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Articolo 10 Statuto dei lavoratori

(L. 20 maggio 1970, n. 300)

[Aggiornato al 26/05/2022]

Lavoratori studenti

Dispositivo dell'art. 10 Statuto dei lavoratori

I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.

I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.

Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all'esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.

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Consulenze legali
relative all'articolo 10 Statuto dei lavoratori

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. R. chiede
martedì 06/09/2022 - Sicilia
“Sono un dipendente pubblico di ruolo e a tempo indeterminato di un piccolo ente regionale (Ente Parco), sono stato ammesso ad un dottorato di ricerca in una università straniera e ho fatto istanza al mio ente di aspettativa retribuita (il dottorato è senza assegni). Il mio ente mi nega l'aspettativa con la motivazione della carenza del personale (nell'area tecnica del mio ente ci sono solo due dipendenti). Il quesito è questo: ci potrebbero essere soluzioni alternative del tipo aspettativa parziale, cioè consentire l'aspettativa per lo studio del dottorato a condizione che si svolga almeno 12 ore settimanali di lavoro presso l'ente e a fronte dell'intera retribuzione percepita? una tale soluzione, ammesso che possa essere accettata dall'Università, si può considerare in linea con la norma o presenterebbe aspetti di illegalità che potrebbero nuocere al dipendente oppure all'ente?”
Consulenza legale i 14/09/2022

L’istituto del congedo straordinario per dottorato di ricerca per i dipendenti pubblici è disciplinato dall’art. 2 della Legge n. 476 del 13.8.1984 recante “Norme in materia di borse di studio e dottorato di ricerca nelle Università”, così come modificato ed integrato dall’art. 52, comma 57, della Legge n. 488 del 28.12.2001, dall’art. 19, comma 3, della Legge n. 240 del 30.12.2010 e dall’art. 5, comma 1, lett. b), del D.Lgs. n. 119 del 18.7.2011. Il citato art. 2 stabilisce che: “il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato, a domanda, compatibilmente con le esigenze di servizio dell’Amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio, senza assegni, per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio o di rinuncia a questa, l’interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell’amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro”.

Il congedo straordinario è concesso per la durata del corso di studi ed è comunque subordinato alla compatibilità con le esigenze dell’Amministrazione: il dipendente è titolare non di un diritto alla concessione dello stesso, ma solo di “una posizione giuridica soggettiva condizionata, la cui realizzazione è subordinata alle esigenze di buon andamento” (cfr. Circolare Dipartimento della Funzione Pubblica n. 12/2011).

La legge non prevede il caso di congedo straordinario parziale che permetta da una parte di frequentare il dottorato part-time e dall’altra di prestare servizio presso l’Ente senza perdere la retribuzione.

Non sembra, peraltro, che in tal caso si possa parlare di congedo, in quanto quest’ultimo presuppone la conservazione del posto di lavoro a fronte dell’assenza della prestazione lavorativa.

Il dipendente pubblico ammesso ai corsi di dottorato di ricerca, in alternativa al congedo straordinario, può chiedere la fruizione dei permessi per il diritto allo studio, di cui all’art. 46 del CCNL Funzioni Centrali, anch'essi retribuiti.
Il limite per i permessi è di 150 ore annue.
Anche la fruizione dei permessi, tuttavia, trova un limite nelle esigenze organizzative dell'ente.

P. L. P. chiede
giovedì 26/05/2022 - Lombardia
“Buongiorno, scrivo per sottoporvi un quesito nell'ambito del diritto del lavoro.
Sono uno studente universitario ed un lavoratore, avvicinandosi la sessione estiva degli esami volevo usufruire dei permessi studio (150 ore) di cui alcuni lavoratori possono usufruire per potermi assentare da lavoro e poter preparare e sostenere gli esami.
inizio col dire che il mio inquadramento contrattuale fa parte del CCNL commercio, e sono un lavoratore a tempo determinato part-time in somministrazione assunto da un'agenzia interinale, ho già fatto richiesta per poter usufruire di questi permessi e mi è stata accordata, dicendomi che avevo diritto a 150 ore l'anno di cui potevo beneficiare.
la seconda volta in cui ho presentato richiesta mi è stata negata con la motivazione che la lunghezza del permesso, che comunque rientrava nelle 150 ore, era elevata (andava dal 6 giugno al 14 luglio) e che per una questione di copertura turni e carico di lavoro non poteva essere accordata. Oltre a questo mi è stato detto che i dipendenti a tempo determinato non hanno diritto a questi permessi.
Il mio dubbio è se, con il mio contratto e nella mia situazione, posso o meno usufruire di questi permessi, in che ammontare all'anno e soprattuto se la motivazione addotta dal mio datore di lavoro circa il diniego del permesso sia legittima oppure no.
oltre a questo vorrei anche sapere esplicitamente quali sono i casi in cui il permesso può essere negato, così da saperlo anche per il futuro.
Vi ringrazio anticipatamente e vi auguro una buona giornata.”
Consulenza legale i 05/06/2022
I permessi studio possono essere utilizzati esclusivamente per la frequenza dei corsi e per sostenere gli esami; ciò comporta che le ore di permesso retribuite previste dai contratti collettivi potranno essere fruite solo per la frequenza di quei corsi di studio che abbiano orari coincidenti con quelli di lavoro e non per le necessità connesse alla preparazione degli esami o per altre attività complementari.

Il datore di lavoro può richiedere le certificazioni comprovanti l’effettiva frequenza dei corsi.

Inoltre, il diritto allo studio deve confrontarsi e contemperarsi con l’interesse del datore di lavoro sia pubblico che privato. L’iniziativa economica privata, così come il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione e degli enti pubblici, gode di tutele altrettanto solide nel nostro ordinamento.

Ogni contratto collettivo prevede, infatti, un numero massimo di lavoratori che può assentarsi per motivi di studio.

Inoltre, si deve considerare che solitamente i permessi studio non spettano ai lavoratori a tempo determinato. Infatti, i lavoratori a tempo determinato godono di parità di trattamento rispetto a quelli a tempo indeterminato, ma “sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine” (art. 6, D. Lgs. 368/2001), che è quella di sopperire ad esigenze temporanee ed oggettive dell'azienda. Un'assenza prolungata di tale lavoratore sarebbe incompatibile con tali esigenze.

Pertanto, la motivazione addotta dal datore di lavoro, riguardante il carico di lavoro e la copertura di turni, ben potrebbe essere considerata legittima.

Allo stesso modo, il diniego sarebbe legittimo nel caso in cui il permesso sia stato chiesto per la preparazione dell’esame. Si ribadisce che il permesso può essere accordato solo per la frequenza di corsi e per il giorno dell’esame.

Dario M. chiede
venerdì 04/11/2016 - Sicilia
“Buongiorno Vorrei sapere con documentazione (sentenze, ed altro) se si può prendere il permesso relativo alle 150 ore per il diritto allo studio per coloro che frequentano uno studio legale per praticantato per avvocato o esistono altri tipi di permessi per coloro che sono lavoratori dipendenti. Grazie”
Consulenza legale i 08/11/2016
Il c.d. permesso per diritto allo studio viene previsto dall’art. 10 dello Statuto dei Lavoratori, il quale afferma testualmente: «I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.
I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.
Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all'esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma».
Oltre al dato legislativo, il permesso in questione viene ribadito da quasi tutti i CCNL di settore, tanto nell’ambito del lavoro pubblico quanto nell’ambito del lavoro subordinato privato.

Il fatto stesso che tale permesso sia previsto dallo Statuto dei Lavoratori e dai un CCNL fa propendere per una risposta negativa al Suo quesito: il praticante presso uno studio legale, infatti, non intrattiene alcun tipo di rapporto di lavoro subordinato, essendo il tirocinio un’attività (anche) formativa che consente di accedere all’esame di abilitazione. In altre parole, non si instaura alcun tipo di rapporto di lavoro subordinato tra il praticante e il dominus, ciò che è altresì contrario alle norme della deontologia forense laddove si prescrive l’incompatibilità tra l’attività di avvocato e di praticante e qualsivoglia attività lavorativa subordinata (art. 18 L.P.F. – 31/12/2012 n. 247).

Inoltre, le Sezioni Unite (in un caso diverso, riguardante un dipendente pubblico) hanno statuito che non spettano detti permessi retribuiti, qualora lo studente lavoratore non abbia l’obbligo di frequenza per il superamento del corso universitario a cui è iscritto (C. Cass., SS. UU., 10/7/2013 n. 17128).
Infine, si ribadisce come il tetto massimo di 150 ore sia riconoscibile solo per quei lavoratori che frequentano un corso, al termine del quale viene rilasciato un attestato avente valore legale: cosa che di fatto non accade per l’espletamento della pratica forense.