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Articolo 473 bis 69 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari

Dispositivo dell'art. 473 bis 69 Codice di procedura civile

(1)Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 473 bis 70. I medesimi provvedimenti possono essere adottati, ricorrendone i presupposti, anche quando la convivenza è cessata.

Quando la condotta può arrecare pregiudizio ai minori, i medesimi provvedimenti possono essere adottati, anche su istanza del pubblico ministero, dal tribunale per i minorenni.

Note

(1) Disposizione inserita dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia").
Il D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 473 bis 69 Codice di procedura civile

La Legge n. 154/2001 ha regolamentato gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, inserendone la relativa disciplina in parte nel codice civile (artt. 342 bis e 342 ter c.c., per i profili sostanziali) ed in parte nel codice di procedura civile (art. 736 bis del c.p.c. per i profili processuali in senso stretto) ed inserendo, altresì, l’art. 282 bis del c.p.p., relativo all’adozione di misure cautelari nel procedimento penale.
Con la successiva Legge n. 304/2003 il legislatore ha eliminato il riferimento alla condizione di proponibilità, in origine contenuta all’art. 342 ter del c.c., secondo cui l’ordine di protezione avrebbe potuto essere adottato solo se il fatto oggetto di censura non avesse costituito reato perseguibile d’ufficio.

Ebbene, il legislatore, in considerazione della allarmante diffusione della violenza di genere e domestica, ha ritenuto necessario adottare una scelta normativa volta a sottolineare l’ importanza che deve essere rivolta al contrasto a questa forma di violenza nell’ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie, predisponendo una sorta di corsia preferenziale per tali giudizi, i quali dovranno avere una trattazione più rapida e connotata da peculiari modalità procedurali.

Gli ordini di protezione costituiscono misure temporanee, caratterizzate dal requisito dell’urgenza, volte ad emendare, con effetti provvisori e temporanei, una situazione pregiudizievole, correlata ad una fattispecie di convivenza dai caratteri violenti o comunque potenzialmente capaci di arrecare danno, fisico o morale, ai membri del consesso familiare.
Scopo della norma è quello di tutelare, in via il più possibile anticipata, la persona debole, mediante l’allontanamento del soggetto autore della condotta pregiudizievole, anche prima che la condotta assuma carattere penalmente rilevante.
L’effetto dell’adozione degli ordini di protezione è quello di porre fine ad una situazione di convivenza turbata, ma soprattutto di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare.

Gli ordini di protezione rientrano nella categoria dei provvedimenti limitativi della libertà personale, considerato che la loro adozione comporta, di fatto, limitazioni all’esercizio della libertà quale prevista dagli artt. 13, 16 e 42 Cost.
L’adozione di tali misure provoca non solo l’effetto di allontanare il soggetto abusante dalla dimora familiare, ma anche quello di interrompere il complesso delle relazioni che si svolgono nell’habitat domestico.
Il presupposto oggettivo per l’adozione della misura di protezione va individuato nella condotta di un coniuge o del convivente, la quale si estrinsechi in modalità tali da arrecare grave pregiudizio all’ integrità, fisica o morale, o alla libertà dell’altro coniuge o del convivente

Secondo una pressoché concorde tesi dottrinale e giurisprudenziale, gli episodi di violenza debbono presentare una certa gravità e dagli stessi deve derivare una non comune lesione alla dignità del soggetto offeso, lesione che va valutata tenendo conto dell’entità della sofferenza patita.
Il pregiudizio all’ integrità fisica si individua in atti di violenza ovvero in qualsiasi comportamento, anche privo dei requisiti di cui all’art. 572 del c.p.c., che determini l’effetto di mettere in pericolo l’ integrità o la libertà del coniuge o del convivente.
Il pregiudizio all’integrità morale, invece, può definirsi come il danno arrecato al patrimonio dei valori del quale la vittima risulti depositaria.
La valutazione della condotta deve essere effettuata sia dal punto di vista qualitativo (effettuando un giudizio prognostico in merito all’ idoneità delle condotte a rappresentare un grave pericolo per il futuro) che quantitativo (l’analisi deve vertere sull’entità della condotta, sulla sua portata offensiva e sulla dimensione psicologica).

Le condotte pregiudizievoli hanno rilevanza oggettiva, il che comporta che, ai fini dell’emissione del provvedimento, non occorre la valutazione dell’elemento psicologico della colpa o del dolo e, prima ancora, della capacità di intendere e volere.
Costituisce presupposto soggettivo l’esistenza di un soggetto che possa essere qualificato come debole e abusato, che assuma la qualifica di coniuge, convivente o comunque di appartenente al consesso famigliare.
La condotta abusante può avere ad oggetto anche i minori, i quali possono esserne soggetti passivi diretti (in questo caso, come previsto dal comma 2 della norma in esame, la competenza per l’adozione del provvedimento appartiene al tribunale per i minorenni) ovvero indiretti.

Rientrano nel novero delle fattispecie a cui applicare la disciplina in esame anche le unioni civili nonchè le c.d. relazioni affettive non matrimoniali purché connotate da tendenziale stabilità (sarebbero dunque incluse le convivenze di fatto ex art. 1, 36° co., L. 20.5.2016, n. 76).

Competente per l’emanazione del provvedimento è il tribunale, in funzione di giudice singolo.

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