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Lavoro in nero: che cosa si rischia?

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Lavoro in nero: che cosa si rischia?
I rischi connessi all'instaurazione di un rapporto di lavoro irregolare ricadono sia sul datore sia sul dipendente che, in caso di infortunio, non potrà ottenere il risarcimento INAIL previsto per legge.
Quando si parla di lavoro in nero si fa riferimento ad un rapporto di lavoro irregolare, ovvero un impiego
  • non segnalato all’ufficio territoriale del lavoro
  • non disciplinato dal contratto di lavoro collettivo
  • non retribuito ufficialmente
  • e soprattutto che non prevede (chiaramente) il versamento dei contributi e delle altre indennità previste per legge.
Come noto, il datore di lavoro che si avvale di dipendenti/lavoratori in nero rischia conseguenze economiche di non poco conto che, tuttavia, richiedono sempre l’intervento dei competenti ispettori. Se, invero, le autorità non eseguono le dovute verifiche nell’azienda ed i successivi accertamenti, normalmente la situazione irregolare non trapela e continua a rimanere impunita.

Per il dipendente, al contrario, le conseguenze connesse allo svolgimento di un lavoro irregolare sono immediate. Se, per esempio, il dipendente che si sta recando sul posto di lavoro viene coinvolto in un sinistro e subisce magari un danno fisico anche grave, non si vedrà riconosciuto il diritto ad ottenere dall’Inail il risarcimento per il cd “infortunio in itinere”, ossia quello che si potrebbe verificare percorrendo la strada che da casa porta a lavoro.

Anche nel caso di eventuale cessione dell’attività da una società ad un'altra, il lavoratore irregolare non avrà il diritto a proseguire il suo rapporto di lavoro presso la nuova azienda cessionaria, sebbene questo sia quello che prevede la legge.

La questione ha rilevanza anche sul piano del diritto penale.

Infatti, colui che svolge prestazioni lavorative in nero e che risulta essere ufficialmente disoccupato percependo per questo l’assegno di disoccupazione, potrà essere chiamato a rispondere del reato di “falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico” di cui all’art. 483 del c.p., rischiando la pena della reclusione fino a due anni.

Ma non è finita qui.

Il lavoratore in nero che riceve le somme a titolo di disoccupazione, potrà invero essere chiamato a rispondere per aver indebitamente percepito erogazioni ai danni dello Stato, rischiando non solo la restituzione di tutte le somme incassate a titolo di Naspi dall’Inps, ma anche la reclusione fino ad un massimo di tre anni (come previsto dall’art. 316 ter del c.p.).

Ciò che non rischia è invece lo stipendio. Sebbene, infatti, il lavoratore in nero non abbia interesse a rendere nota l’irregolarità del rapporto di lavoro prestato, sarà comunque tutelato ove ad esempio il datore di lavoro ometta di versargli la retribuzione mensile spettantegli.

L’art. art. 2126 del c.c. del c.c. stabilisce, infatti, che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione (salvo che la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa di cui all'art. 1343 del c.c.). Quindi, anche dove fosse accertata l’irregolarità della prestazione lavorativa, perché non denunciata al centro per l’impiego, il lavoratore in nero potrà comunque agire davanti al giudice competente (giudice del lavoro) per ottenere il pagamento delle buste paga.


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