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Articolo 338 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti

Dispositivo dell'art. 338 Codice Penale

Chiunque usa violenza o minaccia(1) ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, ai singoli componenti o ad una rappresentanza di esso, o ad una qualsiasi pubblica Autorità costituita in collegio(2) o ai suoi singoli componenti, per impedirne, in tutto o in parte, anche temporaneamente, o per turbarne comunque l'attività, è punito con la reclusione da uno a sette anni [339](3).

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per ottenere, ostacolare o impedire il rilascio o l'adozione di un qualsiasi provvedimento, anche legislativo, ovvero a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dello stesso(4).

Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto per influire sulle deliberazioni collegiali di imprese che esercitano servizi pubblici o di pubblica necessità, qualora tali deliberazioni abbiano per oggetto l'organizzazione o l'esecuzione dei servizi [339](5)(6).

Note

(1) La locuzione violenza o minaccia costituisce un elemento essenziale della fattispecie in quanto si tratta di strumenti idonei a coartare la volontà del soggetto pubblico in grado di conferire il necessario quid di disvalore all'ipotesi delittuosa
(2) La norma si caratterizza per l'impersonalità dell'organo pubblico cui la condotta violenta si rivolge comprende anche le imprese che svolgono servizi pubblici o di pubblica utilità.
(3) Comma modificato dall'art. 1, L. 3 luglio 2017, n. 105 con decorrenza dal 22 luglio 2017.
(4) Comma inserito dall'art. 1, L. 3 luglio 2017, n. 105 con decorrenza dal 22 luglio 2017.
(5) E' prevista un'aggravante speciale all'art. 7 della l. 31 maggio 1965, n. 575 nel caso in cui l'agente sia una persona sottoposta, con provvedimento definitivo, a duna misura di prevenzione sia durante l'esecuzione che nei tre anni successivi la cessazione.
(6) L'art. 4 del d.lgs. Lgt. 14 settembre 1944, n. 288 prevede una causa di giustificazione speciale secondo la quale la norma in esame risulta inapplicabile qualora il p.u. o l'i.p.s. abbia dato causa al fato preveduto, eccedendo con atti arbitrari i limi delle sue attribuzioni.

Ratio Legis

Il fondamento della disposizione in esame si ravvisa nell'esigenza di tutelare la libertà di autodeterminazione di organi collegiali politici, amministrativi, giudiziari e di imprese che svolgano servizi pubblici.

Spiegazione dell'art. 338 Codice Penale

Il bene giuridico oggetto di tutela è la libertà di autodeterminazione dei corpi politici, amministrativi e giudiziari, nonché degli organismi di diritto pubblico e delle imprese private, qualora le deliberazioni oggetto di minaccia o violenza siano deputate all'organizzazione o all'esecuzione di servizi pubblici.

Per quanto concerne la minaccia, essa consiste nella prospettazione di un male notevole ed ingiusto, comunque idonea a determinare una costrizione del soggetto passivo, ovvero l'assemblea.

Per quanto riguarda l'altro elemento costitutivo del reato, ovvero la violenza, essa va suddivisa in propria ed impropria. Per quest'ultima va intesa quando si utilizza un qualsiasi mezzo idoneo a coartare la volontà del soggetto passivo, annullandone la capacità di azione o determinazione. Per violenza propria, si intende invece l'impiego di energia fisica sulle persone o sulle cose, esercitata direttamente o per mezzo di uno strumento.

Dato che, prima dell'ultima riformulazione il soggetto passivo era solamente l'organo collegiale deliberativo, si escludeva la rilevanza della violenza impropria, non potendosi “coartare” un organo collegiale. La violenza propria si configurava dunque come mera modalità di condotta, non definita in base alla capacità di coartazione del soggetto passivo.

Ad oggi invece può sostenersi che rilevino entrambe le forme di violenza, dato l'inserimento di un nuovo soggetto passivo, ovvero il singolo componente.

La novella legislativa riguarda anche un nuovo oggetto materiale del reato, rappresentato dal provvedimento, cui si rivolge il dolo specifico del soggetto agente nel momento dell'uso della violenza o della minaccia.

Massime relative all'art. 338 Codice Penale

Cass. pen. n. 16487/2020

Integra il delitto di cui all'art. 338 cod. pen. la minaccia rivolta al tribunale in composizione collegiale dopo la lettura della sentenza, in quanto l'organo giudicante, inteso quale corpo giudiziario, deve ritenersi ancora formalmente costituito ed insediato durante la sua permanenza all'interno dell'aula di giustizia o della camera di consiglio, anche in assenza di specifiche incombenze di competenza per il compimento di atti o l'adozione di decisioni. (In motivazione, la Corte ha precisato che le minacce rivolte all'organo giurisdizionale, dopo la pronuncia della sentenza, sono punibili anche se realizzate prima della legge 3 luglio 2017 n. 105 - che ha esteso l'ambito applicativo dell'art. 338 cod. pen. al fatto commesso a causa dell'avvenuto rilascio o adozione dell'atto - rientrando l'alterazione del normale svolgimento delle funzioni giudiziarie ed il condizionamento della funzione pubblica esercitata nella nozione di turbativa prevista dalla norma).

Cass. pen. n. 3828/2006

Integra il delitto di cui all'art. 338 c.p. (violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario) la minaccia, pure contenuta in un'espressione allusiva, che sia in concreto idonea ad incutere il timore di subire un danno ingiusto, non rilevando se il destinatario resista alla minaccia. L'idoneità del comportamento intimidatorio deve essere valutata con riguardo alle circostanze di fatto e quindi innanzitutto in relazione al contesto socio-ambientale, sicché anche semplici raccomandazioni o sollecitazioni possono assumere un significato fortemente minaccioso, se inserite in una situazione caratterizzata da rilevanti fenomeni di condizionamento violento o intimidatorio della libertà degli organismi pubblici e delle volontà delle persone. (La Corte ha ritenuto la sussistenza del reato, peraltro aggravato ex art. 7 D.L. n. 152 del 1991, sia dall'uso del metodo mafioso che dal fine di agevolare l'attività dell'associazione mafiosa «Cosa nostra» nella condotta degli imputati che avevano avvicinato alcuni giudici popolari del collegio di Corte d'assise, impegnato in un dibattimento, con il pretesto della preoccupazione umanitaria per le precarie condizioni di salute dell'imputato, in cui favore avevano sollecitato la concessione di un permesso per cure, determinando l'astensione di detti giudici popolari dalla partecipazione al collegio giudicante).

Cass. pen. n. 12450/2005

In tema di immunità parlamentare, sussiste il nesso funzionale tra esternazioni e attività parlamentare — che giustifica la delibera di insindacabilità della Camera dei deputati e correlativamente esclude la proposizione del conflitto di attribuzione da parte del giudice di merito qualora dette esternazioni, ancorché pronunciate nel corso di una trasmissione televisiva, si inscrivano in un contesto comprensivo di precedenti e numerosi interventi svolti dentro e fuori le aule parlamentari e siano caratterizzate, non già da una semplice comunanza con argomenti genericamente trattati in sede parlamentare e semplicemente riconducibili al medesimo contesto politico ma, al contrario, da una sostanziale corrispondenza con gli interventi espletati nell'esercizio concreto della funzione parlamentare. (In applicazione di tale principio la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione del giudice di merito, il quale aveva ritenuto l'esistenza del nesso funzionale tra fatto incriminato — consistente nell'aver descritto la parte offesa, nella specie un avvocato, come un faccendiere in grado di ottenere dalle autorità inquirenti di una data città favori per i propri assistiti — e la funzione parlamentare, in ragione di una serie di interventi precedenti con i quali il detto parlamentare aveva denunciato, con riferimento alla stessa città, l'esistenza di una situazione atipica caratterizzata da disparità di trattamento e da un uso politico della giustizia).

Cass. pen. n. 2636/2000

Agli effetti di quanto previsto dall'art. 338 c.p., per «corpo» politico, amministrativo o giudiziario deve intendersi una autorità collegiale che eserciti una delle suddette funzioni, in modo da esprimere una volontà unica tradotta in atti che siano riferibili al collegio e non ai singoli componenti che alla formazione di tale volontà concorrono. (Fattispecie nella quale la S.C. ha escluso che possa integrare la nozione suddetta un comando provinciale dell'Arma dei Carabinieri).

Cass. pen. n. 2810/1995

Ad integrare il reato di minaccia ad un corpo giudiziario è sufficiente che la minaccia venga indirizzata nei confronti del collegio o di taluni suoi componenti al fine di alterare il normale svolgimento delle funzioni, ma non è necessario che in effetti l'impedimento o il turbamento voluto si siano verificati.

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