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Articolo 229 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Confessione spontanea

Dispositivo dell'art. 229 Codice di procedura civile

La confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale (1) firmato dalla parte personalmente (2), salvo il caso dell'articolo 117 (3).

Note

(1) La norma è chiara nello stabilire che la confessione deve essere contenuta in un atto processuale: è pertanto escluso che essa possa risultare da fatti concludenti ovvero da una dichiarazione solo implicitamente o indirettamente ammissiva delle circostanze di causa.
Agli effetti della norma, è "atto processuale" è solo quello compiuto nel pieno rispetto del principio del contraddittorio.
(2) Si deve trattare di atti processuali sottoscritti personalmente dalla parte o da essa congiuntamente con il difensore: sono esclusi gli atti processuali sottoscritti dal solo procuratore, come le comparse conclusionali.
La dottrina dominante non attribuisce alcun valore confessorio al riconoscimento, verbale o scritto, di fatti sfavorevoli all'assistito reso dal difensore, che avrebbe solo la conseguenza di dispensare la controparte dall'onere della prova. Tale riconoscimento sarà liberamente valutabile dal giudice ai sensi dell'art. 116 del c.p.c..
(3) E' configurabile una confessione giudiziale spontanea anche in sede di interrogatorio non formale ex art. 117 del c.p.c., qualora risulti dal verbale d'udienza che la dichiarazione della parte non è stata provocata da una domanda del giudice ma resa autonomamente; inoltre, il verbale deve essere sottoscritto personalmente dalla parte.

Brocardi

Habemus confitentem reum

Spiegazione dell'art. 229 Codice di procedura civile

La confessione spontanea, che si contrappone a quella provocata dall'interrogatorio formale, deve necessariamente emergere da un atto firmato personalmente dalla parte, oppure dalla dichiarazione contra se resa in udienza e debitamente verbalizzata.

Nel primo caso deve essere contenuta in una dichiarazione espressa, che si formalizza in un atto processuale, ove per atto processuale si intende un atto scritto che deriva dal contraddittorio delle parti e quindi dal processo.
E’ orale, invece, la dichiarazione contenuta, ad esempio, nei capitoli di giuramento decisorio deferiti alla controparte, la cui formula deve essere personalmente sottoscritta dal deferente.

Va sottolineato che la parte deve sottoscrivere personalmente l'atto che contiene la sua confessione spontanea, sia nel caso in cui sia autorizzata a stare personalmente in giudizio, sia nel caso in cui vi stia per mezzo di un difensore.

Se il difensore riconosce verbalmente o per iscritto l'esistenza di fatti sfavorevoli al proprio assistito, tale riconoscimento non ha valore di confessione, anche per l'indisponibilità del diritto in contesa ad opera del procuratore, ma consente solo di esonerare l'altra parte dall'onere di provare i fatti affermati, mentre il giudice li valuta come argomenti di prova (devono, cioè, essere considerati quale indizio sottoposto alla libera valutazione del giudice).

Diverso è il caso in cui tali dichiarazioni siano ricomprese in atti che contengono, in calce o a margine, anche la sottoscrizione della parte, siano caratterizzate dall'animus confitendi e destinate alla sfera di conoscenza della controparte; in questo caso, infatti, deve presumersi che la parte abbia avuto conoscenza delle ammissioni assumendone la titolarità.

Nell’ipotesi di confessione spontanea, nata dall'interrogatorio libero della parte, va escluso che sia necessaria la sottoscrizione ai fini della validità, mentre è necessario che la dichiarazione sia interamente contenuta nel verbale di udienza.

Massime relative all'art. 229 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 7702/2019

Le ammissioni presenti negli atti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore "ad litem", non hanno natura confessoria, ma valore di indizi liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento mentre, qualora siano contenute in atti stragiudiziali, non hanno neppure tale ultimo valore.

Cass. civ. n. 23634/2018

Le ammissioni contenute negli scritti difensivi, sottoscritti unicamente dal procuratore "ad litem", costituiscono elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice per la formazione del suo convincimento. Esse, tuttavia, possono assumere anche il carattere proprio della confessione giudiziale spontanea, alla stregua di quanto previsto dagli artt. 228 e 229 c.p.c., qualora l'atto sia stato sottoscritto dalla parte personalmente, con modalità tali che rivelino inequivocabilmente la consapevolezza delle specifiche dichiarazioni dei fatti sfavorevoli in esso contenute. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza gravata che aveva negato valore confessorio alle dichiarazioni contenute nella comparsa di risposta di una parte, sottoscritta dal solo difensore e depositata in diverso giudizio).

Cass. civ. n. 21827/2013

La relazione tecnica di parte prodotta in giudizio, dalla quale si traggono elementi a favore della controparte, non assume valore di confessione, la quale è atto della parte e va espressa in relazione ad un fatto in essa esplicitato, non rilevando, a tal fine, la mera inferenza logica di un'ammissione del consulente.

Cass. civ. n. 15538/2013

Ai sensi dell'art. 2731 c.c., l'efficacia probatoria della confessione postula che essa sia resa da persona capace di disporre del diritto cui i fatti confessati si riferiscono, ossia da persona che abbia la capacità e la legittimazione ad agire negozialmente riguardo al diritto. Ne consegue che non hanno valore confessorio le dichiarazioni rese dal mandatario del titolare del diritto medesimo.

Cass. civ. n. 18987/2003

L'affermazione della parte o, se questa è una società, del suo legale rappresentante, di fatti a sé sfavorevoli resa al consulente tecnico d'ufficio, considerato come terzo al di fuori del processo, integra una confessione stragiudiziale liberamente apprezabile dal giudice, ai sensi dell'art. 2735, primo comma, c.c., con apprezzamento che, se congruamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 15515/2003

Le dichiarazioni rese in giudizio dal difensore, contenenti affermazioni relative a fatti sfavorevoli al proprio rappresentato e favorevoli all'altra parte non hanno efficacia di confessione ma costituiscono elementi di libero apprezzamento da parte del giudice di merito (in applicazione di tale principio di diritto, la S.C. ha cassato la sentenza di merito per difetto di motivazione, in quanto questa, a seguito della negazione dell'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra il proprio assistito e il datore di lavoro, resa dal difensore, ha interpretato la stessa come rinuncia ad un capo di domanda senza apprezzarla liberamente).

Cass. civ. n. 6750/2003

Le ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti unicamente dal procuratore ad litem non hanno valore confessorio ma costituiscono meri elementi indiziari che possono essere liberamente valutati dal giudice per la formazione del suo motivato convincimento. Ne consegue che incorre nel vizio di violazione di legge la sentenza del giudice del merito che attribuisca valore confessorio alla dichiarazione contenuta nell'atto di citazione senza specificare se esso contenga o meno anche la firma della parte e prescindendo dall'esame della sussistenza o meno dell'animus confitendi, mentre è configurabile vizio di motivazione allorché, mancando la sottoscrizione della parte, il giudice si limiti a fondare il proprio convincimento sull'elemento indiziario costituito dalla ammissione del procuratore, tralasciando completamente altre risultanze probatorie (nella specie: una prova testimoniale) di segno contrario.

Cass. civ. n. 13686/2001

In sede di valutazione della prova, il ritenere che la mancata contestazione di determinati fatti costituisca implicita ammissione dei fatti medesimi è questione riservata al giudice di merito, il cui apprezzamento, se non lacunoso o viziato sotto il profilo logico-giuridico, è incensurabile in sede di legittimità.

Cass. civ. n. 7561/2001

In tema di prova civile, le ammissioni provenienti dal difensore possono avere solo valore indiziario, che, peraltro, difficilmente può riconoscersi ove si tratti di affermazioni che esulino dalla linea difensiva assunta.

Cass. civ. n. 7523/2001

Le enunciazioni contenute in un ricorso per decreto ingiuntivo (nella specie, non firmato dalla parte) non possono legittimamente considerarsi come dichiarazioni sfavorevoli alla parte stessa, atteso che, ai fini della configurabilità di una confessione giudiziale spontanea (art. 229 c.p.c.), “atti processuali” sono soltanto quelli compiuti in seno al processo nel contraddittorio delle parti e, comunque, sottoscritti dalle parti medesime.

Cass. civ. n. 10825/2000

Le dichiarazioni rese agli organi di polizia giudiziaria, ancorché non siano vincolanti in sede civile, costituiscono confessione stragiudiziale fatta ad un terzo che il giudice ha il potere-dovere di apprezzare liberamente. (Fattispecie relativa ad una dichiarazione resa agli ispettori Inail).

Cass. civ. n. 2894/1999

Le ammissioni contenute negli scritti difensivi sottoscritti unicamente dal procuratore “ad litem”, pur non avendo valore confessorio, costituiscono elementi indiziari che possono essere liberamente valutati dal giudice per la formazione del suo convincimento. Quando invece esse rechino anche la sottoscrizione della parte, in calce o a margine dell'atto, ben può ad esse essere attribuito, dal giudice, valore confessorio, dovendo presumersi che la parte abbia avuto la piena conoscenza di quelle ammissioni e ne abbia assunto – anch'essa – la titolarità.

Cass. civ. n. 9760/1998

La confessione resa nel giudizio penale non ha efficacia di piena prova in quel processo e nel giudizio civile può essere considerata solo quale elemento indiziario, salvo che a quel procedimento l'avversario abbia partecipato come parte civile.

Cass. civ. n. 3275/1996

Le dichiarazioni contenute nella citazione possono ritenersi riferibili direttamente all'attore ed assumere, pertanto, valore confessorio, in quanto volte al riconoscimento di fatti a sé contrari ed utili alla controparte e non quando concernano qualificazioni giuridiche di situazioni di fatto, non attribuibili in quanto tali all'attore, ma all'opera del procuratore, sicché esse non ostano ad una diversa ulteriore qualificazione giuridica del rapporto dedotto in giudizio.

Cass. civ. n. 2465/1994

La dichiarazione sfavorevole alla parte contenuta nella comparsa di risposta o nella comparsa conclusionale, o anche nell'atto di opposizione o nell'atto di citazione, non può essere considerata confessione giudiziale spontanea ai sensi dell'art. 229 c.p.c., atteso che detti atti non possono ritenersi «atti processuali» – per tali intendendosi solo quegli atti che si compiono nel processo nel contraddittorio delle parti in causa – specie quando non siano neppure sottoscritti dalla parte, come inequivocabilmente richiesto dalla norma citata.

Cass. civ. n. 7675/1987

Le dichiarazioni rese in giudizio dal procuratore ad litem non munito di mandato speciale — anche se contenute in scritti difensivi che però non siano sottoscritti dalla parte — non hanno efficacia di confessione, ma possono valere come mero indizio e quindi possono concorrere a fornire elementi di giudizio ad integrazione delle altre risultanze probatorie. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato la pronuncia del giudice del merito il quale — in una controversia in cui l'applicabilità di un accordo collettivo discendeva dalla natura industriale, o meno, della attività del datore di lavoro — aveva ritenuto provata tale natura sulla base della sola ammissione fatta oralmente in sede di discussione della causa dal difensore dello stesso datore di lavoro).

Cass. civ. n. 122/1983

L'art. 229 c.p.c., secondo cui «la confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente, salvo il caso dell'art. 117», va interpretato – avuto riguardo al precedente art. 228, che contrappone alla confessione giudiziale spontanea quella «provocata mediante interrogatorio formale» – nel senso che non può essere considerata giudiziale spontanea (e quindi non forma piena prova ai sensi dell'art. 2733, secondo comma, c.c.) la dichiarazione avente contenuto confessorio, se provocata dalle domande rivolte dal giudice in sede di interrogatorio non formale, e cioè con modalità diverse da quelle espressamente previste per l'interrogatorio formale dall'art. 230 c.p.c. Peraltro, non è da escludere la configurabilità di una confessione giudiziale spontanea anche in sede di interrogatorio non formale, qualora risulti dal verbale che la dichiarazione della parte non sia stata provocata da una domanda del giudice, bensì resa autonomamente, ed il verbale rechi la sottoscrizione personale della parte, necessaria ai fini della prova della consapevolezza e volontà della dichiarazione, ossia, in sostanza, del requisito della spontaneità.

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