AUTORE:
Alessandro Ferrucci
ANNO ACCADEMICO: 2025
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą Telematica Pegaso
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Questo studio nasce proprio dalla volontà di approfondire una tematica, attuale e dibattuta, anche alla luce delle più recenti modifiche legislative e delle questioni di legittimità costituzionale sollevate in merito.
L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare in profondità l’istituto della messa alla prova, la sua evoluzione storica e normativa, nonché i suoi effetti sulla recidiva e sulla funzione rieducativa della pena.
Ma, soprattutto, ho voluto evidenziare le criticità legate alla recente esclusione dei reati di cui all’articolo 73, comma 5 del D.P.R. 309/1990, lo spaccio di lieve entità, dalla possibilità di accedere a tale beneficio, discutendo le possibili implicazioni future e prospettive di riforma.
Il reato di lieve entità in materia di stupefacenti. Oltre allo studio dell’istituto della messa alla prova, il mio lavoro di analisi si è successivamente concentrato sull’esame dell’articolo 73 del D.P.R. 309/1990, che disciplina i reati connessi alla produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti.
Nello specifico, al comma 5, viene introdotta una fattispecie autonoma per i cosiddetti fatti di "lieve entità", prevedendo una riduzione della pena quando la condotta illecita presenti una minore pericolosità sociale, tenendo conto di criteri quali la quantità e la qualità della sostanza, le modalità dell’azione e le circostanze specifiche del caso. Tale norma è stata oggetto di numerose modifiche e interpretazioni giurisprudenziali, evidenziando un costante tentativo del legislatore di bilanciare l’esigenza repressiva con quella rieducativa.
La Corte di Cassazione ha, infatti, più volte chiarito che per qualificare un reato come di lieve entità è necessario esaminare il contesto complessivo, evitando un’applicazione automatica e rigida della norma.
L’interazione tra la messa alla prova e il reato di lieve entità. Uno degli aspetti centrali dell'elaborato, alla luce degli elementi finora citati, riguarda l’ammissibilità della messa alla prova proprio per quei reati di lieve entità in materia di stupefacenti precedentemente descritti, e cioè per le condotte rubricabili all’art. 73, comma 5del D.P.R. 309/1990. Inizialmente, tale possibilità era pacificamente riconosciuta stante il rispetto del massimo di pena; tuttavia, il recente Decreto Legge n. 123 del 2023, noto come "Decreto Caivano", ha innalzato la pena massima per questa fattispecie portandola a cinque anni di reclusione ed escludendo, così, la fattispecie dello spaccio di lieve entità dall’ambito applicativo della messa alla prova, che rimane invece concessa solo per reati puniti con una pena detentiva massima di quattro anni.
Questa scelta normativa ha sollevato diverse criticità, sia sul piano costituzionale che su quello della politica criminale. In particolare, la preclusione della messa alla prova per i reati di lieve entità sembra contrastare con i principi di uguaglianza e proporzionalità sanciti dall’art. 3 della Costituzione, nonché con la finalità rieducativa della pena prevista dall’art. 27, comma 3.
La questione di legittimità costituzionale. Un punto di grande interesse riguarda l’ordinanza del Tribunale di Padova del 24 maggio 2024, con cui è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale sulla preclusione della messa alla prova per i reati di lieve entità in materia di stupefacenti. Il giudice remittente ha sottolineato come l’esclusione di tale beneficio - per questa specifica categoria di reati - possa risultare irragionevole e contraria ai principi di uguaglianza e individualizzazione della pena. Se la Corte Costituzionale dovesse accogliere la questione, ciò potrebbe aprire la strada a una riforma che ripristini l’accesso alla messa alla prova anche per questi reati, contribuendo a un sistema penale più equo e orientato alla riabilitazione.
È stato, inoltre, possibile verificare come, tramite le sentenze in materia, in precedenti situazioni l’istituto della messa alla prova sia stato previsto per i reati disciplinati dall’art. 73, comma 5 poiché la lievità del fatto - definita per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze - rendeva prioritario l’accesso ad un percorso di recupero e di reintegrazione, garantito dalla stessa messa alla prova, quale campo di verifica per il soggetto imputato che aveva modo di redimersi grazie ad un percorso personalizzato. Tale criterio, fondato sui principi costituzionali del nostro ordinamento, sembrerebbe però esser stato offuscato dalla recente riforma.
L’obiettivo della ricerca è stato quello di analizzare in profondità l’istituto della messa alla prova, la sua evoluzione storica e normativa, nonché i suoi effetti sulla recidiva e sulla funzione rieducativa della pena.
Ma, soprattutto, ho voluto evidenziare le criticità legate alla recente esclusione dei reati di cui all’articolo 73, comma 5 del D.P.R. 309/1990, lo spaccio di lieve entità, dalla possibilità di accedere a tale beneficio, discutendo le possibili implicazioni future e prospettive di riforma.
Il reato di lieve entità in materia di stupefacenti. Oltre allo studio dell’istituto della messa alla prova, il mio lavoro di analisi si è successivamente concentrato sull’esame dell’articolo 73 del D.P.R. 309/1990, che disciplina i reati connessi alla produzione, detenzione e traffico di sostanze stupefacenti.
Nello specifico, al comma 5, viene introdotta una fattispecie autonoma per i cosiddetti fatti di "lieve entità", prevedendo una riduzione della pena quando la condotta illecita presenti una minore pericolosità sociale, tenendo conto di criteri quali la quantità e la qualità della sostanza, le modalità dell’azione e le circostanze specifiche del caso. Tale norma è stata oggetto di numerose modifiche e interpretazioni giurisprudenziali, evidenziando un costante tentativo del legislatore di bilanciare l’esigenza repressiva con quella rieducativa.
La Corte di Cassazione ha, infatti, più volte chiarito che per qualificare un reato come di lieve entità è necessario esaminare il contesto complessivo, evitando un’applicazione automatica e rigida della norma.
L’interazione tra la messa alla prova e il reato di lieve entità. Uno degli aspetti centrali dell'elaborato, alla luce degli elementi finora citati, riguarda l’ammissibilità della messa alla prova proprio per quei reati di lieve entità in materia di stupefacenti precedentemente descritti, e cioè per le condotte rubricabili all’art. 73, comma 5del D.P.R. 309/1990. Inizialmente, tale possibilità era pacificamente riconosciuta stante il rispetto del massimo di pena; tuttavia, il recente Decreto Legge n. 123 del 2023, noto come "Decreto Caivano", ha innalzato la pena massima per questa fattispecie portandola a cinque anni di reclusione ed escludendo, così, la fattispecie dello spaccio di lieve entità dall’ambito applicativo della messa alla prova, che rimane invece concessa solo per reati puniti con una pena detentiva massima di quattro anni.
Questa scelta normativa ha sollevato diverse criticità, sia sul piano costituzionale che su quello della politica criminale. In particolare, la preclusione della messa alla prova per i reati di lieve entità sembra contrastare con i principi di uguaglianza e proporzionalità sanciti dall’art. 3 della Costituzione, nonché con la finalità rieducativa della pena prevista dall’art. 27, comma 3.
La questione di legittimità costituzionale. Un punto di grande interesse riguarda l’ordinanza del Tribunale di Padova del 24 maggio 2024, con cui è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale sulla preclusione della messa alla prova per i reati di lieve entità in materia di stupefacenti. Il giudice remittente ha sottolineato come l’esclusione di tale beneficio - per questa specifica categoria di reati - possa risultare irragionevole e contraria ai principi di uguaglianza e individualizzazione della pena. Se la Corte Costituzionale dovesse accogliere la questione, ciò potrebbe aprire la strada a una riforma che ripristini l’accesso alla messa alla prova anche per questi reati, contribuendo a un sistema penale più equo e orientato alla riabilitazione.
È stato, inoltre, possibile verificare come, tramite le sentenze in materia, in precedenti situazioni l’istituto della messa alla prova sia stato previsto per i reati disciplinati dall’art. 73, comma 5 poiché la lievità del fatto - definita per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze - rendeva prioritario l’accesso ad un percorso di recupero e di reintegrazione, garantito dalla stessa messa alla prova, quale campo di verifica per il soggetto imputato che aveva modo di redimersi grazie ad un percorso personalizzato. Tale criterio, fondato sui principi costituzionali del nostro ordinamento, sembrerebbe però esser stato offuscato dalla recente riforma.