L'illecito concorrenziale di cui all'art.
2598 non si perfeziona necessariamente attraverso la produzione di un pregiudizio attuale al patrimonio del soggetto concorrente, essendo sufficiente la potenzialità o il pericolo di un danno, concretantesi nell'idoneità della condotta vietata a cagionare un pregiudizio. Parimenti, la pubblicazione della sentenza — prevista dal secondo comma, in caso di atti di concorrenza sleale compiuti con dolo o colpa — e un provvedimento autonomo che può essere disposto indipendentemente dall'esistenza (o dalla prova) di un danno attuale generico, trattandosi di rimedio che assolve ad una funzione riparatoria con riguardo a situazioni di pregiudizio specifico già verificatosi (quale il discredito), ovvero ad una funzione preventiva rispetto a quelle che potrebbero verificarsi in futuro.
Ad esempio, la tutela accordata al titolare della ditta dall'art.
2564, nel caso che altri faccia uso di ditta uguale o simile e ciò possa creare confusione per l'oggetto delle rispettive attività ed il luogo in cui sono esercitate, viene a concorrere con la tutela contro atti di concorrenza sleale, a norma dell'art. 2598 n. 1, qualora, oltre alla suddetta confondibilità, sufficiente per l'applicazione del citato art. 2564, si verifichi anche una situazione idonea ad arrecare pregiudizio, ad incidere cioè negativamente sul profitto che l'imprenditore tende ad ottenere attraverso l'esercizio dell'impresa. Tale ultimo requisito, peraltro, non richiede un danno già prodottosi, in relazione ad un'attività concorrenziale in atto, e deve essere ravvisato, pure ai fini di una pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno, nonché dell'ordine di pubblicazione della sentenza a norma dell'art. 2600, anche in relazione ad una concorrenza potenziale, alla stregua di una estensione od espansione in futuro dell'attività imprenditoriale, che si presenti in termini non di mera possibilità, ma di rilevante probabilità.
L'ultimo capoverso della norma in commento, secondo cui, accertati gli atti di concorrenza, la colpa si presume, opera nel presupposto che gli atti di concorrenza sleale siano stati accertati: detta norma, quindi, non vale a modificare il normale onere probatorio sulla sussistenza di questi ultimi.