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Articolo 407 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Violazione di sepolcro

Dispositivo dell'art. 407 Codice Penale

Chiunque viola una tomba, un sepolcro o un'urna è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

Ratio Legis

Tradizionalmente si rinviene in tale disposizione la ratio di voler tutelare il sentimento di pietà per i defunti, tuttavia la dottrina più recente ritiene inaccettabile che un sentimento possa essere oggetto di tutela penale, richiedendo quindi un intervento legislativo che ridefinisca la fattispecie in termini di tutela della sanità pubblica.

Spiegazione dell'art. 407 Codice Penale

Il bene giuridico tutelato è sia il sentimento di comune pietà per i defunti, sia la salute pubblica, dato che trattasi di sepolcri contenenti resti umani in decomposizione.

La condotta di violazione va intesa in senso ampio ovvero comprensiva del violare, cioè del compiere un qualsiasi comportamento che cagioni un'alterazione della tomba, del sepolcro o dell'urna, tra cui quindi rientrano il disseppellimento, scoperchiatura, rottura della lastra, etc. Deve poi questa avere come oggetto necessariamente tombe o sepolcri contenenti resti umani.

Di conseguenza la violazione dei cenotafi, cioè dei monumenti funebri simbolici, non integra la fattispecie in esame. Infine, la violazione deve essere illegittima, quindi non deve esservi un provvedimento autorizzativo all'esumazione.

Massime relative all'art. 407 Codice Penale

Cass. pen. n. 34145/2003

In tema di violazione di sepolcro, la sussistenza del reato non è esclusa dalla circostanza che il sepolcro, la tomba o l'urna oggetto della violazione non si trovino in un cimitero consacrato, posto che la fattispecie di cui all'art. 407 c.p. tutela il sentimento della pietà verso i defunti, il quale è suscettibile di offesa a prescindere dalla situazione in cui si trova il luogo violato.

Cass. pen. n. 690/1971

Il termine «violazione» usato dal legislatore, in relazione al sepolcro, esprime un concetto anche normativo e non soltanto materiale, sicché non ogni alterazione vale ad integrare l'elemento materiale del reato, ma solo quella che lede l'interesse giuridico tutelato dalla norma e cioè il sentimento di pietà verso i defunti. Perché possa parlarsi di violazione di sepolcro (o di tomba o di urna) è necessario che il fatto sia illegittimo e tale illegittimità non può essere considerata che in rapporto agli scopi specifici della tutela di cui all'art. 407 c.p. Ond'è che la mancanza del requisito della illiceità, pur potendo dar luogo alla materialità del fatto, non può concretarsi in una «violazione» in senso giuridico, penalmente sanzionabile. (Fattispecie relativa ad estumulazione, effettuata da custode - necroforo di cimitero, decorso il decennio d'inumazione, ai sensi del regolamento di polizia mortuaria).

Cass. pen. n. 1198/1969

Ai fini della tutela apprestata con le norme di cui agli artt. 407, 413 c.p., nel concetto di «cadavere» deve non soltanto comprendersi il corpo umano inanimato nel suo complesso e nelle singole parti, ma anche lo scheletro dopo che sia quindi avvenuta la completa dissoluzione degli elementi putrescibili.

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Consulenze legali
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A. M. C. chiede
venerdì 09/03/2018 - Lazio
“e' reato estumulare e far cremare il proprio marito a due anni dalla morte per far dispetto alla suocera pur sapendo che il defunto era contrario alla cremazione e aveva sempre espresso il desiderio di stare nella cappella di famiglia da cui e' stato tolto approfittando della dabbenaggine di un sindaco di un piccolo comune?”
Consulenza legale i 22/03/2018
Prima di rispondere al quesito, giova ricordare che il codice penale agli artt. 407-413 tutela il sentimento di pietà verso i defunti, il quale viene offeso da tutti quei comportamenti rivolti contro il cadavere del defunto o contro le sue ceneri. Il cadavere è infatti oggetto di conservazione attenta e rispettosa.

In particolare, le summenzionate norme incriminatrici non tutelano la salute pubblica, né proteggono i cadaveri e le ceneri in sé, quali soggetti di diritti, ma in quanto riflettono un settore della sfera sentimentale dei membri della comunità, indipendentemente dalla loro eventuale appartenenza ad una confessione religiosa. La tutela, infatti, si caratterizza per essere slegata da connotazioni di ordine religioso.

Pertanto, non si parla di culto della salma, che è solo uno strumento, non oggetto di tutela penale, bensì, più correttamente, di culto dei morti. Quest’ultimo si estrinseca in un sentimento di affetto, di pietà, di dolore, di venerazione e rispetto verso i defunti, i loro corpi, e i luoghi che li conservano.

Passando al merito del questione, al fine di meglio rispondere al quesito, sembra opportuno trattare separatamente le condotte di ‘estumulazione’ e di ‘cremazione’.

Relativamente all’estumulazioni, si osserva che esse generalmente si eseguono allo scadere del periodo della concessione e sono regolate dal sindaco. E invero, il sindaco può autorizzare, dopo qualsiasi periodo di tempo ed in qualunque mese dell'anno, l'estumulazione di feretri destinati ad essere trasportati in altra sede a condizione che, aperto il tumulo, il coordinatore sanitario constati la perfetta tenuta del feretro e dichiari che il suo trasferimento in altra sede può farsi senza alcun pregiudizio per la salute pubblica. Tuttavia, si tenga presente è sempre vietato eseguire sulle salme tumulate operazioni tendenti a ridurre il cadavere entro contenitori di misura inferiore a quello delle casse con le quali fu collocato nel loculo al momento della tumulazione.

Per concludere sul punto, si ritiene che, solamente avendo la parte ottenuto le autorizzazioni previste nel regolamento di polizia mortuaria, approvato con D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, l’estumulazione possa essere disposta. Tali norme, tra l’altro, prevedono che la relativa istanza debba essere effettuata al sindaco, per il tramite del direttore del cimitero, nonché alla AUSL competente, che sia stata rilasciata la autorizzazione del sindaco e che vi sia la presenza del coordinatore sanitario della AUSL e dell’incaricato del servizio di custodia (D.P.R. n. 285 del 1990, artt. 83, 86, 88, 89). In ogni caso si evidenzia che la violazione delle disposizioni del regolamento è soggetta a sanzione amministrativa pecuniaria, a norma degli articoli 338, 339, 340 e 358 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, come modificati per effetto dell'art. 3 della legge 12 luglio 1961, n. 603, e degli articoli 32 e 113 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Più complessa si rivela parte relativa alla cremazione del cadavere. Sul punto, giova innanzitutto premettere che per cremazione si intende l’eliminazione di un cadavere mediante il fuoco. In Italia la cremazione è disciplinata dal Regolamento di polizia mortuaria (D.P.R. n. 285/1990) e dalla Legge n. 130/2001.

Dal dato normativo emerge che la cremazione del cadavere deve essere autorizzata dal sindaco sulla base della volontà testamentaria espressa in tal senso dal defunto. In mancanza di disposizione testamentaria, la volontà deve essere manifestata dal coniuge e, in difetto, dal parente più prossimo individuato secondo gli articoli 74 e seguenti del codice civile e, nel caso di concorrenza di più parenti nello stesso grado, da tutti gli stessi.

Va inoltre segnalato che ai sensi dell’art. 79, D.P.R. n. 285/1990, la volontà del coniuge o dei parenti deve risultare da atto scritto con sottoscrizione autenticata da notaio o dai pubblici ufficiali abilitati ai sensi dell'art. 20 della legge 4 gennaio 1968, n. 15. Pertanto, in ragione di quanto sopra, si sostiene l'illegittimità del provvedimento di autorizzazione alla cremazione e conservazione in urna cineraria della salma avendo omesso di considerare la volontà espressa dal defunto nel corso dell'intera sua esistenza (andrebbe verificato, però, in che forma è stata espressa la volontà).

Anche in questo caso, salva l'applicazione delle sanzioni penali per i fatti costituenti reato, la violazione delle disposizioni del regolamento in esame è soggetta anche a sanzione amministrativa pecuniaria, a norma degli articoli 338, 339, 340 e 358 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, come modificati per effetto dell'art. 3 della legge 12 luglio 1961, n. 603, e degli articoli 32 e 113 della legge 24 novembre 1981, n. 689.