Cassazione civile Sez. V sentenza n. 9338 del 21 maggio 2020

(1 massima)

(massima n. 1)

In tema di determinazione del reddito d'impresa, a decorrere dal 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore della l. n. 296 del 2006), la deducibilitā dei costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Stati o territori aventi regimi fiscali privilegiati (cd. "black list") č condizionata alla prova, da parte dell'impresa residente, che "le imprese estere svolgono prevalentemente un'attivitā commerciale effettiva" ovvero che "le operazioni poste in essere rispondono ad un effettivo interesse economico", mentre l'obbligo di separata indicazione nella dichiarazione dei suddetti costi č stato degradato da condizione sostanziale di deducibilitā di essi a obbligo di carattere formale. Nel caso di violazione di quest'ultimo obbligo commessa prima del 1° gennaio 2007, in base alla norma transitoria dell'art. 1, comma 303, della legge cit., qualora l'impresa residente fornisca la prova delle menzionate condizioni sostanziali di deducibilitā dei costi (o anche qualora l'Amministrazione finanziaria non le contesti), si applica sia la sanzione amministrativa proporzionale pari al 10 per cento dell'importo complessivo delle spese non indicate (primo periodo del comma 303), sia la sanzione amministrativa da 258,23 a 2.065,83 euro prevista dall'art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997 (secondo periodo del comma 303). (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato l'impugnata sentenza della CTR che aveva affermato che l'impresa contribuente che, nel periodo d'imposta 2003, aveva dedotto costi derivanti da operazioni intercorse con imprese domiciliate fiscalmente in Paesi cd. "black list" senza indicarli separatamente in dichiarazione, fornendo la prova dell'esistenza delle condizioni sostanziali di deducibilitā degli stessi costi, andava esente da sanzioni in ragione dell'asserito carattere "meramente formale" della violazione).

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