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Articolo 403 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 23/02/2024]

Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone

Dispositivo dell'art. 403 Codice Penale

(1)Chiunque pubblicamente [266 4] offende [la religione dello Stato] una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000(2).

Si applica la multa da euro 2.000 a euro 6.000 a chi offende [la religione dello Stato] una confessione religiosa, mediante vilipendio di un ministro del culto [406].

Note

(1) L'articolo è stato così sostituito dalla l. 24 febbraio 2006, n. 85 (art. 7), che ha provveduto ad unificare nella tutela apprestata da tale disposizione tutte le confessioni religiose, eliminando quindi la disparità di trattamento tra la religione cattolica e le altre, già sollevata dalla Corte Costituzionale con sen. 18 aprile 2005, n. 168.
(2) Data la natura di reato a condotta libera, la giurisprudenza ne ha dilatato più volte l'ambito di applicazione, suscitando così censure di incostituzionalità, in quanto sarebbe incompatibile con il principio di determinatezza della fattispecie penale, nonché con quello che garantisce la libera manifestazione del pensiero.

Ratio Legis

La dottrina maggioritaria propende per considerare oggetto di tutela la religione quale bene della collettività, mentre altri ritengono che ci si riferisca alla personalità del fedele e del ministro di culto.

Spiegazione dell'art. 403 Codice Penale

La norma punisce chi offenda qualsiasi confessione religiosa, mediante una condotta di vilipendio nei confronti di chi la professa.

Il vilipendere non si identifica con la mera critica, anche aspra, nei confronti della religione, ma solamente con la critica che ecceda i limiti di decoro e correttezza e del prestigio della stessa.

Secondo la comune interpretazione, il vilipendio consiste nel tenore a vile, nel ricusare qualsiasi valore etico, sociale o politico all'entità contro cui è diretta la manifestazione, così da negarle ogni prestigio, rispetto e fiducia, in modo da indurre i destinatari della manifestazione al disprezzo della religione stessa.

Non è per contro necessario che le espressioni offensive siano rivolte a destinatari determinati, essendo sufficiente la indistinta riferibilità alla generalità degli aderenti alla confessione religiosa.

Viene richiesto il dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di offendere gravemente una data religione, con la consapevolezza dell'accezione offensiva delle espressioni.

Al seconda comma la pena pecuniaria è aumentata qualora oggetto di scherno o vilipendio sia un ministro di culto.

Massime relative all'art. 403 Codice Penale

Cass. pen. n. 41044/2015

In materia religiosa, la critica è lecita quando - sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati - si traduca nella espressione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di metodo, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione, mentre trasmoda in vilipendio quando - attraverso un giudizio sommario e gratuito - manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione cattolica, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa riconosciute dalla comunità, e diventi una mera offesa fine a se stessa. (Nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito che aveva ravvisato il reato di cui all'art. 403 cod. pen. nella condotta di imputato il quale aveva realizzato ed esposto nel centro di Milano un trittico raffigurante il Papa ed il suo segretario personale accostati ad un pene con testicoli con la didascalia "Chi di voi non è culo scagli la prima pietra").

Cass. pen. n. 10535/2009

Ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 403 cod. pen. (offese ad una confessione religiosa dello Stato mediante vilipendio di persone) non occorre che le espressioni offensive siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa. (In motivazione la Corte, nell'enunciare il predetto principio, ha precisato che la norma protegge il sentimento religioso di per sè, sanzionando le pubbliche offese verso lo stesso, attuate mediante vilipendio dei fedeli di una confessione religiosa o dei suoi ministri).

Cass. pen. n. 12261/1987

Il reato di offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone, di cui all'art. 403 c.p., non può assolutamente dirsi abrogato dal nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede per il fatto che le altre parti abbiano concordemente ritenuto che la religione cattolica apostolica romana non è più la religione dello Stato, ma libera religione al pari degli altri culti ammessi nello Stato medesimo. Ciò perché, anche se tale reato risale ad un tempo in cui diverso era il contesto sociale e politico, non può affermarsi, solo per quanto sopra detto, che lo Stato non accordi più, alla religione della stragrande maggioranza degli italiani, quella protezione che, per effetto del successivo art. 406 c.p. (delitti contro i culti ammessi nello Stato), tuttora accorda agli altri culti ammessi, di minore diffusione. Inoltre può rilevarsi, con richiamo al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, che la minor pena prevista per chi pubblicamente offende un culto diverso dalla religione cattolica non lede tale principio, ma rientra nel potere insindacabile e discrezionale del legislatore e trova comunque giustificazione nella maggior diffusione di quella religione rispetto al primo.

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A. B. chiede
mercoledì 27/02/2019 - Sicilia
“Salve. Qualche mese fa ho scritto un post su Facebook in cui definivo le religioni una piaga sociale per via delle guerre religiose che ne possono scaturire e definivo i credenti al pari di chi crede alle favole o ai fantasmi. Ci tengo a precisare che non ho usato parole volgari. Vorrei sapere se posso aver commesso reato di vilipendio alla religione. Grazie”
Consulenza legale i 04/03/2019
La condotta in esame non integra il reato di cui all’art. 402 c.p., derubricato “Vilipendio della religione dello Stato”, atteso che la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo in questione con sentenza n. 508 del 20 novembre 2000.

Va però detto che la condotta sopra emarginata potrebbe integrare il diverso reato - ancora vigente - di cui all’art. 403 c.p..

Si noti infatti che la giurisprudenza pronunciatasi sul tema è conforme nell’affermare che il reato sussiste «nella pubblica espressione, con discorsi, scritti e figurazioni, di scherno, dileggio o ingiurioso disprezzo», nei confronti dei credenti (così, ad es., C., Sez. III, 7.11.1980; T. Roma 22.12.1997) ovvero nella «ostentazione di disprezzo, manifestazione di biasimo, espressione di apprezzamenti moralmente negativi ed implicanti disdegno e disistima generalizzati, alla stregua di canoni assiologici universali o, comunque, non circoscritti a determinate dottrine o ideologie» (cosi, A. Firenze 18.10.1993).

Ciò, peraltro, a prescindere dal carattere della volgarità, grossolanità e turpitudine delle parole usate (in questo senso C., Sez. III, 20.2.1967), richiedendosi piuttosto il chiaro intendimento di derisione e scherno nei confronti della religione, dei suoi seguaci e dei suoi officianti (cfr. C., Sez. III, 20.2.1967; P. Orvieto, ord., 29.12.1988).

Va tuttavia considerato che il reato in questione è uno strascico del primo codice penale adottato in Italia (il codice Zanardelli) e, ad oggi, può essere considerato quasi abrogato di fatto (non a caso i precedenti giurisprudenziali sono vecchissimi e risalenti a tempi storico culturali diversi da quelli attuali).

Sebbene dunque non appaia probabile che in seguito alla pubblicazione su Facebook sia nato un procedimento penale, si invita a tenere particolare cautela nella pubblicazione dei propri contributi, atteso che il social network predetto è sempre di più nell’occhio del ciclone, e la giurisprudenza di legittimità è sempre più severa nel giudizio, soprattutto con riferimento a determinate fattispecie, come, ad esempio, il reato di la diffamazione.