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Articolo 2796 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Vendita della cosa

Dispositivo dell'art. 2796 Codice Civile

Il creditore per il conseguimento di quanto gli è dovuto può far vendere la cosa ricevuta in pegno secondo le forme stabilite dall'articolo seguente [2744; 2797; 502 c.p.c.](1).

Note

(1) Tale speciale forma di vendita prevista dalla disposizione in esame non richiede la necessità dell'intervento di un organo statale terzo, come invece è necessario nella vendita comune, in quanto in questo caso la procedura può essere affidata o all'azione di un ufficiale giudiziario, il quale si muove avendo ricevuto specifica richiesta dal creditore, oppure direttamente a quest'ultimo, nell'ipotesi in cui le parti abbiano raggiunto un accordo in tal senso. In ogni caso, rimane assolutamente assodato che il creditore possa scegliere liberamente di utilizzare le forme ordinarie di vendita (v. art. 2910; 502 c.p.c. e ss.).

Ratio Legis

La norma in commento dispone l'esecuzione forzata pignoratizia, ossia una forma speciale di vendita, diretta applicazione del divieto di patto commissorio (v. art. 2744), che è prevista al fine di rafforzare la garanzia ed accelerare la soddisfazione del credito, dato che per essa non vi è la necessità del titolo esecutivo, diversamente da quanto previsto in relazione alla vendita nell'ambito dell'esecuzione forzata ordinaria (v. art. 2910).

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Ius distrahendi

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

593 Il progetto del 1936 disponeva (articolo 675) che il creditore doveva farsi apprezzare dal giudice, in caso di mancato pagamento, a vendere la cosa ai pubblici incanti o al prezzo corrente. Mi è sembrato più spedito disporre un sistema di attuazione stragiudiziale delle garanzie del creditore, consentendo a questo di provvedere alla vendita senza adire il giudice, a condizione dell'osservanza di determinate prescrizioni di forma a salvaguardia degli interessi del debitore (articoli 692 e 693).
Ho stabilito, cioè, che il creditore può intimare il pagamento al debitore e al terzo datore del pegno, con avvertimento che in difetto procederà alla vendita. L'intervento del giudice avviene solo se il debitore propone opposizione entro 15 giorni, mentre se l' opposizione non è proposta il creditore può procedere senz'altro alla vendita ai pubblici incanti o a prezzo corrente. Naturalmente lo stesso diritto spetta al creditore in caso di rigetto dell'opposizione.
Questa procedura ha il pregio di soddisfare più presto il creditore pignoratizio e deriva direttamente dagli articoli 363 e 458 cod. comm.; in modo che è stata unificata la forma di vendita del pegno civile e di quello commerciale. La sua attuazione non può recare pregiudizio agli altri creditori, giacché costoro, mediante il sequestro presso terzi, potranno sempre fermare il supero nelle mani del creditore pignoratizio o dell'ufficiale che procede alla vendita.
Ho inserito in questo articolo 693 la disposizione che la Commissione reale aveva posto nell'articolo 677, circa la facoltà del giudice in sede di opposizione di limitare la vendita a quelle cose il cui valore sia sufficiente per il pagamento del debito. Si tratta, invero, di una norma che attiene al giudizio di opposizione qui disciplinato.
E' sempre lasciata facoltà alle parti di stabilire formalità diverse e anche di convenire che la vendita sia fatta a favore del creditore, purché a giusto prezzo: con questa norma si soddisfa alle esigenze della pratica che, specie nella sfera bancaria, vuole evitare un eccessivo aggravio di spese. Essa ammette la vendita a favore del creditore; e così contempera il principio che vieta il patto commissorio (art. 695) consentendo che la cosa resti al creditore a quel giusto prezzo, la cui constatazione garantisce contro i pericoli che il secondo comma dell'art. 1884 cod. civ. voleva evitare.

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