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Articolo 33 Testo unico edilizia

(D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380)

[Aggiornato al 08/02/2024]

Interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità

Dispositivo dell'art. 33 Testo unico edilizia

1. Gli interventi e le opere di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 10, comma 1, eseguiti in assenza di permesso o in totale difformità da esso, sono rimossi ovvero demoliti e gli edifici sono resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il congruo termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso.

2. Qualora, sulla base di motivato accertamento dell'ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il dirigente o il responsabile dell'ufficio irroga una sanzione pecunaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all'ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell'abuso, sulla base dell'indice ISTAT del costo di costruzione, con la esclusione, per i comuni non tenuti all'applicazione della legge medesima, del parametro relativo all'ubicazione e con l'equiparazione alla categoria A/1 delle categorie non comprese nell'articolo 16 della medesima legge. Per gli edifici adibiti ad uso diverso da quello di abitazione la sanzione è pari al doppio dell'aumento del valore venale dell'immobile, determinato a cura dell'agenzia del territorio.

3. Qualora le opere siano state eseguite su immobili vincolati ai sensi del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, l'amministrazione competente a vigilare sull'osservanza del vincolo, salva l'applicazione di altre misure e sanzioni previste da norme vigenti, ordina la restituzione in pristino a cura e spese del responsabile dell'abuso, indicando criteri e modalità diretti a ricostituire l'originario organismo edilizio, ed irroga una sanzione pecuniaria da 516 euro a 5164 euro.

4. Qualora le opere siano state eseguite su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente.

5. In caso di inerzia, si applica la disposizione di cui all'articolo 31, comma 8.

6. È comunque dovuto il contributo di costruzione di cui agli articoli 16 e 19.

6-bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 23, comma 01, eseguiti in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in totale difformità dalla stessa.

Spiegazione dell'art. 33 Testo unico edilizia

L’articolo in esame sanziona l’esecuzione di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di titolo o in totale difformità da esso.
Per la nozione di ristrutturazione si rimanda al commento all’art. 10 del Testo Unico, ricordando che vi rientrano le opere che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente con modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a vincoli culturali e paesaggistici.

La prima e principale sanzione prevista in relazione a tali abusi è la rimessione in pristino dello stato dei luoghi, che in caso di inerzia dei soggetti intimati nel termine stabilito dal Comune viene eseguita dall’Ente pubblico a loro cura e spese.

Le più rilevanti differenze rispetto all’articolo precedente sono costituite sia dal fatto che, in caso di mancata esecuzione spontanea dell’ordinanza di demolizione, la demolizione d’ufficio avviene senza l’acquisizione dell’area al patrimonio comunale, sia dalla possibilità di sostituire la misura ripristinatoria con una sanzione di natura pecuniaria, pari al doppio dell'aumento di valore dell’immobile.

Tale conversione costituisce un’eccezione alla regola generale che impone la demolizione delle opere edilizie abusive e può essere ammessa soltanto in via subordinata e residuale, previo accertamento circa l’oggettiva impossibilità di procedere alla demolizione delle parti costruite in difformità o in assenza di titolo senza incidere sulla stabilità dell'intero edificio.

Qualora l’abuso sia stato commesso all’interno delle Zone A (centri storici), la valutazione circa l'alternativa tra la restituzione in pristino e l'irrogazione della sanzione pecuniaria è demandata all’Amministrazione competente alla tutela dei beni culturali, anche in assenza di specifici vincoli gravanti sull’immobile.

In ogni caso, la giurisprudenza consolidata ritiene che la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria sostitutiva non debba essere vagliata dall’Amministrazione al momento dell’accertamento dell’abuso, bensì appartenga più propriamente alla fase esecutiva dell’ordine di demolizione.
Pertanto, vengono ritenute legittime le ordinanze che si limitino a constatare l’esistenza delle opere di ristrutturazione edilizia abusive ed a intimare il ripristino dello stato dei luoghi, senza dare conto della sostituibilità della demolizione con la sanzione pecuniaria di cui al comma 2 della norma in esame.

Si nota comunque che, differentemente dall’ipotesi prevista dall’art. 31, comma 5, del Testo Unico, la facoltà di disporre la sanzione sostitutiva prescinde da qualsiasi valutazione circa l’interesse pubblico al mantenimento dell’opera, in quanto dipende soltanto da accertamenti oggettivi di natura tecnico-costruttiva.

L’articolo 33, infine, introduce un regime più severo per gli abusi compiuti in relazione ad immobili tutelati sotto l’aspetto culturale ed ambientale, che presentano un grado maggiore di offensività rispetto a quelli incidenti sul patrimonio edilizio non vincolato.

In tal caso, la sanzione demolitoria e quella pecuniaria non sono applicate in via alternativa, bensì in maniera cumulativa e la ragione della differente disciplina consiste nel fatto che, per gli immobili vincolati, il ripristino è imposto dalla prevalente esigenza di tutela derivante direttamente dall'imposizione del vincolo.

Massime relative all'art. 33 Testo unico edilizia

Cons. Stato n. 5018/2017

In materia edilizia deve considerarsi illegittima l'adozione, da parte di un'Amministrazione comunale, di un provvedimento repressivo inibitorio della D.I.A. (già consolidatasi) oltre il termine perentorio di trenta giorni dalla presentazione della medesima D.I.A. e senza le garanzie e i presupposti previsti dall'ordinamento per l'esercizio del potere di annullamento d'ufficio (L. n. 241/ 1990) (Riforma della sentenza del T.a.r. Lombardia, Milano, sez. II, n. 1307/2016).

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G. B. chiede
martedì 01/02/2022 - Veneto
“Immobile ad uso abitativo, appartamento in provincia di XXX: il primo proprietario, che ha costruito e venduto l'intero condominio, successivamente alla abitabilità (ottenuta nel 1975), ha realizzato una veranda in un appartamento.
Nel 1991, ha venduto l'appartamento ad una srl, società immobiliare (il secondo proprietario), senza completare la necessaria procedura di sanatoria dell'abuso, prima della vendita (la veranda non era dichiarata).
Il secondo proprietario, dopo aver acquistato l'appartamento (nel 1991), ha realizzato lavori ulteriori interni (bagno e cabina armadio), regolarmente denunciati al Comune di pertinenza, allegando perizia asseverata da un tecnico (1994).
In tale occasione il tecnico, che ha curato la redazione della perizia asseverata (1994), non ha verificato in Comune se alla data (1994) fossero pendenti procedimenti di sanatoria edilizia e/o se ci fossero abusi edilizi "vecchi " ancora da sanare, limitandosi a gestire i lavori interni realizzati nel 1994.
Nel frattempo (1994 e 1997) ed in precedenza (nel 1986) il Comune aveva richiesto per iscritto al primo proprietario di completare la sanatoria della veranda, non ricevendo risposta nè la prima volta (nel 1986, ante vendita), nè successivamente (nè nel 1994 e 1997), in quanto deceduto ed irreperibile.
Nel marzo 2006 il secondo proprietario (la srl immobiliare) ha venduto l'appartamento ad una coppia di anziani in pensione (il terzo proprietario), senza fare cenno della veranda, senza verificare se fossero pendenti alla data (2006) procedimenti per abuso edilizio che fossero ancora da sanare (la veranda).
Il notaio rogante ha allegato all'atto di vendita (marzo 2006) una piantina dell'appartamento, ricevuta da un secondo tecnico e predisposta ancora nel 1975, vecchia quindi di 31 anni, che non tiene conto ne' della veranda e neppure dei lavori realizzati nel 1994 e quindi non conforme nè dal punto di vista catastale, nè allo stato dei fatti.
A gennaio 2022 il Comune scrive agli eredi del terzo proprietario, che denominiamo il quarto proprietario (eredi che hanno acquisto l'appartamento per successione nel 2017), per significare che:

- le richieste di sanatoria presentate dal Comune nel 1986, 1994 e nel 1997 non erano mai state accolte in quanto, il primo proprietario, non aveva mai presentato la documentazione richiesta;
- si invita ora il quarto proprietario a perfezionare la procedura di sanatoria in tempi ristretti (60 giorni), facendosi carico di tutti i relativi oneri, in quanto l'immobile, mai sanato, non sarebbe vendibile.

Domande:

- il quarto proprietario che risulta tale in buona fede e per successione, ha titolo per chiedere cosa ed a chi ?
- al Notaio che ha rogato l'atto di vendita ai genitori, nel 2006, in quanto non ha verificato la conformita' urbanistica e catastale ?
- al Notaio o al secondo tecnico, che nel 2006 non ha aggiornato la piantina, tant'è che il Notaio rogante del 2006, (oggi novantenne in pensione) ha registrato l'atto allegando una piantina catastale firmata da tutti e datata 1975 ?
- al secondo venditore che ha venduto l'appartamento al terzo proprietario (i genitori) nel 2006 ?: il secondo venditore (la srl immobiliare) è tutt'ora operativa ed in attività; quali i profili di una sua eventuale responsabilità oggi, 16 anni dopo ?
- al primo proprietario, che ha venduto nel 1991, senza perfezionare la richiesta di condono, sollecitata dal Comune anche ante vendita (1987): quest'ultimo è deceduto e tale risulta anche il figlio: direi difficile rivolgersi a un nipote del primo proprietario ?
- cosa ha senso richiedere oggi e a chi, per avere un ristoro anche parziale delle spese di sanatoria (da perfezionare ora, nel 2022) ?
- perchè il quarto proprietario dovrebbe farsi carico di oneri e di compensi, non avendo nessuna colpa, ma avendo la necessità di regolarizzare l'appartamento ?
- è vero che l'immobile non sarebbe vendibile, come scritto dal Comune, per una banale veranda, facilmente rimuovibile o sanabile, e che non altera nessuna volumetria ?.

Come vedete la richiesta sembra ingarbugliata ma in realtà è lineare e comprensibile.
Si domanda cosa ha senso fare, soprattutto in via stragiudiziale. Gli eredi vorrebbero evitare un contenzioso.

quanto mi costa avere questo vostro parere tecnico_legale preventivo ?.
Resto a disposizione

Consulenza legale i 11/02/2022
Innanzitutto, è opportuno chiarire che la realizzazione di una veranda abusiva, a dispetto di quanto comunemente si pensi, non è un intervento di poco conto, ma comporta un incremento di volume e superficie utile che si accompagna alla modifica di sagoma e prospetto dell'edificio cui il manufatto accede.
Le verande vengono, infatti, per costante giurisprudenza ricondotte alla categoria di opere che richiedono il rilascio del permesso di costruire e che danno luogo, in mancanza di idoneo titolo abilitativo, alle sanzioni demolitorie previste dall’art. 33 T.U. Edilizia (Consiglio di Stato sez. VI, 16 marzo 2021, n. 2272; T.A.R. Firenze, sez. III, 29 gennaio 2021, n. 165; Cassazione penale sez. III, 13 gennaio 2000, , n. 3879, che ripercorre anche la giurisprudenza formatasi sulla legislazione precedente all’entrata in vigore del T.U. Edilizia).

Va poi specificato che gli ordini di demolizione di costruzioni abusive, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario dell'immobile, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con il bene tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato (T.A.R. Napoli, sez. IV, 07 gennaio 2020, n. 70; T.A.R. Napoli, sez. VII, 03 novembre 2020, n. 5004).
Inoltre, il potere dell’Amministrazione di reprimere gli abusi edilizi non è soggetto a decadenza e può essere esercitato anche a distanza di molti anni dall’intervento edilizio.
Questo spiega il motivo per il quale l’attuale proprietario venga oggi chiamato a porre rimedio alla situazione, pur non avendo avuto nulla a che fare con la realizzazione delle opere.
Tuttavia, si rileva che di solito i Comuni si limitano a rilevare gli abusi e a sanzionarli, ma non prendono l’iniziativa di sollecitare una sanatoria edilizia, posto che si tratta di un’istanza che compete al cittadino.
In ogni caso, rimane ferma la necessità di regolarizzare la situazione o mediante sanatoria o mediante la rimessione in pristino, al fine di chiudere almeno il fronte pubblicistico della vicenda.

Riguardo il profilo della commerciabilità, senza addentrarsi in una disamina giuridica troppo complessa, va comunque chiarito che la Legge (v. artt. 17 e 40, L. n. 47/1985 e art. 49 T.U. Edilizia) prevede la nullità degli atti tra vivi di trasferimento di diritti reali relativi ad immobili che non riportino gli estremi del titolo edilizio (anche in sanatoria).
Sulla base di questo principio, la Suprema Corte in un caso molto simile al presente ha affermato che sono da considerarsi irregolari e, come tali, non commerciabili quei fabbricati, in relazione ai quali siano realizzati interventi di trasformazione edilizia, per i quali è necessario il rilascio della concessione edilizia, essendo al riguardo sufficiente, ai fini di escluderne la commerciabilità, che l'opera abbia subito modifiche nella sagoma o nel volume rispetto a quello preesistente (Cassazione civile, sez. II, 07 gennaio 2010, n. 52).

Nella fattispecie in esame, si nota che la costruzione della veranda è avvenuta in completa assenza di permesso di costruire (allora chiamato concessione edilizia), che infatti –stando a quanto illustrato nel quesito- non risulta dal contratto di compravendita.
Pertanto, il contratto pare essere viziato anche secondo i principi affermati nel recente arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite, secondo cui ciò che rileva è la mancata indicazione degli estremi del titolo edilizio, indipendentemente dalla conformità o della difformità della costruzione realizzata dal titolo menzionato (Cassazione civile , SS.UU., 22 marzo 2019 n. 8230).
Una valutazione più approfondita sul tipo di azione da impostare non possono però prescindere dall’esame del contratto, che non è a disposizione dello scrivente.

Ogni pretesa, comunque, andrebbe fatta valere prima di tutto nei confronti della società che ha venduto l’immobile nel 2006, senza risalire ai proprietari precedenti, in quanto tale società è il cosiddetto dante causa, cioè il soggetto che ha trasferito il bene ai genitori degli attuali proprietari, oltre ad essere una persona giuridica ancora in attività e dunque facilmente rintracciabile e sperabilmente solvibile.
Il trascorrere del tempo dovrebbe costituire un problema superabile, sia perché in generale la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) (ma gli acquirenti del 2006 nulla sapevano della situazione della veranda e gli attuali ne sono venuti a conoscenza solo a seguito della comunicazione comunale), sia perché l’azione di nullità è imprescrittibile (art. 1422 c.c.).

Più complicata è l’azione nei confronti del notaio, dato che anche recentemente la Cassazione ha affermato che il professionista non è responsabile del mancato rilievo del carattere abusivo dell’immobile quando le parti gli conferiscono solo l’incarico di stendere l’atto di compravendita ma non anche il compito di accertare la conformità del bene rispetto a quello oggetto del contratto (Cassazione civile sez. III, 21 settembre 2021, n. 25504).

Se si vuole perseguire innanzitutto la via stragiudiziale, è possibile proporre un’istanza di mediazione ad un Organismo abilitato (è possibile trovare l’elenco sul sito del Ministero della Giustizia o chiedere al locale Ordine degli Avvocati), che si occuperà ad un costo abbastanza contenuto di organizzare gli incontri con un mediatore esperto, il quale tenterà di far arrivare le parti a composizione bonaria della controversia.