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Articolo 124 bis Testo unico bancario

(D.lgs. 1 settembre 1993, n. 385)

[Aggiornato al 11/01/2024]

Verifica del merito creditizio

Dispositivo dell'art. 124 bis Testo unico bancario

1. Prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente.

2. Se le parti convengono di modificare l'importo totale del credito dopo la conclusione del contratto di credito, il finanziatore aggiorna le informazioni finanziarie di cui dispone riguardo al consumatore e valuta il merito creditizio del medesimo prima di procedere ad un aumento significativo dell'importo totale del credito.

3. La Banca d'Italia, in conformitą alle deliberazioni del CICR, detta disposizioni attuative del presente articolo.

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Consulenze legali
relative all'articolo 124 bis Testo unico bancario

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Pier G. C. chiede
sabato 24/11/2018 - Toscana
“Se la banca concede un finanziamento vedi articolo 124 bis TUB conoscendo che il cliente non era nelle condizioni di pagare le rate del contratto di mutuo, di guisa la banca ha commesso un illecito civile con dolo. Domando è possibile chiedere al giudice l'annullamento del contratto?”
Consulenza legale i 29/11/2018
Normalmente ciò di cui vengono accusate le banche o i finanziatori in generale è di non voler concedere somme a prestito, adducendo che il cliente non ha i requisiti minimi per poter ottenere il finanziamento richiesto.
La casistica, infatti, è molto ricca in materia di responsabilità della Banca per negata concessione del credito, leggendosi in numerose decisioni dell’Arbitro bancario Finanziario che deve riconoscersi una responsabilità precontrattuale della banca in tutti quei casi in cui, a seguito di una istruttoria completa, giunta a trattative avanzate, che abbiano ingenerato l’affidamento del richiedente all’ottenimento del credito, quest’ultimo venga infine negato (si riconosce al consumatore un risarcimento non per il denegato credito, ma per l’affidamento deluso, ravvisandosi una violazione dei doveri di cui all’art. 1337 del c.c.)

In questo caso, al contrario e quasi paradossalmente, si vuole “rimproverare” alla banca di aver accordato fiducia al cliente erogandogli quella somma di denaro di cui magari aveva necessità per realizzare un suo desiderio (normalmente coincidente con l’acquisto di una casa), volendosi così ribaltare in qualche modo sul finanziatore la responsabilità della successiva insolvenza del finanziato.

Tuttavia, malgrado possa trattarsi di un’ipotesi più rara, sia la dottrina che la giurisprudenza si sono in effetti occupati di tale problematica, ovvero della responsabilità ascrivibile al finanziatore che si determini a concedere un credito ad un soggetto che, a seguito della prescritta istruttoria, si riveli incapace di far fronte agli obblighi assunti.

Si è a tal proposito parlato, in termini generali, di un divieto legale del finanziatore di contrarre in presenza di situazioni finanziarie non solide, ovvero di un divieto di concludere contratti che non siano sostenibili in relazione alle capacità reddituali del soggetto.
La fonte di tali divieti la si può rinvenire non soltanto nell’art. 124 bis T.U. Bancario, richiamato nel quesito, ma anche nel quinto comma dell’art. 124 del T.U. bancario, da cui si fa discendere la sussistenza in capo al finanziatore dell’obbligo di prestare un più complesso servizio che può definirsi di assistenza/consulenza.

Prima di analizzare gli eventuali profili di responsabilità e gli strumenti per far valere tale responsabilità, si ritiene indispensabile fare una precisazione: nessun addebito può imputarsi al finanziatore se il debitore sia risultato solvibile ad una regolare verifica del merito creditizio e l’impossibilità di restituire le somme prese a prestito sia soltanto sopravvenuta.
Ciò significa che una responsabilità per violazione dell’art. 124 bis TUB può invocarsi in tutti quei casi in cui il finanziatore, violando le regole della diligenza professionale e ancor prima il principio della buona fede, si determini a concedere il credito in seguito ad una verifica del merito creditizio che risulti sommaria, incompleta e non attenta, magari basata sulle sole informazioni fornite dal consumatore (ipotesi questa, comunque, ammessa dallo stesso art. 124 bis TUB, che considera la consultazione della banca dati come uno strumento cui ricorrere solo “ove necessario”).

Il legislatore non si occupa in alcun modo dei rimedi a cui ricorrere nel caso in cui venga concesso credito in violazione dell’art. 124 bis, neppure sotto il profilo delle conseguenze cosiddette pubblicistiche, consistenti nell’irrogazione di sanzioni da parte delle autorità di vigilanza per il danno arrecato al sistema creditizio.
Tutto ciò che si rinviene in materia, dunque, è solo frutto dell’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale.

Così, tralasciando la tesi secondo cui, in casi come questo, non può configurarsi in capo alla banca alcuna responsabilità sul piano civilistico, ma soltanto una violazione del principio di sana e prudente gestione, sanzionabile da parte della sola Autorità di vigilanza, vediamo quali sono le altre teorie che potrebbero in qualche modo risultare di ausilio al mutuatario incolpevole.

Sotto il profilo dei rimedi contrattuali, è stato ritenuto ammissibile il ricorso all’annullamento del contratto per vizio del consenso, purchè si riesca a dare prova della sussistenza dei presupposti dell’errore e del dolo; in tal senso si è anche pronunciato l’Arbitro Bancario Finanziario (Collegio di Milano, decisioni n. 107 del 17.05.2011 e n. 936 del 29.03.2012), il quale ha ritenuto possibile chiedere ed ottenere l’annullamento del contratto ex art. 1439 del c.c. qualora si riesca a dimostrare il raggiro o l’errore da parte del finanziatore ai danni del cliente.

Secondo altra tesi, anch’essa accreditata, una condotta di tale tipo da parte della banca sarebbe da qualificare come contraria ai doveri di correttezza e buona fede, con conseguente configurabilità in capo alla Banca stessa di una responsabilità risarcitoria ex art. 1337 del c.c.
Anche tale soluzione ha ricevuto l’avallo dell’Arbitro bancario Finanziario il quale, in molte decisioni, ha affermato che l’erogazione del credito, anche se non può mai configurarsi come un obbligo in capo alla Banca, debba pur sempre avvenire nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, oltre che degli specifici parametri che informano l’attività bancaria (in tal senso si veda Collegio di Roma decisioni n. 437 del 26.05.2010, n. 300 del 02.02.2012, n. 2625 del 30.07.2012, n. 289 del 14.01.2013).

Per quanto riguarda il danno risarcibile, si ritiene che, qualora ad una verifica del merito creditizio non rispettosa della diligenza e della correttezza, consegua la concessione di credito ad un soggetto che non sarà in grado di restituire le somme ricevute, potrà configurarsi una responsabilità risarcitoria del finanziatore nei confronti del consumatore, purchè possa ravvisarsi un danno che, ex art. 1223 del c.c. ne sia conseguenza immediata e diretta e purchè tale danno sia anche prevedibile nel momento in cui il creditore effettua l’accertamento.
Sotto quest’ultimo profilo (quello della prevedibilità del danno) non sembra possano sussistere dei dubbi, argomentandosi dalla posizione qualificata che riveste il finanziatore e che gli impone un’attenta opera di valutazione dei rischi connessi all’operazione creditizia.

Viene in linea generale escluso, invece, che il debitore consumatore possa essere in qualche modo esonerato dall’obbligo di restituire le somme in conseguenza della condotta tenuta dal finanziatore, in quanto in tal caso il mancato rimborso assumerebbe quasi la natura di una sanzione per il comportamento poco avveduto della banca (non è pensabile che l’incapacità del consumatore di far fronte alle proprie obbligazioni sia riconducibile esclusivamente alla condotta del finanziatore).
Peraltro, si fa osservare che lo stesso mutuatario, a fronte della concessione del credito, ha comunque la possibilità di conseguire immediatamente un vantaggio, derivante dalla disponibilità di somme di denaro prima non presenti nel suo patrimonio, somme che potrebbe anche impiegare per ripianare i debiti pregressi ed acquisire merito creditizio.

Stante ciò, qualora la banca, dopo aver concesso immeritatamente il credito, decida di agire in via giudiziale per il recupero coattivo di esso, il consumatore convenuto potrà eccepire che la mancata restituzione è dipesa anche dalla condotta negligente della banca; a quel punto spetterà al giudice investito della questione il compito di valutare il complessivo iter che ha portato all’erogazione del credito, analizzando le condotte in concreto tenute da entrambe le parti onde valutarne le rispettive responsabilità.

Un’ultima osservazione si ritiene indispensabile dover fare: a parte certamente la difficoltà di portare avanti una causa di tal genere (in quanto molto complessa), ciascuna delle teorie sopra illustrate e delle azioni da esse conseguenti potrà invocarsi sul presupposto che il cliente consumatore sia un soggetto che abbia operato nel rispetto del principio di correttezza, senza che al medesimo possa imputarsi alcuna condotta fraudolenta per mezzo della quale abbia potuto alterare l’esito dell’istruttoria condotta dal finanziatore.