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Articolo 2191 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Cancellazione d'ufficio

Dispositivo dell'art. 2191 Codice Civile

Se un'iscrizione è avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge, il giudice del registro, sentito l'interessato(1), ne ordina con decreto la cancellazione [2312].

Note

(1) L'audizione dell'interessato consente di chiarire le ragioni per le quali ha effettuato l'iscrizione ed eventualmente di sanare la situazione.

Ratio Legis

La norma si affianca all'art. 2190 che prevede l'iscrizione d'ufficio. Essa disciplina solo la cancellazione di un'iscrizione irregolare, cioè avvenuta senza che ricorressero le condizioni previste dalla legge.

Spiegazione dell'art. 2191 Codice Civile

La cancellazione d'ufficio presuppone un'iscrizione irregolare, mentre si deve parlare di iscrizione di un fatto modificativo o estintivo di una situazione precedente, quando si vuol far venire meno un'iscrizione a seguito di tale fatto sopravvenuto.

La cancellazione d'ufficio consiste nella eliminazione dell'iscrizione avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge.
In particolare si provvede alla cancellazione quando si accerti che l'oggetto di una determinata iscrizione è tale che:
  1. non avrebbe dovuto essere effettuata per la non corrispondenza al vero del fatto dichiarato o perché questo non è assoggettato al regime di pubblicità;
  2. non avrebbe dovuto essere effettuata in quel registro delle imprese;
  3. non avrebbe dovuto essere effettuata in quella sezione del registro delle imprese.
Si ritiene che la cancellazione d'ufficio rimuova l'iscrizione ex tunc.

Interessato è il soggetto che ha presentato la domanda. Avvenuta l'iscrizione, l'interessato non ha facoltà di chiedere la cancellazione, ma può promuovere l'iniziativa d'ufficio.

In base alla norma, può essere ordinata anche la rettificazione dell'iscrizione.

Massime relative all'art. 2191 Codice Civile

Cass. civ. n. 3653/2023

Chiunque vi abbia un interesse, purché legittimato all'azione, può agire in giudizio in sede contenziosa per ottenere una sentenza che accerti, con forza di giudicato, l'inesistenza delle condizioni richieste dalle legge per la cancellazione dal registro delle imprese della società contro la quale abbia proposto, o intenda proporre, un'azione di impugnazione di un contratto del quale la società risulta parte acquirente, o venditrice e, dunque, passivamente legittimata, ovvero litisconsorte necessaria, senza che rilevi che il giudice del registro delle imprese abbia già ritenuto, in sede camerale, sussistere le indicate condizioni e non abbia, quindi, ordinato, a norma dell'art. 2191 c.c., la cancellazione d'ufficio dell'intervenuta cancellazione volontaria della società dal registro stesso.

Cass. civ. n. 22290/2020

In tema di dichiarazione di fallimento di una società, ai fini del rispetto del termine previsto dall'art. 10 l.fall. l'iscrizione nel registro delle imprese del decreto con cui il giudice del registro, ai sensi dell'art. 2191 c.c., ordina la cancellazione della pregressa cancellazione della società già iscritta, fa presumere sino a prova contraria la continuazione dell'attività d'impresa, atteso che il rilievo di regola solo dichiarativo della pubblicità comporta che l'iscrizione del detto decreto rende opponibile ai terzi l'insussistenza delle condizioni che avevano dato luogo alla cancellazione della società alla data in cui questa era stata iscritta e determina altresì, con effetto retroattivo, il venir meno dell'estinzione della società per non essersi questa effettivamente verificata.

Cass. civ. n. 9414/2013

Laddove la cancellazione di una società dal registro delle imprese italiano sia avvenuta come conseguenza dell'asserito trasferimento all'estero (nella specie in Gran Bretagna) della sua sede sociale, il successivo accertamento della fittizietà del trasferimento - che quindi non comporta il venire meno della giurisdizione del giudice italiano, né determina, come effetto di quella cancellazione, il decorso del termine di cui all'art. 10 legge fall. - non è precluso dal fatto che non sia preventivamente intervenuto, alla stregua dell'art. 2191 c.c., alcun provvedimento di segno opposto alla predetta cancellazione, atteso che per poter fornire la prova contraria alle risultanze della pubblicità legale riguardanti la sede dell'impresa non occorre precedentemente ottenere dal giudice del registro una pronuncia che ripristini, anche sotto il profilo formale, la corrispondenza tra la realtà effettiva e quella risultante dal registro.

Cass. civ. n. 8426/2010

In tema di dichiarazione di fallimento di una società, ai fini del rispetto del termine di un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, previsto dall'art. 10 legge fall., l'iscrizione nel registro delle imprese del decreto con cui il giudice del registro, ai sensi dell'art. 2191 c.c., ordina la cancellazione della pregressa cancellazione della società già iscritta nello stesso registro, fa presumere sino a prova contraria la continuazione delle attività d'impresa, atteso che il rilievo, di regola, solo dichiarativo della pubblicità, se avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge, comporta che la iscrizione del decreto, emanato ex art. 2191 c.c., determina solo la opponibilità ai terzi della insussistenza delle condizioni che avevano dato luogo alla cancellazione della società alla data in cui questa era stata iscritta e, di conseguenza, la stessa cancellazione, con effetto retroattivo, della estinzione della società, per non essersi questa effettivamente verificata; nè è di ostacolo a tale conclusione l'estinzione della società per effetto della cancellazione dal registro delle imprese, a norma dell'art. 2495 c.c., introdotto dal d.l.vo 17 gennaio 2003, n. 6, atteso che la legge di riforma non ha modificato la residua disciplina della pubblicità nel registro delle imprese.

Cass. civ. n. 816/2009

La domanda di liquidazione della quota di una società di persone, da parte del socio receduto, fa valere un'obbligazione non degli altri soci, ma della società, e, pertanto, ai sensi dell'art 2266 cod. civ., va proposta nei confronti della società medesima, quale soggetto passivamente legittimato; non sono, invece, legittimati passivi gli altri soci, in quanto il regime della responsabilità solidale illimitata dei soci, ai sensi dell'art. 2191 cod. civ., opera solo a favore dei terzi, od anche dello stesso socio, ma per altri fatti non contrattuali (come il pagamento dell'indebito o l'illecito aquiliano), archetipo in cui non rientra il diritto alla liquidazione della quota.

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franco a. chiede
lunedì 20/10/2014 - Toscana
“Socio di una srl, ho subito una liquidazione fraudolenta a mia insaputa, mai convocato né per verbale iniziale né per approvazione bilancio infrannuale, con deposito bilancio finale palesemente falso, un solo foglio con solo importi messi a caso, senza nota integrativa o rendiconto.
I ricorsi al giudice e poi al tribunale sono stati respinti con assurda motivazione: si doveva fare opposizione entro 90 gg.
Domande:
1) che c'entrano 90 gg con il 2191?
2) non sono illegittimi i 90 gg in quanto contravvenendo al c.c sono stato estromesso dalla liquidazione?
3) Cosa è possibile fare contro i decreti che hanno gia' condizionato la sentenza di primo grado nella causa da me promossa per azione responsabilita' amm/ri e liquidatori in vista dell'appello.
In attesa ringrazio sentitamente.”
Consulenza legale i 29/10/2014
L'art. 2191 del c.c. prevede l'ipotesi della cancellazione d'ufficio di una società dal registro delle imprese, che consiste nella eliminazione di una iscrizione avvenuta in assenza delle condizioni richieste dalla legge. Si è ritenuto che possa procedersi a cancellazione anche dell'iscrizione della cancellazione di una società.
I presupposti della cancellazione d'ufficio sono il deposito del bilancio finale di liquidazione ex art. 2492 del c.c. e la mancata proposizione dei reclami di cui agli artt. 2492 e 2493 c.c.

I "90 giorni" di cui si parla nel quesito attengono proprio a queste ultime norme, in quanto esse prevedono che ogni socio può proporre reclamo al tribunale, in contraddittorio con i liquidatori, nei 90 giorni successivi al deposito del bilancio finale di liquidazione: in mancanza di reclamo, il bilancio di liquidazione si intende approvato.

Nel caso in esame, il ricorso ex art. 2191 c.c. presentato dall'ex socio, vittima di una liquidazione fraudolenta ai suoi danni, è stato respinto sul presupposto che - nonostante fosse piuttosto evidente che il bilancio era redatto in maniera scarna ed incongruente rispetto ai bilanci precedenti della società - il Giudice del Registro è tenuto a verificare esclusivamente che sia stato eseguito un iter formalmente corretto, fino alla cancellazione dell'ente da registro delle imprese. In altre parole, a quel giudice era vietato entrare nel merito della questione, stabilire cioè se il bilancio fosse davvero falso, ma egli avrebbe dovuto limitarsi, come ha fatto, a certificare che un bilancio fosse stato comunque depositato e che contro di esso non fosse stato sporto reclamo ex art. 2492 c.c.
Tale decisione appare corretta.
Difatti, è vero che il Tribunale, in veste di Giudice del Registro, ha solo poteri di verifica di procedure formali, non potendo affrontare questioni sostanziali.

Due i punti fondamentali in questa vicenda: (1) il Giudice del Registro avrebbe potuto dichiarare che il bilancio depositato di fatto non era un bilancio? (2) la mancata presentazione di reclamo entro 90 giorni che conseguenze comporta?

(1)
Molto spesso la giurisprudenza si è trovata ad affrontare il caso di bilanci finali di liquidazione non redatti in modo appropriato.
Il bilancio finale di liquidazione deve corrispondere al modello legale, e deve quindi essere composto normalmente di stato patrimoniale, conto economico e nota integrativa, con riferimento al periodo successivo all'ultimo bilancio intermedio approvato ai sensi dell'art. 2490 c.c., corredato dal piano di riparto del residuo attivo di liquidazione.

Si possono delineare due posizioni della giurisprudenza:
- una più rigorosa, in base alla quale il Giudice del Registro non può operare alcuna valutazione nemmeno indirettamente di merito (sembra la posizione assunta dal Giudice nel caso di specie). O il bilancio è stato depositato (basta che "sembri" un bilancio), oppure no: solo in questo secondo caso si può cancellare la cancellazione della società;
- una più "permissiva" (sostenuta in dottrina), secondo cui il Giudice deve indagare circa l'inesistenza delle condizioni formali e sostanziali dell'iscrizione della cancellazione, tra le quali vi è anche la "compiuta liquidazione" (intesa anche come compimento sostanziale della liquidazione). Alcuni giudici, quindi, hanno ritenuto irregolare la cancellazione della società dal registro imprese laddove sia stato presentato un bilancio apparente, cioè un documento del tutto privo di indicazioni relativamente alle voci dell'attivo e del passivo, ritenuto perciò inidoneo ad essere qualificato come bilancio finale di liquidazione (vedi Tribunale di Milano, 1 agosto 2011 e Tribunale di Modena 28 ottobre 2011).
Le fattispecie per così dire "patologiche" in cui il bilancio depositato è stato ritenuto affetto da vizi così gravi da non potersi neppure reputare un bilancio finale di liquidazione sono, in sintesi:
- bilancio contenente partite attive non liquidate;
- bilancio finale non coerente con quello intermedio, con azzeramento non giustificato delle partite attive;
- bilancio finale solo apparente per conferimento dell’attivo in un trust liquidatorio.

Entrambe le posizioni sopra riportate sono legittime, in quanto si tratta di interpretazioni diverse della stessa normativa.
Nel caso in esame, il Giudice ha deciso di non addentrarsi nel giudizio circa l'idoneità del bilancio depositato quale bilancio finale di liquidazione, ritenendo di poter accogliere il ricorso solo laddove il bilancio fosse del tutto mancante. Ciò, anche in fase di reclamo.
Purtroppo contro la decisione assunta con decreto in fase di reclamo non è ammessa ulteriore impugnazione, in quanto essa non ha natura decisoria (è ritenuto un provvedimento di volontaria giurisdizione), è priva del carattere di definitività e non incide su posizioni di diritto soggettivo: trattandosi di una decisione che attiene solo alla gestione di un pubblico registro (quello delle imprese), è quindi escluso il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost..

(2)
Il reclamo entro 90 giorni disciplinato dall'art. 2492 c.c. è del tutto diverso dal ricorso ai sensi dell'art. 2191 c.c.. Mentre quest'ultimo, come detto, non è un vero e proprio giudizio (si chiama procedimento di "volontaria giurisdizione"), il primo instaura una causa ordinaria che va iniziata con il tipico atto introduttivo delle controversie giudiziali, l'atto di citazione.
Ancora, come già detto, il Giudice del Registro può solo constatare che il reclamo ex art. 2492 non sia stato esperito, senza chiedersi il perché, e senza, a maggior ragione, poter assumere una decisione in ordine alla falsità del bilancio, che non gli spetta.
Il termine di 90 giorni è previsto a pena di decadenza: ciò significa che, decorso inutilmente il termine, il soggetto perde la facoltà di esercitare l'azione.
Nel caso in esame, il deposito del bilancio è stato effettuato diversi anni fa. Secondo la Suprema Corte, la decorrenza del termine di tre mesi per proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione di una s.r.l. previsto dall'art. 2453 c.c. decorre dalla data del deposito del bilancio stesso presso il registro delle imprese, non avendo il legislatore previsto, per le società di capitali, alcun onere di comunicazione ai soci del bilancio finale di liquidazione, come invece sancito in tema di società in nome collettivo dall'art. 2311 c.c. (Cass. civ. n. 5716/2002).
Il termine è quindi irrimediabilmente scaduto e non è più possibile esperire il mezzo del reclamo.

In conclusione, si deve purtroppo constatare che, da un lato, contro i decreti sfavorevoli all'ex socio non è data più alcuna possibilità di impugnativa; dall'altro lato, il rimedio contro la falsità/irregolarità del contenuto del bilancio, e quindi della liquidazione, non può più essere esperito, essendo ormai decorso il termine di 90 giorni previsto dall'art. 2495 c.c.