Il presidente ordina la comunicazione del ricorso al pubblico ministero. Quando questi gliene fa richiesta, può con decreto rigettare senz'altro la domanda (1)(2); altrimenti nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione davanti a lui del ricorrente, dell'interdicendo o dell'inabilitando e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili.
Il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine (3) fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel comma precedente; il decreto è comunicato al pubblico ministero(4).
Note
(1)
Con la sentenza del 5-7-1968, n. 87, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità del secondo periodo del primo comma del presente articolo «nella parte in cui permette al tribunale di rigettare senz'altro, e cioè senza istruire contraddittorio con la parte istante, la domanda d'interdizione o d'inabilitazione, ove il pubblico ministero ne faccia richiesta». Per effetto di tale pronuncia, il presidente deve comunicare al ricorrente la richiesta del p.m., fissando una udienza di comparizione nella quale l'istante può esercitare il suo diritto di difesa. Il ricorso viene dichiarato inammissibile nelle ipotesi di difetto di legittimazione o di incompetenza del giudice adìto. Si considera riproponibile senza limitazioni il ricorso introduttivo, anche in assenza di nuove circostanze.
(2)
La fase iniziale del procedimento di interdizione o inabilitazione, caratterizzata dalla comunicazione al P.M., del ricorso ha la funzione di evitare lo svolgimento di giudizi palesemente infondati e potenzialmente lesivi per l'interdicendo o inabilitando.
(3)
Tale termine viene considerato ordinatorio ai sensi dell'art.
154 c.p.c..
(4)
Si precisa che secondo l'opinione giurisprudenziale più recente, i provvedimenti emessi dal Presidente del Tribunale non potrebbero essere impugnati con lo strumento del reclamo al presidente della Corte d'appello vista la mancanza di un'espressa previsione legislativa in tal senso. Diversamente, visto il vuoto legislativo, parte della dottrina ne ammette l'impugnabilità.