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Articolo 216 Decreto "Rilancio"

(D.L. 19 maggio 2020, n. 34)

[Aggiornato al 29/02/2024]

Disposizioni in tema di impianti sportivi

Dispositivo dell'art. 216 Decreto "Rilancio"

1. All'articolo 95, comma 1, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. a) al comma 1, le parole "al 31 maggio 2020" sono sostituite dalle seguenti: "al 30 settembre 2020";
  2. b) al comma 2, le parole "entro il 30 giugno o mediante rateizzazione fino ad un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di giugno 2020" sono sostituite dalle seguenti: "entro il 30 settembre o mediante rateizzazione fino a un massimo di 3 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di settembre 2020".

2. In ragione della sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, e del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35, e del regime di ripresa graduale delle attività medesime disposta con i successivi decreti attuativi nazionali e regionali, le parti dei rapporti di concessione, comunque denominati, di impianti sportivi pubblici possono concordare tra loro, ove il concessionario ne faccia richiesta, la revisione dei rapporti in essere alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio economico-finanziario originariamente pattuite, anche attraverso la proroga della durata del rapporto, comunque non superiore a ulteriori tre anni, in modo da favorire il graduale recupero dei proventi non incassati e l'ammortamento degli investimenti effettuati o programmati. La revisione del rapporto concessorio può essere concordata anche in ragione della necessità di fare fronte ai sopravvenuti maggiori costi per la predisposizione delle misure organizzative idonee a garantire condizioni di sicurezza tra gli utenti e ai minori ricavi dovuti alla riduzione del numero delle presenze all'interno degli impianti sportivi. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all'operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto di concessione. In caso di mancato accordo, le parti possono recedere dal contratto. In tale caso, il concessionario ha diritto al rimborso del valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero, nel caso in cui l'opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, dei costi effettivamente sostenuti, nonche' delle penali e degli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza dello scioglimento del contratto.

3. La sospensione delle attività sportive, disposta con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei citati decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, è sempre valutata, ai sensi degli articoli 1256, 1464, 1467 e 1468 del Codice Civile, a decorrere dalla data di entrata in vigore degli stessi decreti attuativi, quale fattore di sopravvenuto squilibrio dell'assetto di interessi pattuito con il contratto di locazione di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati. In ragione di tale squilibrio il conduttore ha diritto, limitatamente alle cinque mensilità da marzo 2020 a luglio 2020, ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito.

4. La sospensione delle attività sportive determinata dalle disposizioni emergenziali connesse all'epidemia di COVID-19 si qualifica come sopravvenuta impossibilità della prestazione in relazione ai contratti di abbonamento per l'accesso ai servizi offerti da palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 1463 del codice civile. I soggetti che offrono servizi sportivi possono riconoscere agli acquirenti dei servizi sportivi stessi, alternativamente al rimborso o allo svolgimento delle attività con modalità a distanza quando realizzabili, un voucher di valore pari al credito vantato utilizzabile entro sei mesi dalla fine dello stato di emergenza nazionale.

[[Relazione illustrativa e tecnica. A) Comma 1 La norma intende agevolare le associazioni e società sportive, professionistiche e dilettantistiche, che operano sull’intero territorio nazionale, consentendo loro di non procedere, fino al 30 giugno 2020, al versamento dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali, che nel periodo in considerazione sono rimasti inutilizzati per factum principis. I versamenti sospesi sono effettuati in unica soluzione entro il 31 luglio o mediante rateizzazione fino ad un massimo di 4 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di luglio 2020. Secondo le rilevazioni del CONI e dell’ICS il numero totale degli impianti pubblici censiti ammonta a circa 76.000 unità. Non è definibile un rapporto attendibile tra infrastrutture sportive pubbliche (che dai dati in nostro possesso sono in prevalenza) e private, ma se dovessimo indicare una proporzione ci orienteremmo su 2/3 pubblici e 1/3 privati (una ricerca CNEL 2003 indicava 77,8% pubblici / enti territoriali e altri enti pubblici / e 22,2% privati). La stragrande maggioranza di questi impianti è di proprietà di enti territoriali (di pertinenza statale risultano soltanto lo Stadio Olimpico ed il Foro Italico: il primo di proprietà della struttura operativa Sport e Salute s.p.a.; il secondo dato in usufrutto a Sport e Salute s.p.a.). Peraltro, non tutti gli impianti in esame sono dati in concessione onerosa: molti di essi sono infatti affidati (in diritto di superficie, ad esempio) senza alcuna controprestazione, esclusi ovviamente gli oneri di manutenzione. Veniamo ora alla stima prudenziale dei canoni di utilizzazione. Considerando una sommaria classificazione prodotta da Fitness Network Italia, della quale però è stato possibile verificare la metodologia di raccolta ed elaborazione dei dati, dividendo per cluster di impianti grandi e piccoli-medi, pubblici e privati, si potrebbe stimare un impatto mensile non superiore a 200 milioni di euro per canoni di concessione e affitto Questo dato può essere ora scomposto in termini dimensionali. Il costo medio di concessione di un impianto di media grandezza è di circa € 4.000,00 mensili (è utile sul punto segnalare che la città di Roma, con il più grande numero di impianti sportivi in funzione, percepisce circa 100,000 euro di canone) Per l’impiantistica sportiva di maggiore dimensione, relativa ovviamente alle attività sportive professionistiche di calcio e basket, il quadro di sintesi è il seguente: CALCIO Stadi Serie A: - Atalanta e Sassuolo (a Reggio Emilia) di proprietà - Juventus, Udinese e Frosinone diritto di superficie (canone pagato alla soc di scopo) - Roma e Lazio (Olimpico, proprietà Sport e Salute) - tutti gli altri di proprietà comunale Stima canone concessione/affitto medio circa 100.000€ mese per ognuno dei club Stadi Serie B: - tutti di proprietà comunale Stima canone concessione/affitto medio circa 20.000€ mese per ognuno dei 20 club Stadi Serie C/Lega Pro: - tutti di proprietà comunale Stima canone concessione/affitto medio circa 5.000€ mese per ognuno dei 60 club BASKET Palazzetti Serie A e Serie A2: - tutti di proprietà comunale Stima canone concessione/affitto medio 15.000€ mese per ognuno dei 17 club A Stima canone concessione/affitto medio 5.000€ mese per ognuno dei 28 club A2 Su queste basi, tenuto conto che il differimento dei versamenti è comunque previsto nello stesso anno di bilancio, non risultano nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica B) Comma 2 Con la norma in commento, i soggetti concessionari possono sottoporre all’ente concedente una domanda di revisione del rapporto concessorio in essere da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio originariamente pattuite, anche attraverso l’allungamento del termine di durata del rapporto, in modo da consentire il graduale recupero dei proventi non incassati per effetto della applicazione delle misure di sospensione delle attività sportive disposte in forza dei provvedimenti statali e regionali, e l’ammortamento degli investimenti effettuati. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto. La proposta normativa, peraltro caldeggiata da diversi enti territoriali, si giustifica in quanto, dal giorno della chiusura degli impianti sportivi, la maggior parte degli introiti derivanti dall’attività sportiva a favore di terzi è venuta meno, mentre i gestori dovranno comunque fronteggiare rilevanti spese fisse quali utenze, canoni di concessione, tasse e, in alcuni casi, anche compensi per i vari collaboratori sportivi. Considerato che la stagione sportiva 2019/2020 deve considerarsi oramai compromessa, per i gestori si pone la necessità di rimodulare la programmazione per la nuova stagione sportiva. Peraltro, gli operatori dei centri sportivi dovranno presumibilmente anche affrontare maggiori spese di riqualificazione degli impianti sportivi per garantire le condizioni minime di sicurezza tra gli utenti, ivi inclusa una possibile riduzione del numero delle presenze all’interno degli impianti sportivi. Costituisce dunque interesse economico generale quello di agevolare il riequilibrio economico-finanziario dei bilanci dei soggetti concessionari le cui convenzioni scadranno entro il 31 luglio 2023 (entro cioè tre anni dalla data di cessazione dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020): per i rapporti concessori più lunghi può infatti ragionevolmente presumersi che le diseconomie determinate dalla emergenza COVID-19 potranno essere nel tempo “assorbite” attraverso piani di recupero e di efficientamento adottati dal gestore, senza necessità di un intervento eteronomo sul rapporto. C) Comma 3 Le misure di contenimento, come è noto, hanno inciso sui rapporti giuridici che sono stati costituiti ai fini dell’esercizio delle attività commerciali. Il contratto di locazione, nel periodo in cui al conduttore è inibito per un factum principis l’utilizzabilità dell’immobile locato secondo l’uso pattuito, non realizza lo scopo oggettivo per il quale fu stipulato. Si verifica quindi un’alterazione in concreto del sinallagma che, in un contratto commutativo, non può che determinare un intervento di riequilibrio da parte dell’ordinamento. Il problema citato - in questa sede affrontato sotto lo specifico aspetto della locazione di impianti sportivi - non è risolto dall’art. 65, comma 1, del decreto-legge n. 18 del 2020, in quanto tale disposizione: da un lato, ha previsto, per il 2020, un credito d’imposta (nella misura del sessanta per cento del canone relativo al mese di marzo 2020) a favore soltanto del conduttore di locali commerciali rientranti nella categoria catastale C/1, tra cui non rientrano gli impianti sportivi; inoltre, la norma lascia impregiudicata la questione se la legge civile attribuisca al conduttore il diritto ad una riduzione del canone (ed eventualmente ad un esonero dal relativo pagamento) relativamente al periodo di tempo in cui egli sia stato costretto, per factum principis, a tenere chiusa la sua attività commerciale. Neppure soccorre il comma 6-bis dell’art. 3 del d.l. n. 6 del 2020, convertito in l. n. 13 del 2020, introdotto dall’art. 91 del d.l. n. 18 del 2020: tale norma, al più, potrebbe essere interpretata nel senso di facoltizzare il conduttore a non pagare i canoni per il periodo della chiusura coatta, senza incorrere in decadenze o penali, salvo poi regolarizzare ad emergenza finita. È noto che, per quanto attiene al profilo delle tecniche di rilevanza delle sopravvenienze, l’ordinamento, in caso di variazioni qualitative, costantemente accoppia il rimedio della revisione a quello dello scioglimento del contratto (riguardano l’inattuabilità sopravvenuta del programma negoziale gli artt. 963, 1464, 1584, 1622, 1623, 1660, 1896, 1897, 1926 c.c.; riguardano l’inattuabilità originaria gli artt. 1484 e 1492), mentre per le variazioni quantitative il rimedio della revisione non è mai concesso ad un contraente al quale di già spetti il diritto di chiedere la risoluzione (cfr. gli artt. 1467 e 1468 c.c.). Nella disciplina contrattuale di parte speciale, l’art. 1664, comma 1, prevede invece che, qualora si siano verificati, per effetto di circostanze imprevedibili, aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o, rispettivamente, il committente hanno diritto ad una revisione del prezzo medesimo per la differenza che eccede il decimo. In dottrina si è fatta strada, da diversi anni, sull’esempio dell’esperienza angloamericana degli relational contracts, l’idea secondo la quale, all'insorgere di sopravvenienze perturbative di un contratto, la parte esonerata dal rischio della sopravvenienza avrebbe il diritto di chiedere, anziché la risoluzione, la rinegoziazione dell’accordo anche in casi in cui l'esperibilità di tali rimedi non sia prevista espressamente né dalla legge né dal contratto. In particolare: 1) secondo alcuni, si tratterebbe di coniugare la normativa specifica dell’art. 1467 con la disposizione generale dell'art. 1175 al fine di accertare se il rifiuto del creditore di ricondurre il contratto ad equità, autorizzato in via di principio dall’art. 1467, risulti in concreto scorretto ex art. 1175 e possa, perciò, dirsi precluso; 2) secondo altri, sarebbero enucleabili classi di fattispecie rispetto alle quali, risultando insoddisfacente la previsione dell’art. 1467, andrebbe estesa la potenzialità normativa dell'art. 1664, comma 1, anche a contratti che, non riducibili puntualmente al tipo legale, sollevino esigenze simili a quelle previste per l’appaltatore. Nell’ipotesi in esame della locazione di impianti sportivi, resi inutilizzabili per factum principis, l’assegnazione di un rimedio conservativo, in luogo di quello risolutivo, appare giustificato alla luce delle seguenti considerazioni: a) il conduttore ha un forte interesse a mantenere in vita il contratto in ragione della «specificità ubicativa» dell’impianto sportivo e del rischio di non ricollocabilità altrove della sua attività; b) il locatore non ha alcun apprezzabile interesse a rifiutare la revisione, poiché da tale rimedio non subisce un pregiudizio che, in questa fase, potrebbe scongiurare ricorrendo al mercato. Alla luce della predetta dialettica degli interessi in gioco, la norma in commento introduce un rimedio azionabile dal locatore per ricondurre il rapporto all’equilibrio originariamente pattuito, consistente del diritto alla riduzione del canone locatizio mensile per tutto il periodo in cui, per il rispetto delle misure di contenimento, sono stati di fatto privati del godimento degli immobili locati. Per evitare comportamenti opportunistici a danno della parte più debole, oltre che per arginare un numero elevatissimo di contenziosi che potrebbero riversarsi sui tribunali, la disposizione determina, in via presuntiva, la percentuale di riduzione del canone in misura non inferiore al cinquanta per cento dell’importo pattuito, per tutto il periodo di efficacia delle suddette misure, salvo che il locatore fornisca una prova di pronta soluzione di un minore squilibrio tra le prestazioni. In base all’art. 1256, comma 2 c.c., se l’impossibilità di godimento dell’immobile locato è solo temporanea, come nel caso dell’inutilizzabilità dei locali in rispetto dell’obbligo di chiusura, il rapporto riprenderà nella sua fisiologica conformazione contrattuale non appena saranno rimosse le misure statali di contenimento e restrizione. Resta fermo, inoltre, che le parti, nell’esercizio della loro autonomia, ben possano rifiutare la selezione di interessi effettuata dal legislatore in via tipica. La norma si applica a decorrere dai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri attuativi dei decreti legge 23 febbraio 2020, n. 6, e 25 marzo 2020, n. 19, e dunque disciplina effetti di fatti verificatisi (anche) nel passato. La limitata retroattività della disposizione (da marzo 2020 a luglio 2020, data in cui ha termine lo stato di emergenza dichiarato con la delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020) appare rispondere ai parametri di riferimento dello scrutinio di non arbitrarietà e ragionevolezza elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, e segnatamente: i) l’esistenza di una inderogabile esigenza normativa; ii) la proporzionalità tra il peso imposto ai destinatari della norma e il fine perseguito dal legislatore (sentenza n. 203 del 2016). D) Comma 4 Il comma 4 estende le disposizioni già previste dall’art. 88 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18, in relazione ai contratti di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, anche ai contratti di abbonamento per l’accesso a palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo, per i quali si sia verificata l’impossibilità sopravvenuta della prestazione a seguito delle misure di restrizione e contenimento adottate dallo Stato e dalle Regioni per fronteggiare l’emergenza sanitaria dichiarata con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020.]]

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Serena P. chiede
giovedģ 18/02/2021 - Lombardia
“Buongiorno sono titolare di una palestra snc.
Come devo comportarmi con gli abbonamenti sospesi causa restrizioni governative Covid 19?
Per il momento abbiamo congelato gli abbonamenti attivi. I clienti possono chiedere il rimborso in denaro delle quote versate e non usufruite causa chiusura disposta dal Governo oppure si rimanda alla causa di forza maggiore per cui la palestra al momento non può lavorare ed erogare i servizi causa decisioni non dipendenti dalla propria volontà ?
Vorrei capire anche come comportarmi alla ripresa dell'attività: devo far recuperare i giorni...devo emettere dei voucher... non devo ridare nulla perché la sospensione non dipende da mia negligenza o volontà?
Grazie
Saluti”
Consulenza legale i 19/02/2021
L’art. 216 del cd. Decreto rilancio (DL 34/2020)aveva previsto al comma 4 che il titolare della palestra dovesse, a sua scelta, rimborsare il corrispettivo già versato per i periodi di sospensione oppure rilasciare al cliente un voucher di pari importo utilizzabile entro un anno.
Riteniamo che in mancanza di diverse ed ulteriori disposizioni, si possa ancora far riferimento al testè citato articolo.
In ogni caso, anche facendo riferimento alla normativa generale del codice civile, occorre tenere presente che si tratta di contratti con prestazioni corrispettive (art. 1467 c.c.) e quindi può ritenersi ritenersi applicabile quanto previsto dall’art. 1463 del codice civile relativo alla impossibilità sopravvenuta della prestazione secondo cui: “la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito”.

Ciò significa che a fronte della legittima chiusura temporanea della palestra dettata, appunto, da una causa di forza maggiore, può corrispondere l’altrettanto legittima sospensione del pagamento dell’abbonamento relativamente al periodo di chiusura, oltre al rimborso di quanto sia stato già eventualmente corrisposto per servizi di cui non si è usufruito.

In risposta quindi alle domande contenute nel quesito possiamo affermare quanto segue.

Con riguardo il periodo di inattività può proporre ai clienti un rimborso o un voucher da utilizzare successivamente.
La causa di forza maggiore esclude che possano essere chiesti dei danni ma al contempo legittima la parte contrattuale che non può usufruire della prestazione a non versare il corrispettivo per il periodo che non usufruisce del servizio.
Il non rimborsare o non corrispondere un vocuher esporrebbe la palestra ad un eventuale contenzioso in cui sarebbe molto probabilmente il cliente ad avere la meglio.