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Articolo 815 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Ricusazione degli arbitri

Dispositivo dell'art. 815 Codice di procedura civile

Un arbitro può essere ricusato(1):

  1. 1) se non ha le qualifiche espressamente convenute dalle parti;
  2. 2) se egli stesso, o un ente, associazione o società di cui sia amministratore, ha interesse nella causa;
  3. 3) se egli stesso o il coniuge è parente fino al quarto grado o è convivente o commensale abituale di una delle parti, di un rappresentante legale di una delle parti, o di alcuno dei difensori;
  4. 4) se egli stesso o il coniuge ha causa pendente o grave inimicizia con una delle parti, con un suo rappresentante legale, o con alcuno dei suoi difensori;
  5. 5) se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l'indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti;
  6. 6) se ha prestato consulenza, assistenza o difesa ad una delle parti in una precedente fase della vicenda o vi ha deposto come testimone(5);
  7. 6-bis) se sussistono altre gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull'indipendenza o sull'imparzialità dell'arbitro(6).

Una parte non può ricusare l'arbitro che essa ha nominato o contribuito a nominare se non per motivi conosciuti dopo la nomina(2).

La ricusazione è proposta mediante ricorso al presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione. Il presidente pronuncia con ordinanza non impugnabile, sentito l'arbitro ricusato e le parti e assunte, quando occorre, sommarie informazioni(3).

Con ordinanza il presidente provvede sulle spese. Nel caso di manifesta inammissibilità o manifesta infondatezza dell'istanza di ricusazione condanna la parte che l'ha proposta al pagamento, in favore dell'altra parte, di una somma equitativamente determinata non superiore al triplo del massimo del compenso spettante all'arbitro singolo in base alla tariffa forense.

La proposizione dell'istanza di ricusazione non sospende il procedimento arbitrale, salvo diversa determinazione degli arbitri(4). Tuttavia, se l'istanza è accolta, l'attività compiuta dall'arbitro ricusato o con il suo concorso è inefficace.

Note

(1) Anche questo articolo è stato modificato dal d.lgs. 40/2006, prevedendo da un lato l'istituto della ricusazione a garanzia della terzietà dell'arbitro e dall'altro un sistema che ostacoli comportamenti meramente dilatori o strumentali disponendo la condanna al pagamento di una somma di denaro per la presentazione di istanze palesemente inammissibili o infondate.
(2) Ciascuna parte non può ricusare l'arbitro che lei stessa ha nominato in virtù del principio ubi commoda, ibi incommoda, ma soltanto l'arbitro nominato dagli altri compromittenti o nominato dal Presidente del tribunale ex art. 810 o quello designato dal terzo. Inoltre, si precisa che è possibile proporre istanza di ricusazione nei confronti di un arbitro che non ha ancora accettato la nomina.
(3) L'istanza di ricusazione si propone al presidente del Tribunale mediante ricorso con cui si chiede che l'arbitro non partecipi al procedimento perché lo si ritiene imparziale. La ricusazione non è applicabile al procedimento di arbitrato irrituale in quanto è espressamente prevista solo per quello rituale dalla norma in analisi. Il presidente decide con ordinanza non impugnabile e non ricorribile in Cassazione ex art. 111 Cost. in quanto ha carattere strumentale e ordinatorio.
(4) Al fine di evitare istanze pretestuose e meramente dilatorie, la nuova formulazione dell'articolo 815 prevede che la proposizione dell'istanza non sospenda il procedimento arbitrale in via automatica, in quanto sono gli stessi arbitri che devono pur sempre valutare l'ammissibilità dell'istanza, potendo escludere all'esito di tale verifica l'esistenza dei presupposti per la sospensione del procedimento.
(5) Numero modificato dal D. Lgs. 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. "Riforma Cartabia").
(6) Numero inserito dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, come modificato dalla L. 29 dicembre 2022, n. 197, il quale ha disposto (con l'art. 35, comma 1) che "Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti".

Spiegazione dell'art. 815 Codice di procedura civile

Nel processo ordinario la ricusazione è un rimedio concesso alla parte in caso di parzialità, quantomeno apparente, del giudice statale.
Nella disciplina previgente alla riforma intervenuta con il D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, il richiamo operato sic et simpliciter all'art. 51 del c.p.c. era stato criticato da parte della dottrina, ritenendosi più opportuno un adattamento dell'istituto alla particolare natura degli arbitri, quali giudici privati, nominati dalle parti, in quanto di regola scelti tra coloro i quali svolgono la libera professione (avvocati, ingegneri, commercialisti ecc.), in virtù delle loro particolari competenze.
Da ciò se ne faceva conseguire che la previsione dei casi di possibile ricusazione, così come formulati nell'art. 51, appariva troppo rigida e poco rispondente alle caratteristiche dei giudici privati.

Detta riforma, nell’accogliere tale istanza ha eliminato il richiamo all'art. 51, ma ha poi di fatto riprodotto lo schema dell'elencazione tassativa dei motivi di ricusazione.
L'unica novità concerne la possibilità di ricusare gli arbitri che non abbiano le qualifiche espressamente volute dalle parti.

La Riforma Cartabia, in un’ottica di rafforzamento dell’imparzialità e dell’indipendenza degli arbitri, ha aggiunto un ulteriore motivo di ricusazione, prevedendo, per gli arbitrati instaurati successivamente al 28.2.2023, che la ricusazione possa essere pronunciata anche per gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull'indipendenza o sull'imparzialità dell'arbitro.
Sembra evidente che tale aggiunta più che un nuovo autonomo motivo di ricusazione, ha di fatto modificato la complessiva concezione dell’istituto della ricusazione, in quanto il riferimento volutamente generico a qualsiasi altra ragione, anche solo di convenienza, come motivo di ricusazione degli arbitri, di fatto legittima un’interpretazione non solo estensiva, ma anche analogica di tutti gli altri motivi di ricusazione.

Per la proposizione della ricusazione occorre rispettare la forma del ricorso al presidente del tribunale ex art. 810 del c.p.c. comma 2, da presentare entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notifica della nomina o dalla conoscenza della causa di ricusazione.
La ricusazione può comunque essere fatta valere oltre il predetto termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina, nel caso in cui la conoscenza dei motivi di ricusazione sia sopravvenuta a detto termine, ma solo fino al momento in cui gli arbitri non abbiano ancora sottoscritto il lodo, in quanto, con la sottoscrizione, quest'ultimo viene ad esistenza ed acquista efficacia vincolante per le parti (pertanto, non potrà più assumere alcuna efficacia l'istanza di ricusazione proposta oltre la data dell'indicata sottoscrizione).

A seguito della presentazione del ricorso, il presidente pronuncia sempre con ordinanza non impugnabile, dopo aver sentito sia le parti che l'arbitro ricusato ed aver assunto sommarie informazioni.
Viene anche previsto che con la predetta ordinanza il presidente del tribunale provvede sulle spese, potendo condannare, in caso di manifesta infondatezza dell'istanza di ricusazione, la parte che l'ha proposta al pagamento di una somma che non può superare il triplo del massimo del compenso spettante all'arbitro sulla base delle tariffe forensi (e non delle tariffe applicabili, come previsto per il caso di quantificazione del danno in caso di responsabilità degli arbitri).

A differenza del principio vigente in passato e secondo cui la parte che aveva contribuito alla nomina dell'arbitro non poteva poi chiederne la ricusazione, tale disciplina è stata adesso modificata nel senso che essa vige solo nel caso in cui la parte non sia venuta a conoscenza, successivamente alla nomina, di nuove circostanze rilevanti.

Per finire, l’ultimo comma stabilisce che l'istanza di ricusazione non sospende il processo arbitrale (salvo diversa disposizione arbitrale), così abrogandosi implicitamente il successivo art. 820 del c.p.c., il quale prevede, inoltre, l'interruzione e la conseguente nuova decorrenza, in caso di sostituzione.
In conseguenza di tale previsione, si è reso necessario specificare che gli atti compiuti dall'arbitro poi ricusato sono da ritenersi inefficaci.

Massime relative all'art. 815 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 20558/2015

Nel procedimento arbitrale, l'esistenza di situazioni di incompatibilità, idonee a compromettere l'imparzialità dei componenti del collegio, dev'essere fatta valere mediante istanza di ricusazione da proporsi, a norma dell'art. 815 c.p.c., entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina o dalla sopravvenuta conoscenza della causa di ricusazione, restando, invece, irrilevanti, ai fini della validità del lodo, le situazioni d'incompatibilità di cui la parte sia venuta a conoscenza dopo la decisione, che, ove non si traducano in una incapacità assoluta all'esercizio della funzione arbitrale e, in genere, della funzione giudiziaria, non possono essere fatte valere mediante l'impugnazione per nullità, attesa l'ormai acquisita efficacia vincolante del lodo e la lettera dell'art. 829, comma 1, n. 2, c.p.c., che circoscrive l'incapacità ad essere arbitro alle ipotesi tassativamente previste dall'art. 812 c.p.c.

Cass. civ. n. 10359/2012

L'ordinanza pronunciata dal presidente del tribunale sull'istanza di ricusazione di un arbitro non è impugnabile, neanche con ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost., attesi l'espresso disposto dell'art. 815, terzo comma, c.p.c., e la sua natura di provvedimento a contenuto ordinatorio, in quanto tale non qualificabile come sentenza in senso sostanziale.

Cass. civ. n. 23638/2011

L'ordinanza con cui il presidente del tribunale, decidendo sull'istanza di ricusazione di un arbitro (nella specie, con dichiarazione di cessazione della materia del contendere), provveda sulle spese processuali, è impugnabile per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di statuizione incidente sul corrispondente diritto patrimoniale con efficacia di giudicato, non essendo previsto altro mezzo di impugnazione.

Cass. civ. n. 23056/2010

In tema di ricusazione dell'arbitro, la formula contenuta nell'art. 51, numero 1, c.p.c., che (nel regime anteriore alla modifica dell'art. 815 c.p.c. operata dall'art. 21 del d.l.vo n. 40 del 2006) prevede tra le cause di astensione obbligatoria la situazione di "interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto", postula un legame attuale dell'arbitro, nella più varia configurazione giuridica, con una parte del processo per una coincidenza di interessi ad una determinata soluzione della causa e/o per un rapporto di consulenza ed assistenza con la stessa. (Nella fattispecie la Corte ne ha escluso la sussistenza in una fattispecie nella quale un arbitro aveva ricoperto in passato la carica di vicepresidente e componente del consiglio di amministrazione della società).

Cass. civ. n. 17192/2004

In tema di ricusazione dell'arbitro, la formula contenuta nell'art. 51, numero 2, c.p.c., che prevede tra le cause di astensione obbligatoria la situazione di convivenza o di abituale commensalità con una delle parti o con taluno dei difensori, non può essere estesa fino al punto di ricomprendere l'ipotesi dell'arbitro esercente l'attività di avvocato che condivida lo studio o comunque lo stesso ambiente con i difensori di una delle parti del procedimento arbitrale, a meno che non risulti che la condivisione del medesimo ambiente di lavoro non si sia limitata all'utilizzazione di ambienti contigui, ma abbia dato luogo ad una reciproca compenetrazione delle rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico-organizzativo (come, ad esempio, si verifica con la abituale condivisione della difesa tecnica nei medesimi processi), ovvero anche solo dal punto di vista economico, in misura tale da potersi assimilare alla confidenza ed alla reciproca fiducia che connotano i rapporti tra conviventi o tra commensali abituali.

La parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione dell'arbitro, può chiedere il riesame di tale pronuncia attraverso l'impugnazione per nullità del lodo alla cui deliberazione abbia concorso l'arbitro invano ricusato.

Cass. civ. n. 13645/2004

Nel procedimento arbitrale, la ricusazione dell'arbitro deve essere proposta mediante ricorso al Presidente del tribunale, così come prescrive l'art. 815, secondo comma, c.p.c.; è pertanto assolutamente inidonea ad integrare tale atto di impulso processuale, e a dar vita agli effetti che alla proposizione dello stesso si ricollegano, l'istanza di ricusazione indirizzata con telegramma al Presidente del collegio arbitrale, stante la radicale irritualità dello strumento formale utilizzato e l'improprietà nell'individuazione del destinatario.

Cass. civ. n. 6309/2000

Anche nel giudizio arbitrale vige il principio secondo cui la sola proposizione del ricorso per ricusazione non può determinare ipso iure la sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente a decidere della questione stessa, in quanto spetta pur sempre al giudice a quo una sommaria delibazione della sua ammissibilità all'esito della quale, ove risultino ictu oculi carenti i requisiti formali posti dalla legge per l'ammissibilità della stessa, tale circostanza, pur non potendo assumere valore ostativo della rimessione del ricorso a detto giudice competente, esclude non di meno l'automatismo dell'effetto sospensivo, risultando in tal guisa contemperate le contrapposte esigenze, sottese all'istituto, di assicurare alle parti l'imparzialità del giudizio nella specifica controversia di cui trattasi e di impedire nel contempo, l'uso distorto dell'istituto medesimo.

Cass. civ. n. 7044/1995

Nel procedimento arbitrale, la ricusazione dell'arbitro può essere fatta valere oltre il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione della nomina, nel caso in cui la conoscenza dei motivi di ricusazione sia sopravvenuta a detto termine (principio espressamente riprodotto dall'art. 815, secondo comma, c.p.c., nel testo modificato dall'art. 7 legge n. 25 del 1994, ma già in precedenza affermato dalla giurisprudenza argomentando dall'art. 820 dello stesso codice, che dispone la sospensione del termine per la pronuncia del lodo qualora sia stata presentata l'istanza di ricusazione), ma solo fino al momento in cui gli arbitri non abbiano ancora sottoscritto il lodo, in quanto, con la sottoscrizione, il lodo viene ad esistenza ed acquista efficacia vincolante per le parti, sicché non può avere alcuna efficacia l'istanza di ricusazione proposta oltre la data dell'indicata sottoscrizione.

Cass. civ. n. 9325/1990

Il provvedimento, con cui il presidente del tribunale rigetti nel merito un'istanza di ricusazione di un arbitro irrituale, costituisce provvedimento abnorme, perché emesso in assoluta carenza di potere, stante la natura negoziale e non giurisdizionale dell'arbitrato irrituale, e, in quanto tale, non determinando alcun mutamento nella situazione giuridica preesistente, non è impugnabile con ricorso per cassazione.

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