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Articolo 2126 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Prestazioni di fatto con violazione di legge

Dispositivo dell'art. 2126 Codice Civile

La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione [1360, 1373, 1418, 1445, 1458, 2332], salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa [1345, 1346, 2035].

Se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del prestatore di lavoro, questi ha in ogni caso diritto alla retribuzione [2098].

Ratio Legis

La norma tutela il lavoratore, salva l'ipotesi in cui il contratto di lavoro abbia una causa illecita rappresentata dalla comune intenzione delle parti di costituire un rapporto previdenziale vietato dalle norme imperative.

Massime relative all'art. 2126 Codice Civile

Cass. civ. n. 4360/2023

In tema di pubblico impiego privatizzato, in caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa che, in seguito ad accertamento giudiziario, risulti avere la sostanza di contratto di lavoro subordinato, il lavoratore non può conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato con la P.A., ma ha diritto ad una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all'art. 2126 c.c., nonché alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale ed alla corresponsione del trattamento di fine rapporto per il periodo pregresso.

Cass. civ. n. 32263/2021

Nel pubblico impiego contrattualizzato, in caso di illegittimità dell'assunzione, il rapporto di lavoro affetto da nullità può produrre effetti nei soli limiti indicati dall'art. 2126 c.c., applicabile anche alla P.A. Ne consegue che, ferma l'irripetibilità delle retribuzioni corrisposte in ragione della prestazione resa, non può tenersi conto ai fini di successive assunzioni o avanzamenti di carriera di detto rapporto di lavoro, in applicazione del principio "quod nullum est nullum producit effectum"

Cass. civ. n. 25169/2019

La pretesa di condanna del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2126 c.c., al pagamento delle retribuzioni dovute per lo svolgimento di fatto di prestazioni di lavoro subordinato, anche con la P.A., allorquando la pretesa originariamente esercitata di riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con tale datore di lavoro sia esclusa per ragioni di nullità o per divieti imposti da norme imperative, non costituisce domanda nuova e può dunque essere prospettata per la prima volta in grado di appello o anche posta d'ufficio a fondamento della decisione.

L'azione proposta ai sensi dell'art. 2126 c.c., avendo fonte in una specifica previsione di legge, è di natura contrattuale sicché è onere del lavoratore allegare e dimostrare l'esistenza dei fatti generatori, consistenti nell'attuazione della prestazione di lavoro e nella conseguente quantificazione delle retribuzioni secondo la contrattazione collettiva applicabile, mentre grava su chi riceva tali prestazioni di lavoro la prova di quanto, in ragione della medesima vicenda sostanziale, il lavoratore ha comunque percepito e va quindi detratto dal dovuto.

Cass. civ. n. 3177/2019

In tema di rapporto di lavoro giornalistico, l'attività svolta dal collaboratore fisso - contraddistinta da continuità, vincolo di dipendenza ed esclusività, responsabilità di un servizio - rientra nel concetto di "professione giornalistica" e richiede la previa iscrizione nell'elenco dei giornalisti, con conseguente nullità del contratto in caso di iscrizione al solo elenco dei pubblicisti, la quale tuttavia non esclude - non derivando da illeicità dell'oggetto o della causa, ma da violazione di legge - che l'attività svolta conservi giuridica rilevanza ed efficacia ai sensi dell'art. 2126 c.c.

Cass. civ. n. 21523/2018

In tema di pubblico impiego contrattualizzato, in caso di riconoscimento di un livello superiore di professionalità, successivamente revocato, sono irripetibili le differenze retributive erogate in favore del lavoratore durante il periodo di effettivo servizio prestato nella predetta qualifica, trovando applicazione l'art. 2126 c.c., da reputarsi compatibile con il regime del lavoro pubblico.

Cass. civ. n. 8690/2018

In tema di impiego pubblico contrattualizzato, lo svolgimento di fatto di mansioni superiori nell'ambito di professioni sanitarie, in carenza del titolo abilitativo specifico e della relativa iscrizione all'albo, non fa sorgere il diritto alla corrispondente maggiore retribuzione ai sensi dell'art. 2126 c.c., poiché l'assenza di titolo non integra - a differenza che per altre professioni a rilevanza pubblicistica - una forma di illegalità derivante dalla carenza di un requisito estrinseco, ma produce la totale illiceità dell'oggetto e della causa dell'obbligazione, risultando l'attività del personale infermieristico regolata da specifiche norme di legge attinenti a profili di ordine pubblico, attesa l'incidenza dell'attività sanitaria sulla salute e sicurezza pubblica, nonché sulla tutela dei diritti fondamentali della persona.

Cass. civ. n. 14772/2017

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, nel settore della scuola, la costituzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato intervenuta tardivamente, a seguito dell'accertamento giudiziale dell'illegittimo operato della P.A., può essere disposta dal giudice con retrodatazione giuridica dell'assunzione, ma non con retrodatazione economica, in quanto non si determina un diritto alle retribuzioni per il periodo antecedente all'assunzione in cui la prestazione lavorativa non è stata svolta, ma un diritto al risarcimento del danno; quest’ultimo non si identifica, infatti, nella mancata erogazione della retribuzione, essendo necessaria l’allegazione e la prova dell’entità dei pregiudizi di tipo patrimoniale e non che trovino causa nella condotta del datore di lavoro, qualificata come illecita.

Cass. civ. n. 13940/2017

In materia di impiego pubblico contrattualizzato, in caso di tardiva assunzione con retrodatazione giuridica dovuta a provvedimento illegittimo della P.A., non sussiste il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni relative al periodo di mancato impiego, né, a tal fine, assume rilevanza l'eventuale messa in mora volta ad ottenere la costituzione del rapporto, in quanto tali voci presuppongono l'avvenuto perfezionamento del rapporto di lavoro e la relativa azione ha natura contrattuale; il lavoratore può, invece, agire o a titolo di responsabilità extracontrattuale, allegando quale danno ingiusto tutti i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali conseguenti alla violazione del diritto all'assunzione tempestiva (quali le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall'ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative), oppure ex art. 2126 c.c., in presenza delle relative condizioni.

Cass. civ. n. 9591/2017

La stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti dell'articolo 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

Cass. civ. n. 3384/2017

In caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, il lavoratore non può mai conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all'art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

Cass. civ. n. 482/2017

In materia di pubblico impiego contrattualizzato, all’annullamento dell’atto di conferimento di mansioni superiori, equiparabile all’annullamento del contratto di cui all’art. 2126 c.c., consegue l’intangibilità sia della retribuzione percepita per l'attività effettivamente svolta sia della pensione maturata alla stregua di essa, se calcolata in base a contributi indebitamente versati ma “consolidati”, ex art. 8 del d.p.r. n. 818 del 1957, per il decorso del quinquennio dalla data del versamento.

Cass. civ. n. 991/2016

L'art. 2126 c.c. ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una P.A. compresa tra quelle di cui all'art. 2 del d.l.vo n. 165 del 2001, salvo il caso in cui l'attività svolta risulti illecita perché in contrasto con norme imperative e poste a tutela di diritti fondamentali della persona. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, ai fini del diniego della retribuzione per la cd. "doppia reperibilità" di un medico ospedaliero, aveva rilevato che il detto servizio non era espressamente previsto dall'art. 82 del d.p.r. n. 270 del 1987 e dall'art. 20 c.c.n.l. del 5 dicembre 1996 comparto Sanità area dirigenza medica e veterinaria, e per i reparti di area medica era precluso dall'accordo quadro regionale e dalla deliberazione dell'ASL di appartenenza).

Cass. civ. n. 18540/2015

In tema di prestazioni lavorative rese dal lavoratore extracomunitario privo del permesso di soggiorno, l'illegittimità del contratto per la violazione di norme imperative (art. 22 del T.U. immigrazione) poste a tutela del prestatore di lavoro (art. 2126 c.c.), sempre che la prestazione lavorativa sia lecita, non esclude l'obbligazione retributiva e contributiva a carico del datore di lavoro, in coerenza con la razionalità complessiva del sistema che vedrebbe altrimenti alterate le regole del mercato e della concorrenza ove si consentisse a chi viola la legge sull'immigrazione di fruire di condizioni più vantaggiose rispetto a quelle cui è soggetto il datore di lavoro che rispetti la disciplina in tema di immigrazione.

Cass. civ. n. 15450/2014

Qualora, per lo svolgimento di un'attività lavorativa, sia richiesta dalla legge un'abilitazione o un titolo di studio abilitante, in ragione del'incidenza di tale attività sulla salute pubblica, o sulla sicurezza pubblica, la prestazione lavorativa, svolta in carenza di detti presupposti è, anche ai fini di cui all'art. 2126 cod. civ., illecita, perché in violazione di norme imperative attinenti all'ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona, e, di conseguenza, non è in alcun modo utile ai fini del riconoscimento della qualifica superiore né ai fini del conseguimento della maggiore retribuzione corrispondente al detto inquadramento. (In applicazione di detto principio, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza di merito che aveva ritenuto insussistente il diritto al trattamento economico superiore in favore di infermiere generico che affermava di avere svolto - senza alcun titolo abilitante - le mansioni proprie dell'infermiere professionale).

Cass. civ. n. 1639/2012

Il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico per i suoi fini istituzionali, affetto da nullità perché non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell'art. 2126 c.c., con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo e alla contribuzione previdenziale per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione.

Cass. civ. n. 11559/2011

In ipotesi di rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto l'insegnamento presso scuole private legalmente riconosciute, il possesso del titolo legale di abilitazione all'insegnamento da parte degli insegnanti rappresenta un requisito di validità dello stesso contratto di lavoro, il quale - ove l'insegnante risulti sprovvisto del titolo suddetto - deve considerarsi nullo per violazione delle citate norme di carattere imperativo, con conseguente impedimento alla prosecuzione ulteriore del rapporto e possibilità per il datore di lavoro di intimare il licenziamento per giusta causa, pur restando fermi, ai sensi dell'art. 2126 c.c., gli effetti del rapporto per il periodo in cui esso abbia avuto esecuzione.

Cass. civ. n. 25756/2008

Il rapporto di lavoro subordinato concluso con chi sia privo di abilitazione necessaria per l'esercizio di una determinata professione (nella specie, quella di biologo presso un laboratorio di analisi cliniche) è nullo per violazione di norme imperative ma, conformemente al disposto dell'art. 2126 cod. civ., tale nullità non produce effetto per il periodo di esecuzione del rapporto stesso ed a maggior ragione ove, nel corso del rapporto, sia stata conseguita, da parte del lavoratore, la necessaria abilitazione.

Cass. civ. n. 24247/2007

L'equiparazione del contratto di lavoro invalido a quello valido, disposta dall'art. 2126 c.c., è limitata agli effetti retributivi del lavoro già prestato e non è idonea a fondare pretese conservative del lavoratore, onde, finita l'esecuzione delle prestazioni lavorative, non trova applicazione la tutela contro i licenziamenti illegittimi (principio affermato in controversia in cui la corte territoriale, in sede di giudizio di rinvio, aveva affermato la nullità del contratto di lavoro per violazione dell'art. 9 D.L.vo n. 541 del 1992, che richiedeva il diploma di laurea per l'attività di informatore scientifico, con sopravvivenza degli effetti di cui all'art. 2126 c.c.).

Cass. civ. n. 5941/2004

In caso di inefficacia del contratto ad evidenza pubblica di conferimento dell'incarico di direttore generale di una ASL per mancanza del provvedimento amministrativo di individuazione del contraente, alle prestazioni di fatto svolte dal direttore generale prima della risoluzione del rapporto non si applica l'art. 2126 c.c., che non si riferisce alle prestazioni svolte in situazione di autonomia, sia pure aventi le caratteristiche della parasubordinazione, potendo il lavoratore autonomo avvalersi unicamente dell'azione per indebito arricchimento.

Cass. civ. n. 10551/2003

La prestazione di lavoro subordinato svolta alle dipendenze di un ente pubblico non economico in violazione di norme imperative deve essere qualificata come pubblico impiego, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2126 c.c., con il conseguente diritto del dipendente non solo ai compensi previsti per quel tipo di rapporto, ma anche alla regolarizzazione della posizione contributiva previdenziale secondo le regole previste per gli impiegati pubblici; tale principio si applica anche ai dipendenti delle Università, per le quali, anche a seguito dell'autonomia loro riconosciuta dalle leggi n. 168 del 1989 e n. 537 del 1993, non è stata introdotta alcuna norma in modifica del regime pensionistico dei loro dipendenti, che rimane omogeneo a quello dei dipendenti delle altre amministrazioni statali, con la conseguenza che i medici che hanno lavorato in regime di subordinazione presso i policlinici universitari hanno diritto ad essere iscritti presso la gestione separata dei trattamenti pensionistici dei dipendenti dello Stato presso l'Inpdap.

Cass. civ. n. 15880/2002

In conformità con i principi costituzionali di tutela del lavoro in tutte le sue forme (art. 35 Cost.) e di garanzia di una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione, il contratto di lavoro instaurato in assenza di prova pubblica selettiva con un ente presso il quale, ancorchè di natura privata, l'assunzione sia consentita solo mediante procedura concorsuale (nella specie, una "casa di ospitalità") soggiace alla disciplina dettata dall'art. 2126 c.c., che fa salvi gli effetti del rapporto, ai fini retributivi, per il periodo in cui la prestazione lavorativa risulta di fatto effettuata.

Cass. civ. n. 5738/2001

Le disposizioni dell'art. 2126 c.c. non trovano applicazione ai rapporti di lavoro autonomo, sia pure aventi le caratteristiche della parasubordinazione, trattandosi di norme a carattere eccezionale attinenti al lavoro subordinato. (Fattispecie relativa ad attività didattiche svolte da soggetto quale cultore della materia nell'ambito di collaborazione professionale con istituto universitario).

Cass. civ. n. 10299/2000

Il lavoratore che sia decaduto dal beneficio dell'integrazione salariale non può invocare l'art. 2126 c.c. per trattenere l'indennità di cassa integrazione indebitamente erogata in relazione alla propria partecipazione ai previsti corsi di formazione, non essendo la partecipazione ai predetti corsi parificabile alla prestazione di attività lavorativa ed essendo l'art. 2126 c.c. applicabile solo nell'ipotesi di prestazione di fatto di attività lavorativa.

Cass. civ. n. 8471/2000

Il difetto della forma scritta, necessaria ad substantiam per tutti i contratti della pubblica amministrazione, determina la nullità del contratto di lavoro autonomo stipulato da un ente pubblico, senza che, pur in presenza degli elementi della parasubordinazione a norma dell'art. 409 n. 3 c.p.c., possa trovare applicazione la regola della salvezza del diritto alla retribuzione dettata dall'art. 2126 c.c. con riferimento al lavoro subordinato.

Cass. civ. n. 14692/1999

Nel contratto di lavoro a tempo parziale la mancanza della forma scritta comporta nullità per difetto di forma e non anche per illiceità della causa o dell'oggetto. Pertanto, la nullità non produce effetto per il periodo in cui il contratto ha avuto esecuzione, con la conseguenza che il datore di lavoro è obbligato alla retribuzione e alla contribuzione secondo la previsione del contratto part-time.

Cass. civ. n. 5516/1999

La tutela apprestata in favore del lavoratore dall'art. 2126, primo comma, c.c. non può trovare applicazione nell'ipotesi in cui il contratto di lavoro abbia una causa illecita rappresentata dalla comune intenzione delle parti di costituire un rapporto previdenziale vietato da norme imperative di ordine pubblico perché afferente ad un rapporto denunciato all'ente previdenziale come subordinato, ma rivelatosi ab origine mancante del vincolo della subordinazione.

Cass. civ. n. 14/1990

L'art. 2126 cod. civ., secondo cui la nullità del contratto di lavoro non travolge gli effetti economici della prestazione lavorativa già eseguita, trova applicazione anche a tutela del lavoro «parasubordinato» (art. 409, n. 3, cod. proc. civ.) alla stessa stregua di quello subordinato, con riguardo alle esigenze fondamentali del lavoratore. Pertanto, anche la nullità del contratto di lavoro «parasubordinato» con un'amministrazione pubblica, per difetto della forma scritta, necessaria ad substantiam, non esclude il diritto alla retribuzione del lavoratore autonomo che abbia prestato un'attività inserita in modo coordinato e continuativo nella organizzazione dell'amministrazione stessa, ove non ricorra l'ipotesi di illiceità della causa o dell'oggetto del contratto, prevista dal secondo comma dell'art. cit., e sempre che non si tratti di esercizio di attività che richieda con riguardo ad una professione intellettuale l'iscrizione in un apposito albo od elenco (nella specie, l'amministrazione era autorizzata a concludere contratti a termine con esperti e l'attività svolta era stata di consulenza amministrativa).

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relative all'articolo 2126 Codice Civile

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Rosa V. chiede
venerdì 26/06/2020 - Friuli-Venezia
“Gentilissimi,
vi pongo un quesito relativo alla risoluzione di un contratto di lavoro subordinato con la pubblica amministrazione a causa della 'sopravvenuta' mancanza del titolo di studio necessario.
Mi spiego meglio:
Immaginiamo che una persona consegua un valido titolo di laurea, in funzione del quale in seguito consegua anche un'abilitazione e vinca un concorso con la pubblica amministrazione. Se, dopo diversi anni dal conseguimento della laurea, dovesse emergere un plagio della tesi e la laurea venisse annullata, immagino che la persona in questione perderebbe ovviamente il posto di lavoro. Quello che mi chiedo io, però, è se il dipendente licenziato per questa ragione debba risarcire la PA o, addirittura, restituire i compensi percepiti fino a quel momento (perché considerati indebitamente percepiti)? Potrebbe avere un peso nella vicenda il fatto che il dipendente in questione fosse in buona fede e inconsapevole dell'avvenuto plagio, in quanto frutto non di copiatura o attribuzione di lavoro altrui, ma di un utilizzo improprio di dati ottenuti da altri (sotto la supervisione, tra l'altro, dei relatori)?
Grazie
Distinti saluti”
Consulenza legale i 02/07/2020
L’art. 127 del D.P.R. 10/1/1957 n. 3 disciplina la decadenza dal servizio degli impiegati civili dello Stato ed in particolare la lettera d) prevede la decadenza dal servizio quando sia accertato che l'impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile.

La decadenza per nullità del contratto opera allorquando l’invalidità del documento (nella specie, la laurea) avrebbe in ogni caso impedito la costituzione del rapporto di lavoro con la P.A.

Tuttavia, per quanto riguarda le retribuzioni già percepite e le contribuzioni già versate, viene in rilievo l’art. 2126 c.c. secondo il quale “La nullità o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi dall'illiceità dell'oggetto o della causa”.

Pertanto, la P.A. non potrà chiedere la restituzione dei compensi percepiti.

Per quanto riguarda un eventuale risarcimento del danno, la P.A. dovrebbe provare il danno e che tale danno sia conseguenza della produzione di documenti affetti da nullità insanabile.