94
Il comma 1 corrisponde al comma 1 del vigente art. 80.
Durante i lavori della Commissione era emersa l’eventualità di alleggerire vieppiù l’articolato, allocando in un apposito allegato sia l’elencazione dei reati comportanti esclusione obbligatoria, di cui al comma I dell’art. 80 del decreto legislativo n. n. 50 del 2016, che l’elencazione delle figure soggettive destinatarie delle cause di esclusione obbligatoria di cui al comma 3 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016.
Tuttavia, anche per consentire una rapidità di consultazione e la lettura unitaria dell’articolato, si è preferito conservare immutato il comma 1 dell’art. 94 (corrispondente al comma 1 dell’art. 80 del decreto legislativo n. n. 50 del 2016) e di mantenere in seno all’articolo il comma III relativo alle figure soggettive (corrispondente al comma III dell’art. 80 del decreto legislativo n. n. 50 del 2016) seppur con le modifiche che saranno di seguito illustrate.
Il comma 2 (corrispondente al comma 2 del vigente art. 80) è stato modificato nei termini che seguono: armonicamente alla generale disciplina sul self-cleaning di matrice europea (quest’ultima contenuta ai commi 2-6 dell’art. 96 ) è stata prevista l’inoperatività della causa di esclusione discendente dall’emissione di una misura interdittiva antimafia ove l’impresa sia stata ammessa al controllo giudiziario ex art. 34 bis del decreto legislativo n. 159/2011 entro la data dell’aggiudicazione; nell’Atto di segnalazione Anac n. 3 del 27 luglio 2022 (e nelle successive proposte emendative del 25 luglio 2022) si era fatta presente l’opportunità di “allineare l’ambito soggettivo di applicazione del requisito previsto dall’art. 80, comma 2, decreto legislativo n. 50/2016, rispetto ai soggetti sottoposti alle verifiche antimafia ai sensi dell’art. 85 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (d.lgs. n. 159/2011)”.
L’osservazione è stata approfonditamente ponderata, ma tenuto conto dell’amplissimo spettro soggettivo di cui all’elencazione contenuta nella disposizione in ultimo citata (cfr. lett. e) del medesimo art. 85 del decreto legislativo n. 159 del 2011) si è ritenuto corretto “confermare” l’opzione contenuta nel vigente codice e non allargare vieppiù il perimetro soggettivo; esso è stato pertanto ancorato (come già nel codice vigente) ai soggetti elencati al comma 3 del testo proposto.
Quanto ai commi 3 e 4 (corrispondenti al comma 3 dell’art. 80):
a) la indicazione delle figure soggettive cui riferire la causa di esclusione (che si è ritenuto di conservare in quanto è stata di ausilio per la giurisprudenza) è stata mantenuta in seno all’articolato (originariamente, come prima chiarito, si era ipotizzato di dislocarla in un allegato al codice alleggerendo l’articolato);
b) è stata espunta la disposizione del comma 3 dell’art. 80 in punto di esclusione per fattispecie attingente i soggetti cessati, in quanto non presente nella direttiva; del pari è stato espunto il riferimento del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro; ciò non sembra implicare alcun indebolimento delle esigenze di tutela sociale e di legalità e trasparenza degli affidamenti pubblici, anche laddove si consideri che il comma 3, nel fare riferimento alla formulazione “casistica”, contempla (innovativamente rispetto al testo del “corrispondente” comma 3 dell’art. 80) la figura dell’ ”amministratore di fatto” (con ciò recependosi un consolidato quanto avveduto orientamento della giurisprudenza). In sostanza, è sembrato che il riferimento ai soggetti cessati, per un verso comportasse un inutile appesantimento dei possibili oneri in capo agli offerenti, e, per altro verso, fosse privo di giustificazione, in quanto riferibile a soggetti non facenti (più) parte della compagine societaria e suscettibile di trovare “copertura”, nella ipotesi di strumentale cessazione dalla carica e continuazione dell’attività gestoria, nel riferimento all’amministratore di fatto e che analoghe considerazioni potessero traslarsi alla figura del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro.
Più in particolare si fa presente che:
quanto all’estensione del contagio anche ai membri del consiglio di amministrazione privi del potere di rappresentanza si osserva quanto segue:
I) la nozione di membro del consiglio di amministrazione non è detto si riferisca anche ad amministratori privi di rappresentanza in quanto:
- in alcuni stati membri la funzione di amministratore si accompagna al potere di rappresentanza (Germania);
- anche nel diritto interno è così in termini generali, salvo diversa decisione convenzionale, nelle società semplice, nella società in nome collettivo e nella società in accomandita semplice “fra le funzioni di cui gli amministratori sono per legge investiti vi è anche quella di rappresentanza della società; - quanto sopra anche in relazione ai soci accomandatari della società in accomandita semplice (rinvio dell’art. 2315 c.c.);
- nella società a responsabilità limitata “gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società” e “le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dall'atto costitutivo o dall'atto di nomina, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società” (art. 2475 bis c.c.), non così nella società per azioni;
- l’art. 9 della direttiva n. 1132 del 2017 (sulle società) fa riferimento al potere di rappresentanza degli organi “gli atti compiuti dagli organi sociali obbligano la società nei confronti dei terzi”;
- la sovrapposizione fra la nozione di amministratore e di rappresentante si evince anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia: “il diritto dell’Unione muove dalla premessa che le persone giuridiche agiscono tramite i propri rappresentanti. Il comportamento contrario alla moralità professionale di questi ultimi può quindi costituire un elemento rilevante ai fini della valutazione della moralità professionale di un’impresa. È quindi senz’altro possibile per gli Stati membri, nell’esercizio della loro competenza a stabilire le condizioni di applicazione delle cause facoltative di esclusione, prendere in considerazione, tra gli elementi rilevanti ai fini della valutazione dell’integrità dell’impresa offerente, l’eventuale esistenza di condotte degli amministratori di tale impresa contrarie alla moralità professionale” (sez. IV, 20 dicembre 2017, in causa C-178/16).
- sulla vigente formulazione della norma non risulta sia stata avviata alcuna procedura di infrazione;
Pertanto, considerando quanto sopra si è ritenuto di mantenere, sotto tale profilo la vigente formulazione (che riferisce il contagio ai soli amministratori con rappresentanza) in quanto meno gravosa per le imprese, anche in ragione del fatto che qualunque modifica di detta disposizione rischia di produrre nuovo contenzioso.
II) quanto alla valutazione dell’eventuale mantenimento del c.d. “contagio” con riguardo ai soci di maggioranza: - la dottrina giustifica l’estensione, ad opera del decreto-legge n. 70/2011, del contagio ai soci “per risolvere problemi di controllo” (quindi fa riferimento alla nozione contenuta in direttiva);
- “l’obbligo di rendere le dichiarazioni in questione, prima previsto per i soli soci delle società di persone, è stato introdotto con il DECRETO-LEGGE 13 maggio 2011, n. 70, per evitare che partecipino alle gare società i cui soci con posizione azionaria idonea a influire sulle scelte gestionali abbiano precedenti penali pur non essendo rappresentanti legali delle società” (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 gennaio 2013 n. 513);
- anche la giurisprudenza ritenne a suo tempo necessaria, per assicurare la compatibilità con la direttiva del 2004, ricomprendervi i soci di maggioranza: “questa è l'unica esegesi compatibile con il diritto eurounitario, ed in particolare con il disposto dell'art. 45, dir. 2004/18/CE, laddove è inequivocabilmente precisato che le richieste della dimostrazione dei requisiti di moralità e carenza di pregiudizi penali devono riguardare"... le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell'offerente” (Consiglio di Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975).
Ma il riferimento espresso all’amministratore “di fatto” sembra in realtà elidere a monte le preoccupazioni sottese a tali considerazioni (non a caso, la giurisprudenza più recente si è saldamente orientata in tal senso, con riferimento anche alla figura del “gestore di fatto”, o del “socio sovrano”, cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 febbraio 2022, n. 768; Consiglio di Stato, Sez. V, 27 novembre 2020, n. 7471).
Per tale ragione, si è preferito espungere l’espressione, contenuta al comma 3 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016 “ovvero del socio di maggioranza in caso di società con un numero di soci pari o inferiore a quattro, se si tratta di altro tipo di società o consorzio”.
c) con più specifico riferimento, al comma 4, sembra necessario evidenziare quanto segue.
Quanto al socio persona giuridica si è formata, de iure condito, una duplice giurisprudenza:
- la persona giuridica non rileva rispetto alla previsione del contagio al socio unico, in quanto riferita espressamente al solo socio unico persona fisica (Consiglio di Stato, sez. V, 2 ottobre 2020 n. 5782);
- la persona giuridica rileva quale socio di maggioranza (Consiglio di Stato, sez. III, 2 marzo 2017, n. 975).
Il riferimento agli amministratori sembra corretto in quanto la gestione delle partecipazioni nelle società altrui non rientra nel potere dell’assemblea ai sensi dell’art. 2364 e ss. c.c. mentre rientra nel potere di gestione degli amministratori ai sensi dell’art. 2380 bis, a meno che non sia attribuito dallo statuto ad altro organo.
Il comma 5 raggruppa talune cause di esclusione obbligatoria che prima si rinvenivano “sparse” nell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016; ivi, in particolare:
I) è stata inserita alla lett. c) una specifica causa di esclusione obbligatoria (art. 47, comma 2, del decreto-legge n. 77/2021) riguardante la categoria di appalti PNRR: sebbene non riguardi tutti gli appalti è sembrato opportuno, per la centralità del PNRR, inserirla nell’articolato generale;
II) è stata inserita sub lett. d) di questo “nuovo “comma 5 la causa di esclusione relativa alle procedure concorsuali di cui alla lett. 5 b) dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016; essa va considerata “obbligatoria” in quanto discende dal nostro sistema giurisdizionale, opera automaticamente e necessariamente salvo provvedimento del Giudice civile (in sostanza, facendo riferimento alla direttiva 24/2014 si dovrebbe fare riferimento all’ art. 57 comma IV “gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere”); più specificatamente, non sembra dubitabile che essa possa essere considerata una causa obbligatoria di esclusione in quanto:
- le direttive europee sugli appalti, a partire dalla prima, la n. 305 del 1971, sino all’ultima, la n. 24 del 2014, pur contemplando (quest’ultima all’art. 57.4, lett. b) il fallimento e le altre procedure concorsuali tra i possibili motivi di esclusione, hanno tuttavia sempre rimesso agli stati membri e alle loro amministrazioni aggiudicatrici la scelta se e come escludere i concorrenti che si trovano in tali situazioni;
- “non contempla un’uniformità di applicazione delle cause di esclusione che esso prevede a livello dell’Unione, in quanto gli Stati membri hanno la facoltà di non applicare affatto tali cause di esclusione o di inserirle nella normativa nazionale con un grado di rigore che potrebbe variare a seconda dei casi, in funzione di considerazioni di ordine giuridico, economico o sociale prevalenti a livello nazionale” (Corte di giustizia 28 marzo 2019, in causa C-101/18):
Ciò, per come formulata la disposizione (“che l'operatore economico sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o sia in corso nei suoi confronti un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni, fermo restando quanto previsto dai commi da 1 a 4 dell’articolo 95 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza adottato in attuazione della delega di cui all'articolo 1 della legge 19 ottobre 2017, n. 155 e dall'articolo 110”) deve essere valutata la sufficienza della procedura introdotta ai commi 7 e 8 dell’art. 80 così come proposto a “coprire” le situazioni enucleate dalle Adunanze plenarie nn. 9, 10 e 11 del 2021, facendo espresso riferimento al concordato preventivo.
In base all’art. 186 bis, comma 4, della legge fallimentare (che è cosa diversa dall’ammissione alla procedura di concordato di cui all’art. 163), tra il deposito della domanda e il decreto di apertura della procedura la partecipazione alle gare pubbliche è possibile purché sia autorizzata dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale, se nominato (un ulteriore indice, in favore della possibilità di partecipare alle gare anche prima dell’ammissione al concordato, si ricava inoltre dall’art. 5 del d.m. 31 gennaio 2015 in tema di regolarità contributiva).
In base all’art. 110, comma 4, del codice della crisi di impresa, alle imprese che hanno depositato la domanda di cui all'art. 40 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza (“domanda di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza e alla liquidazione giudiziale”) “si applica l'art. 95 del medesimo codice”.
Ai sensi dei commi 3 e 4 dell’art. 95 “successivamente al deposito della domanda di cui all'articolo 40, la partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici deve essere autorizzata dal tribunale, e, dopo il decreto di apertura, dal giudice delegato, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato” e “l'autorizzazione consente la partecipazione alla gara previo deposito di una relazione del professionista indipendente che attesta la conformità al piano, ove predisposto, e la ragionevole capacità di adempimento del contratto”.
Ad. plen. 9 del 2021:
- la presentazione di una domanda di concordato in bianco o con riserva, ai sensi dell’art. 161, comma 6, della legge fallimentare non integra una causa di esclusione automatica dalle gare pubbliche, per perdita dei requisiti generali, essendo rimesso in primo luogo al giudice fallimentare in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 186 bis, comma 4, e al quale l’operatore che ha chiesto il concordato si deve tempestivamente rivolgere fornendo all’uopo le informazioni necessarie, valutare la compatibilità della partecipazione alla procedura di affidamento in funzione e nella prospettiva della continuità aziendale;
- la partecipazione alle gare pubbliche è dal legislatore considerata, a seguito del deposito della domanda di concordato anche in bianco o con riserva, come un atto che deve essere comunque autorizzato dal tribunale, acquisito il parere del commissario giudiziale ove già nominato, ai sensi dell’art. 186 bis, comma 4, da ultimo richiamato anche dagli articoli 80 e 110 del codice dei contratti; a tali fini l’operatore che presenta domanda di concordato in bianco o con riserva è tenuto a richiedere senza indugio l’autorizzazione, anche qualora sia già partecipante alla gara, e ad informarne prontamente la stazione appaltante;
- l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa.
Ad. plen. 11 del 2021: l’autorizzazione giudiziale alla partecipazione alla gara pubblica deve intervenire entro il momento dell’aggiudicazione della stessa, non occorrendo che in tale momento l’impresa, inclusa quella che ha presentato domanda di concordato in bianco o con riserva, sia anche già stata ammessa al concordato preventivo con continuità aziendale.
La disciplina (contenuta nella legge fallimentare e nel codice della crisi di impresa) non specifica che l’autorizzazione (e gli altri atti richiesti) debba intervenire entro l’aggiudicazione. Il dato è però ricavabile dai commi 5 e 6 dell’art. 96.
Nondimeno si ritiene che, nel caso intervenga detta autorizzazione, la valutazione che deve operare la stazione appaltante non è discrezionale.
La disciplina necessita quindi di essere integrata sia in riferimento alla legge fallimentare, sia in riferimento alla disciplina contenuta nel codice della crisi di impresa, valutando se la modifica vada collocata nel comma 4 lett. d) o (forse più propriamente) nei commi 7 e 8 dell’art. 80 nella formulazione che viene proposta. La previsione contenuta nel codice della crisi di impresa, è stata recentissimamente modificata in quanto è entrata in vigore il 15 luglio 2022: pertanto si è ritenuto di fare rinvio dinamico al testo della medesima.
È stata altresì disposta all’art. 226, comma 8, una parziale modifica, però, del detto novellato art. 95 del codice della crisi di impresa, limitatamente al comma 5 - (“Fermo quanto previsto dal comma 4, l'impresa in concordato può concorrere anche riunita in raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che nessuna delle altre imprese aderenti al raggruppamento sia assoggettata ad una procedura concorsuale”) soltanto espungendo da esso un periodo.
III) tenuto conto della indicazione di cui al comma 15 dell’art. 96 (corrispondente all’art. 80 comma 12 del decreto legislativo n. 50/2016, il cui testo è stato conservato in parte qua immutato, salva la soppressione del riferimento alla colpa grave sulla quale ci si soffermerà in sede di specifica relazione all’art. 96) sono state inserite nel comma 5, lett. e) ed f), del testo dell’art. le fattispecie di cui all’art. f-ter) e g) del comma 5 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50 del 2016: dalle stesse è stato unicamente espunto il riferimento all’Osservatorio ANAC;
IV) quanto più in particolare al comma 5, lett f), del testo proposto corrispondente alla lett g) del comma 5 dell’art. 80 del decreto legislativo n. 50/2016 il riferimento è al regolamento previsto dall’art. 100 (corrispondente all’83 del d.Lgs n. 50 del 2016) commi 3,4 e 7.
Il comma 6, corrisponde alla prima parte comma 4 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (esclusione “obbligatoria” da omesso pagamento di imposte tasse e contributi).
Come è noto, il comma 4 del decreto legislativo n. 50 del 2016 raggruppava sia una causa obbligatoria di esclusione, che una “facoltativa”, aventi la medesima “causale” (omesso pagamento di imposte, tasse contributi previdenziali).
In ossequio alle esigenze di chiarezza che hanno condotto a collocare in distinti articoli le cause “automatiche” e quelle “non automatiche” (rispettivamente: art. 94 e art. 95) si è preferito strutturare due distinte previsioni, l’una allocata tra le esclusioni “automatiche”(art. 94 comma 6), e l’altra (art. 95 comma 2), tra le “non automatiche”; l’articolato di cui al comma 6 del testo proposto è stato decongestionato in quanto la nozione di “grave violazione” definitivamente accertata comportante esclusione obbligatoria è stata dislocata nell’Allegato II.10 al codice, ed al successivo comma 7 è stata indicata la valenza dell’Allegato suddetto e le modalità di eventuale successiva modifica del medesimo.
Nel comma 7 si prevede che, in sede di prima applicazione del codice, l’allegato di cui al comma 6 è abrogato a decorrere dalla data di entrata in vigore di un corrispondente regolamento emanato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che lo sostituisce integralmente anche in qualità di allegato al codice.
Il comma 8 del testo proposto contiene, immutata, la previsione di cui all’ultima parte del comma 3 dell’art. 80.