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Articolo 622 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Rivelazione di segreto professionale

Dispositivo dell'art. 622 Codice Penale

Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto(1), lo rivela, senza giusta causa(2), ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto(3), è punito, se dal fatto può derivare nocumento(4), con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516.

La pena è aggravata se il fatto è commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari(5), sindaci o liquidatori o se è commesso da chi svolge la revisione contabile della società.

Il delitto è punibile a querela della persona offesa.

Note

(1) Oggetto della condotta è il segreto professionale, all'interno del quale secondo alcuni dovrebbero rientravi anche il segreto bancario e quello giornalistico. Quanto al primo, la ragione si coglie nella professionalità che caratterizza l'impresa bancaria complessivamente considerata.
(2) La disposizione in esame non chiarisce la nozione di giusta causa, che di conseguenza è rimandata al generico concetto di giustizia, quindi si tratta di un richiamo all'analisi che il giudice deve condurre con riguardo alla liceità sia sotto il profilo etico sia sotto quello sociale dei motivi che hanno condotto il soggetto ad compiere l'atto.
(3) Il profitto non ha rilevanza solo economica o patrimoniale, ma può quindi trattarsi di un diverso vantaggio, il quale non deve necessariamente essere conseguito.
(4) Il nocumento viene considerato dalla dottrina quale elemento costitutivo del reato, mentre la giurisprudenza opta per ritenerlo una condizione obiettiva di punibilità.
(5) Il riferimento ai dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari è stato inserito dall’art. 15, comma 3, lett. c) della l. 28 dicembre 2005, n. 262.

Ratio Legis

Viene qui tutelata la libertà e segretezza dei rapporti professionali, nonché l'interesse alla loro conservazione, che riguardano determinate categorie di professionisti.

Spiegazione dell'art. 622 Codice Penale

La norma è posta a tutela dell'interesse individuale alla salvaguardia dei rapporti intimi professionali e dell'interesse pubblico a che il professionista tuteli la segretezza sui fatti di cui viene a conoscenza in ragione della propria attività professionale.

L'articolo non descrive compiutamente i soggetti attivi del reato, ma rimanda a criteri generali relativi allo stato, alla professione, all'ufficio o all'arte.

Viene presupposto lo svolgimento continuato dell'attività, non risultando per contro necessario che l'attività sia svolta a fini lucrativi.

Si richiede altresì un nesso di causalità tra l'esercizio della professione ed il venire a conoscenza dei fatti coperti dal segreto professionale.

La punibilità è legata alla possibilità del verificarsi di un nocumento, anche se non è necessario un suo effettivo verificarsi.

La giusta causa può consistere nel consenso o nella ratifica da parte del titolare del diritto al segreto.

Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica il pericolo di nocumento e richiede il dolo generico, ovvero la volontà di rivelare o utilizzare il segreto per un proprio od altrui profitto, unitamente alla coscienza del fatto che si agisce in assenza di una giusta causa di rivelazione.

///SPIEGAZIONE ESTESA

La norma in esame punisce chi, essendo venuto a conoscenza, in ragione del proprio stato, ufficio, professione o arte, di un segreto, e sapendo di agire illegittimamente, lo riveli ad altri, oppure lo impieghi a proprio o ad altrui profitto, con il pericolo che da ciò possa derivare un danno.

È un reato proprio, per cui soggetto attivo può essere soltanto chi è titolare di un obbligo di fede, il quale può derivare: dal suo stato, ossia dalla propria situazione personale derivante dall’esercizio permanente di una certa attività, quale, ad esempio, lo stato sacerdotale; dal suo ufficio, da intendersi come esercizio di determinate funzioni di natura sociale, come nel caso del tutore; o, infine, dalla sua professione o arte, cioè dalla sua attività continuativa, volta ad offrire servizi personali o prestazioni reali svolte con un fine di guadagno, come nel caso degli avvocati o dei medici. Si tratta, in tutti i casi, di situazioni in cui un soggetto, in ragione della propria professione, del proprio stato o del proprio ufficio, riceve le confidenze altrui e conosce gli altrui segreti, essendo, quindi, gravato da un obbligo di fede che il giudice dovrà accertare di volta in volta.

La condotta tipica può consistere, alternativamente, nel comunicare ad altri, senza giusta causa, una notizia non rivelabile, oppure nel tollerare, attraverso un comportamento omissivo, che un’altra persona ne prenda cognizione, o ancora, nell’impiegare il segreto a proprio o ad altrui profitto. Con l’espressione “senza giusta causa” il legislatore ha inteso far riferimento al fatto che la rivelazione, per integrare il delitto in esame, non deve essere giustificata da una norma di legge, come può venire, ad esempio, nel caso in cui sussista il consenso dell’avente diritto, la cui previsione ex lege permette al depositario del segreto di renderlo noto.

Ai fini dell’integrazione del reato ex art. 622 del c.p., è, poi, necessario che la notizia non rivelabile riguardi la sfera personale di un soggetto, sotto l’aspetto fisico o morale, oppure la sfera all’interno della quale esso estrinsechi immediatamente la sua attività, dovendo, altresì, essere oggetto di un suo interesse giuridicamente rilevante, in modo tale da legittimare la conservazione del segreto. Occorre, inoltre, che la notizia sia espressa dall’agente in ragione del proprio stato, ufficio, professione o arte, nonché che la stessa non abbia già avuto, di per sé, diffusione.

L’evento tipico può consistere, alternativamente, nella rivelazione della notizia segreta o nella manifestazione esteriore del suo impiego al fine di trarne profitto, ma, in ogni caso, deve sussistere il pericolo che dalla rivelazione o dall’impiego del segreto possa derivare un danno. Il reato si considera, perciò, consumato soltanto nel momento in cui si verifica detta situazione di pericolo.

Il tentativo non è ammissibile, in quanto, qualora si verifichi il pericolo di danno, il reato è già consumato e, nel caso in cui, invece, esso non si verifichi, il fatto non è punibile.

Qualora il segreto, oltre che ad essere rivelato, venga anche utilizzato, il reato si considera comunque unico se c’è contesto di azione.

Ai fini dell’integrazione del delitto in esame, è sufficiente che sussista, in capo all'agente, il dolo generico, quale coscienza e volontà di rivelare, senza giusta causa, un altrui segreto, oppure di impiegarlo a proprio o ad altrui profitto.

Ai sensi del secondo comma, il delitto ex art. 622 del c.p. risulta aggravato qualora sia commesso da amministratori, direttori generali, dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili di società, sindaci o liquidatori, oppure nel caso in cui sia commesso da una persona che svolge la revisione contabile di una società.

///FINE SPIEGAZIONE ESTESA

Massime relative all'art. 622 Codice Penale

Cass. pen. n. 34913/2016

In tema di rivelazione di segreto professionale (art. 622 cod. pen.), il pericolo di nocumento, inteso come pregiudizio reale di qualunque natura, purché giuridicamente apprezzabile, costituisce condizione obiettiva di punibilità del reato che non può essere considerata presunta, ma deve essere individuata in sentenza con dati chiaramente significativi della sua esistenza.

Cass. pen. n. 29205/2016

In tema di rivelazione di segreti scientifici o industriali, l'unitaria acquisizione di una pluralità di informazioni con diverso contenuto - quali i processi industriali, le caratteristiche dei prodotti e le specifiche politiche commerciali - costituisce un atto meramente preparatorio rispetto al quale le successive condotte di rivelazione o di impiego di siffatte notizie rappresentano il momento consumativo di una pluralità di reati, eventualmente unificati dall'unitaria determinazione criminosa, ai sensi dell'art. 81 cod. pen.

Cass. pen. n. 8635/1996

Il reato di rivelazione di segreto professionale previsto dall'art. 622 c.p., nel caso in cui la rivelazione del segreto sia compiuta al fine di aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell'autorità a suo carico, coesiste con il reato di favoreggiamento personale di cui all'art. 378 c.p. - nella specie del concorso formale di reati - data la diversa oggettività dei due reati ed attesa la strumentalità della rivelazione del segreto rispetto al favoreggiamento.

L'elemento distintivo significante tra il reato previsto dall'art. 622 c.p., rivelazione di segreto professionale, ed il reato di rivelazione di segreti d'ufficio di cui all'art. 326 c.p. - la cui differenza pure è possibile cogliere in base alla diversità della ratio incriminatrice (tutela della libertà del singolo per l'art. 622 c.p. e tutela della pubblica amministrazione per l'art. 326 c.p.), della qualificazione giuridica (reato, rispettivamente, di danno ovvero di pericolo) e delle condizioni di perseguibilità (a querela ovvero d'ufficio) - è essenzialmente quello del tipo di segreto, di cui è interdetta la divulgazione: il quale, nella ipotesi dell'art. 326 c.p., deve riguardare notizie «di ufficio», quelle, cioè, concernenti un atto o un fatto della pubblica amministrazione in senso lato nei diversi aspetti delle funzioni legislativa, giudiziaria o amministrativa stricto iure; mentre, nella ipotesi dell'art. 622 c.p., deve essere riferito a notizie apprese «per ragioni di ufficio» e riflettenti situazioni soggettive di privati e delle quali colui, che di esse è depositario in virtù del suo status professionale in senso lato (ufficio, professione o arte), deve assicurare la riservatezza.

Cass. pen. n. 7861/1985

Commette il reato di cui all'art. 622 c.p., per il quale l'azione costitutiva consiste nel rivelare il segreto o nell'impiegarlo a proprio o altrui profitto, l'impiegato di una società, che trasmetta — nel caso di una gara di appalto — notizie segrete riguardanti la sua azienda a vantaggio della società poi rimasta aggiudicataria dei lavori, formulando o contribuendo a formulare per quest'ultima condizioni più vantaggiose di quelle offerte dalla ditta da cui dipende, agendo con la consapevolezza che la presentazione della nuova offerta, resa possibile dalla conoscenza di quanto offriva la società datrice di lavoro, poteva a quest'ultima recare un danno che effettivamente si realizzò.

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R. F. chiede
sabato 22/09/2018 - Campania
“Salve. Cercherò di essere il più sintetico e chiaro possibile. All'incirca un mese fa, faccio una confessione ad una mia conoscente, chiamiamola L, e cioè che soffro di depressione e che sono stato in terapia presso una psicologa ed uno psichiatra. Di rimando, lei (non me l'aspettavo) mi confida una notizia strettamente personale, e cioè che è affetta da sclerosi multipla. Non molto dopo, tramite una telefonata, rivelo la confidenza di L ad una terza persona, chiamiamola R. Premettendo che R è persona di assoluta discrezione e che, con tutta probabilità, L possa venire a sapere della cosa solo nel caso in cui gliela dicessi io, che sono in preda a pesanti sensi di colpa, le domande che Vi pongo sono:
- ho commesso un reato rivelando la confidenza di L ad R?
- L può denunciarmi nel caso in cui lo venisse a sapere, da me o da terzi? Se sì, cosa rischio? Quali sanzioni sono previste? È prevista la reclusione? Se sì, per un massimo di quanto tempo?

Grazie per il servizio offerto. Cordiali saluti.”
Consulenza legale i 25/09/2018
La condotta illustrata, sebbene possa essere ritenuta non del tutto corretta dal punto di vista “personale”, non ha alcun rilievo penale.

Nel diritto penale tutti i reati puniti per la “rivelazione di un segreto” sono sempre connessi allo specifico rilievo attribuito alla professione che si esercita e tramite la quale si viene a conoscenza del segreto.
Emblematico sul punto l’art. 622 del codice penale punisce proprio colui il quale “avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto” (ad esempio lo psicoterapeuta che rivela ad altri il contenuto di una seduta psicoterapeutica nei confronti di un paziente).
Allo stesso modo rileva ad esempio l’articolo [[n326cp] del codice penale che punisce la medesima condotta di cui sopra qualora però sia posta in essere dal pubblico ufficiale che viene a conoscenza di un determinato segreto nello svolgimento della sua professione (ad esempio il pubblico ufficiale che essendo a conoscenza del contenuto di un bando di gara pubblica ne riveli i dettagli e/o ne gestisca le offerte rivelando ad alcuni le offerte pervenute da altri) .

Non c’è davvero alcuna disposizione del codice penale e/o delle leggi complementari che punisca la rivelazione non autorizzata del segreto “amicale”.