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Articolo 1531 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 31/01/2024]

Interessi, dividendi e diritto di voto

Dispositivo dell'art. 1531 Codice Civile

(1)Nella vendita a termine di titoli di credito, gli interessi e i dividendi esigibili dopo la conclusione del contratto e prima della scadenza del termine(2), se riscossi dal venditore, sono accreditati al compratore [1550].

Qualora la vendita [1470] abbia per oggetto titoli azionari, il diritto di voto [2351] spetta al venditore fino al momento della consegna(3).

Note

(1) Nella fattispecie in esame il venditore si impegna a trasferire all'acquirente una data quantità di titoli di credito alla scadenza del termine fissato e l'acquirente si obbliga a pagare il prezzo alla stessa scadenza. Entrambi sperano in un mutamento del valore dei titoli a proprio vantaggio e così spesso, a tale scadenza, non procedono all'effettivo scambio ma la parte che è tenuta versa all'altra la differenza guadagnata per effetto del mutamento di valore; altre volte i contraenti prorogano il termine (v. 1535 c.c.).
(2) Si tratta, appunto, del termine fissato per la consegna dei titoli ed il pagamento del prezzo.
(3) Fino alla consegna dei titoli il possessore di essi è il venditore.

Ratio Legis

La fattispecie in esame è utilizzata dalle parti per cercare di trarre un vantaggio dalla vendita, atteso che entrambe confidano in un mutamento a proprio favore della situazione economica sottostante lo scambio.

Spiegazione dell'art. 1531 Codice Civile

Interessi, dividendi e voto

Perché questa differenza?
Perché il compratore dopo la conclusione del contratto e prima della scadenza del termine ha diritto bensì agli interessi e dividendi, ma non ha diritto al voto?
Perché invece ha diritto al voto il venditore che pure non ha diritto ai frutti?
Certo, se i titoli non sono stati specificati, individuati con il numero e la serie, la proprietà, non è ancora passata al compratore: art. 1378 cod. civ..
Che il compratore però faccia suoi i frutti è giusto: se ha ancora un termine per pagare e ritirare, questo termine non gli è stato concesso gratuitamente, è parte di prezzo e deve quindi senza indugio far suoi i frutti il compratore: arg. art. 1499 cod. civ..

A rigore il compratore dovrebbe anche poter votare: dovrebbe avere a sua disposizione tanti voti quanti ne spettano alle azioni comprate. Forse, e non a torto, mentre interessi e dividendi (guardati nella brutale loro venalità) sono stati considerati immediato acquisto del compratore, si è guardato invece il lato spirituale, umano, incoercibile e non da mercanteggiare del diritto di voto.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

676 Della vendita a termine di titoli di credito. La vendita dai titoli di credito è stata trattata dal codice limitatamente a quella vendita a termine, che, secondo la terminologia corrente, si denomina a mercato fermo; rimanendo esclusi i contratti detti a premio, che hanno limitata importanza pratica, e il contratto per contanti, che non offre particolarità notevoli, e per il quale possono bastare le regole generali sulla vendita mobiliare, combinate con quelle stabilite dagli usi di borsa. Grave controversia pratica è sorta circa i c. d. diritti accessori dei titoli che sono oggetto di vendita a termine o circa gli obblighi accessori alla vendita (versamenti sui titoli non liberati). Gli uni e gli, altri, in forza degli articoli 1531 e 1534, incidono immediatamente e in definitiva sul compratore, mentre il diritto di voto inerente ai titoli azionari, è attribuito al venditore sino al momento della consegna del titolo, ossia sino al momento dell'esecuzione del contratto. Quanto al diritto di opzione che sia annesso ai titoli azionari, sono fissati alcuni doveri a carico del venditore (art. 1532 del c.c.). Con l'art. 1535 del c.c. si sono regolati gli effetti della proroga dell'esecuzione del contratto a termine su titoli, disponendosi che una delle parti contraenti deve all'altra l'eventuale differenza tra il prezzo dei titoli fissato in contratto e il prezzo corrente nel giorno della scadenza del contratto medesimo. Il richiamo a usi diversi, fatto nell'articolo predetto, si riferisce alla pratica, costante in materia di contratti a termine stipulati per il tramite di agenti di cambio, di effettuare la proroga del contratto impiegando la forma estrinseca del riporto, senza che peraltro vi si accompagni la consegna effettiva dei titoli, richiesta per il riporto dall'art. 1549 del c.c., e richiesta già, come è noto, dal secondo comma dell'art. 73 del codice di commercio. Si pose a carico di una delle parti l'eventuale differenza tra i prezzi, assumendo come termini di riferimento, da un lato il prezzo dei titoli fissato in contratto, dall'altro il c. d. prezzo di compenso, stabilito mensilmente dagli organi sindacali degli agenti di cambio. Poichè i contratti a termine su titoli possono stipularsi anche senza il tramite di un agente di cambio, con l'art. 1536 del c.c. si è rinviato, per la disciplina dell'inadempimento di essi, ai principii generali della vendita (articoli 1515 e 1516). Invece, quando i contratti stessi sono stipulati per il tramite degli agenti di cambio, gli effetti dell'inadempimento devono intendensi regolati dal r. d. 80 giugno 1932, n. 815; mentre sono disciplinati dalle norme del r. d. 20 dicembre 1932, n. 1607, quando i contratti si stipulano direttamente fra le parti, ma una di esse è iscritta nello speciale albo previsto da quest'ultimo regio decreto.

Massime relative all'art. 1531 Codice Civile

Cass. civ. n. 17088/2008

Nel trasferimento di titoli azionari, l'adempimento delle formalità prescritte dall'art. 2022, primo comma, c.c. (c.d. transfert) non costituisce condizione di perfezionamento dell'acquisto o di produzione dell'effetto reale traslativo della proprietà del titolo, ma attiene alla fase esecutiva, certificativa e pubblicitaria del trasferimento, incidendo soltanto sulla legittimazione del nuovo socio; quest'ultimo, peraltro, pur non potendo esercitare alcun diritto sino a quando non si sia provveduto alle predette formalità (salvo quello di partecipare alle assemblee con le modalità previste dall'art. 4 della legge 29 dicembre 1962, n. 1745), è pur sempre titolare del diritto di proprietà sul titolo, per il cui trasferimento non è quindi necessaria la redazione del c.d. fissato bollato, imposta per ragioni fiscali inerenti alla conclusione dei contratti di borsa, e non avente neppure una funzione .surrogatoria o comp)ementare rispetto all'esecuzione del transfert, ma solo di ulteriore documentazione di una cessione meramente consensuale.

Cass. civ. n. 17030/2008

In tema di prova dei contratti di borsa, il c.d. fissato bollato, che sul piano fiscale assolve ad una funzione probatoria di pagamento dell'imposta, quale dichiarazione che le parti fanno al Fisco in relazione ad atti a forma libera, sul piano civile è suscettibile di apprezzamento come indizio, in quanto, contenendo una dichiarazione resa comunque anche "inter partes", costituisce un documento utile ai fini della ricostruzione del contenuto dell'operazione che le parti hanno inteso compiere. (Rigetta, App. Milano, 27 Febbraio 2004).

Cass. civ. n. 28260/2005

L'ordine di borsa per l'acquisto di azioni nella forma del contratto a premio semplice, denominato "dont" (contratto che conferisce all'acquirente la facoltà di scegliere, entro un determinato termine di scadenza, fra il ritiro dei titoli acquistati, dietro pagamento del prezzo maggiorato del premio, o il recesso dall'acquisto di detti titoli con abbandono del premio), determina per chi lo riceve - quale che si ritenga essere la natura dell'ordine di borsa, e anche se si dubiti trattarsi di un vero e proprio mandato all'acquisto - un dovere di esecuzione connotato da obblighi di diligenza, la quale si riferisce anche all'esercizio della facoltà di scelta sopra richiamata, e di rispetto dei principi di correttezza e buona fede, che presidiano ogni tipo di esecuzione contrattuale e che, in ogni ipotesi di gestione di affari altrui, sono caratterizzati dalla diligenza richiesta in tema di mandato dagli artt. 1710 e ss. cod. civ.; ne consegue che ai medesimi principi si ricollega anche l'obbligo, specificamente previsto dal secondo comma dell'art. 1711 cod. civ., di discostarsi dalla istruzioni ricevute (ancorchè eventualmente queste siano rigide e specifiche) solo quando si profilino circostanze nuove, che non sia possibile comunicare al mandante in tempo utile, ma in presenza delle quali sia ragionevole presumere l'approvazione del medesimo mandante.

Cass. civ. n. 21641/2005

Nel caso di vendita a termine di titoli azionari, il diritto di recesso contemplato dall'art. 2437 c.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L.vo 17 gennaio 2003, n. 6, applicabile nella specie ratione temporis) - a differenza del diritto di opzione e degli altri diritti presi in considerazione dagli artt. 1531 ss. c.c. - non passa immediatamente in capo al compratore, ma resta di spettanza del venditore fino al momento in cui, col maturare del termine, questi non abbia perso la titolarità delle azioni. Dai citati artt. 1531 ss. c.c. - destinati a risolvere specifiche situazioni di contrapposizione d'interessi tra compratore e venditore in ipotesi di vendita a termine di titoli di credito - non può infatti dedursi l'esistenza di un regola generale, in forza della quale, nel caso di vendita a termine di titoli azionari, tutti i diritti sociali si trasmettono immediatamente al compratore, con la sola eccezione del diritto di voto menzionato dal secondo comma dell'art. 1531. Né, d'altra parte, è ipotizzabile l'applicazione analogica al diritto di recesso della disciplina prevista per il diritto di opzione - che in pendenza del termine compete al compratore, ai sensi dell'art. 1532 - trattandosi di istituti di fondamento logico ben diverso: giacché l'uno - il diritto di opzione - è destinato ad assicurare a ciascun socio la possibilità di mantenere la preesistente percentuale di partecipazione in caso di aumento del capitale, e dunque esprime una esigenza di stabilità nel rapporto reciproco tra i soci; mentre l'altro - il diritto di recesso - è finalizzato a porre termine alla partecipazione sociale, consentendo al socio che dissente da determinate decisioni della maggioranza, modificative dell'assetto della società, di fuoriuscire dalla compagine societaria.

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