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Articolo 53 Codice Penale

(R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Uso legittimo delle armi

Dispositivo dell'art. 53 Codice Penale

Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti(1), non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio(2), fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza(3) all'Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona(4).

La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza(5).

La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica [55](6).

Note

(1) L'istituto dell'uso legittimo delle armi è una disposizione autonoma, ma sussidiaria ed aggiuntiva,in quanto opera solo qualora difettino i presupposti della legittima difesa (v. 52) e dell'adempimento del dovere (v. 51), come si evince dalla clausola d'apertura.
(2) Essendo tale scriminante riconoscibile solo in capo a soggetti determinati, qualificabili come pubblici ufficiali, l'uso dell'arma dovrà essere considerato solo al fine di adempiere a un dovere del proprio ufficio inciso ovvero, secondo l'interpretazione fornita da parte della dottrina, di eliminare un ostacolo che si è frapposto tra il pubblico ufficiale e il dovere da adempiere. Questa impostazione porta ad escludere la scriminante non solo nei casi in cui il soggetto abbia agito per un fine privato (come uno scopo di vendetta), ma anche i casi quando lo scopo fosse l'adempimento di una facoltà, non quindi un dovere del proprio ufficio.
(3) Sono due i casi in cui è possibile che il pubblico ufficiale faccia un uso legittimo delle armi ovvero quando sarà costretto dalla necessità di respingere una violenza (rivolta nei confronti del pubblico ufficiale stesso o di cose o persone che questi ha il dovere di tutelare) o di vincere una resistenza, fermo restando il compito del giudice di valutare concretamente se queste erano tali da dover essere vinte con le armi. Si ricordi che la resistenza di cui parla la norma è intesa come resistenza attiva (si pensi ad esempio al caso di colui che al momento dell'arresto esplode un colpo di pistola contro il pubblico ufficiale e poi si dà alla fuga). Non vi rientrano dunque i casi di resistenza passiva, che è,per chiarire, quella opposta dagli scioperanti che si distendono sui binari per impedire il passaggio dei treni. La dottrina più recente ha però criticato questa impostazione, argomentando sulla base del fatto che la norma in esame non distingue tra resistenza passiva e resistenza attiva e giungendo così a concludere che è ammissibile anche se vi è una condotta passiva che mira a contrastare l'intervento dell'autorità, la quale in ogni caso deve rispettare il criterio della proporzione.
(4) IL comma in esame è stato modificato dalla l. 22 maggio 1975, n. 152 (art.14). Tale intervento è stato oggetto di numerose critiche. In primo luogo si è discusso in ordine all'effettiva utilità di tale introduzione, dal momento che il concetto di violenza da respingere integrerebbe di per sé i vari delitti specificati. Inoltre la dottrina si è chiesta se la locuzione "per impedire la consumazione di delitti" legittimi l'uso delle armi per impedire atti meramente preparatori, prodromici al tentativo, interpretazione che suscita non poche perplessità.
(5) La scriminante opera anche nei confronti del privato, solo qualora la richiesta di intervenire, rivoltagli dal pubblico ufficiale, sia stata fatta nei limiti e nei casi previsti dagli artt. 652 c.p. e 380 c.p.p..
A proposito si ricordi che bisogna distinguere i casi in cui sia il pubblico ufficiale che fa direttamente uso o ordina di far uso delle armi, dai casi n cui chi ne fa uso agisce per ordine del superiore, Nella prima ipotesi opera la scriminante in esame, mentre nella seconda l'adempimento del dovere (v. 51),se ed in quanto ne sussistano i presupposti.
(6) Legge consente l'uso delle armi, nei casi in cui lo ritiene necessario, ad esempio, per per l'esecuzione dei provvedimenti di pubblica sicurezza, quando gli interessati non vi ottemperino o per impedire i passaggi abusivi delle frontiere dello Stato o per arrestare persone in attitudine di contrabbando (v. l. 4 marzo 1958, n. 100) o di armi per impedire le evasioni dei detenuti o violenza tra i medesimi (art. 41, l. 26 luglio 1975, n. 354).

Ratio Legis

Il legislatore ha voluto inserire nel codice penale tale autonoma figura di scriminante, affinché venisse riconosciuta l'autonomia dell'uso legittimo delle armi rispetto all'esercizio del diritto quanto dall'adempimento del dovere (art. 51 del c.p.), alle quali veniva in precedenza assimilata, cos' da svolgere rispetto a queste una funzione integrativa e specificativa.

Brocardi

Eius nulla culpa est, cui parere necesse sit

Spiegazione dell'art. 53 Codice Penale

La norma in oggetto è strettamente collegata alle due precedenti (artt. 51 e 52) e ne rappresenta un complemento, atta a scriminare la condotta del pubblico ufficiale (o la persona cui egli chiede assistenza) che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, faccia uso di armi o di altri mezzi di coercizione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'Autorità, o comunque di impedire una serie di delitti contro l'ordine pubblico, contro il patrimonio o contro la persona.

Quanto ai soggetti, va esclusa l'operatività della scriminante per gli incaricati di pubblico servizio e gli esercenti un servizio di pubblica necessità, in quanto non contemplati. Essa opera invece per i pubblici ufficiali (art. 357 del c.p.) e coloro che gli prestino assistenza, ove richiesta.

Per adempimento del dovere va intesa l'attività cui la qualifica di pubblico ufficiale è preposta e quindi tutto ciò che si rende necessario al fine di perseguire le finalità proprie dell'ufficio.

La resistenza da vincere si interpreta come mera resistenza attiva, ossia l'insieme di tutte le condotte volte ad ostacolare il libero svolgimento della funzione pubblica, mentre non viene contemplata la resistenza passiva o la fuga. Pertanto, il soggetto che si opponga all'arresto (senza esercitare alcuna violenza) o che fugga non rientra nell'ipotesi in cui il pubblico ufficiale possa adoperare armi nei suoi confronti.

Per violenza da respingere va invece applicata un'interpretazione estensiva, potendosi ricomprendere, oltre alla vis fisica, anche la vis psichica, come nell'ipotesi di minaccia, purché particolarmente grave e seria.

In relazione al requisito della proporzionalità (non esplicitamente richiamato ma necessario), va effettuato un giudizio di bilanciamento tra i mezzi impiegati ed i mezzi a disposizione, senza che il requisito in oggetto possa essere inteso come la necessità di un bilanciamento tra i beni in potenziale conflitto, come invece si richiede nella legittima difesa (art. 52) o nello stato di necessità (art. 54).

Massime relative all'art. 53 Codice Penale

Cass. pen. n. 35962/2020

Ai fini della configurabilità della scriminante di cui all'art. 53 cod. pen. occorre che l'uso dell'arma costituisca l'"extrema ratio" e che tra i vari mezzi di coazione venga scelto quello meno lesivo ed altresì graduato secondo le esigenze specifiche del caso, nel rispetto del principio di proporzionalità. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la scriminante nel caso di un carabiniere che aveva esploso alcuni colpi di arma da fuoco per forare gli pneumatici di un veicolo allontanatosi precipitosamente all'atto della identificazione degli occupanti, cagionando il decesso di uno degli stessi, attinto da un colpo di rimbalzo).

Cass. pen. n. 6719/2015

La scriminante dell'uso legittimo delle armi è configurabile anche quando l'attività dell'agente è posta in essere nel corso della fuga dei malviventi, purché detta fuga non sia finalizzata esclusivamente alla conservazione dello stato di libertà ma, per le sue modalità, determini l'insorgere di pericoli per l'incolumità di terzi (Nella fattispecie è stata riconosciuta la scriminate, giacché i malviventi, nel corso della fuga, avevano continuato ad esplodere colpi d'arma da fuoco nonché preso in ostaggio tre persone).

Cass. pen. n. 14670/2011

La disciplina in tema di uso legittimo delle armi in danno di chi si sottrae con la fuga ad una intimazione o all'arresto, prevista dalle leggi in materia di contrabbando, è eccezionale, e non può essere applicata in via analogica a casi diversi da quelli in essa contemplati.

Cass. pen. n. 45015/2008

Ai fini del riconoscimento della scriminante dell'uso legittimo delle armi o di altri mezzi di coazione fisica è irrilevante, in presenza degli altri requisiti previsti dall'art. 53 c.p., che l'arma venga utilizzata dall'agente in modo improprio piuttosto che secondo le sue naturali modalità d'impiego. (Fattispecie in cui un carabiniere aveva utilizzato la pistola d'ordinanza "a mò di clava" per infrangere il vetro di una autovettura determinando l'accidentale esplosione di un colpo che attingeva mortalmente il soggetto che si era asserragliato nel veicolo).

Cass. pen. n. 854/2008

Perché possa riconoscersi la scriminante dell'uso legittimo delle armi, quale prevista dall'art. 53 c.p., occorre, nell'ordine: che non vi sia altro mezzo possibile; che tra i vari mezzi di coazione venga scelto quello meno lesivo; che l'uso di tale mezzo venga graduato secondo le esigenze specifiche del caso, nel rispetto del fondamentale principio di proporzionalità, da ritenersi operante, pur in difetto di espresso richiamo, anche con riguardo alla suddetta scriminante. Solo ove risultino soddisfatte tali condizioni è poi da escludere che si possa porre a carico dell'agente il rischio del verificarsi di un evento più grave rispetto a quello da lui perseguito. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che correttamente fosse stata affermata la responsabilità a titolo di eccesso colposo nei confronti di un agente di polizia il quale, in ora notturna ed in zona poco frequentata, a fronte del gesto di un soggetto che aveva estratto e puntato contro la pattuglia di cui detto agente faceva parte una pistola, rimanendo quindi fermo in tale atteggiamento, con un ginocchio a terra, nel mezzo della strada, aveva esploso contro costui, dopo essersi portato a distanza di sicurezza, al riparo dell'autovettura di servizio, i cui fari abbagliavano l'antagonista, alcuni colpi di pistola che ne avevano cagionato la morte).

Cass. pen. n. 7337/2004

È legittimo l'uso delle armi ex art. 53 c.p.da parte di un agente di polizia che, per sedare una colluttazione e respingere la violenza attuata nei suoi confronti da alcuni corrissanti, esplode dei colpi di pistola in aria a scopo intimidatorio, trovando il suo comportamento ragione nella necessità di tutelare l'autorità e l'incolumità di persone che esercitano una pubblica funzione.

Cass. pen. n. 9961/2000

Ai fini dell'operatività della scriminante dell'uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.), è irrilevante la distinzione tra resistenza attiva e resistenza passiva, dovendosi invece attribuire rilievo (pur in assenza di espressa previsione), al criterio della necessaria proporzione fra i contrapposti interessi, con estensione del relativo giudizio, oltre che alla legittimità dell'uso dell'arma in sé, anche alla graduazione di detto uso, fra quelli possibili, tenendo comunque presente che al pubblico ufficiale il quale si trovi in situazione che imponga l'adempimento del dovere non è riconosciuta — come invece nel caso della legittima difesa o dello stato di necessità — un'opzione di rinuncia o di commodus discessus. In particolare, quando l'uso dell'arma sia finalizzato a bloccare la fuga di malviventi, la suddetta proporzione dev'essere ritenuta sussistente ove, per le specifiche modalità con le quali i fuggitivi cercano di sottrarsi alla cattura, siano ragionevolmente prospettabili, oltre all'avvenuta commissione di reati al cui accertamento essi cerchino di sottrarsi, anche rischi attuali per l'incolumità e la sicurezza di terzi. Verificandosi tale ipotesi, ed accertata quindi la legittimità dell'uso dell'arma, nella specifica forma prescelta dal pubblico ufficiale, non può farsi poi carico a quest'ultimo dell'evento diverso e più grave da lui prodotto, rispetto a quello preventivato, quando tale evento non sia riconducibile a negligenza o imperizia, ma all'ineludibile componente di rischio che l'uso dell'arma in sé comporta. (Nella specie, essendo risultato in fatto che gli occupanti di un veicolo, di cui era poi stata accertata la provenienza furtiva, avevano reagito all'intimazione di alt da parte di una pattuglia di carabinieri tentando di speronare l'autovettura di servizio, per poi darsi a spericolata fuga per strade urbane, mettendo a repentaglio l'incolumità dei passanti, la S.C., in applicazione dei suddetti principi, ha ritenuto che fosse da escludere ogni responsabilità a carico di un sottufficiale dei carabinieri il quale, nel corso dell'inseguimento intrapreso a seguito della condotta sopra descritta, aveva esploso una raffica di mitraglietta che, pur diretta alle ruote del veicolo inseguito, aveva, per un sobbalzo del veicolo inseguitore, raggiunto e ferito mortalmente uno dei fuggitivi).

Cass. pen. n. 7570/1999

La facoltà di arresto in flagranza da parte del privato (così come l'obbligo di arresto da parte di ufficiali o agenti di polizia giudiziaria) non giustifica, di per sè, l'uso di armi contro persone che, dopo aver tentato di consumare un delitto, per sottrarsi alla cattura, si diano alla fuga. (Fattispecie in tema di furto tentato).

Cass. pen. n. 2148/1995

Poiché per l'operatività dell'esimente prevista dall'art. 53 c.p. occorrono due condizioni strettamente interdipendenti tra loro, vale a dire l'uso legittimo dell'arma e la necessità di vincere una resistenza attiva, nonché un rapporto di proporzione, di modo che, qualora altri mezzi siano possibili per respingere la violenza o vincere la resistenza, il pubblico ufficiale non è autorizzato ad usare le armi, salvo le eccezioni previste da specifiche disposizioni di legge, l'inosservanza dell'ordine di fermarsi impartito dal pubblico ufficiale integra una resistenza meramente passiva, inidonea a giustificare l'uso dell'arma da parte di quest'ultimo. (Fattispecie relativa a riconoscimento di responsabilità per il reato di cui all'art. 589 c.p. di un brigadiere dei carabinieri il quale, dopo avere intimato l'alta un veicolo sopraggiungente, vedendo che il conducente non si arrestava e proseguiva la marcia, ha esploso un colpo di pistola in direzione del mezzo, direttamente colpendo a morte il guidatore).

Cass. pen. n. 12137/1991

In tema di uso legittimo di armi, nel caso di resistenza posta in essere con la fuga, manca il rapporto di proporzione tra l'uso dell'arma e il carattere non violento della resistenza opposta al pubblico ufficiale. In tale ipotesi il pubblico ufficiale che abbia fatto uso dell'arma non può invocare l'esimente de qua sotto il profilo della putatività, assumendo di aver ritenuto di agire in presenza di una causa di giustificazione, essendo incontrovertibile che l'errore sull'esistenza delle circostanze di esclusione della pena spiega efficacia scriminante quando investe i presupposti di fatto che integrano la causa di giustificazione o una norma extrapenale integratrice di un elemento normativo della fattispecie giustificante, e non quando si risolve in un errore di diritto, sfociante nell'erronea e inescusabile convinzione che la situazione (nella specie: un uomo in fuga) nella quale l'agente si trova ad operare rientri tra quelle cui l'ordinamento giuridico attribuisce efficacia scriminante, giacché diversamente si finirebbe con il considerare inoperante, sul terreno delle cause di giustificazione, il principio generale, posto dall'art. 5 c.p., secondo cui l'ignoranza (inescusabile) della legge non scusa. (Fattispecie in cui un carabiniere, allo scopo di arrestare la fuga di un ciclomotorista che non aveva ottemperato all'invito di fermarsi, aveva esploso vari colpi d'arma da fuoco in direzione delle gomme del veicolo ed uno di tali colpi, rimbalzando, aveva attinto il conducente cagionandone la morte).

Cass. pen. n. 7583/1991

L'uso legittimo delle armi può avere esplicazioni di varia gravità fino all'uccisione degli aggressori; deve, però, cessare quando essi si facciano scudo dell'ostaggio: la vita dell'ostaggio è un bene preminente da tutelare. (Nella specie, relativa ad affermazione di responsabilità dell'imputato per avere cagionato la morte dell'ostaggio per eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi utilizzate per impedire la consumazione dei delitti di rapina a mano armata e di sequestro di persona, la S.C. ha osservato che, in quel momento, il metronotte non correva un imminente grave pericolo non altrimenti evitabile; che non vi era dubbio che sussistesse la necessità di impedire la rapina, ma il diritto dell'ostaggio alla vita non poteva in alcun modo essere pretermesso).

Cass. pen. n. 5527/1991

L'uso delle armi nei confronti di persone disarmate, datesi alla fuga per sottrarsi all'intimazione o all'arresto, non è legittimo, trattandosi di comportamento di resistenza passiva.

Cass. pen. n. 6327/1989

La disposizione di cui all'art. 53 c.p. trova il suo fondamento giuridico, e quindi la sua giustificazione normativa, nella necessità di consentire al pubblico ufficiale l'uso delle armi al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio; uso che può realizzarsi solamente nel caso egli si trovi di fronte alla necessità di respingere una violenza o superare una resistenza costruttiva, siccome integranti i reati previsti dagli artt. 336 e segg. del c.p. Ne consegue che, il soggetto, il quale all'intimazione di alt da parte di pubblico ufficiale, si dia alla fuga, realizzando una ipotesi di disubbidienza passiva, e non già di resistenza attiva, non integra un comportamento idoneo a giustificare l'uso delle armi.

Cass. pen. n. 941/1983

Tanto la violenza quanto la resistenza sono costituite dall'impiego della forza, fisica o morale, diversificandosi solo per lo scopo che anima i soggetti. Pertanto, poiché in caso di persona in fuga non è configurabile alcuna delle due ipotesi sopra menzionate, qualora contro di essa il pubblico ufficiale faccia uso delle armi non ricorre la scriminante di cui all'art. 53 del codice penale. L'esimente putativa dell'uso legittimo delle armi può ravvisarsi quando l'agente abbia ritenuto per errore di trovarsi in una situazione di fatto tale che ove fosse stata realmente esistente egli sarebbe stato nella necessità di fare uso delle armi. Tale esimente non può ravvisarsi, invece, quando l'errore sia caduto sull'efficacia della norma perché in tal caso l'errore si risolve nell'ignoranza della legge penale che non scusa. (Nella specie un poliziotto aveva sparato colpi d'arma da fuoco contro una persona in fuga ritenendo che la norma lo autorizzasse a fare uso dell'arma anche in una tale situazione di fatto). L'eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi presuppone l'esistenza di tutti gli elementi e di tutte le condizioni della scriminante reale (che esclude l'antigiuridicità) o putativa (che esclude il dolo) e consiste nell'oltrepassare per errore i limiti imposti dalla necessità, concretandosi nell'eccesso nell'uso dei mezzi.

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