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Articolo 1447 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Contratto concluso in istato di pericolo

Dispositivo dell'art. 1447 Codice Civile

Il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal pericolo attuale(1) di un danno grave alla persona, può essere rescisso sulla domanda della parte che si è obbligata.

Il giudice nel pronunciare la rescissione può, secondo le circostanze, assegnare un equo compenso all'altra parte per l'opera prestata.

Note

(1) La nozione di stato di pericolo si ricava ai sensi dell'art. 2045 del c.c. e dell'art. 54 del c.p. ma, a differenza di quanto il codice civile richiede in tema di stato di necessità (2045 c.c.), il pericolo che qui rileva è anche quello causato dal soggetto stesso ovvero quello che egli poteva evitare. Tale pericolo deve essere non solo noto alla controparte ma questa deve anche trarne un lucro.

Ratio Legis

Nella rescissione, a differenza dell'annullabilità (v. 1425 ss. c.c.), il legislatore non tutela la libera volontà del contraente ed il suo corretto formarsi quanto l'oggettivo equilibrio del contratto circa il profilo dell'equità. Tuttavia, poichè lo stato di pericolo non dipende da fatto della controparte, anch'essa ha diritto ad un ristoro per il pregiudizio subito.

Brocardi

Metus ab intrinseco

Spiegazione dell'art. 1447 Codice Civile

Lo stato di necessità da pericolo

Già si è posto in rilievo come, nella specie presa in considerazione da questo articolo, minacciata dal pericolo debba essere la per­sona (del contraente o di un terzo) e non sia invece sufficiente la minaccia diretta contro le cose, per quanto pregevoli esse siano; si è del pari veduto come, appunto a causa del particolare valore individuale e sociale del diritto che è oggetto della lesione, la norma non ponga, in ordine alla «iniquità» dell'obbligazione assunta, un limite esteriore di sufficiente proporzionalità, come per la lesione, di cui all'art. 1448, ma si rimetta alla valutazione discrezionale del magistrato e non richieda il perdurare della lesione sino al momento della proposizione dell'azione.

Le applicazioni del concetto sono chiare. Versa nello stato di necessità da pericolo contemplato nell'articolo in esame chi sta per soccombere a una aggressione, subendo la morte o una lesione personale o la violenza carnale o una menomazione della libertà personale; chi sta per soccombere all'azione bellica, al naufragio, alla fame, alla sete, al freddo e simili; versa invece nello stato di bisogno preso in considerazione nell'articolo successivo — oltre a colui che si induce a cedere per prezzo vile la cosa sotto la pressione del pericolo di perderla ove non la ceda — chi subisce l'azione costrittiva della propria insufficienza economica e non ha i mezzi patrimoniali per acquistare le derrate alimentari che gli occorrono, per pagare i suoi debiti e simili.

Potrebbe a prima vista, sorgere qualche dubbio sulla collocazione di talune situazioni: così potrebbe parere che chi non ha in casa il contante necessario per alimentarsi o per procurarsi un ricovero, ed è quindi minacciato da morte o infermità, per inedia o per freddo, sia nelle condizioni di «pericolo attuale di un danno grave alla persona», e altrettanto potrebbe dirsi, all'infuori delle ipotesi di danno alla persona fisica, in quelle di danno alla persona morale, se ad es. si trattasse di salvarsi dal disonore del fallimento o di una denuncia penale infamante. A ben guardare peraltro, in tutti questi casi, più che il pericolo per la vita, ricorre lo stato di bisogno, cioè la mancanza di denaro. Se io non ho il danaro per acquistare i viveri o le medicine, è quella mancanza che determina, in ipotesi, il pericolo per la vita: il che vuol dire che non è quest'ultimo pericolo la causa immediatamente efficiente, cioè determinante, del ricorso all’usuraio.


Il pericolo attuale di un danno grave

E’ appena il caso di avvertire che:
a) pericolo è la probabilità (non la certezza) di un male futuro, probabilità da valutarsi sulla base del giudizio dell'uomo medio;
b) ai fini della valutazione dell'attualità del pericolo, non ha importanza che il danno abbia a trovar luogo in un tempo più o meno prossimo; quel che interessa è che, per evitarlo, si imponga un cornportamento attuale;
c) danno — lo abbiamo già detto — può derivare così da forza di natura non umana come da forza umana (ed in quest'ultimo caso - lo si è pure veduto – ciò che distingue la fattispecie da quella della violenza è la mancanza, in chi pone in essere il pericolo, dell'intenzione di estorcere con quel mezzo il consenso al contratto);
d) il danno, a differenza di quanto vale per la fattispecie della violenza (art. 1435 cod. civ.), non deve necessariamente essere «ingiusto»;
e) la tutela legislativa è esclusa quando il danno de quo non abbia carattere di gravità.


Irrilevanza della estraneità o meno del soggetto al processo causale dello stato di necessità e della inevitabilità o meno del pericolo

La formula usata per designare lo stato di necessità è letteralmente identica a quella adoperata dagli articoli 2045 cod. civ. e 54 cod. pen. per disporre la attenuata responsabilità civile nel primo caso, la irresponsabilità penale nel secondo, di chi ha commesso, in quello stato, un illecito dannoso: non sono peraltro qui ripetute (e non tornano quindi applicabili) le due condizioni limitatrici contenute nei due testi sopra citati: la estraneità del soggetto al processo causale dello stato di necessità e la inevitabilità del pericolo altrimenti che con l'assunzione delle obbligazioni inique.

Ed è logico che sia così.

L'apposizione di condizioni limitative si comprende negli articoli 2045 cod. civ. e 54 cod. pen. ove si tratta di derogare alla tutela normale dei diritti soggettivi ingiustamente violati; nella specie in esame per contro non sussiste questo conflitto di interessi o diritti antagonistici, che si trattava colà di contemperare: data la intenzionale illegittimità della azione del contraente esoso e la obbiettivamente ingiustificata locupletazione, non possono aver rilievo né la causalità dello stato di ne­cessità né la evitabilità dello stesso con mezzi diversi dalla assunzione delle obbligazioni inique.


Oggetto della prestazione della parte che approfitta dello stato di necessità

La prestazione di chi abusa dello stato di necessità può avere qualsiasi oggetto. Né varrebbe cercar di argomentare in contrario da ciò che l'art. 1447, 2° comma parla di «opera prestata»; è evidente infatti come tale espressione abbia una portata solo letteralmente restrittiva, e sia stata adoperata verosimilmente perché il legislatore aveva presente, a modo di paradigma, la ipotesi statisticamente più frequente, cioè quella di chi si adopera per salvare uno del suo prossimo che versa in pericolo; come, pertanto, nella intenzione della legge vi si comprendano tutte le altre ipotesi affini, e perciò si imponga la interpretazione estensiva. Non si capirebbe infatti perché dovrebbe essere soggetto a rescissione chi strozza il naufrago per portarlo a riva con l'attività del nuotare, e non chi lo strozza per dargli in uso o per vendergli la sua barca; chi strozza per un atto di personale assistenza sanitaria, e non per la somministrazione di medicinali; chi strozza per portare in salvo a braccia la vittima di un inseguimento minaccioso, non chi strozza per aprirle le porte della propria casa e ivi ricoverarla.

Oggetto della prestazione della vittima

Le considerazioni testè fatte inducono ad analoga conclusione per quanto concerne la prestazione della vittima dello stato di necessità; e ciò nonostante che la norma parli di assunzione di obbligazione («contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni»; «parte che si è obbligata»), mentre l'art. 1448 si riferisce più genericamente a «la prestazione di una parte» ed a «quella dell'altra: deve pertanto ritenersi che rientrino nell'ambito della norma anche i casi di modifica del debito o del credito della vittima, di estinzione di un suo credito, di perdita di un diritto reale da parte sua ecc.


Potere del giudice di attribuire un compenso a tale parte

il secondo comma dell’articolo non abbisogna di commento. La rescissione del contratto non è naturalmente di ostacolo a che la parte chieda con azione autonoma il compenso per la prestazione effettuata; la norma consente inoltre al giudice di pronunciare su tale compenso, da determinarsi in via equitativa, nello stesso giudizio di rescissione.
A differenza di quanto stabilito nell'art. 209 del progetto ministeriale, questa è peraltro la sola facoltà concessa al giudice, il quale non ha più il potere di ridurre o modificare le obbligazioni assunte dal leso. E opportunamente in quanto, col ridurre e modificare tali obbligazioni, si opererebbe una modifica del rapporto contrattuale.

Quest'ultima norma si presenta a prima vista, come un’applicazione del principi generali sul pagamento dell'indebito. Una volta pronunciata la rescissione, infatti, la parte si trova ad aver effettuato una prestazione senza causa; donde il suo diritto alla ripetizione, che - trattandosi di «opera prestata » - si converte nel diritto al valore di questa.

Non si tratta peraltro di applicazione pura e semplice, essendo — come si è veduto — l'assegnazione del compenso subordinata ad una valutazione dells circostanze, operata con potere discrezionale dal giudice, e potendo, per di più, la determinazione dell'ammontare del compenso essere fatta, non già con rigoroso riferimento al valore dell'eseguita prestazione, ma in base a criteri equitativi.

Tali criteri valgono naturalmente anche nel caso in cui il compenso venga richiesto con azione autonoma, in separato giudizio.


Inapplicabilità dell'art. 1447 ad ipotesi diverse da quella prevista

E’ appena il caso di avvertire che l’art. 1447, per il suo carattere eccezionale, non può essere applicato per analogia ad ipotesi non previste nella norma.

Relazione al Libro delle Obbligazioni

(Relazione del Guardasigilli al Progetto Ministeriale - Libro delle Obbligazioni 1941)

184 Con l'art. 211 viene assunto a principio generale del diritto positivo l'art. 7 della legge 14 giugno 1925, n 938 sull'assistenza e sul salvataggio marittimo: l'articolo viene adattato alla situazione più vasta che deve regolare, e se ne migliora la formulazione.
Lo state di pericolo a cui accenna l'art. 211 è diverso da quello di necessità che sta alla base dell'art. 20. Questo coincide, come si è detto, con la situazione disciplinata nell'articolo 54 cod. pen., ed è esatta tale coincidenza perché, in entrambi i casi, si può concedere all'autore dell'illecito una impunità basata sulla posizione in cui è venuto a trovarsi. Ma, nel caso di contratto concluso nella situazione di pericolo, c'è da tutelare la vittima di un illecito altrui, essendo sostanzialmente illecito l'approfittare della mancanza di libertà del volere in cui trovavasi chi è minacciato di grave danno. Donde, per la diversità di situazione, si imponeva l'adattamento della nozione dell'art. 54 cod. pen.
Questo adattamento si è fatto ammettendo che il contratto è annullabile, anche se il pericolo è volontariamente causato da colui che vi si trova poi esposto; una minorata volontà opera pure, allora, impedendo la valutazione della convenienza del contratto. L'annullabilità del contratto non dovrà escludersi nemmeno se il pericolo era altrimenti evitabile: lo stato di pericolo è un quid facti che riduce la libertà di determinazione, indipendentemente dalla colposità della sua origine.
Si escluda l'influenza del pericolo in cui versano i beni propri o quelli altrui: la libertà di determinazione, che può non esistere quando c'è un pericolo della vita, non viene meno per il solo effetto dello stato di pericolo che incombe sui beni.
L'opportunità di generalizzare la norma vigente nella sfera marittima è dimostrata dal fatto che già de iure condito la dottrina ha esteso a fattispecie diversa da quella legislativa il rapporto che la medesima pone tra stato di pericolo e validità del contratto, facendo una casistica che va dalla convenzione conclusa dal prigioniero minacciato nella vita con chi deve cooperare alla sua liberazione, alla convenzione del malato non il medico che non ha coscienza dei suoi doveri e dell'alpinista preso dai vortici di una tormenta con la guida alpina che potrebbe soccorrerlo.
Non si prevede una annullabilità per reticenza, come si fa nell'art. 7 della legge 14 giugno 1925, n. 938, dato il carattere generale che assume la forma dell'art. 211: l'ordinamento giuridico nostro solo in via di eccezione assume la reticenza stessa come motivo di annullamento del contratto (art. 429 cod. comm.), e non mi pare che sia il caso di modificare tale sistema.
185 Il solo stato di pericolo non è, però, considerata causa d'invalidità se il contenuto del contratto non ripugna ai principi di equità e di proporzione. Il riferimento all'equità è giustificato dal fatto che oggetto del contratto può essere una prestazione non valutabile economicamente, rispetto alla quale potrebbe rimanere offeso solo un principio di proporzione giuridica o di humanitas.
La sproporzione o l'iniquità, essendo un indice dello stato di minorazione in cui si è trovato il contraente, dovrà essere apprezzata dal giudice rispetto al caso singolo. Non si è ritenuto di fissare un limite minimo, come è stato fatto per l'azione di lesione, perché, data la più grave situazione subiettiva in cui versa il soggetto nel caso di pericolo, è bene lasciare al giudice l'apprezzamento della iniquità e della sproporzione che, peraltro, devono assumere, per avere rilievo, carattere di gravità.

Relazione al D.Lgs. 6/2003

(Relazione illustrativa del decreto legislativo recante: "Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della legge 3 ottobre 2001, n. 366.")

186 Per attenuare le conseguenze di un potere illimitato della parte di chiedere l'annullamento del contralto, la norma attribuisce al giudice il potere di ridurre o di altrimenti modificare le obbligazioni assunte.
Anche nella legge sull'assistenza e sul salvataggio marittimo si prevede un potere del giudice di regolare il contratto concluso in istato di pericolo; di esso il giudice si gioverà quando sarà possibile, tenuto conto che l'ordinamento giuridico mira, in via di massima, a conservare il contratto, e che non v'è ragione di distruggerlo quando, alla volontà delle parti, può darsi un valore effettivo eliminando il vizio che la inficia.
Poiché, a seguito del contratto, si è concretamente evitato il timore per la vita e per la salute della parte che non fu libera nel suo consenso, non corrisponderebbe ad una sana giustizia annullare il vincolo, mantenere nella sfera di un contraente il vantaggio che l'altra parte le ha recato e non attribuire a costei un qualsiasi compenso. L'annullamento potrebbe dar luogo ad una iniquità non minore di quella che si vuole riparare con il pronunziarlo; non si potrebbe, del resto, negare, alla parte che subisce l'annullamento, il diritto di ottenere, con azione autonoma successiva o con temporanea, il compenso per il vantaggio che essa ha prodotto.
La norma dell'art. 211 consente, così, in sostanza, di decidere in unico processo sui diritti che spettano alla parte che opera in favore di chi era in pericolo.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

657 Per i contratti conclusi in stato di pericolo, gia la legge 14 giugno 1925, n. 938, sull'assistenza marittima, riprendendo l'art. 127 del codice della marina mercantile, aveva dettato norme applicabili all'ambito della navigazione per mare. Si trattava di generalizzarle, e l'art. 1447 del c.c., primo comma, vi ha provveduto, subordinando l'azione a due presupposti precisi: l'iniquità delle condizioni a cui ha dovuto soggiacere uno dei contraenti, e il pericolo al quale egli ha voluto ovviare. Il pericolo può riguardare la persona del contraente stesso o quella di un terzo; da codesto aspetto la nozione di stato di pericolo, posta nell'art. 1447, primo comma, si identifica con quella di stato di necessità descritta nell'art. 54 del c.p. e nell'art. 2045 del c.c. di questo codice. Peraltro non si è voluto escludere dal suo ambito anche la situazione psicologica ricollegata ad uno stato di pericolo volontariamente causato o evitabile, che produce egualmente una minorazione nella libertà del volere, per quanto non determini una condizione di non punibilità. Nella maggior parte dei casi lo stato di pericolo influenza i contratti che hanno per oggetto una locazione di opera a favore di chi si è obbligato a condizioni inique. L'opera della controparte è stata però prestata e merita compenso; e pertanto la rescissione dà diritto alla parte che la subisce di conseguire una retribuzione, proporzionatamente al servizio svolto (articolo 1447, secondo comma).

Massime relative all'art. 1447 Codice Civile

Cass. civ. n. 22567/2015

In tema di contratti di scambio, lo squilibrio economico originario delle prestazioni delle parti non può comportare la nullità del contratto per mancanza di causa, perché nel nostro ordinamento prevale il principio dell'autonomia negoziale, che opera anche con riferimento alla determinazione delle prestazioni corrispettive. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata per avere ritenuto la nullità di un contratto di cessione di quote sociali in ragione dell'eccessiva sproporzione esistente tra il valore effettivo delle quote ed il prezzo di cessione).

Cass. civ. n. 3635/2013

La transazione stipulata tra l'impresa capogruppo di una associazione temporanea di imprese (ATI) e l'amministrazione committente vincola tutte le imprese partecipanti all'ATI, delle quali la capogruppo ha la rappresentanza. Tale transazione non può, pertanto, essere rescissa ex art. 1447 c.c. per il solo fatto che l'amministrazione, nel concluderla, abbia tratto vantaggio dallo stato prefallimentare della impresa capogruppo stipulante; sia perché nella suddetta ipotesi lo stato di pericolo dello stipulante, per condurre alla rescissione del contratto, deve riguardare tutte le imprese partecipanti all'ATI e non una soltanto di esse; sia perché, in ogni caso, il fallimento della società capogruppo non comporta lo scioglimento dell'intero contratto di appalto, il quale può proseguire, se le altre imprese partecipanti all'ATI provvedano a nominare una nuova capogruppo che abbia il gradimento del committente, il che rende inconcepibile uno "stato di pericolo" per le imprese transigenti.

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Alessandro chiede
venerdì 03/01/2014 - Veneto
“Buongiorno,

è ammissibile la rescissione di contratti unilaterali e plurilaterali?”
Consulenza legale i 06/01/2014
In merito al quesito proposto, è opportuno indicare che la dottrina appare divisa sul punto.
Parte della dottrina ritiene applicabile al contratto plurilaterale il rimedio della rescissione per lesione. A fondamento di tale assunto vengono invocati elementi di diritto positivo tra cui il disposto dell'art. 2265 del c.c. "patto leonino", in base al quale è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite. Tuttavia, è bene precisare che tale nullità non importa in ogni caso la nullità della società, a differenza della lesione e della conseguente rescissione che colpisce l’intero contratto ai sensi dell'art. 1448 del c.c..
Ancora, è stato invocato il disposto contenuto all'art. 2263 del c.c., in merito alla proporzionalità nella ripartizione dei guadagni e delle perdite nella società semplice. In caso di violazione della suddetta proporzionalità non sorge il diritto all'azione di rescissione.
Pertanto, alcuni autori a fronte dell'insufficienza di tali deduzioni hanno sostenuto quanto contenuto negli artt. 1420 e ss. e cioè che il contratto plurilaterale non sia soggetto a rescissione per lesione.
Diversamente, altra parte della dottrina (si cfr. Maiorca) sostiene anche nei confronti della rescissione dei contratti plurilaterali la necessità di distinguere la rescissione del rapporto di una parte che coinvolga le rimanenti parti (e quindi l’intero contratto) da quella che lasci sussistere il contratto stesso. L'elemento di discrimine viene individuato nella “essenzialità” o meno della partecipazione del contraente su cui si appunta la causa prima di rottura del vincolo contrattuale. La conseguenza a cui giunge tale parte della dottrine è quella di ritenere estensibili alla fattispecie della rescissione gli artt. 1420, 1446 e 1459 del c.c..
Infine, in merito alla possibilità di applicare il rimedio della rescissione ai contratti unilaterali la dottrina prevalente la esclude, in quanto è un rimedio previsto dal nostro ordinamento per i contratti a prestazioni corrispettive.