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Articolo 679 Codice di procedura penale

(D.P.R. 22 settembre 1988, n. 477)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Misure di sicurezza

Dispositivo dell'art. 679 Codice di procedura penale

1. Quando una misura di sicurezza diversa dalla confisca è stata, fuori dei casi previsti nell'articolo 312, ordinata con sentenza, o deve essere ordinata successivamente [658], il magistrato di sorveglianza, su richiesta del pubblico ministero o di ufficio, accerta se l'interessato è persona socialmente pericolosa e adotta i provvedimenti conseguenti, premessa, ove occorra, la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato. Provvede altresì, su richiesta del pubblico ministero, dell'interessato, del suo difensore o di ufficio, su ogni questione relativa nonché sulla revoca della dichiarazione di tendenza a delinquere [108 c.p.](1).

2. Il magistrato di sorveglianza sovraintende alla esecuzione delle misure di sicurezza personali.

Note

(1) Tale comma è stato dichiarato illegittimo dalla Corte cost., con sent. 19-21 maggio 2014, n. 135, nella parte in cui non consente che, su istanza degli interessati, il procedimento per l'applicazione delle misure di sicurezza si svolga, davanti al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza, nelle forme dell'udienza pubblica.

Ratio Legis

Essendo al magistrato di sorveglianza affidata la funzione di verificare la coerenza e l'efficacia del trattamento penitenziario rispetto allo specifico fine della rieducazione del reo, questi ha il compito di sovraintendere anche all'esecuzione delle misure di sicurezza personali.

Spiegazione dell'art. 679 Codice di procedura penale

Qualora una misura di sicurezza diversa dalla confisca, eccezion fatta per l'applicazione provvisoria prevista dall'art. [[n312cpp], venga ordinata con sentenza o debba essere ordinata successivamente, il magistrato di sorveglianza, d'ufficio o su richiesta del pubblico ministero, accerta se l'interessato è socialmente pericoloso ed adotta i provvedimenti conseguenti, dichiarando, se necessario, l'abitualità o professionalità nel reato.

Si tratta del c.d. processo di sicurezza di primo grado, nel cui ambito tutte le attività accertative dell'organo monocratico sono svolte secondo il modello procedimentale garantito, e non quindi de plano. Inoltre, avverso le decisioni del magistrato riguardanti le misure di sicurezza e la dichiarazione di abitualità, professionalità nel reato o di tendenza a delinquere, l'interessato e il difensore possono proporre appello in tribunale ex art. 680.

Allo stesso modo provvede sull'eventuale richiesta di revoca della dichiarazione di tendenza a delinquere, ad esempio perché avvenuta prima che si manifestasse l'infermità mentale dell'imputato.

L'esecuzione delle misure di sicurezza personali è sovraintesa dal magistrato di sorveglianza.

Massime relative all'art. 679 Codice di procedura penale

Cass. pen. n. 3108/2015

La competenza del magistrato di sorveglianza ad applicare le misure di sicurezza non disposte con la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento ha carattere funzionale e, come tale, in caso di violazione è sempre rilevabile anche di ufficio ai sensi dell'art. 21, comma primo, c.p.p. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato l'ordinanza del tribunale che, dopo l'irrevocabilità della sentenza, aveva provvisoriamente applicato la misura di sicurezza del ricovero in una casa di cura e custodia).

Cass. pen. n. 3082/2015

Quando deve essere applicata una misura di sicurezza personale, successivamente alla pronuncia della sentenza di condanna, la decisione del magistrato di sorveglianza competente, è legittimamente emessa anche se fa seguito a domanda formulata da un Ufficio del Pubblico Ministero sprovvisto di competenza per territorio, posto che il magistrato di sorveglianza, a norma dell'art. 679 cod. proc. pen., procede in tale ipotesi anche "d'ufficio".

Cass. pen. n. 2260/2015

L'attribuzione della competenza funzionale alla magistratura di sorveglianza in materia di misure di sicurezza personali e di accertamento della pericolosità sociale presuppone che l'impugnazione sia limitata alle sole disposizioni che riguardano le misure di sicurezza, mentre quando l'impugnazione riguarda anche altri "capi" penali della sentenza, ovvero altri "punti" della decisione pur afferenti allo stesso capo, riprende vigore la regola generale che attribuisce la competenza al giudice della cognizione sul merito. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto competente la Corte di appello a decidere sull'impugnazione che riguardava l'accertamento della configurabilità di una istigazione non accolta a commettere un delitto e della sussistenza la pericolosità sociale).

Cass. pen. n. 11273/2007

Ai sensi dell'art. 679 c.p.p. è possibile per il magistrato di sorveglianza modificare una misura di sicurezza terapeutica, quale l'assegnazione ad una casa di cura, applicata dal giudice di merito, previo riconoscimento del vizio parziale di mente, con altra misura di sicurezza ordinaria, quale l'assegnazione a una casa di lavoro, qualora accerti il venir meno dell'infermità mentale del condannato e la persistenza della sua pericolosità sociale. La disciplina di cui all'art. 212 c.p. va infatti correlata con quella degli artt. 69 ord. pen. e 679 c.p.p., che consentono sempre alla Magistratura di sorveglianza di disporre l'applicazione di misure di sicurezza anche quando il giudice di merito ne abbia applicate altre con la sentenza di condanna. (Mass. redaz.).

Cass. pen. n. 13741/1999

Le disposizioni che concernono le misure di sicurezza impongono sempre di accertare la persistenza della pericolosità sociale del soggetto riferita al momento dell'applicazione della misura, oltre che a quello della sua esecuzione. (Fattispecie di annullamento con rinvio dell'applicazione della casa di cura e custodia disposta ex art. 219, comma 1, c.p., non risultando eseguito il detto accertamento).

Cass. pen. n. 4074/1995

In tema di misure di sicurezza, la legge demanda al magistrato di sorveglianza un permanente controllo sulla perdurante sussistenza delle condizioni che legittimano l'esecuzione della misura disposta; e ciò in considerazione del fatto che presupposto per l'esecuzione della misura è costituito dal giudizio sull'attualità della pericolosità sociale. Ne consegue che il procedimento in questione è disciplinato dalla regola rebus sic stantibus. (Fattispecie in cui all'interessato erano state applicate congiuntamente, con la sentenza di condanna, divenuta irrevocabile, l'assegnazione a una casa di lavoro per un anno e la sottoposizione a libertà vigilata per tre anni. La S.C., alla stregua del principio di cui in massima, ha rigettato il ricorso del P.G. e ritenuto corretto l'operato del tribunale di sorveglianza — che aveva sottoposto il condannato alla più grave misura di sicurezza e contestualmente revocato quella meno grave — precisando che, al termine dell'assegnazione alla casa di lavoro, si sarebbe dovuto comunque instaurare il procedimento finalizzato all'accertamento dell'attualità della pericolosità sociale e, quindi, se del caso, all'applicazione della libertà vigilata).

Cass. pen. n. 4823/1993

Le misure di sicurezza debbono essere ordinate dallo stesso giudice che ha emesso la sentenza di condanna o di proscioglimento contestualmente alla stessa (art. 205 comma primo c.p.) salvo che nei casi tassativamente indicati dalla legge (nn. 1, 2, 3 del comma secondo dell'articolo citato) tra i quali non figurano le ipotesi dei cosiddetti quasi reati (art. 115 c.p.); ciò per l'evidente ragione che le condizioni di pericolosità che il reato o il quasi reato manifesta possono essere oggetto di una valutazione complessa ed immediata solo attraverso una sentenza (artt. 202, 203 c.p.). Tale sistema non è stato in alcun modo innovato dall'art. 679 c.p.p., il quale non ha inciso sulla normativa relativa alla competenza ad ordinare la misura di sicurezza. (Nella specie, relativa a risoluzione di conflitto di competenza, la S.C. ha ritenuto che l'applicazione della misura della libertà vigilata è riservata al tribunale e non al giudice di sorveglianza, in quanto solo il primo può disporla essendo a ciò autorizzato per un fatto [istigazione non accolta] non preveduto dalla legge come reato [art. 229 n. 2 c.p. in relazione all'art. 115 stesso codice]).

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