Brocardi.it - L'avvocato in un click! CHI SIAMO   CONSULENZA LEGALE
Diritto penale -

Il delitto di tortura: dal divieto in ambito europeo ed internazionale, all'introduzione della fattispecie nell'ordinamento italiano

AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2022
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą degli Studi di Udine
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Le riflessioni iniziali di questo elaborato sono dedicate alla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo con un approfondimento riguardante la tortura e le pene disumane e degradanti, ritenuto uno degli argomenti più importanti e discussi negli ultimi decenni, non soltanto in ambito nazionale, ma soprattutto a livello europeo ed internazionale.
Il divieto di tortura è stato citato all’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU il 16 dicembre 1966, il quale dispone il divieto alla sottoposizione di chiunque a torture, trattamenti crudeli e degradanti.
L’elaborato prosegue con l’analisi della giurisprudenza della Corte EDU.
Viene poi chiarita l’importanza dell’articolo 3 della Convenzione che dispone il divieto di sottoposizione alla tortura e a pene. Nelle proprie sentenze, infatti, la Corte ha sostenuto che il concetto di soglia minima di gravità è relativo ed opera come criterio sia per distinguere la sfera degli illeciti da quella delle pratiche legittime, sia per differenziare la tortura dalle pene o trattamenti disumani o degradanti.
I trattamenti disumani consistono in pene che infliggono alla vittima pesanti sofferenze fisiche, mentali o psicologiche, con l’aggiunta dell’elemento della premeditazione.
Il trattamento degradante invece è definito dalla corte come meno grave rispetto a quello disumano; prevede una forte umiliazione della vittima davanti ad altri soggetti.
Ci si è poi chiesti se la pena dell’ergastolo e i provvedimenti di estradizione ed espulsione siano compatibili con l’articolo 3 della Convenzione. I giudici della Corte si sono espressi in merito chiarendo che la pena del carcere a vita - di per sé - non viola i principi sanciti dalla Cedu; tuttavia, bisogna fissare dei limiti, ovvero: la sanzione non deve avere carattere manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità dei fatti commessi; il prolungamento della detenzione deve essere giustificato in relazione ai fini legittimi della pena stessa; la pena deve essere de facto e de jure riducibile.
Ritornando alla mera analisi dell’articolo 3, bisogna sottolineare il fatto che la Convenzione non prevede deroghe o eccezioni ai divieti da esso stabiliti, accordando una protezione a 360 gradi al diritto di non subire torture o trattamenti disumani o degradanti.
L’onere probatorio delle violenze veniva inizialmente ripartito tra Stato convenuto e ricorrente; la vittima doveva dare prova delle violenze subite ai giudici attraverso qualsiasi elemento che potesse convincere la Corte oltre ogni ragionevole dubbio, lo Stato invece doveva provare che le lesioni non erano tali da integrare la gravità minima oppure che non erano rilevanti ad esempio perché antecedenti all’arrivo in carcere. Successivamente la Corte si è accorta della difficoltà da parte della vittima di provare la violenza oltre ogni ragionevole dubbio ed ha quindi attenuato il rigore di predetto principio.
Negli anni si sono inoltre teorizzati tre diversi strumenti secondo i quali i Paesi membri potrebbero recepire le previsioni contenute nelle direttive europee: l’assimilazione, l’armonizzazione e l’unificazione. Il rapporto tra l’ordinamento interno e quello comunitario è sempre stato caratterizzato dalla primazia di quest’ultimo rispetto al primo. Ai sensi degli artt. 11 e 117 della Costituzione, nei casi di contrasto, il giudice italiano deve necessariamente tener conto della disciplina europea. L’art. 117 Cost. prevede altresì che la potestà legislativa dello Stato venga esercitata non soltanto nel rispetto della Costituzione, ma anche dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Questo articolo è stato riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale quale norma che regola i rapporti tra l’ordinamento interno e la CEDU. Gli Stati membri devono quindi rispettare la Cedu. In alternativa, la Corte EDU ha il potere di condannarli.
L’Italia è stata più volte condannata all’unanimità per la violazione del divieto di tortura di cui all’articolo 3 Cedu, sia sotto il profilo sostanziale che procedurale, ad esempio nei casi Azzolina ed altri contro Italia, Cestaro contro Italia e Blair e altri contro Italia, aventi ad oggetto gli abusi perpetrati nella scuola Diaz e nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova nel 2001, nonché nel caso Cirino e Renne contro Italia il quale ha ad oggetto i maltrattamenti compiuti ai danni di due detenuti nel carcere di Asti nel 2004. Il nostro Stato venne condannato non soltanto per le violenze in sé ma anche perché all’epoca dei fatti l’ordinamento giuridico italiano non prevedeva una fattispecie autonoma del reato di tortura, successivamente introdotta dalla legge n. 110 del 2017 all’art. 613 bis del c.p., analizzato nell’ultimo capitolo dell’elaborato.

Indice (COMPLETO)Apri

Tesi (ESTRATTO)Apri

Acquista questa tesi
Inserisci il tuo indirizzo email: