Posto che l'inosservanza delle norme relative al riparto di attribuzioni fra le due composizioni del
tribunale (e quindi monocratico o collegiale) non è qualificabile come un problema di
incompetenza, il
legislatore ha ritenuto opportuno creare una specifica normativa, che ha trovato collocazione nel presente capo.
La norma in esame disciplina un possibile esito del necessario controllo del giudice sulla questione relativa all'
attribuzione, stabilendo che la questione circa la violazione delle regole sull'attribuzione può essere affrontata anche in
appello ed in
cassazione.
Per quanto concerne il
giudizio di appello, qualora il giudice ritenga che fosse tenuto a giudicare il
tribunale in composizione collegiale, pronuncia
sentenza di annullamento ed ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice di primo grado, a patto che l'erronea
attribuzione sia stata tempestivamente eccepita ai sensi dell'articolo
33 quinquies ed in seguito risollevata in appello.
Il giudice appello decide invece nel merito se ritiene che il reato appartenesse alla cognizione del tribunale in composizione collegiale.
In riferimento alla
corte di cassazione, essa procede come il giudice d'appello (sentenza di annullamento) se l'attribuzione era viziata per difetto e la relativa eccezione era stata proposta in primo grado e risollevata in appello ed in cassazione. Per contro, se viziata per eccesso, si applica la medesima regola, a patto che il ricorso riguardi una sentenza inappellabile o un ricorso
per saltum ex art.
569 comma 1.
Altrimenti l'errore di attribuzione risulta
irrilevante.