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Articolo 94 Codice di procedura civile

(R.D. 28 ottobre 1940, n. 1443)

[Aggiornato al 02/03/2024]

Condanna di rappresentanti o curatori

Dispositivo dell'art. 94 Codice di procedura civile

Gli eredi beneficiati, i tutori, i curatori e in genere coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio possono essere condannati (1) personalmente, per motivi gravi (2) che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell'intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita.

Note

(1) La condanna richiede la sussistenza dei "gravi motivi" che deve identificarsi con la trasgressione del dovere di lealtà e di probità di cui all'art. 88 del c.p.c. oppure nella mancanza della normale prudenza che caratterizza la responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 del c.p.c., II comma. Ad esempio, si può configurare un grave motivo l'imprudente valutazione della controversia o la temerarietà della lite che hanno esposto il rappresentato ad inutili ed evitabili esborsi.
(2) Il provvedimento di condanna non richiede un'apposita richiesta della parte ma può essere emesso dal giudice d'ufficio. Questo perché tale condanna riguarda comunque il potere del giudice di regolare le spese processuali sostenute dalle parti tramite la sentenza, in virtù del disposto di cui all'art. 91 del c.p.c..

Spiegazione dell'art. 94 Codice di procedura civile

Anche questa norma, come la precedente, costituisce una deroga al principio secondo cui soggetti attivi e passivi del rimborso delle spese giudiziali sono le parti, ossia i destinatari degli effetti degli atti processuali.
La condanna a carico dei soggetti qui previsti costituisce una fattispecie derogatoria rispetto al canone oggettivo della soccombenza ed è volta a legare la regolamentazione delle spese ad un criterio di responsabilità personale di chi agisce o resiste in giudizio imprudentemente, assimilabile per certi versi alla fattispecie della responsabilità aggravata di cui al successivo art. 96 del c.p.c..

La norma specifica anche che la condanna personale di rappresentanti ed assistenti alla refusione delle spese, per intero o in relazione ai singoli atti, può essere disposta in via esclusiva o in solido con la parte interessata.
Poiché rientra nel potere-dovere del giudice di disciplinare le spese nel provvedimento conclusivo del giudizio, la condanna in esame non richiede una specifica domanda, potendo anche essere pronunciata d’ufficio.
Presupposto di essa è la ricorrenza di gravi motivi, i quali vengono generalmente individuati in un contegno del rappresentante non improntato alla normale prudenza e diligenza o anche nel dolo o nella colpa grave che sono alla base della responsabilità aggravata.
In considerazione della formulazione abbastanza ampia della norma, destinatari di tale condanna possono essere sia i rappresentanti di persone fisiche che giuridiche (es. amministratori di una società).

E’ discusso, invece, se nel suo ambito applicativo possano farsi rientrare anche gli avocati delle parti. A tale riguardo in giurisprudenza è prevalsa la tesi secondo cui occorre così distinguere:
  1. se il difensore è privo di procura (perché la stessa è inesistente o falsa o è stata rilasciata per processi o fasi di giudizio diversi da quello per cui l’atto è stato compiuto), poiché la sua attività non è in grado di produrre alcun effetto sulla parte, sarà il difensore a doversi assumere la responsabilità anche in ordine alle spese, per cui va condannato alla refusione delle spese di lite;
  2. se il difensore, invece, è provvisto di procura invalida o divenuta inefficace, poiché tale procura è in ogni caso idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio.
In relazione al capo di pronuncia sulle spese, la sentenza rende il rappresentante che viene condannato parte, e come tale sarà abilitato a proporre impugnazione; anche il rappresentato a cui, a seguito di intervento, gli venga rigettata l’istanza di condanna del rappresentante, può dolersi con gli ordinari mezzi di gravame.

Massime relative all'art. 94 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 11194/2012

In tema di condanna alle spese del giudizio del rappresentante o del curatore della parte, ai sensi dell'art. 94 cod.proc.civ., la legittimazione ad intervenire nel processo spetta al soggetto passibile, in ragione della carica rivestita e per gravi motivi, di detta condanna, da individuarsi, attesa la natura sanzionatoria dell'eccezionale disposizione, nella persona fisica che abbia rappresentato o assistito la parte principale all'epoca in cui sia stato compiuto l'atto o instaurato il rapporto, oggetto della controversia. (Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C., con riferimento a giudizio di impugnazione della deliberazione di assemblea condominiale, ha riconosciuto la legittimazione, in veste di interventore adesivo dipendente, dell'amministratore in carica all'epoca di assunzione della delibera impugnata, del quale era stata richiesta la condanna personale alle spese, negando ogni rilievo ai successivi avvicendamenti avvenuti nel medesimo incarico).

Cass. civ. n. 3977/2003

In tema di condanna del rappresentante sostanziale o del curatore della parte delle spese, a differenza di quanto previsto dall'art. 96 c.p.c. per la condanna della parte per responsabilità aggravata, la quale va esplicitamente richiesta, l'art. 94 del codice di rito contempla il potere del giudice di condannare, per gravi motivi, il rappresentante (sostanziale) o il curatore della parte alle spese dell'intero processo o di singoli atti anche indipendentemente da una specifica richiesta della controparte, giacché inserisce pur sempre al potere-dovere del giudice di regolare le spese processuali sostenute dalle parti con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, secondo quanto previsto dall'art. 91 c.p.c.

Cass. civ. n. 5398/1988

L'art. 94 c.p.c., la quale contempla la condanna alle spese, eventualmente in solido con la parte, del soggetto che la rappresenti (e, quindi, in mancanza di distinzione fra rappresentanza in senso stretto e rappresentanza organica, anche dell'amministratore di una società), postula la ricorrenza di «gravi motivi», da identificarsi nella trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c., ovvero nella mancanza della normale prudenza che caratterizza la responsabilità processuale aggravata di cui all'art. 96 secondo comma c.p.c.

Cass. civ. n. 674/1973

Nel linguaggio dei codici vigenti, sia sostanziale che di rito, con il termine «rappresentanza» viene designato non soltanto il fenomeno rappresentativo in senso proprio, contemplato dagli artt. 1387 ss. c.c., ma anche quello della cosiddetta immedesimazione organica, alla quale è quindi applicabile la disciplina positiva dettata per la rappresentanza, in difetto di una contraria indicazione letterale della legge o di una ragione di incompatibilità intrinseca tra questo fenomeno e tale disciplina. Di conseguenza, anche l'organo della persona giuridica (nella specie, l'amministrazione di una società), che la rappresenti in giudizio, può essere assoggettato alla condanna solidale nelle spese ai sensi dell'art. 94 c.p.c., tale norma riferendosi genericamente a tutti coloro che rappresentano la parte in giudizio e non offrendo quindi alcuna ragione per distinguere fra rappresentante in senso proprio e organo.

Cass. civ. n. 649/1963

L'art. 94 c.p.c. configura una responsabilità processuale sia dei rappresentanti che dei curatori e prevede la condanna di costoro, eventualmente in solido con la parte rappresentata e assistita, nei confronti dell'avversario vincitore. Ciò trova la sua ratio nella considerazione che i predetti pur non assumendo nel processo la veste di parte, esplicano, tuttavia, anche se in nome altrui, un'attività processuale in maniera autonoma, onde anche per essi si è ravvisato valido e operante il principio generale della soccombenza. La condanna personale alle spese di chi rappresenta o assiste la parte in giudizio è, peraltro, condizionata al concorso di gravi motivi che il giudice deve pur sempre individuare nella loro concreta esistenza specificamente, identificandoli o con la trasgressione di quel dovere di probità e lealtà, imposto alle parti dall'art. 88 c.p.c. ed espressamente richiamato dall'art. 92 c.p.c. ai fini del carico delle spese processuali, o con la mancanza di quella normale prudenza che, secondo il disposto dell'art. 96 comma secondo c.p.c., caratterizza la responsabilità aggravata della parte.

Cass. civ. n. 554/1962

La disposizione contenuta nell'art. 94 c.p.c., presuppone che colui, che è condannato alle spese giudiziali in proprio, abbia effettivamente la rappresentanza del soggetto che è parte in senso sostanziale, ovvero che sia intervenuto in giudizio per assistere il soggetto parzialmente capace (il quale ha la capacità processuale). In tali ipotesi, la legge per «gravi motivi» (ad es. perché il rappresentante ha agito in giudizio con leggerezza, o con colpa, ecc.), consente eccezionalmente di tenere responsabile per le spese il rappresentante medesimo, anziché il rappresentato, oppure di tenerli entrambi responsabili in solido. Tale norma eccezionale presuppone necessariamente che un rappresentato vi sia, tanto che, se il giudice non si vale della facoltà, di cui all'art. 94 c.p.c., condannato alle spese, quale soccombente, è il rappresentato medesimo.

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