Sotto il vecchio codice del 1865 si discuteva se le persone dichiarate incapaci di fare personalmente delle donazioni, le avessero potuto porre in essere per mezzo di coloro ai quali la legge affidava la rappresentanza e la tutela dei loro diritti. La questione, già risolta dalla dottrina prevalente in senso negativo, è stata così decisa dal codice; ed è una soluzione da approvarsi, perché nell’ipotesi in esame viene meno lo scopo della rappresentanza: quello, cioè, di rendere possibile che siano compiuti nell’interesse dell’incapace atti necessari, atti, cioè che non possono essere omessi senza pregiudicare l’interesse dell’incapace stesso.
La donazione non è un atto necessario, né risponde ad un interesse dell’incapace; inoltre, la donazione è un atto essenzialmente personale, nel senso, cioè, che l’animus donandi deve essere proprio del disponente; una conferma di tale requisito è data dal fatto che il codice prevede la nullità del mandato a donare. Ne consegue che, se il rappresentante legale del minore compie una donazione per il minore, tale atto è nullo e non solamente annullabile, trattandosi di un divieto giustificato da difetto assoluto di capacità.
Deroga a questi principi il comma 2; per esso il rappresentante di una persona incapace può, con le forme abilitative richieste, donare a favore di un discendente di detta persona, in occasione di matrimonio. Sono consentiti al rappresentante dell’incapace le liberalità in occasione di servizi resi o i regali d’uso, purché non costituiscano donazioni: non così le donazioni remuneratorie (art.
770).