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Articolo 76 Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR)

(D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917)

[Aggiornato al 01/01/2024]

Periodo d'imposta

Dispositivo dell'art. 76 TUIR

1. L'imposta è dovuta per periodi di imposta, a ciascuno dei quali corrisponde una obbligazione tributaria autonoma salvo quanto stabilito negli articoli 80 e 84.

2. Il periodo di imposta è costituito dall'esercizio o periodo di gestione della società o dell'ente, determinato dalla legge o dall'atto costitutivo. Se la durata dell'esercizio o periodo di gestione non è determinata dalla legge o dall'atto costitutivo, o è determinata in due o più anni, il periodo di imposta è costituito dall'anno solare.

3. [Se il periodo di imposta è superiore o inferiore a dodici mesi i redditi di cui agli articoli 90 e 56, comma 5, sono ragguagliati alla durata di esso. Il ragguaglio si effettua anche ai fini delle disposizioni di cui agli articoli 102, commi 2, 6 e 7, 104, 106 e 107, commi 1 e 2.] (1)

Note

(1) Comma abrogato dal D.Lgs. 18 novembre 2005, n. 247.

Massime relative all'art. 76 TUIR

Cass. civ. n. 9338/2020

In tema di determinazione del reddito d'impresa, a decorrere dal 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006), la deducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati (cd. "black list") è condizionata alla prova, da parte dell'impresa residente, che "le imprese estere svolgono prevalentemente un'attività commerciale effettiva" ovvero che "le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico", mentre l'obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei suddetti costi è stato degradato da condizione sostanziale di deducibilità di essi a obbligo di carattere formale. Nel caso di violazione di quest'ultimo obbligo commessa prima del 1° gennaio 2007, in base alla norma transitoria dell'art. 1, comma 303, della legge cit., qualora l'impresa residente fornisca la prova delle menzionate condizioni sostanziali di deducibilità dei costi (o anche qualora l'Amministrazione finanziaria non le contesti), si applica sia la sanzione amministrativa proporzionale pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese non indicate (primo periodo del comma 303), sia la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 euro prevista dall'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (secondo periodo del comma 303). (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato l'impugnata sentenza della CTR che aveva affermato che l'impresa contribuente che, nel periodo d'imposta 2003, aveva dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi cd. "black list" senza indicarli separatamente in dichiarazione, fornendo la prova dell'esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilità degli stessi costi, andava esente da sanzioni in ragione dell'asserito carattere "meramente formale" della violazione).

Cass. civ. n. 5645/2020

Il tema di accertamento tributario, il requisito motivazionale, ai sensi dell'art. 42, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l'indicazione di fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa, restando poi affidate al giudizio d'impugnazione dell'atto le questioni riguardanti l'effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva.

In tema di reddito di impresa, il valore "normale" della transazione commerciale infragruppo di cui all'art. 9, comma 3, T.U.I.R. va determinato in base al metodo del prezzo di rivendita ("Resale Price Method"), in aderenza ai criteri della circolare del n. 32/9/2267 del 1980 e del rapporto OCSE del 1995. (Fattispecie relativa a transazione infragruppo avente ad oggetto l'uso di diritti di licenza su marchi e "know how" in cui la S.C. ha confermato la decisione che aveva confrontato il prezzo stabilito per la transazione tra la società madre italiana e la società figlia olandese e quello, relativo alla subconcessione, tra quest'ultima e la controllata spagnola, evincendo una sproporzione priva di giustificazione).

Cass. civ. n. 34750/2019

In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che trova fondamento nell'art. 37 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, secondo il quale l'Amministrazione finanziaria disconosce e dichiara non opponibili le operazioni e gli atti, privi di valide ragioni economiche, diretti solo a conseguire vantaggi fiscali, in relazione ai quali gli organi accertatori emettono avviso di accertamento, applicano ed iscrivono a ruolo le sanzioni di cui all'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 471 del 1997, comminate dalla legge per il solo fatto di avere il contribuente indicato in dichiarazione un reddito imponibile inferiore a quello accertato, rendendo così evidente come il legislatore non ritenga gli atti elusivi quale criterio scriminante per l'applicazione delle sanzioni, che, al contrario, sono irrogate quale naturale conseguenza dell'esito dell'accertamento volto a contrastare il fenomeno l'abuso del diritto.

Cass. civ. n. 5264/2019

Nella determinazione del reddito d'impresa l'abolizione del regime di indeducibilità dei costi relativi ad operazioni commerciali intercorse con soggetti domiciliati in Paesi a fiscalità privilegiata (cd. "black list"), prevista dall'art. 1, commi 301, 302, e 303, della l. n. 296 del 2006, ha carattere retroattivo, con conseguente deducibilità di tali costi subordinata alla prova dell'operatività dell'impresa estera contraente nonché della effettività della transazione commerciale, mentre il requisito dello svolgimento effettivo di attività commerciale non è più richiesto a decorrere dall'anno di imposta 2015, a seguito dell'entrata in vigore delle modifiche di cui al d.lgs. n. 417 del 2015.

Cass. civ. n. 898/2019

In materia di "transfer pricing" l'Amministrazione finanziaria ha l'onere di provare l'esistenza di transazioni economiche, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, ma non anche quello di dimostrare la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, perché la normativa di riferimento non è una disciplina antielusiva in senso proprio, mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto che il prezzo praticato non doveva considerarsi superiore al valore normale, in quanto, se fosse stato applicato il prezzo indicato dall'Amministrazione, vi sarebbe stata una notevole perdita di bilancio per la controllata).

Cass. civ. n. 29306/2018

In tema di operazioni di cessione con società estere infragruppo (cd. "transfert pricing" internazionale), il ricarico estremamente modesto praticato dal cessionario per la successiva rivendita costituisce uno degli elementi indiziari della necessità di individuare il "valore normale" di mercato del bene ceduto ai sensi dell'art. 9, comma 3, del d.P.R. n. 917 del 1986.

Cass. civ. n. 22492/2018

I contratti derivati su valuta, rientranti tra le operazioni "fuori bilancio", poste in essere da soggetti diversi dagli enti creditizi o finanziari, concorrono alla determinazione del reddito ai sensi dell'art. 103 bis, comma 2 bis, del d.P.R. n. 917 del 1986 (applicabile "ratione temporis") solo se sono stati oggetto di valutazione nei conti annuali secondo la disciplina civilistica, mentre ove siano stati iscritti in conti d'ordine, la correlata valutazione dei componenti reddituali conseguiti dal rapporto va operata in conformità all'art. 76 del detto decreto (nel testo "ratione temporis" vigente).

Cass. civ. n. 14848/2018

In tema di imposte sui redditi, la plusvalenza fiscalmente rilevante si realizza al momento della conclusione del contratto di compravendita, stante l'efficacia traslativa del consenso, e, pertanto, non assumono rilevanza le vicende successive relative all'adempimento degli obblighi contrattuali, quali l'omessa percezione del prezzo, la sua eventuale rateizzazione oppure l'estinzione dell'obbligazione successivamente intervenuta.

Comm. Trib. Reg. Lombardia n. 288/2018

I versamenti qualificati dalle società facenti parte del gruppo societario quali prestiti infruttiferi non sono esclusi dall’applicazione della disciplina di cui all’art. 76, comma 5, del d.p.r. n. 917/1986 allora vigente: la dazione di danaro da parte della controllante in favore di società controllate va valutata secondo il valore normale della prestazione, identificato nella media dei tassi di interesse per i finanziamenti concessi ad altre società del medesimo gruppo, media che costituisce un valore di raffronto più specifico e aderente alle circostanze del caso di specie rispetto ai tassi di inflazione di riferimento o ai tassi dei depositi fruttiferi applicati nel periodo preso in esame richiamati dalla difesa della società contribuente.

Cass. civ. n. 27018/2017

In tema di reddito d'impresa, l'art. 110, comma 7, del d.P.R. n. 917 del 1986, va inteso come attuativo del principio di libera concorrenza, esclusa ogni qualificazione dello stesso come norma antielusiva, sicché la valutazione del valore normale delle operazioni poste in essere postula l'esame della loro sostanza economica, in una prospettiva di comparazione con analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti e in libera concorrenza, con la conseguenza che sono soggetti alla medesima disciplina i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate e controllanti attesa l'esigenza, in funzione dell'unitaria ratio dell'istituto, di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri civilistici tra i contraenti.

Cass. civ. n. 20805/2017

In tema di reddito d'impresa, non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della configurabilità di un danno per l'erario, atteso che le regole sull'imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dall'art. 75 del d.P.R. n. 917 del 1986, sono vincolanti sia per il contribuente che per l'erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono né legittimano un qualche giudizio sull'esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l'eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto.

Cass. civ. n. 13387/2016

In tema di reddito d'impresa, la stipula di un mutuo gratuito tra una società controllante residente e una controllata estera soggiace all'art. 76, comma 5 (ora 110, comma 7), del d.P.R. n. 917 del 1986, finalizzato alla repressione del cd. "transfer pricing", che deve trovare applicazione non solo quando il prezzo pattuito sia inferiore a quello mediamente praticato nel comporto economico di riferimento, ma anche quando sia nullo, atteso che pure in tale ipotesi, peraltro maggiormente elusiva, si realizza un indebito trasferimento di ricchezza imponibile verso uno Stato estero, a cui l'ordinamento reagisce sostituendo il corrispettivo contrattuale nullo con il «valore normale» dell'operazione, costituito in caso di prestito di una somma di danaro dagli interessi al tasso di mercato. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lombardia, 17/06/2008).

Cass. civ. n. 18392/2015

In tema di determinazione del reddito d'impresa, la normativa di cui all'art. 76, comma 5, del d.P.R. n. 917 del 1986 (ora 110, comma 7), non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del "transfer pricing" (spostamento d'imponibile fiscale a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti) in sé considerato, sicché la prova gravante sull'Amministrazione finanziaria non riguarda la maggiore fiscalità nazionale o il concreto vantaggio fiscale conseguito dal contribuente, ma solo l'esistenza di transazioni, tra imprese collegate, ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale, incombendo, invece, sul contribuente, giusta le regole ordinarie di vicinanza della prova ex art. 2697 c.c. ed in materia di deduzioni fiscali, l'onere di dimostrare che tali transazioni siano intervenute per valori di mercato da considerarsi normali alla stregua di quanto specificamente previsto dall'art. 9, comma 3, del menzionato decreto. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Lombardia, 07/05/2010).

Cass. civ. n. 17175/2015

In materia tributaria, l'accertamento dell'abuso del diritto determina l'inopponibilità nei confronti dell'Amministrazione finanziaria del negozio abusivo solo con riferimento allo specifico tributo per cui è stato accertato il conseguimento dell'indebito vantaggio fiscale, sicché l'operazione continua ad integrare presupposto impositivo ai fini di altri tributi. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il "sale e lease back", accertato abusivo ai fini dell'imposta sui redditi, fosse, comunque, idoneo a generare debiti e crediti IVA in relazione alle fatture emesse e ricevute in esecuzione del contratto). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. II grado Bolzano, 28/0).

In materia tributaria, la scelta di un'operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente ad integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d'impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio, ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale. Ne consegue che l'opzione per il "sale and lease back" di un bene strumentale, che comporta rispetto all'acquisto un'accelerata deducibilità dei costi, rientra nel libero esercizio dell'attività economica del contribuente, qualora risponda al suo specifico e concreto interesse economico di estinguere pregressi debiti mediante l'acquisizione di nuova liquidità a condizioni ritenute convenienti. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. II grado Bolzano, 28/0).

Cass. civ. n. 25758/2014

In materia tributaria, alla stregua dell'elaborazione giurisprudenziale comunitaria e nazionale, costituisce pratica abusiva l'operazione economica che, attraverso l'impiego "improprio" e "distorto" dello strumento negoziale, abbia quale scopo predominante e assorbente (seppur non esclusivo) l'elusione della norma tributaria, mentre la mera astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva, poiché è richiesta la concomitante condizione di inesistenza di ragioni economiche diverse dal semplice risparmio di imposta e l'accertamento della effettiva volontà dei contraenti di conseguire un indebito vantaggio fiscale.(Nella specie, la S.C. ha ritenuto non abusiva la stipula di un contratto di "sale e lease back", pur pervenendo al medesimo risultato economico di una operazione di finanziamento bancario, per cui l'impiego del negozio era volto a consentire la maggiore deducibilità di canoni di leasing, rispetto ai soli interessi passivi che sarebbero stati deducibili con la stipula di un mutuo). (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. II grado di Bolzano, 15/0).

Cass. civ. n. 21760/2014

In materia di imposte sui redditi, devono essere qualificati, ai fini fiscali, come ricavi (o proventi) di esercizio, e quindi come componenti positivi di reddito, e non già come contributi in conto capitale, le somme riscosse dal consorzio nei confronti delle aziende insediate nell'area di sviluppo per l'opera di urbanizzazione necessaria al fine di ottenere il rilascio della concessione, in quanto, nonostante il vincolo di destinazione di tali somme, derivante dagli artt. 10 e 11 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (all'epoca vigenti), si tratta, comunque, del corrispettivo per l'attività svolta dal consorzio, sia pure di carattere istituzionale. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Latina, 29/06/2007).

Cass. civ. n. 20081/2014

In tema di reddito di impresa, ai sensi dell'art. 110, commi 10 e 11, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, come modificato dalla legge 27 dicembre 2006, n. 296, le spese e le altre componenti negative inerenti ad operazioni commerciali intercorse con fornitori aventi sede in Stati a fiscalità privilegiata (cosiddetta ipotesi di "black list"), sono ammesse in deduzione solo nel caso in cui venga fornita la prova che le imprese estere svolgano attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione, mentre la separata indicazione nella dichiarazione del relativo ammontare non è più - nelle fattispecie successive all'entrata in vigore della nuova disciplina - fatto costitutivo della deducibilità, trattandosi di obbligo che esaurisce la sua portata precettiva nel dato formale dell'indicazione, ancorché il contribuente, che abbia omesso tale adempimento, non possa più ottemperare, mediante dichiarazione integrativa, dopo la contestazione della violazione tributaria, in questo modo eludendo le sanzioni previste per l'inosservanza della prescrizione. (cassa e decide nel merito, Comm. Trib. Reg. Emilia Romagna, 09/07/2008).

Cass. civ. n. 19750/2014

In tema di ricorso per cassazione, ai fini dell'osservanza dell'art. 369, secondo comma, n. 2, cod. proc. civ., è sufficiente, ove la notifica della sentenza impugnata sia avvenuta a mezzo posta, che il ricorrente depositi, insieme al ricorso, copia autentica della sentenza con la relazione di notificazione, ossia con l'attestazione dell'ufficiale giudiziario della spedizione dell'atto, spettando al resistente l'onere di contestare, attraverso il deposito dell'avviso di ricevimento in suo possesso, il rispetto del termine breve d'impugnazione, atteso che, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata che eviti, in ossequio al principio del giusto processo, oneri tali da rendere eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale, deve tenersi conto che solo il resistente, in qualità di notificante, ha la materiale disponibilità dell'avviso di ricevimento.

Il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell'accertamento dell'ufficio. Ne consegue che il giudice tributario, ove ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, che aveva annullato l'avviso di accertamento per l'errata determinazione del "valore normale" dei beni ceduti dalla contribuente, senza provvedere alla nuova determinazione dei ricavi della contribuente secondo il criterio ritenuto legittimo). (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Latina, 12/10/2007).

Cass. civ. n. 17298/2014

In tema di IVA, il mancato rinvenimento, nei locali in cui il contribuente esercita la sua attività, di beni, risultanti in carico all'azienda in forza di acquisto, importazione o produzione, pone, ai sensi dell'art. 53 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e dell'art. 2728 cod. civ., una presunzione legale di cessione senza fattura dei beni medesimi, che può essere vinta solo se il contribuente fornisca la prova di una diversa destinazione, e che legittima il ricorso, da parte dell'ufficio, al metodo di accertamento induttivo ex art. 55, secondo comma, n. 2, del citato d.P.R. n. 633 del 1972. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Marche, 16/01/2007).

Cass. civ. n. 12611/2006

In tema di imposta sul reddito delle persone giuridiche, l'art. 90 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, disponendo che il periodo d'imposta è costituito dall'esercizio della società e coincide con l'anno solare soltanto se la durata dell'esercizio non è determinata dalla legge o dall'atto costitutivo o è determinata in due o più anni, non esclude che la durata dell'esercizio sociale (e di conseguenza il periodo d'imposta) possa essere determinata dall'atto costitutivo in misura non coincidente con l'anno solare, ed anche in misura superiore a dodici mesi. Costituisce peraltro questione di fatto, rimessa al giudice di merito, l'accertamento, necessario ai fini dell'applicazione del principio di inerenza, dell'incidenza di una modifica statutaria che abbia spostato le date di inizio e di chiusura dell'esercizio, dovendosi valutare se in tal modo si sia inteso lasciarne ferma la durata annuale, ovvero si sia voluto prolungare anche in via transitoria la durata dell'esercizio in corso alla data della modifica stessa. (cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Milano, 27 Settembre 2000).

Cass. civ. n. 1472/2006

In sede di accertamento dell'IRPEG inerente ad un determinato periodo, è reclamabile la deduzione dell'ILOR attinente a pregressi periodi, nei limiti in cui siano stati per essa operati accantonamenti in attesa della definitività del relativo rapporto, non anche dell'ILOR contestualmente evidenziata per la medesima annualità, salva restando l'eventuale detraibilità negli anni successivi degli stanziamenti effettuati in collegamento con l'accertamento stesso. La sede temporale di deducibilità dell'ILOR accertata in conseguenza della rettifica della dichiarazione dell'IRPEG non può che essere, comunque, secondo i principi generali che presiedono la deduzione delle imposte, il periodo in cui avviene il pagamento o ha inizio la riscossione dei ruoli nei quali le imposte sono iscritte. (rigetta, Comm. Trib. Reg. Milano, 21 Gennaio 1999).

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