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Capo III - Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Delle servitù volontarie

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)
502 L'art. 1058 del c.c. enuncia i modi di costituzione delle servitù volontarie: il contratto e il testamento. Circa il potere di costituire servitù sul fondo, l'art. 1060 del c.c., come l'art. 635 del codice del 1865, ne consente la costituzione anche al nudo proprietario, purché non si pregiudichi il diritto di usufrutto. Non ho riprodotto l'ultima parte del citato articolo del codice anteriore, nella quale si riconosceva al proprietario la facoltà d'imporre, con il consenso dell'usufruttuario, anche le servitù che diminuissero il diritto di usufrutto, essendo ciò talmente ovvio da renderne superflua l'enunciazione. E' mantenuto, in relazione all'ampiezza del diritto di cui è investito ed in conformità di una lunga tradizione accolta nel codice del 1865 (art. 665), il potere dell'enfiteuta d'imporre servitù sul fondo enfiteutico; né, poichè tali servitù non possono pregiudicare gli interessi del concedente, la loro durata è in generale legata a quella dell'enfiteusi: così esse si estinguono quando l'enfiteusi si estingue per decorrenza del termine, per devoluzione o per prescrizione (art. 1077 del c.c.). Non ho accolto l'innovazione che introduceva il progetto della Commissione Reale (art. 225), estendendo all'usufruttuario e al conduttore, quando la locazione fosse stipulata per un tempo eccedente i nove anni, il potere di costituire, per la durata del loro diritto, servitù sul fondo in usufrutto o in locazione. Tale potere è in contrasto con il principio che chi non ha la disponibilità del fondo non può costituire servitù su questo; e ancor meno il potere stesso può riconoscersi al conduttore, il quale ha un semplice diritto personale di godimento. Mi è poi sembrata non in armonia col sistema che regola l'istituto della dote la facoltà consentita dal codice precedente al marito (art. 665) di costituire servitù sui beni dotali, benché destinate a estinguersi con lo scioglimento del matrimonio. Dichiarata (art. 1405 del codice del 1865 e art. 187 del c.c. del 1942) l'inalienabilità e non ipotecabilità di questi beni, se non con il consenso di ambedue i coniugi e con l'autorizzazione del tribunale nei soli casi di necessità o di utilità evidente (salvo che l'alienazione o l'obbligazione sia stata consentita nell'atto di costituzione di dote), non è coerente ammettere che il marito da solo, anche senza alcuna necessità o utilità, imponga servitù su di essi.