o fase del processo, sicché la chiamata non soggiace alle forme e ai termini prescritti dall'art.269 c.p.c.

Cass. civ. n. 13192/2019

In tema di scissione societaria, la società nata dalla scissione subentra nel preesistente rapporto contrattuale facente capo a quella scissa, in virtù di una successione a titolo particolare nel diritto controverso, con la conseguenza che la clausola compromissoria per arbitrato rituale in origine pattuita rimane efficace.

Cass. civ. n. 28741/2018

L'estinzione "ope legis" delle società del gruppo Equitalia ai sensi dell'art.1 del d.l. n. 193 del 2016, conv. in l. 225 del 2016, non determina l'interruzione del processo, trattandosi di una forma di successione nel diritto controverso, né la necessità di costituzione in giudizio dell'Agenzia delle Entrate Riscossione: ne deriva che il nuovo ente, ove si limiti a subentrare negli effetti del rapporto processuale pendente al momento della sua istituzione, senza formale costituzione in giudizio, può validamente avvalersi dell'attività difensiva espletata dall'avvocato del libero foro già designato da Equitalia secondo la disciplina previgente.

Cass. civ. n. 21492/2018

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non è terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del cedente e da poter resistere alla medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo mancato intervento nelle fasi pregresse del giudizio, così com'è legittimato a proporre impugnazione avverso la sentenza, anche pronunciata nei confronti del dante causa non estromesso, assumendo la stessa posizione di quest'ultimo, mentre è esclusa l'esperibilità da parte sua dell'opposizione ordinaria di terzo ex art. 404, comma 1, c.p.c..

Cass. civ. n. 20533/2017

Ove il giudizio di impugnazione si sia svolto senza l'evocazione in giudizio dell'alienante del diritto controverso, ma con la partecipazione del successore a titolo particolare, allorché il primo abbia dimostrato il suo disinteresse al gravame e l'altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia accettato il contraddittorio nei confronti del successore, sussistono i presupposti per l'estromissione tacita dal giudizio dell'alienante, con conseguente perdita della qualità di litisconsorte necessario della parte originaria.

Cass. civ. n. 18767/2017

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso, che abbia spiegato intervento volontario, assume nel processo una posizione coincidente con quella del suo dante causa, divenendo titolare del diritto in contestazione; pertanto il suo intervento - che è regolato dall'art. 111 c.p.c. e non dall'art. 105 c.p.c. e dà luogo ad una fattispecie di litisconsorzio necessario - non può essere qualificato come intervento adesivo dipendente e, se svolto in appello, mediante mera riproposizione dei motivi dell'impugnazione proposta dal dante causa, non soggiace ai limiti di cui all'art. 344 c.p.c. e non integra un'impugnazione incidentale tardiva.

Cass. civ. n. 22035/2016

Il successore a titolo particolare di una delle parti del processo, che abbia spiegato intervento volontario nel giudizio o vi sia stato chiamato ovvero abbia impugnato la sentenza emessa nei confronti del suo dante causa ai sensi dell'art. 111, commi 3 e 4, c.p.c., assume la posizione di litisconsorte necessario, destinata a perdurare anche nelle fasi successive del processo fino alla sua eventuale estromissione. Ne consegue che, ove il giudizio sia stato interrotto successivamente alla chiamata in causa ovvero all'intervento del successore a titolo particolare, occorre procedere alla riassunzione anche nei suoi confronti, in mancanza della quale deve essere ordinata, anche in appello, l'integrazione del contraddittorio, determinandosi, altrimenti, la nullità del procedimento e di tutti gli atti successivi, rilevabile, anche d'ufficio, in sede di legittimità, alla cui declaratoria consegue la rimessione della causa al giudice dinanzi al quale si è verificata la predetta violazione, affinché provveda alla rinnovazione degli atti nulli, previa sanatoria del vizio.

Cass. civ. n. 11638/2016

Il successore a titolo particolare ex art. 111 c.p.c. può intervenire nel giudizio di legittimità, per esercitare il potere di azione che gli deriva dall'acquistata titolarità del diritto controverso, quando non sia costituito il dante causa, altrimenti determinandosi un'ingiustificata lesione del suo diritto di difesa.

Cass. civ. n. 17328/2015

La comparsa di intervento del successore a titolo particolare nel diritto controverso deve essere notificata al convenuto contumace anche se l'interventore si associ alle domande degli altri soggetti, già partecipi del giudizio, poiché il contumace, oltre a poter contestare la legittimità dell'intervento od opporre eccezioni personali, ha comunque diritto ad essere informato della presenza in causa di una nuova parte, salvo il caso in cui la comparsa d'intervento non contenga domande nei suoi confronti. L'omessa notifica dell'atto d'intervento, peraltro, comporta la nullità della sentenza ma non la sua inesistenza, sicché nel giudizio d'appello, non essendo applicabili gli artt. 353 e 354 cod. proc. civ., la causa deve essere decisa nel merito, secondo le regole generali.

Cass. civ. n. 10057/2015

Il principio di cui all'art. 111, primo comma, cod. proc. civ., secondo cui, se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie, non opera qualora tale diritto (ovvero una quota del bene che ne è oggetto) sia ceduto da una parte alla sua controparte, venendo a cessare, per confusione soggettiva tra attore e convenuto, la materia del contendere (anche solo relativamente alla quota ceduta), la quale, come condizione dell'azione, deve persistere fino al momento della decisione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato con rinvio il provvedimento impugnato, che aveva dichiarato inammissibile la domanda di equa riparazione per irragionevole durata del processo in considerazione del mancato decorso, al momento della proposizione, del termine lungo d'impugnazione nei confronti di alcune parti, nonostante le stesse, nel corso del giudizio presupposto di scioglimento della comunione, avessero ceduto le proprie quote ad una delle controparti).

Cass. civ. n. 10005/2015

In forza dell'art. 2909 cod. civ., nel caso di azioni a difesa della proprietà come quella relativa al rispetto delle distanze legali, la sentenza pronunciata contro l'originaria parte processuale spiega i suoi effetti anche nei confronti del successore a titolo particolare che abbia partecipato al processo a prescindere dalla trascrizione della domanda, atteso che l'art. 111, quarto comma, cod. proc. civ. riguarda solo il terzo che abbia acquistato il diritto controverso durante la pendenza della lite e che non abbia partecipato al processo.

Cass. civ. n. 22503/2014

La successione per atto tra vivi a titolo particolare nel diritto controverso, disciplinata all'art. 111 cod. proc. civ., concerne la titolarità attiva e passiva dell'azione, e non già la capacità di agire applicata al processo, con la conseguenza che essa non far venir meno né l'interesse ad agire o a resistere in capo agli originali attori e convenuti, né la legittimazione dell'originario titolare del diritto. Tale legittimazione, tuttavia, ha portata meramente sostitutiva e processuale, con la conseguenza che gli effetti sostanziali della pronuncia si spiegano solo nei confronti dell'effettivo nuovo titolare, sia o meno il medesimo intervenuto in giudizio.

Cass. civ. n. 15107/2014

Il trasferimento "inter vivos" del diritto controverso determina, agli effetti dell'art. 111 cod. proc. civ., la prosecuzione del processo tra le parti originarie, non venendo meno la "legittimatio ad causam" della parte cedente, sicché, in caso di decesso di quest'ultima, il rapporto processuale non subisce alterazioni, ma solo vicende interruttive, trasmettendosi la legittimazione ad agire o a resistere in giudizio, in base all'art. 110 cod. proc. civ., dal "de cuius" agli eredi, i quali vengono a trovarsi, per tutta la durata del processo, in una situazione di litisconsorzio necessario, senza che abbia rilievo che il diritto controverso non fosse più nel patrimonio del "de cuius" al momento dell'apertura della successione.

Cass. civ. n. 8936/2013

Nel caso di cessione di un credito già azionato esecutivamente, trovano applicazione (sia pure con gli opportuni adattamenti) sia il primo che il terzo comma dell'art. 111 cod. proc. civ. Quando, invece, un'analoga successione si verifichi dal lato passivo (ove, cioè, un terzo abbia acquistato, in pendenza dell'esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, il bene pignorato), è applicabile solo il primo comma della citata disposizione, ostando all'applicazione anche del terzo il regime di inefficacia delineato dall'art. 2913 cod. civ.

Cass. civ. n. 78/2013

L'art. 111 c.p.c., che disciplina la successione a titolo particolare e fa salve, tra le altre, le norme sulla trascrizione, enuncia una regola che attiene non tanto all'integrità del contraddittorio, quanto all'opponibilità della sentenza e si pone quindi su di un piano diverso rispetto all'art. 1113, terzo comma, c.c., dettato per il giudizio divisionale avente ad oggetto beni immobili, il quale, invece, anche al fine di garantire la continuità delle trascrizioni nei registri immobiliari, individua nella trascrizione dell'atto di acquisto il momento determinante per stabilire quali soggetti debbano partecipare al giudizio. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato l'impugnata sentenza che, nell'ambito di un giudizio di scioglimento di comunione su di un fondo, aveva negato la qualità di litisconsorti necessari agli aventi causa della ricorrente, il cui acquisto, sfornito di prova della sua trascrizione, era avvenuto durante il predetto giudizio).

Cass. civ. n. 13377/2012

In tema di azioni possessorie, la regola indicata dall'art. 1169 c.c. è da intendersi dettata per il caso in cui la successione nel possesso a titolo particolare nei confronti dell'autore dello spoglio avvenga prima che contro costui sia proposta la domanda di reintegrazione nel possesso. Allorquando, invece, la successione nel possesso a titolo particolare avvenga dopo la proposizione della domanda di reintegrazione nei confronti dell'autore dello spoglio, non rileva la situazione soggettiva da parte dell'avente causa, perchè, a protezione dell'attore e a garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale, opera la norma di cui all'art. 111 c.p.c. e in particolare quella di cui al quarto comma, secondo cui la sentenza ha effetto anche nei confronti dell'avente causa.

Cass. civ. n. 12305/2012

La successione a titolo particolare nel diritto controverso, di cui all'art. 111 c.p.c., alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata dal principio del giusto processo, coniugato con il diritto di difesa (artt. 111 e 24 Cost.), si ha indipendentemente dalla natura, reale o personale, dell'azione fatta valere tra le parti originarie, dovendosi garantire all'acquirente, il quale intenda intervenire nel processo, le stesse possibilità di difesa spettanti al suo dante causa contro le deduzioni avversarie, e potendosi, invece, rivelare per lo stesso acquirente pregiudizievole la soggezione all'efficacia riflessa della sentenza "inter alios", impugnabile soltanto nell'ambito delle difese esercitate dall'alienante. Ne consegue che l'acquirente di un immobile deve essere considerato successore nel diritto controverso, agli effetti dell'art. 111 c.p.c., nel processo avente ad oggetto la validità, la risoluzione o l'esecuzione di un contratto preliminare, relativo allo stesso bene, stipulato in precedenza tra il dante causa ed un terzo.

Cass. civ. n. 5874/2012

Nella disciplina dettata dagli art. 2504 septies c.c. (applicabile "ratione temporis"), la scissione parziale di una società, consistente nel trasferimento di parte del suo patrimonio ad una o più società, preesistenti o di nuova costituzione, contro l'assegnazione delle azioni o delle quote di queste ultime ai soci della società scissa, si traduce in una fattispecie effettivamente traslativa, che comporta l'acquisizione da parte della nuova società di valori patrimoniali prima non esistenti nel suo patrimonio; detto trasferimento non determina l'estinzione della società scissa ed il subingresso di quella risultante dalla scissione nella totalità dei rapporti giuridici della prima, configurandosi invece come successione a titolo particolare nel diritto controverso, che, ove intervenga nel corso del giudizio, comporta l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 111 c.p.c., con la conseguente facoltà del successore di spiegare intervento nel giudizio e d'impugnare la sentenza eventualmente pronunciata nei confronti del dante causa; in tal caso, il successore ha, tuttavia, l'onere di allegare la propria qualità e di offrire la prova delle circostanze che costituiscono i presupposti della sua legittimazione mediante riscontri documentali, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contradditorio, è rilevabile anche d'ufficio.

Cass. civ. n. 4208/2012

La successione nel diritto controverso non determina una questione di legittimazione attiva o di "legitimatio ad processum", ma una questione di merito, attinente alla titolarità del diritto, da esaminare con la decisione sulla fondatezza della domanda, e non anticipatamente in funzione preclusiva degli atti d'impulso volti a riattivare il processo interrotto; pertanto, il giudice deve dare seguito all'istanza di riassunzione proposta da chi si afferma successore a titolo particolare nel diritto della parte processuale estinta, impregiudicato l'accertamento dell'effettiva spettanza del diritto medesimo all'esito della valutazione della prova dell'allegata successione.

Cass. civ. n. 22727/2011

In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie e, anche quando non vi sia estromissione del convenuto ai sensi dell'art. 111, terzo comma, c.p.c., la sentenza ha comunque effetto contro il successore a titolo particolare, il quale può intervenire o essere chiamato nel giudizio, divenendone parte a tutti gli effetti; nè peraltro la circostanza per cui, contro tale successore, detta sentenza, pur se pronunciata in confronto del solo originario convenuto, abbia efficacia anche come titolo esecutivo, elimina l'attualità dell'interesse dell'attore ad agire contro l'originario convenuto.

Cass. civ. n. 981/2010

II giudicato sull'annullamento del contratto (nella specie, la cessione della quota di partecipazione ad una società in accomandita semplice), è opponibile nei confronti del successore a titolo particolare nel diritto controverso salvo il caso in cui il successore medesimo abbia acquistato detto diritto in buona fede, non potendo in tal caso egli essere pregiudicato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1445 c.c.

Cass. civ. n. 792/2010

In tema di legittimazione all'impugnazione di una sentenza da parte del successore a titolo particolare nel diritto controverso, qualora la successione riguardi un appalto con la P.A. ricompreso in un ramo di azienda oggetto di conferimento in favore di una società, poichè il trasferimento di ramo d'azienda, anche mediante conferimento, configura una successione a titolo particolare riconducibile al "genus" della cessione d'azienda, la prova della avvenuta successione deve riguardare, oltre che il conferimento del ramo d'azienda e l'inclusione in questo del suddetto contratto, anche l'avvenuta effettuazione della comunicazione di cui all'art. 35, comma 1, della L. 11 febbraio 1994, n. 109, secondo le modalità previste dal D.P.C.M. 11 maggio 1991, n. 187 (applicabili "ratione temporis"), attesa l'indefettibilità di tale adempimento per l'efficacia della cessione nei confronti dell'Amministrazione.

Cass. civ. n. 22424/2009

La cessione di credito determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue, ai sensi dell'art. 111 c.p.c., la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso d'intervento di quest'ultimo fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti.

Cass. civ. n. 18220/2008

L'art. 111 c.p.c. è applicabile in via analogica alle ipotesi in cui il convenuto, pur privo di legittimazione passiva al momento dell'introduzione del giudizio, l'acquisti (per contratto o per legge) nel corso del processo. In tal caso, quindi, il processo deve proseguire tra le parti originarie.

Cass. civ. n. 17151/2008

In caso di trasferimento d'azienda si realizza una successione a titolo particolare nella generalità dei rapporti preesistenti dal cedente al cessionario ; ne consegue che, ove rispetto ad uno dei rapporti sia pendente una controversia, il cessionario che sia intervenuto, ex art. 111 c.p.c., nel processo, accettando il contraddittorio sulle domande formulate verso il suo dante causa e svolgendo difese nel merito, assume la veste di parte processuale in qualità di titolare del diritto in contestazione e non quale terzo, non potendosi qualificare il suo intervento come adesivo dipendente.

Cass. civ. n. 11895/2008

In tema di locazione, il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta, sul piano sostanziale, in base all'art. 1599 c.c., il subentro nella posizione del locatore dell'acquirente all'alienante nel rapporto locatizio e produce, sul piano processuale, gli effetti previsti e disciplinati dall'art. 111 c.p.c. ; peraltro, il principio stabilito dall'art. 1602 c.c., che fissa al momento dell'acquisto del bene locato il subingresso dell'acquirente nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione, esclude per implicito che il fenomeno successorio ex art. 1599 c.c. del trasferimento a titolo particolare della cosa locata possa avere effetto retroattivo. Ne consegue che l'acquirente dell'immobile locato, pur subentrando in tutti i diritti e gli obblighi correlati alla prosecuzione del rapporto di locazione, deve considerarsi terzo rispetto agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore e a carico delle parti originarie fino al giorno del suo acquisto (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha rigettato la domanda di rilascio per occupazione senza titolo proposta dall'acquirente del bene nei confronti del ricorrente, ritenendo sussistente il contrasto tra la decisione impugnata e quella, passata in giudicato, che, nella causa intentata nei confronti dello stesso ricorrente dall'alienante, aveva accertato il diritto del predetto a succedere nel contratto di locazione ex art. 6 della legge 392 del 1978 ).

Cass. civ. n. 15674/2007

Ogni qualvolta la cessione di un credito avvenga nel corso del procedimento, l'attività sino a quel momento svolta e le pronunce eventualmente emesse trovano la loro disciplina nell'art. 111 c.p.c. e non nell'art. 105 c.p.c., assumendo il successore a titolo particolare nel diritto controverso la posizione di parte e non quella di terzo. Ne consegue che tale successione lo espone, indipendentemente dall'estromissione del dante causa, agli effetti della decisione pronunciata, che è da lui impugnabile e fruibile in sede esecutiva. (Fattispecie in tema di opposizione a decreto ingiuntivo nella quale il credito portato dal decreto era stato ceduto dalla società opposta; la S.C. ha riconosciuto che la società cessionaria, successore a titolo particolare nel diritto controverso, aveva titolo, in quanto parte, a chiedere la conferma dell'opposto decreto).

Cass. civ. n. 10215/2007

L'intervento del successore a titolo particolare non è ammissibile nel giudizio di cassazione, al quale partecipano soltanto le parti, ancora viventi, del giudizio di merito.

L'estromissione di cui al terzo comma dell'art. 111 c.p.c. è possibile, sempre che risulti agli atti il consenso delle altre parti in causa, solo quando il trasferimento del diritto controverso abbia ad oggetto l'intera situazione sostanziale, ciò che non si verifica nel caso di cessione d'azienda, in cui il cedente rimane obbligato in solido al cessionario verso i lavoratori. (Fattispecie relativa a istituto di credito, succeduto alla società già parte del giudizio di merito, che aveva poi ceduto il relativo ramo d'azienda).

Cass. civ. n. 18937/2006

Il soggetto che interviene nel processo — a norma dell'art. 111, comma terzo, c.p.c. — quale successore a titolo particolare nel diritto controverso fa valere un autonomo interesse a partecipare al giudizio che deriva dal fatto che egli è l'effettivo titolare del diritto oggetto della controversia, rispetto alla cui posizione di titolare sostanziale del diritto la parte originaria assume la qualità di sostituto processuale, con la conseguenza che tale intervento non è qualificabile come adesivo dipendente, bensì come intervento autonomo riconducibile alla predetta disposizione normativa. Né osta a quest'ultima qualificazione la circostanza che il successore, all'atto del suo intervento, non chieda di accertare la sua qualità di successore a titolo particolare quale avente causa immediato o mediato di una delle parti, poiché il relativo interesse ad agire va valutato non con riferimento all'effettiva titolarità (sopravvenuta) del diritto, ma alla mera allegazione che ne viene fatta dalla parte in sede di formulazione della domanda di intervento, salvo, ovviamente, il successivo accertamento della titolarità effettiva del diritto controverso, che deve essere effettuato al momento della pronuncia sul merito della domanda.

Cass. civ. n. 18483/2006

In caso di alienazione del diritto controverso, l'intervento o la chiamata in causa dell'acquirente non comporta automaticamente l'estromissione dell'alienante, producendosi tale effetto solo con il relativo provvedimento, adottato previo consenso delle altre parti; l'alienante, pertanto, finché non sia estromesso, rimane nel processo come litisconsorte necessario, e la sua mancata partecipazione al giudizio di gravame determina un difetto di integrità del contraddittorio, rilevabile in sede di legittimità anche d'ufficio.

Cass. civ. n. 4985/2004

In pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall'art. 111 c.p.c., detto per il giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le parti originarie, con la conseguenza che l'alienante mantiene la sua legittimazione attiva (ad causam) conservando tale posizione anche nel caso di intervento del successore a titolo particolare, fino a quando non sia estromesso con il consenso delle altre parti. A tale stregua, quando la cessione del credito avviene a processo esecutivo iniziato e, in accordo con il cessionario, è l'originario creditore a proseguirlo, da un canto, il debitore deve risolvere le sue opposizioni contro la parte che procede; d'altro canto, dovendo i principi evincibili dall'art. 111 c.p.c. essere adattati alle caratteristiche proprie del processo esecutivo (per cui la soluzione di determinate questioni incidentali avviene anziché nell'ambito dello stesso processo in distinti giudizi di cognizione, quali quelli volti a decidere sulle questioni concernenti l'estinzione, le opposizioni esecutive e le controversie sulla distribuzione del ricavato), deve conseguentemente riconoscersi, ferma restando la prosecuzione del processo stesso tra le parti originarie, la possibilità per il cessionario di svolgere le attività processuali inerenti all'indicato subingresso nella qualità di soggetto passivo, e quindi (anche) la facoltà di intervenire, ai sensi dell'art. 111, quarto comma, c.p.c., nel giudizio di cassazione pur non avendo spiegato intervento in primo grado, e pur essendo subentrato nella titolarità del diritto controverso prima che l'opposizione fosse proposta (essendo all'epoca il processo esecutivo già iniziato).

Cass. civ. n. 12126/2003

In virtù del D.L.vo n. 502 del 1992 e della legge n. 724 del 1994, è stata realizzata una sorta di successione ex lege delle Regioni nei rapporti obbligatori già di pertinenza delle soppresse USL, le quali proseguono le loro attività attraverso le apposite gestioni stralcio; sicché, ove tale successione avvenga nel corso di una causa avente ad oggetto uno di tali rapporti, si applicano i principi dettati dall'art. 111 c.p.c. per l'ipotesi di successione a titolo particolare nel diritto controverso. Ne consegue che, nel caso in cui il giudice di primo grado erroneamente dichiari interrotto il processo per la successione intervenuta nel corso del giudizio (che, invece, doveva proseguire nei confronti della medesima USL, benché mediante la prevista gestione stralcio), il giudice d'appello deve rimettere la causa a quello di primo grado (art. 354 c.p.c.), poiché, attraverso l'erronea dichiarazione d'interruzione, malamente risulta estromessa dal giudizio di primo grado la parte (la USL) che doveva, invece, parteciparvi mediante l'apposita gestione.

Cass. civ. n. 8052/2003

Nel caso di successione a titolo particolare nel diritto sostanziale controverso, il processo prosegue tra le parti originarie, e il successore a titolo particolare può intervenire nel processo per tutelare le sue ragioni in considerazione dell'estensione del giudicato anche nei suoi confronti ex art. 2909 c.c. In tale ipotesi, ai fini della estromissione dal processo dell'alienante, occorre la richiesta in tal senso di quest'ultimo e il consenso del successore.

Cass. civ. n. 875/2003

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso assume la qualità di litisconsorte solo quando intervenga, o sia chiamato in causa, od eserciti la facoltà di impugnare la sentenza sfavorevole all'alienante, secondo le previsioni dell'art. 111, terzo e quarto comma, c.p.c.

Cass. civ. n. 601/2003

Nel caso di successione a titolo particolare tra vivi nel diritto controverso, la sentenza pronunciata contro l'alienante è efficace nei confronti dell'avente causa anche quale titolo esecutivo, nei limiti dell'accertamento in essa contenuto. Peraltro, ove la stessa sentenza contenga anche un comando di adeguare lo stato di fatto alla situazione giuridica accertata, attraverso la imposizione di obblighi di fare, il possesso, o la detenzione, da parte del terzo, della cosa sulla quale l'obbligo deve eseguirsi comporta la trasmissione di detto obbligo in capo a questo. (Principio affermato con riferimento ad una fattispecie in cui, a seguito di una sentenza, relativa ad azione di regolamento di confini, con la quale era stata pronunciata la condanna di uno dei proprietari a ripristinare il canale di scolo posto sul confine tra le due proprietà, ed a rilasciare la parte di terreno abusivamente occupata, l'altro proprietario aveva promosso il processo di esecuzione nei confronti del successivo acquirente del fondo confinante).

Cass. civ. n. 237/2003

Il trasferimento di un ramo d'azienda da una società all'altra configura una successione a titolo particolare nei rapporti preesistenti che, sul piano processuale, determina una prosecuzione del processo in corso tra le parti originarie, ai sensi dell'art. 111 c.p.c.; non sussiste invece una ipotesi di litisconsorzio necessario tra cedente ed acquirente, in quanto il vincolo di solidarietà per i crediti del lavoratore, che l'art. 2112 c.c. pone a carico del cedente, non dà luogo a litisconsorzio necessario.

Cass. civ. n. 8889/2002

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato terzo, essendo l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter assumere la stessa posizione del suo dante causa, con la conseguenza che, come la sentenza spiega effetto nei suoi confronti, egli è anche legittimato ad impugnarla, secondo quanto espressamente previsto nell'ultimo comma dell'art. 111 c.p.c., senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento in fasi pregresse di giudizio; trattasi di legittimazione attiva e passiva, sicché il successore, può essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario del suo dante causa, e può resistere all'impugnazione medesima, fermo restando il litisconsorzio necessario tra dante causa (che non sia stato precedentemente estromesso) e successore a titolo particolare.

Cass. civ. n. 1155/2002

La trascrizione della domanda giudiziale nei casi in cui è prevista dalla legge si ricollega al principio fissato dall'art. 111 c.p.c. che disciplina la successione a titolo particolare nel diritto controverso e, mirando a risolvere un conflitto di diritto sostanziale tra più acquirenti dallo stesso dante causa, consente all'attore, che esercita una pretesa avente ad oggetto un diritto immobiliare, di rendere opponibile la sentenza anche a coloro che siano divenuti successori a titolo particolare del convenuto nelle more del giudizio. Pertanto gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda giudiziale ed è irrilevante il fatto che gli stessi abbiano o meno partecipato al giudizio de quo.

Cass. civ. n. 13000/2001

Nel caso in cui il promittente venditore convenuto con l'azione personale ex art. 2932 c.c. alieni ad un terzo il medesimo bene, non si versa nella previsione dell'art. 111 c.p.c. sul trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, e detto terzo può intervenite in giudizio per sostenere le ragioni del suo dante causa in veste di interventore adesivo dipendente ex art. 105, comma secondo, c.p.c., non legittimato come tale a proporre autonoma impugnazione.

Cass. civ. n. 8056/2001

Colui che abbia acquistato la proprietà ed il possesso di un bene da chi ne abbia spogliato il legittimo proprietario/possessore, pur potendo invocare la propria buona fede per estraneità allo spoglio ove sia convenuto in reintegrazione dallo spogliato successivamente all'avvenuto suo acquisto, non può invocare tale proprio stato soggettivo se, essendo già in corso il processo di reintegrazione, questo prosegua nei confronti del suo dante causa, a norma dell'art. 111 c.p.c., poiché in tale ipotesi la pronuncia contro la parte originaria, quale sostituto processuale, fa stato tanto nei confronti di questa, quanto nei confronti del successore a titolo particolare. (Nell'affermare il principio di diritto che precede, la S.C. ha ulteriormente precisato che, in caso contrario, il proprietario spogliato, che abbia ottenuto una sentenza favorevole, sarebbe esposto al rischio di restare privo della tutela esecutiva in conseguenza di maliziose manovre dello spoliante nei cui confronti sia intervenuta la sentenza di condanna).

Cass. civ. n. 1920/2001

In tema di legitimatio ad processum, nel caso di trasferimento del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il procedimento prosegue tra le parti originarie (essendo ininfluenti le vicende attinenti a posizioni giuridiche successive all'inizio della controversia stessa), con la conseguenza che l'acquirente del detto diritto, pur potendo spiegare intervento volontario o essere chiamato in giudizio (art. 106 c.p.c.), non acquista, per ciò solo, la qualità di litisconsorte necessario, sicché risulta validamente pronunciata l'eventuale sentenza che, nei suoi confronti, non abbia disposto l'integrazione del contraddittorio.

Cass. civ. n. 13021/2000

Il successore a titolo particolare per atto tra vivi di una delle parti del processo può intervenire volontariamente nel processo o esservi chiamato, senza che ciò comporti automaticamente l'estromissione dell'alienante o del dante causa, potendo questa essere disposta dal giudice solo se le altre parti vi consentano. Dal che consegue che nel giudizio di impugnazione contro la sentenza il successore intervenuto in causa e l'alienante non estromesso sono litisconsorti necessari e che, se la sentenza è appellata da uno solo soltanto o contro uno soltanto dei medesimi, deve essere pertanto ordinata, anche d'ufficio, l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro, a norma dell'art. 331 c.p.c., dovendosi, in mancanza, rilevarsi, anche d'ufficio, in sede di legittimità, il difetto di integrità del contraddittorio con rimessione della causa al giudice di merito per la eliminazione del vizio.

Cass. civ. n. 6031/2000

Il trasferimento del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, verificatosi nel corso del processo, non incide sul rapporto processuale che continua a svolgersi tra le parti originarie, senza che l'intervento nel processo del successore a titolo particolare, determini in mancanza dell'esplicito concorde consenso di tutte le parti, secondo quanto previsto dall'art. 111 c.p.c., l'estromissione del dante causa.

Cass. civ. n. 649/2000

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato terzo, bensì l'effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da poter assumere la stessa posizione del suo dante causa. Ne consegue che il successore come può impugnare la sentenza sfavorevole del suo dante causa, così può essere destinatario dell'impugnazione proposta dall'avversario di quest'ultimo soccombente nei di lui confronti e può resistere nei confronti dell'impugnazione medesima senza che tale suo diritto possa essere condizionato dal suo intervento nelle fasi pregresse del giudizio

Cass. civ. n. 398/1999

In tema di successione nel processo, la disciplina dettata dall'art. 110 c.p.c. presuppone il venire meno della parte processuale, pertanto, nell'ipotesi di successione a titolo particolare tra enti, con trasferimento ex lege di una parte di beni e rapporti ad un ente di nuova istituzione senza estinzione dell'ente i cui beni e rapporti sono in parte trasferiti (nella specie, distacco di un certo numero di comuni della provincia di Firenze in seguito all'istituzione della provincia di Prato), il processo prosegue tra le parti originarie secondo la disciplina dettata dall'art. 111 c.p.c., essendo irrilevanti le modificazioni delle posizioni giuridiche attive e passive successive all'inizio della controversia.

Cass. civ. n. 8100/1997

La successione a titolo particolare nel processo (effetto del mero trasferimento della res litigiosa in corso giudizio), di cui all'art. 111 c.p.c., va distinta dal (diverso) istituto della successione nel processo (art. 110 stesso codice) perché, nella prima ipotesi, è lo stesso trasferimento della res singula a determinare la successione di un soggetto ad un altro nella titolarità del diritto controverso, mentre, nella seconda, il trasferimento del diritto è conseguenza necessaria della successione, ad un soggetto deceduto o estinto, di altro e diverso soggetto, come accade nella ipotesi di fusione, per incorporazione, tra società, vicenda integrante una situazione giuridica che corrisponde a quella della successione a titolo universale e che, agli effetti processuali, comporta il subingresso ex lege, nella qualità di parte, della società incorporante a quella estinta.

Cass. civ. n. 3768/1997

In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, se durante il giudizio di merito, non vi è stata estromissione dal giudizio dell'alienante ai sensi dell'art. 111, terzo comma, c.p.c., il ricorso per cassazione tempestivamente notificato al dante causa impedisce il passaggio in giudicato della sentenza di appello anche nei confronti del successore, cui il ricorso sia stato notificato dopo il decorso del termine breve di impugnazione, in considerazione dell'assoggettamento (stabilito dall'art. 111, quarto comma, c.p.c.) dell'acquirente — che abbia partecipato o non al giudizio — all'efficacia della sentenza pronunciata nei confronti dell'alienante.

Cass. civ. n. 245/1997

La notificazione della sentenza effettuata nei confronti del dante causa, dopo che sia intervenuta la successione a titolo particolare nel diritto controverso è idonea a far decorrere i termini brevi di impugnazione di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., poiché a norma dell'art. 111 comma 1 e 3 permane la legittimazione del dante causa quale sostituto processuale del successore fin quando egli, intervenuto in causa quest'ultimo, non ne sia estromesso con il consenso delle altre parti. I limiti temporali dipendenti da tale notificazione spiegano effetto anche nei confronti del successore che non è terzo in senso sostanziale ed assume la stessa posizione del dante causa in relazione alle impugnazioni che è legittimato a proporre autonomamente ai sensi dell'art. 111 comma 4.

Cass. civ. n. 4024/1996

In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso in corso di causa, il successore non assume la veste di «parte processuale» se non quando sia stato chiamato o sia intervenuto nel giudizio o abbia proposto impugnazione avverso la sentenza pronunziata tra il terzo ed il suo dante causa, potendo il processo proseguire tra le parti originarie ed assumendo l'alienante, fino a quando non venga formalmente estromesso dal giudizio, la qualità di sostituto processuale del successore a titolo particolare e di litisconsorte necessario; con la conseguenza che, in caso d'emissione di sentenza non definitiva, è inammissibile l'appello immediato proposto contro la stessa dal successore a titolo particolare, che non abbia partecipato al giudizio di primo grado, in quanto il suo diritto d'impugnazione resta vincolato alla riserva d'impugnazione formulata dall'alienante, non avendo il successore medesimo precedentemente assunto la veste di parte processuale e tenuto conto della irrevocabilità della menzionata riserva di appello.

Cass. civ. n. 1815/1996

Per l'applicazione della norma di cui all'art. 111 c.p.c. — la quale dispone che, nel caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, la sentenza emessa contro il dante causa spiega i suoi effetti anche contro il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui — occorre che il successore a titolo particolare fornisca la prova di questa sua qualità e della conseguente sua legittimazione ad impugnare, in mancanza della quale l'impugnazione è inammissibile. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell'enunciato principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto da una compagnia assicuratrice la quale aveva dichiarato, ma non documentalmente provato, di essere succeduta ad altra compagnia assicuratrice, parte del rapporto processuale nel precedente grado di giudizio, per effetto del conferimento operato da quest'ultima, in suo favore, «del ramo d'azienda costituito dal portafoglio lavoro diretto nei rami danni con quanto ad esso pertinente»).

Cass. civ. n. 2108/1991

Il successore a titolo particolare nel diritto controverso, non avendo una posizione processuale e sostanziale distinta da quello del suo dante causa, può in ogni caso intervenire od essere chiamato in causa, senza che in appello operino i limiti risultanti dall'art. 344 c.p.c. (intervento del terzo) e non ostando alla ammissibilità della sua chiamata in causa — che non soggiace neppure ai termini ed alle forme prescritti dall'art. 269 dello stesso codice — la mancata trascrizione della domanda giudiziale.

Cass. civ. n. 2459/1990

Il successore a titolo particolare che ai sensi dell'art. 111 c.p.c. intervenga nel processo in fase d'appello si inserisce nella controversia quale è stata impostata in primo grado e non può proporre domande nuove al di fuori, eventualmente di quella diretta al riconoscimento del suo diritto di intervenire qualora esso venga contestato da una o entrambe le parti originarie.

Cass. civ. n. 1918/1990

In tema di successione a titolo particolare nel diritto controverso (art. 111 c.p.c.), l'intervento o la chiamata in causa del successore non privano il dante causa della qualità di litisconsorte necessario, in difetto di estromissione del medesimo, e pertanto legittimamente la sentenza è emessa anche nei suoi confronti.

Cass. civ. n. 6418/1986

Qualora il cessionario di un credito intervenga nella controversia promossa dal cedente contro il debitore, anche in grado d'appello, come consentitogli dall'art. 111, terzo comma, c.p.c. in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, può pronunciarsi la condanna del convenuto all'adempimento direttamente in favore di detto cessionario, indipendentemente dalla mancata estromissione dalla causa del cedente, ove il cessionario medesimo abbia formulato una domanda in tal senso con l'adesione del cedente e non vi siano contestazioni da parte del debitore ceduto neppure in ordine al verificarsi della cessione stessa.

Cass. civ. n. 1104/1984

A norma dell'art. 111 c.p.c. — che concerne non la capacità di agire applicata al processo (legittimatio ad processum), bensì la titolarità attiva e passiva dell'azione (legittimatio ad causam) — l'alienazione del diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare non fa venir meno l'interesse ad agire o a ricorrere in capo all'originario attore, onde il rapporto processuale prosegue tra le parti originarie. Nell'ipotesi di successione a titolo particolare, per atto tra vivi, nel rapporto controverso, qualora il successore, anziché essere chiamato, ai sensi del terzo comma dell'art. 111 c.p.c., nel processo già in corso, sia convenuto in un nuovo giudizio avente ad oggetto domande già proposte nei confronti del dante causa, il giudice investito dei due procedimenti deve disporne la riunione ai sensi dell'art. 273 c.p.c., in tal modo realizzandosi quella trattazione unitaria che si sarebbe ottenuta con la chiamata in causa ai sensi della prima di dette disposizioni.

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G. P. chiede
lunedì 20/06/2022 - Emilia-Romagna
“Contrasti familiari tra un padre e due figli riguardo l’eredità della moglie/madre. Mediazione obbligatoria non risolutiva, avvio giudizio divisionale. In fase di CTU un figlio scopre autonomamente che nel frattempo il padre ha venduto all’altro figlio la nuda proprietà di un immobile (tenendosi e dunque scorporando dal prezzo l’usufrutto), comprendente sia quote derivanti da acquisto diretto (quindi estranee alla divisione ereditaria) sia una singola quota indivisa (la quota di un solo immobile) della massa ereditaria oggetto di giudizio (e dunque non l’intera quota ereditata che comprende anche altri immobili).
Domande:
- è possibile cedere quote durante il giudizio di divisione oltretutto senza avvisare le altre parti?
- il fatto che sia stata effettuata questa compravendita ma non sia stata comunicata né al giudice né al CTU costituisce un illecito (es. c.p. 374 o altro) visto che la CTU viene svolta basandosi sulle quote definite a inizio giudizio ma modificate successivamente all’insaputa di tutti?
- è consentita la vendita della cosiddetta “quotina”, cioè la quota di un singolo immobile facente parte di massa ereditaria ancora indivisa (che comprende appunto altri immobili)?
- nell’atto di vendita non è specificato che si tratta di quota indivisa, è impugnabile?
- in che modo è possibile verificare l’origine del denaro versato per l’acquisto? istruzione preventiva o altro?

In buona sostanza, quali sono le conseguenze di questa compravendita sul giudizio di divisione e quali sono le attività da porre in atto a tutela del figlio estraneo ai fatti?”
Consulenza legale i 29/06/2022
Il tema oggetto della prima domanda, a cui peraltro sono strettamente connesse le domande che seguono, è quello della ammissibilità di una cessione del diritto controverso nel corso di un giudizio per divisione giudiziale.
Si tratta di questione che è stata affrontata proprio di recente dalla Corte di Cassazione, Sezione VI civile, con l’ordinanza del 16 marzo 2022 n. 8624, nella quale si afferma il principio di diritto secondo cui l’art. 111 c.p.c. opera anche in materia di giudizio di divisione, non sussistendo particolari ragioni che possano opporsi a tale operatività.
In particolare, la regola dettata da tale norma è quella secondo cui, anche in caso di cessione del diritto controverso nel corso del processo, lo stesso può continuare nei confronti dell’alienante, fatta salva la facoltativa possibilità di intervento dell’acquirente, il quale sarà in ogni caso tenuto a risentire degli effetti della pronuncia emessa nei confronti del dante causa.

Già in tal senso si era espressa sempre la Corte di Cassazione nella lontanissima sentenza n. 1685/1975, nella quale la S.C., partendo dal presupposto che la domanda di divisione ereditaria debba essere necessariamente proposta nei confronti di tutti gli eredi (i quali, infatti, assumono la posizione di litisconsorti necessari), afferma che, qualora nel corso del giudizio uno degli eredi alieni la propria quota ad un terzo o ad altro dei condividenti, il processo deve proseguire, ex art. 111 c.p.c., nei confronti dell’alienante, a meno che il successore a titolo particolare non intervenga e l’alienante non venga estromesso.

Conforme a tale tesi risulta anche la successiva Cass. civ. sent. n. 4891/1993, in cui si legge che, secondo quanto espressamente statuito dall’art. 784 c.p.c., il giudizio di divisione ereditaria deve svolgersi necessariamente nei confronti di tutti coloro che partecipano alla comunione al momento della proposizione della domanda, precisando che non ricorre la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dell’acquirente di uno dei beni controversi in pendenza di giudizio, non operando il trasferimento a titolo particolare del diritto controverso alcun effetto sul rapporto processuale (conforme Cass. n. 78/2013).

Pertanto, qualora, come accaduto nel caso di specie, nel corso del giudizio di divisione uno dei condividenti ceda ad altro degli stessi la propria quota (ovvero costituisca sulla stessa un diritto reale di godimento), si realizza quella successione a titolo particolare nel diritto controverso di cui è espressione l’art. 111 c.p.c..
In conseguenza di ciò il cessionario viene ad acquistare, anche in relazione alla quota ceduta o al diritto su di essa costituito, la qualità di parte direttamente interessata, mentre il cedente, che non venga estromesso dal giudizio, agisce come sostituto processuale del cessionario.

Nessuna incidenza può avere tale cessione sulle determinazioni a cui è giunto il CTU nella consulenza già espletata, e ciò sia perché per effetto di quella cessione si è soltanto realizzata una scorporazione dei diritti di cui era titolare nella comunione il cedente sia perché, avendo scelto le parti di non darne comunicazione in giudizio, la divisione prosegue regolarmente nei confronti dei condividenti originari, per poi esplicare efficacia anche nei confronti del cessionario.
Sotto il profilo sostanziale, si chiede poi se sia consentita la vendita della c.d. “quotina” nonché quali conseguenze possa avere la circostanza che nell’atto di vendita non sia stato specificato che si tratta di quota indivisa.
Ebbene, anche sotto questo profilo non si ravvedono profili di illegittimità della vendita di cui si discute, trattandosi di ipotesi espressamente prevista dall’art. 732 c.c., in materia di diritto di prelazione del coerede, nella parte in cui si fa riferimento alla vendita ad un estraneo da parte di un coerede della propria quota o di “parte di essa”.
Sia in dottrina che in giurisprudenza si è ritenuto che nel concetto di alienazione, a cui fa riferimento la norma sopra citata, debba intendersi ricompreso qualunque atto traslativo a titolo oneroso che abbia come corrispettivo una prestazione assolutamente fungibile e che debba intendersi soggetta a prelazione e, conseguentemente a retratto, anche la trasmissione della nuda proprietà con riserva di usufrutto (così Cass. n. 3083/1976).
Inoltre, è stato tra l’altro precisato che si ha prelazione quando un coerede trasferisca la propria quota o frazione di essa e non quando trasferisca singoli beni o quote di proprietà di singoli beni, poiché in questo secondo caso l’alienazione sarà capace di produrre soltanto effetti puramente obbligatori, rimanendo subordinata alla condizione dell’assegnazione con la divisione del bene, o della su quota parte, al coerede medesimo.

Da quanto appena detto, dunque, se ne ricava che il coerede può liberamente alienare la propria quota o parte di essa ad uno o più coeredi, con esclusione dei restanti coeredi e che, in ogni caso, tale alienazione produrrà soltanto effetti obbligatori tra le parti, mentre per il verificarsi degli effetti reali occorrerà attendere l’esito del giudizio di divisione.
Nessuna rilevanza può assumere la circostanza che nell’atto traslativo non si sia dato atto che l’alienazione operi su quota indivisa, in quanto, anche se non si ha avuto modo di leggere l’atto richiamato, si ha la certezza che nelle premesse di quell’atto il notaio rogante non abbia potuto fare a meno di citare la provenienza del bene sul quale è stato costituito il diritto di nuda proprietà.

Infine, con riferimento all’ultima delle domande poste, va detto che nel corso del giudizio di divisione non è possibile chiedere al giudice di verificare la provenienza del denaro impiegato per l’acquisto della nuda proprietà, trattandosi di questione che nulla ha a che vedere con l’oggetto di tale giudizio e che potrebbe semmai rilevare in un diverso giudizio, al fine di provare la simulazione di una donazione e la potenziale lesione della quota di riserva spettante agli altri legittimari.
In conclusione, allo stato attuale delle cose, non si intravede alcuna ragione per temere che quell’atto di alienazione possa compromettere le ragioni degli altri condividenti, in quanto, come si ritiene sia stato ampiamente spiegato nella prima parte di questa consulenza, detta alienazione a titolo particolare del diritto controverso non può essere capace di produrre effetti sul rapporto processuale in corso.

Mario R. chiede
venerdì 03/07/2020 - Toscana


Gentile Redazione,

premetto di essere proprietario di due piccoli appartamenti, facenti parti di un condominio di 3 piani, costruito da mio padre e la cui proprietà è stata acquisita tramite atto di donazione nel 1993.

Tale edificio è così suddiviso: al piano terra è presente l’appartamento di mio fratello R., al primo piano sono presenti due piccoli appartamenti di mia proprietà ed infine al secondo ed ultimo piano è presente l’appartamento di mio fratello A.

Nel 2010/2011 io ed i miei fratelli A. e R. abbiamo instaurato un accesa corrispondenza riguardante la necessità di eseguire una ristrutturazione della facciata del palazzo.
In tale corrispondenza, non condividendo l’urgenza e l’indifferibilità di tali lavori, sostenevo che fosse necessario procedere prima con la costituzione di un condominio e la redazione delle apposite tabelle millesimali, con il fine di definire un regolamento per la gestione delle parti comuni del palazzo, compresi i lavori alla facciata da loro ritenuti necessari.
La richiesta non fu accolta dai miei fratelli.

Nel 2012, tali lavori sono stati eseguiti dai miei fratelli senza la mia autorizzazione ed anzi con la mia dichiarata contrarietà.
Nel 2015, mio fratello A. instaura una causa civile nei miei confronti per il pagamento di 1/3 del totale delle spese sostenute per i lavori condominiali.
Nel 2018, Il tribunale di Marsala mi condanna a rifondere 1/3 delle spese sostenute a mio fratello A, senza l’applicazione delle tabelle millesimali redatte in questa sede dal CTU e ritenendo che i lavori eseguiti fossero talmente “urgenti ed indifferibili”, da non poter essere validati da una regolare assemblea condominiale.
È Attualmente pendente un ricorso in appello presso il tribunale di Palermo.

Infine ho preso la decisione di vendere i due piccoli appartamenti di mia proprietà.

Senza entrare nei dettagli della vicenda legale, che presumo prescinda dal fulcro del quesito ma sono eventualmente a vostra disposizione per chiarimenti, chiedo un vostro parere in merito all'obbligo di dover dichiarare nel contenuto di possibile atto di vendita, od eventualmente di un precedente compromesso registrato, l’esistenza della causa civile in corso riguardante l’immobile oggetto di tale atto.
La mia richiesta nasce al fine di tutelarmi da eventuali ritorsioni legali dei possibili promittenti acquirenti o addirittura dal rischio che un eventuale atto di vendita possa essere annullato a causa di questa mia omissione.

Vorrei inoltre sottolineare che la causa ha visto come parte attrice mio fratello A e me come convenuto, un’eventuale condanna alle spese o vittoria, a mio parere, non coinvolgerebbe in nessuno modo il nuovo/i proprietario/i dei due appartamenti, non essendo il condominio né costituito, né tanto meno parte della causa.

Per queste motivazioni , sarei intenzionato a non farne menzione ma mi rimetto ad un Vostro parere in merito .


Vi ringrazio,


Cordiali Saluti”
Consulenza legale i 07/07/2020
Le considerazioni svolte dall’autore del quesito sono da condividersi.

L’art. 111 c.p.c. ci dice che se nel corso del giudizio viene trasferito il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il giudizio prosegue tra le parti originarie, ma il successore particolare, per esempio l’acquirente di un immobile in condominio, può intervenire nel processo o esservi chiamato.
Posto questo principio, è giusto chiedersi se esso trovi applicazione nel caso prospettato: in altre parole con il trasferimento delle unità immobiliari in condominio, si trasferisce sull’acquirente anche l’obbligo di pagare le spese per la ristrutturazione oggetto della causa tra i due fratelli? La risposta a tale domanda non può che essere negativa.

Le spese condominiali sono un classico esempio di obligatio propter rem, in quanto l’obbligo del loro pagamento sorge per il fatto che si è proprietari di una determinata unità immobiliare in condominio.
Tale principio fondamentale, che ha il suo riconoscimento legislativo nei co. 2° e 3° dell’art. 1118 del c.c., trova una sua importante ma unica deroga nel 4° co. dell’art. 63 disp.att. del c.c., il quale dispone che chi subentra nei diritti di un condomino è solidalmente obbligato con il suo dante causa al pagamento delle spese condominiali previste dal consuntivo dell’anno antecedente il trasferimento della unità immobiliare e per quelle preventivate nell’anno in cui il trasferimento si è concretizzato. In forza del 4° co. dell’art. 63 disp.att. del c.c., quindi, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato a sopportare il pagamento di oneri condominiali anche relativi ad un arco temporale in cui lo stesso non era proprietario, ma questo può avvenire solo ed esclusivamente per il ristretto periodo indicato dalla norma.

Nel caso prospettato nel quesito il 4° co. dell’art. 63 disp.att. del c.c non può in nessun caso trovare applicazione, in quanto i lavori di ristrutturazione sono stati eseguiti nel 2012 e quindi all’oggi gli oneri che sono scaturiti da tali lavori e per cui si è in causa non potrebbero mai rientrare nel campo di applicazione della norma in commento. Da ciò si deve concludere che anche qualora si addivenisse alla vendita delle unità immobiliari in condominio, il venditore rimarrebbe l’unico soggetto obbligato a corrispondere agli altri condomini tali contributi, non potendo essere coinvolto nella vicenda il futuro acquirente e rendendo conseguentemente allo stesso inapplicabile quanto dispone l’art. 111 del c.p.c.
L’inapplicabilità dell’art. 111 del c.p.c. al potenziale acquirente rende impossibile che lo stesso possa essere coinvolto nel giudizio oggi pendente e chiamato a rispondere di eventuali spese legali in caso di soccombenza. Non vi è quindi alcun motivo valido per fare menzione di tale lite in eventuali compromessi o rogiti di vendita.


MICHELE C. chiede
venerdì 15/11/2019 - Puglia
“Buonasera,
in data 31 maggio 2017 sottoposi alla Vostra cortese attenzione apposito quesito n.”Q201719013” a cui mi fu fornita puntuale consulenza legale.
Tenendo conto degli indirizzi e/o suggerimenti che la citata consulenza conteneva, ho provveduto ad impugnare la sentenza di primo grado n….emessa dal Tribunale di ……, promuovendo apposito giudizio presso la Corte di Appello di …….
Con Ordinanza del 25 gennaio 2018 che si allega fu disposta l’efficacia esecutiva della sentenza (alleg. n.1).
Con sentenza n…….., anch’essa allegata, la Corte di Appello ha però rigettato l’appello ed ha confermato la precedente sentenza ritenendo le nostre censure prive di fondamento (alleg. n.2).
Significative appaiono le argomentazioni sviluppate dai Giudici dell’Appello sulla valenza dell’atto pubblico notarile e sul fatto che rispetto all’atto notarile possa essere ammessa qualsiasi prova contraria (prove libere).
Affermano infatti i Giudici che “L’efficacia probatoria dell’atto notarile è limitata agli elementi estrinseci dell’atto, indicati all’art. 2700 c.c. e non si estende al contenuto intrinseco del medesimo che può anche essere non veritiero. E’ ammessa pertanto qualsiasi prova contraria in ordine alla veridicità e all’esattezza delle dichiarazioni rese nel menzionato atto dalle parti.”.
Anche in questo caso Il Tribunale di II grado ha accettato, puramente e semplicemente, le deduzioni del consulente tecnico d’ufficio, senza tenere in alcuna considerazione le argomentazioni di tenore contrario da noi sviluppate ed ha omesso di fornire adeguata motivazione pur in presenza di precise censure che erano state da noi avanzate con le puntuali evidenze portate dal nostro CTP in sede di osservazioni alla bozza di relazione del Ctu avvenuta nel primo grado di giudizio.
Infatti, anche in questo caso il Giudice non tiene conto delle prove fornite da testimoni oculari, non tiene conto delle prove fotografiche regolarmente agli atti di causa le quali sono state oggetto delle stesse prove testimoniali, non tiene conto dei rilievi opposti in ordine alla CTU espletata.
Ed è strano perché un’ulteriore valutazione che avrebbe offerto un inconfutabile e sereno convincimento del Giudice di prime cure ed anche del Giudice dell’appello circa l’assoluta inesistenza di qualsivoglia intervento edilizio effettuato sull’immobile nel 1996 che avesse modificato lo stato dei luoghi rispetto all’atto notarile del 28 aprile del 1964 è costituito dalla documentazione fotografica già acquisita agli atti del processo.
Dette fotografie, risalenti ai primi anni ’60 che, come detto prima, sono state peraltro oggetto delle prove testimoniali condotte dallo stesso Giudice con l’escussione dei testimoni di parte ed hanno dimostrato la esatta corrispondenza del corpo di fabbrica dei primi anni ’60 con quello attuale.
Infatti, sono perfettamente riconoscibili le pareti in muratura e le finestre (porte-finestre) tutt’oggi presenti nel mio immobile il che dimostra, ancora una volta e senza alcun dubbio, come nel 1996 non vi sia stata alcuna modifica strutturale della mia abitazione.

Tra queste fotografie esistenti agli atti di causa ve ne sono alcune che dimostrano inconfutabilmente che in epoca precedente addirittura al 7 marzo del 1966, data del decesso della precedente proprietaria del civico 90 di via ………, sig.ra ……… dante causa della ditta ………., il mio immobile era sotto il profilo strutturale esattamente come lo è ancora oggi.
Altrettanto dicasi per altre foto che ritraggono la sig.ra ……….., mia dante causa, che è deceduta il ……..: anch’esse escludono la possibilità che sia stato realizzato un ampliamento strutturale del mio immobile nel 1996 come falsamente sostenuto dalla ditta ……... controparte anche nel giudizio di appello.
Il Giudice invece e incomprensibilmente tiene conto della CTU e delle prove catastali delle quali va ricordato in particolare quella datata 1960 che non ha nessun carattere di ufficialità.
Sotto questo profilo sconcerta il fatto che i Giudici dell’appello abbiano condiviso con la CTU promossa in primo grado il fatto che sia stata attribuita valenza probatoria:
- al presunto nuovo atto di classamento del 23.07.1960 (alleg.3) depositato in giudizio dalla ditta……….. e che, risultando privo di sottoscrizioni, di protocollo identificativo e di attestazioni in ordine all’eventuale sopralluogo effettuato dai tecnici dell’UTE, è, evidentemente, privo dei requisiti tali da assumere qualsiasi valenza giuridica ovvero efficacia probatoria!
- alla planimetria del 27.05.1960 (alleg.4) a firma dell’ing. ……, anch’essa priva di numeri di protocollo di incameramento degli uffici del Catasto che ne attestino la veridicità.
Ed appare assai grave che la sentenza di appello asserisca falsamente che la planimetria catastale del 1960 (priva di alcuna valenza giuridica) sia stata accertata dall’UTE il 15 agosto 1960.
Infatti, come può evincersi da un immediato raffronto tra la planimetria del 1942 (all. 5) e relativo accertamento e classamento (all.6) gli unici atti dotati di valenza giuridica nel caso in esame perché vidimati dagli uffici e sottoscritti dai funzionari responsabili, la planimetria del 1960 e il relativo classamento, invece, sono privi di qualsiasi attestazione dell’UTE.
In buona sostanza anche i Giudici dell’appello con riferimento alla valutazione delle prove hanno ritenuto opportuno fondare il proprio convincimento sulla consulenza del CTU (prova libera), il quale a sua volta ha assunto a suo fondamento le schede catastali peraltro prive di valenza giuridica per le motivazioni suesposte.
Tanto premesso, posto che nessun abuso è stato mai compiuto sull’immobile di cui trattasi cosa possiamo fare dinanzi a quest’ulteriore sentenza che stravolge la verità dei fatti inventando un qualcosa che non esiste e che tuttavia ci determina danni gravi ed irreparabili tenuto conto che si dispone la demolizione dei vani nei quali sono contenuti i servizi della nostra abitazione di residenza (cucinino e bagno) rendendo in tal modo del tutto inagibile l’intera abitazione.
Devo aggiungere, infine, che la ditta …… con rogito notarile del ……. 2017 ha ceduto l’immobile di via ………. ai sigg.ri …………. e …………. (il cui interno è frontistante a quello mio) qualche giorno prima che avvenisse la pubblicazione della sentenza di primo grado che è avvenuta il 22 maggio del 2017.
La stessa ditta però si è costituita nel giudizio di secondo grado che ha avuto inizio a settembre del 2017 quando non aveva più il titolo di proprietà dell’immobile oggetto di contenzioso ma non lo hanno fatto invece i due nuovi proprietari.
Orbene, oggi chi ha titolo a mettere in esecuzione la sentenza emessa dalla Corte di Appello: la ditta ……….. che si è costituita in giudizio di appello senza averne più alcun titolo avendo ceduto la proprietà dell’immobile di cui trattasi prima che iniziasse la fase dell’appello, oppure i due nuovi proprietari i quali tuttavia non si sono costituiti nello stesso giudizio di appello?
Nel rimanere in attesa del Vostro autorevole parere, si ringrazia per l’attenzione e si inviano i migliori saluti.

Consulenza legale i 24/11/2019
In tutta questa vicenda processuale, purtroppo, c’è un particolare elemento che ha influito negativamente sulla posizione di chi pone il quesito, e di cui i giudici del Consiglio di Stato hanno dato esplicitamente atto nella loro decisione:
la complessità della vicenda sotto il profilo giuridico e sotto il profilo dello stesso svolgersi dei fatti”.
Lo svolgimento di questi ultimi, poi, se ben chiaro alle parti, ed in particolare a chi sin dall’inizio li ha vissuti, non è apparso così chiaro, nel corso dei vari gradi di giudizio, ai giudici chiamati a valutarli, in ciò contribuendo sicuramente le affermazioni contrastanti provenienti dai testimoni ascoltati, che hanno indotto i giudici ad affidarsi a quanto il CTU è stato in grado di percepire dall’esame dei soli documenti tecnici, ignorando altre fonti di prova, quali gli atti notarili, perché ritenuti più astratti e meno affidabili rispetto alla valutazione di un tecnico (ma senza considerare che anche il tecnico, in fondo, ha fondato le sue scelte su carte!).

Giunti a questo punto, non vi è altra scelta che quella di prepararsi a subire, in maniera coatta o volontaria, quella decisione sfavorevole a cui anche il giudice di secondo grado è giunto, con l’indubbia amarezza che vi è un altro Giudice, di certo di non minor grado, che è pervenuto ad una conclusione diametralmente opposta, e nella cui motivazione è detto esplicitamente quanto segue:
in presenza di un atto pubblico di compravendita….appare fondata la tesi dell’appellante sulla legittimità dei manufatti riportati nell’atto…..Appare venir meno, così, la valenza probatoria di altri documenti quali le risultanze catastali e i rilievi aerofotogrammatici. Questi ultimi hanno, del resto, un valore indiziario e probatorio solo quando non risultino contraddette da specifiche determinazioni negoziali tra le parti e a cui ricorrere quando manchino altre prove. L’atto notarile esibito dall’odierno appellante offre una sufficiente dimostrazione dell’effettiva consistenza del manufatto….”.

Ora, posto che per il giudice amministrativo quella porzione di manufatto di cui si discute non va demolita, poiché è stato riconosciuto che non contrasti con alcuna norma imperativa di ordine pubblico (tant’è che è stata dichiarata l’illegittimità dell’ordine di demolizione disposto dal Comune), la prima strada che si suggerisce di perseguire è quella di giungere ad un accordo transattivo con l’altra parte, considerato che la decisione contraria del giudice civile è volta soltanto alla tutela di interessi e diritti di natura prettamente privata e, pertanto, pienamente disponibili.
Si potrebbe pensare di offrire una somma di denaro per continuare a mantenere ove si trova quella porzione del proprio immobile, tenuto conto che, come dice chi pone il quesito, si tratterebbe di demolire dei vani destinati a servizi essenziali dell’abitazione della parte soccombente (cucinino e bagno) e che da tale demolizione ne conseguirebbe inevitabilmente l’inagibilità dell’intero immobile.

Qualora ciò dovesse risultare irrealizzabile, vuoi per mancanza di volontà di chi pone il quesito vuoi perché difetta ogni forma di consenso dell’altra parte, non può non consigliarsi di provvedere spontaneamente a dare esecuzione all’obbligo di fare a cui si è stati condannati, in quanto non avrebbe alcun senso attendere che sia l’altra parte a prendere l’iniziativa per dare esecuzione coattiva alla statuizione giudiziale.
Per quanto concerne, poi, specificatamente la questione processuale sollevata nella parte conclusiva del quesito, ossia quella relativa all’intervenuto trasferimento medio tempore dell’immobile di proprietà della società istante (avvenuta prima della pubblicazione della sentenza di primo grado), va osservato quanto segue.

Trattasi di un fenomeno successorio esplicitamente previsto all’art. 111 c.p.c., rubricato appunto “Successione a titolo particolare nel diritto controverso”, al cui primo comma viene espressamente previsto che se nel corso del processo il diritto controverso viene trasferito per atto tra vivi a titolo particolare (è tale la compravendita), il processo prosegue tra le parti originarie.
Malgrado ciò, il successore a titolo particolare nel diritto controverso non può essere considerato terzo, divenendo piuttosto l’effettivo titolare del diritto in contestazione, tanto da assumere la stessa posizione del suo dante causa, con la conseguenza che, poiché ex art. 111 c.p.c. ultimo comma, la sentenza spiega effetto anche nei suoi confronti, egli sarà anche legittimato ad impugnarla, senza che questo diritto sia condizionato dal suo intervento in pregresse fasi di giudizio.

Come si può intuire, dunque, la partecipazione al giudizio di impugnazione della parte acquirente, nella sua qualità di successore a titolo particolare, sia dal lato attivo che dal lato passivo, è soltanto eventuale, essendo di fatto rimessa ad una sua precisa scelta (avvalendosi a tal fine dello strumento dell’intervento volontario) o ad una espressa manifestazione di volontà delle altre parti, che potranno decidere di chiamarlo in giudizio (c.d. intervento coatto).
Così si esprime chiaramente il terzo comma dell’art. 111 c.p.c., la cui ratio va ravvisata nell'esigenza di salvaguardare il diritto di difesa dell'avente causa, reale titolare della res litigiosa.

Con particolare riferimento, poi, al giudizio di impugnazione (che ha visto nel caso di specie come parte processuale la società alienante, malgrado l’intervenuto trasferimento del diritto già prima della conclusione del primo grado di giudizio), non si può fare a meno di segnalare la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 2048/2018, la quale ha affrontato il problema opposto della validità di una sentenza resa nel giudizio di impugnazione svolto con la partecipazione del successore a titolo particolare, senza integrare il contraddittorio nei confronti dell’alienante del diritto controverso.
Ebbene, in tal caso la S.C. ha affermato che quel giudizio può ritenersi valido solo se l’alienante, non impugnando la sentenza, abbia voluto dimostrare il suo disinteresse al gravame, e l’altra parte, senza formulare eccezioni al riguardo, abbia così voluto accettare il contraddittorio nei confronti del successore (tali elementi, secondo la S.C. integrerebbero i presupposti per l’estromissione dal giudizio dello stesso alienante, estromissione che, sebbene non formalmente dichiarata, fa cessare la qualità di litisconsorte necessario alla parte originaria).

Andando, infine, ad occuparci del soggetto legittimato a far valere come titolo esecutivo la sentenza emessa a conclusione del giudizio di secondo grado, va detto che tale tema investe il complesso problema dei rapporti fra successione particolare nel diritto controverso e processo di esecuzione forzata.

Due sono le situazioni che tradizionalmente si distinguono:
  1. l’ipotesi in cui la successione nel diritto controverso si perfezioni prima dell’inizio del processo esecutivo;
  2. l’ipotesi in cui la successione nel diritto controverso si perfezioni dopo l’inizio del processo esecutivo (successione nel processo esecutivo).

L’ipotesi sub 1), vista sia dal lato attivo e che passivo del rapporto, pone il problema della ammissibilità, anche nel processo di esecuzione forzata, di una successione nel diritto controverso, ed in particolare della applicabilità anche al processo esecutivo dell’art. 111 c.p.c.
Ancora più analiticamente, ciò che qui si richiede di chiarire è se, con riferimento al lato attivo del rapporto, in caso di successione nel diritto controverso verificatasi prima dell’inizio del processo esecutivo e senza che il successore abbia partecipato al processo, la legittimazione ad esercitare l’azione esecutiva debba essere riconosciuta al dante causa, all’avente causa o ad entrambi.

Innanzitutto non può prescindersi dall’analisi del dato normativo, ed in particolare del combinato disposto del secondo comma dell’art. 475 del c.p.c., (nella parte in cui viene statuito che la spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi soltanto alla parte in favore della quale fu pronunciato il provvedimento o dei suoi successori) e del più volte citato art. 111 c.p.c.: il testo congiunto di tali norme fanno ritenere indubbiamente ammissibile la legittimazione, sia attiva che passiva, all’azione esecutiva dell’avente causa, senza necessità che si ottenga preliminarmente l’accertamento giudiziale della qualità di avente causa.

Ciò che il combinato disposto di tali norme non consente di risolvere in maniera esplicita è il problema della esclusività dell’azione dello stesso avente causa, problema che è stato tuttavia affrontato e risolto dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. 07.04.1986 n. 2405), la quale è giunta ad un riconoscimento della legittimazione ad esercitare l’azione esecutiva, oltre che all’avente causa, anche al dante causa, a condizione che quest’ultimo non sia stata estromesso dal processo di cognizione.

Si ritiene, infatti, che in mancanza di estromissione, sia essa espressa che tacita, l’alienante sarà legittimato, quale sostituto processuale, ad agire in executivis, argomentando dalla considerazione secondo cui l’insorgere dell’azione esecutiva non è altro che uno degli effetti della sentenza, e dunque essa sorge, rispettivamente, a favore e contro i soggetti che furono parti nel processo e nei cui confronti fu pronunciata la sentenza (cfr, anche Cass. 20.03.1991 n. 2955).
Se, al contrario, la società alienante fosse stata estromessa dal processo, risultando la sentenza pronunciata nei confronti dell’acquirente, soltanto quest’ultimo sarebbe titolare dell’azione esecutiva.

Dunque, sulla base delle considerazioni che precedono e rispondendo a ciò che è stato chiesto, deve dirsi che, nel caso di specie, essendo stato il giudizio proseguito dalla società alienante e non essendo stata questa mai estromessa dal giudizio, legittimati a portare avanti l’azione esecutiva saranno sia la medesima società alienante che i nuovi acquirenti, successori a titolo particolare, in favore dei quali può essere rilasciata la formula esecutiva, senza che occorra alcun accertamento della loro qualità di aventi causa.


Stefania chiede
giovedì 04/11/2010

“Da quando decorre lo scioglimento della comunione dei beni nel caso di coniugi che chiedono la separazione? Dalla richiesta di scioglimento o dalla sentenza del giudice?
Le rate del mutuo versate dal coniuge (unico percettore di reddito) rientrano nella comunione?”

Consulenza legale i 11/11/2010
La separazione comporta lo scioglimento della comunione dei beni dal momento del passaggio in giudicato della sentenza in caso di separazione giudiziale e dell'omologa in caso di separazione consensuale. La mera separazione di fatto non comporta lo scioglimento della comunione.
Per quanto riguarda il pagamento delle rate di mutuo, è necessario sapere a chi è intestata la casa e a chi è intestato il mutuo.

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