Cassazione civile Sez. I sentenza n. 17192 del 28 agosto 2004

(2 massime)

(massima n. 1)

In tema di ricusazione dell'arbitro, la formula contenuta nell'art. 51, numero 2, c.p.c., che prevede tra le cause di astensione obbligatoria la situazione di convivenza o di abituale commensalità con una delle parti o con taluno dei difensori, non può essere estesa fino al punto di ricomprendere l'ipotesi dell'arbitro esercente l'attività di avvocato che condivida lo studio o comunque lo stesso ambiente con i difensori di una delle parti del procedimento arbitrale, a meno che non risulti che la condivisione del medesimo ambiente di lavoro non si sia limitata all'utilizzazione di ambienti contigui, ma abbia dato luogo ad una reciproca compenetrazione delle rispettive attività professionali dal punto di vista tecnico-organizzativo (come, ad esempio, si verifica con la abituale condivisione della difesa tecnica nei medesimi processi), ovvero anche solo dal punto di vista economico, in misura tale da potersi assimilare alla confidenza ed alla reciproca fiducia che connotano i rapporti tra conviventi o tra commensali abituali.

(massima n. 2)

La parte, che abbia visto rigettata la propria istanza di ricusazione dell'arbitro, può chiedere il riesame di tale pronuncia attraverso l'impugnazione per nullità del lodo alla cui deliberazione abbia concorso l'arbitro invano ricusato.

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