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Articolo 822 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Norme per la deliberazione

Dispositivo dell'art. 822 Codice di procedura civile

Gli arbitri decidono secondo le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati con qualsiasi espressione(1) a pronunciare secondo equità(2)(3).

Quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti, nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all'instaurazione del giudizio arbitrale, possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili(4).

Note

(1) La norma in analisi consente alle parti di autorizzare gli arbitri a decidere secondo equità realizzando una forma di una giustizia più aderente al caso concreto. Le parti possono autorizzare gli arbitri a decidere secondo equità mediante qualsiasi forma di autorizzazione, anche l'espressa affermazione di non impugnabilità del lodo, visto che le decisioni fondate sull'equità non sono impugnabili per violazione di norme di diritto sostanziale, ma solo per vizi di procedura. Ciò che rileva è che l'autorizzazione va desunta dalla convenzione d'arbitrato, in base alle regole sull'interpretazione dei contratti.
(2) Se gli arbitri invece di decidere secondo equità precedono secondo diritto, la conseguenza che ne scaturisce è la nullità del lodo per violazione dell'art. 829, comma 1 n. 4, poiché la decisione esorbita i limiti di potere loro conferiti. Tuttavia, si precisa che nel caso in cui siano chiamati a decidere secondo equità, gli arbitri possono decidere secondo diritto qualora ritengano che l'applicazione delle norme di diritto coincida con l'equità o sia comunque più equa per quella determinata controversia.
(3) Secondo l'orientamento giurisprudenziale di legittimità prevalente, l'equità a cui la presente norma si riferisce attiene alle regole etico-sociali tratte dalla morale e dalla coscienza comune, nel rispetto dei principi generali e delle norme fondamentali dell'ordinamento.
(4) Comma inserito dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia"), come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, il quale ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Brocardi

Non potest arbiter, inter alios iudicando, alterius ius mutare

Spiegazione dell'art. 822 Codice di procedura civile

Questa norma ribadisce il principio dettato dal primo comma dell’art. 113 del c.p.c., in forza del quale la regola generale è che la risoluzione della controversia ad opera degli arbitri debba avvenire secondo diritto, costituendo l'arbitrato di equità un'eccezione.
Il carattere eccezionale della decisione di equità sembra smentito dalla previsione contenuta nel testo della stessa norma in esame, nella parte in cui stabilisce che non occorre fare ricorso a formule sacramentali (essendo, invece, sufficiente “qualsiasi espressione”) affinché le parti esprimano validamente la propria volontà a che gli arbitri decidano secondo equità anziché stricto iure.

In effetti, nell'ambito del giudizio arbitrale, il quale si fonda interamente sulla volontà delle parti, non può avere particolare senso stabilire un rapporto di regola ed eccezione, in quanto si ritiene che per il legislatore sia indifferente che la decisione avvenga in un modo o nell'altro (forse sarebbe stato più corretto asserire che i due criteri di giudizio si pongono tra loro in modo alternativo).
Sotto questo profilo, la norma in esame può ritenersi più che altro funzionale ad integrare il contenuto della disciplina convenzionale in caso di lacuna, nel senso che, se dall'interpretazione della volontà delle parti non è possibile capire se queste vollero un arbitrato di equità ovvero di diritto, gli arbitri devono decidere stricto iure.

Conseguenza dell'affermazione che gli arbitri, nel decidere secondo stretta legalità, sono tenuti all'osservanza delle norme di diritto in modo identico a quello imposto ai giudici dello Stato ex art. 113 del c.p.c., è che anche in ambito arbitrale deve ritenersi applicabile il principio iura novit curia e che gli arbitri possono e devono conoscere, individuare, interpretare ed applicare tutte le norme che compongono l'ordinamento giuridico italiano.

Nel conferire agli arbitri poteri equitativi, le parti sono del tutto libere di usare “qualsiasi espressione”; qualora dovessero sorgere dei contrasti tra le parti circa l'attribuzione di tali poteri, si pone un problema di interpretazione della volontà delle parti, il quale va risolto in base alle disposizioni di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
Si ritiene che non sia ammissibile la scelta per un arbitrato di equità effettuata per facta concludentia, essendo indispensabile una manifestazione esplicita di volontà in tal senso.

Qualora dovesse essere previsto dalle parti che gli arbitri decidano “anche secondo equità”, ovvero “secondo diritto ed equità”, si deve ritenere che le parti non si siano limitate a scegliere un arbitrato di equità, ma abbiano inteso anche stabilire il procedimento logico che gli arbitri devono seguire (pertanto, gli stessi dovranno innanzitutto individuare la soluzione che discenderebbe stricto iure e successivamente verificare se tale soluzione è conforme all'equità, potendo, eventualmente, modificarne la portata).

La norma in esame, infatti, deve essere coordinata con l'art. 816 bis del c.p.c., in forza del quale le parti hanno la facoltà di determinare, nel modo che maggiormente preferiscono, quali operazioni debbono seguire gli arbitri per giungere alla decisione (sia di diritto sia di equità); la fonte primaria della disciplina dell'arbitrato (sia rituale che irrituale) a cui devono attenersi gli arbitri, dunque, è la volontà delle parti.
Ciò consente di ritenere che le parti abbiano la possibilità di scegliere e di determinare autonomamente se la decisione secondo equità debba costituire per gli arbitri un “potere” ovvero un “dovere”.

La Riforma Cartabia è intervenuta su questa norma prevendendo, sempre per gli arbitrati instaurati successivamente al 28.2.2023, che le parti possano indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile alla controversia.

Massime relative all'art. 822 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 6909/2015

L'arbitrato irrituale non si configura come un giudizio necessario di equità nemmeno in epoca anteriore alla riforma introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a seguito della quale trova applicazione l'art. 822 cod. proc. civ., ben potendo attribuirsi agli arbitri il vincolo a quantificare le spettanze delle parti "iuxta alligata et probata".

Cass. civ. n. 1183/2006

L'inammissibilita dell'impugnazione del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto, ai sensi dell'art 829, secondo comma, c.p.c. nel caso in cui le parti abbiano autorizzato gli arbitri a decidere secondo equità, sussiste anche qualora gli arbitri abbiano in concreto applicato norme di legge, ritenendole corrispondenti alla soluzione equitativa della controversia, non risultando, per questo, trasformato l'arbitrato di equità in arbitrato di diritto.

Cass. civ. n. 15150/2003

Il principio di buona fede contrattuale, sancito dall'art. 1375 c.c., ha la portata di ampliare (ovvero di restringere) gli obblighi letteralmente assunti con il contratto nei casi, e nella misura in cui, farli valere nel loro tenore letterale contrasterebbe con detto principio, il quale opera essenzialmente come un criterio di reciprocità che deve essere osservato vicendevolmente dalle parti del rapporto obbligatorio.

Nell'interpretazione del contratto, il dato testuale, pur assumendo un rilievo fondamentale non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione del contenuto dell'accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, il quale non può arrestarsi alla ricognizione del tenore letterale delle parole, ma deve estendersi alla considerazione di tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé «chiare» e non bisognose di approfondimenti interpretativi, dal momento che un'espressione prima facie chiara può non apparire più tale, se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti.

Cass. civ. n. 6933/2003

Gli arbitri, autorizzati a pronunciare secondo equità ai sensi dell'art. 822 c.p.c., ben possono decidere secondo diritto allorché essi ritengano che diritto ed equità coincidano, senza che sia per essi necessario affermare e spiegare tale coincidenza, che, potendosi considerare presente in via generale, può desumersi anche implicitamente. L'esistenza di un vizio riconducibile alla violazione dei limiti del compromesso nell'arbitrato rituale può configurarsi quando gli arbitri neghino a priori l'esercizio di poteri equitativi, pur se conferiti, o se, pur riscontrando ed evidenziando una difformità tra il giudizio di equità e quello di diritto, pronuncino poi secondo diritto.

Ove gli arbitri siano autorizzati a pronunciare secondo equità, non può trovare ingresso come motivo di impugnazione del lodo l'error in iudicando. (Nella specie il ricorrente, pur affermando di avere impugnato il lodo assumendo il superamento dei limiti del compromesso, in realtà si era doluto della violazione del principio di diritto che vieta l'ingiustificato arricchimento e di quello che impone di comportarsi, nell'esecuzione del contratto, secondo correttezza e buona fede).

Cass. civ. n. 995/2003

Nel lodo pronunciato secondo equità, la questione relativa alla carenza di legittimazione e di titolarità del rapporto controverso, avendo natura di merito deducibile in sede di giudizio arbitrale, non è deducibile come motivo di impugnazione per nullità se non prospettata dinanzi agli arbitri.

Cass. civ. n. 8937/2000

Non sussiste contrapposizione tra diritto ed equità, atteso che il giudizio di equità richiede pur sempre il riferimento ad una fattispecie normativa e la comparazione tra norma di legge ed eventuale criterio equitativo prescelto, il quale può operare ove sia obbiettivamente giustificata una disparità di trattamento rispetto a quello che deriverebbe dall'applicazione delle norme di diritto. È, pertanto, potere degli arbitri chiamati al giudizio secondo equità applicare il diritto ogni volta in cui essi ne ravvisino la coincidenza con l'equità, ed il loro apprezzamento al riguardo si sottrae ad ogni censura, poiché un controllo su di esso equivarrebbe ad un sindacato sul retto esercizio dei poteri equitativi.

Cass. civ. n. 4330/1994

La disposizione dell'art. 2231 c.c. — secondo cui «quando l'esercizio di un'attività professionale è condizionata alla iscrizione in un albo od elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione» — avendo carattere cogente ed inderogabile, deve essere applicata anche negli arbitrati di equità, giacché gli arbitri, se pure debbono giudicare in conformità di questa e non dello stretto diritto, nondimeno hanno il dovere di osservare le norme di ordine pubblico, e cioè quelle dettate in vista d'interessi generali, non derogabili dalla volontà delle parti.

Cass. civ. n. 10321/1992

Qualora il compromesso affidi agli arbitri rituali il compito di decidere secondo equità è nel potere dei medesimi applicare il diritto ogni volta in cui ravvisino la sua coincidenza con l'equità, senza che ciò comporti vizio di eccesso di potere nel caso in cui non siano state enunciate le specifiche ragioni di siffatta, ritenuta coincidenza, oggetto di un apprezzamento che si sottrae ad ogni censura, in quanto un controllo su di esso equivarrebbe ad un sindacato sul retto esercizio dei poteri equitativi.

Cass. civ. n. 5637/1984

Quando gli arbitri sono stati autorizzati a pronunciare secondo equità, essi sono svincolati, nella formazione del loro giudizio ai fini della decisione della controversia, dalla rigorosa osservanza delle regole del diritto oggettivo, avendo facoltà di far ricorso a criteri, principi e valutazioni di prudenza e di opportunità, che risultino i più adatti e i più equi, secondo la loro coscienza, per la risoluzione del caso concreto, e ciò necessariamente importa, ai sensi dell'art. 829, comma secondo, ultima parte, c.p.c., che sia preclusa l'impugnazione per nullità del lodo di equità per violazione delle norme di diritto sostanziale, o in generale per errores in iudicando. Il lodo, tuttavia, resta pur sempre impugnabile per i vizi in procedendo indicati nel primo comma dell'art. 829 c.p.c., ed inoltre la pronuncia secondo equità non implica assoluta libertà ed arbitrio, anche gli arbitri di equità essendo tenuti in ogni caso ad osservare le norme fondamentali e cogenti di ordine pubblico, dettate in vista di interessi generali, e come tali non derogabili dalla volontà delle parti né suscettibili di formare oggetto di compromesso.

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