La norma in esame tutela lo Stato nell'esercizio della
funzione giudiziaria ed il reato si configura allorché tale interesse venga leso con espressioni di scherno e gravemente minacciose indirizzate alla persona che in quel momento esercita la funzione.
Trattasi di
reato plurioffensivo, in quanto persona offesa dal delitto è anche la persona fisica oggetto di oltraggio.
Ai sensi della disposizione il magistrato deve ritenersi “in
udienza” tutte le volte che egli si trovi ad amministrare la giustizia con l'intervento delle parti, ove per “udienza” va intesa qualsiasi seduta nella quale si svolge l'attività giudiziaria del magistrato, per cui è del tutto irrilevante che l'oltraggio sia stato commesso durante il breve e necessario intervallo che corre tra il termine di un processo e l'inizio di un altro aventi parti e d oggetto processuale differenti.
Non è richiesto il dolo specifico, essendo sufficiente la consapevolezza del significato oltraggioso delle parole e degli atti compiuti.
Dato che il bene primario tutelato è il
prestigio della pubblica amministrazione della giustizia, non è applicabile l'attenuante della riparazione del danno ai sensi dell'art.
62 n. 6, non potendosi elidere le conseguenza dannose della condotta.
Viene disciplinata una prima
circostanza aggravante, qualora l'offesa consista in un fatto determinato.
Per quanto concerne la seconda circostanza aggravante, la
minaccia consiste nella prospettazione di un male notevole ed ingiusto, comunque idonea a determinare una costrizione del soggetto passivo, ovvero l'assemblea.
Per quanto riguarda l'altra ipotesi aggravata, ovvero la
violenza, essa va suddivisa in
propria ed impropria. Per quest'ultima va intesa quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione. Per violenza
propria, si intende invece l'impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.
Dato che il soggetto passivo è l'organo giudiziario, si esclude la rilevanza della violenza impropria, non potendosi “coartare” un organo giudiziario. La violenza propria qui intesa si configura dunque come mera modalità di condotta, non definita in base alla capacità di coartazione del soggetto passivo.