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Diritto processuale penale -

(Ri)educazione e minima offensivitą nel processo penale minorile. La concreta applicazione dei principi di cui agli articoli 27, comma terzo e 31, comma secondo, della Costituzione italiana

AUTORE:
ANNO ACCADEMICO: 2024
TIPOLOGIA: Tesi di Laurea Magistrale
ATENEO: Universitą Commerciale Luigi Bocconi di Milano
FACOLTÀ: Giurisprudenza
ABSTRACT
Il presente elaborato si occupa di analizzare e comprendere come il principio rieducativo di cui all’articolo 27, comma terzo del testo costituzionale, declinato nella dimensione della minima offensività, trovi applicazione nell’ambito del processo penale a carico di imputato minorenne. Lo studio, in specie, trae la sua origine da una serie di report del 2023, che testimoniano il cambiamento fisionomico del fenomeno della criminalità minorile in Italia negli ultimi decenni. Si è reso dunque necessario procedere, anzitutto, ad una disamina del processo storico che ha portato alla definizione del principio rieducativo – nella sua peculiare accezione di educazione e di minima offensività – quale valore informatore del nuovo processo penale minorile, secondo la disciplina dettata nel d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448. Ed invero tali principi, nel procedimento de quo, vengono garantiti in innumerevoli, differenti modalità: dalla previsione di specializzazione degli organi cui è demandato il potere giurisdizionale, alla determinazione di istituti e modalità di definizione processuale proprie di questo sistema (su tutti: la messa alla prova, il perdono giudiziale ed il divieto di costituzione di parte civile in capo alla persona offesa dal reato). La specializzazione, in tal senso, interessa tutto il secondo capitolo dell’elaborato, all’interno del quale vengono esaminate le diverse parti coinvolte nel corso del processo. Da un lato, viene in rilievo proprio la figura dell’imputato. L’istanza di specializzazione riveste, nei suoi confronti, un ruolo di precipuo valore, laddove si considera che è proprio nella condotta criminosa, posta in essere da quest’ultimo, che dovrà essere individuato il progetto educativo più adeguato. D’altro canto, proprio in ragione ed in ossequio al principio di minima offensività, viene in rilievo il divieto di costituzione di parte civile e la possibilità, per la persona offesa dal reato, di ricorrere all’istituto della mediazione per vedere tutelata la propria pretesa di ristoro dei danni subiti a seguito della condotta criminosa. Come la prassi giuridica testimonia, la mediazione penale minorile oggi rappresenta una garanzia processuale imprescindibile per l’imputato minorenne, garantendo da un lato la sua rapida fuoriuscita dal circuito penale e, dall’altro, assicurando alla vittima del reato il ristoro dei danni subiti. Quanto invece al capitolo terzo, relativo agli istituti ed alle modalità di definizione proprie del processo penale minorile, si manifesta evidente l’ampio sforzo compiuto dal legislatore nell’individuazione di strumenti in grado di massimizzare l’istanza di educazione del giovane reo al di fuori del circuito processuale. Ci si riferisce, in particolare, all’istituto della messa alla prova, introdotto proprio mediante il d.P.R. n. 448 del 1988 che promuove l’educazione del minore, mediante la propria dichiarazione di responsabilità e la partecipazione attiva al progetto educativo redatto dai Servizi Sociali competenti sulla base di specifiche valutazioni. Ciò che emerge, certamente, all’esito della ricerca è proprio l’ardua attività demandata alle Autorità esterne al processo che, grazie alla loro pedissequa attività di formazione, studio ed analisi, accompagnano il minore, attraverso forme di ascolto, supporto e collaborazione, in un momento, spesso drammatico, della propria vita. Per tale ragione si ritiene che, nonostante le sue zone d’ombra, il processo penale minorile manifesti in maniera essenziale lo sforzo compiuto dal legislatore nell’individuazione di un modello volto a massimizzare la tutela nei confronti di soggetti particolarmente fragili. Si ritiene, pertanto, che perseguire una strada sempre più attenta alle dinamiche personali, sociali e familiari rappresenti la chiave di volta per far fronte al cambio fisionomico del fenomeno della criminalità minorile in Italia.

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