186
Com’è noto, l’art. 177 comma 1 - e in via conseguenziale i commi 2 e 3 del vecchio codice - sono stati dichiarati incostituzionali dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 218 del 2021, poiché la stessa disposizione contenuta nella legge delega è stata ritenuta “irragionevole”. Segnatamente, la Corte ha evidenziato che il legislatore (già nella legge delega) non aveva optato per il “mezzo più mite”, fra quelli idonei a raggiungere lo scopo, scegliendo, fra i vari strumenti a disposizione, quello che determina il sacrificio minore.
La disamina dell'evoluzione normativa a livello europeo restituisce l'immagine di una disciplina in costante oscillazione, ma comunque piuttosto stabile nell'escludere un radicale obbligo di affidamento a terzi, finanche per le concessioni già assentite, rinnovate o prorogate (Corte costituzionale, sentenza n. 218 del 2021).
La Corte costituzionale pare suggerire al legislatore l’adozione di una nuova disposizione che sia però ragionevole e proporzionale e che tenga conto di talune indicazioni (qui tradotte in indicatori economici).
La legge delega non offre indicazioni nel senso di eliminare l’obbligo di affidamento a terzi. Anzi. Il legislatore delegante prevede espressamente, tra i criteri direttivi, di disciplinare le concessioni in essere alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1 e non affidate con la formula della finanza di progetto, ovvero con procedure di gara ad evidenza pubblica secondo il diritto dell'Unione europea, «con specifico riguardo alle situazioni nelle quali sussiste l'obbligo, secondo criteri di gradualità e proporzionalità e tenendo conto delle dimensioni e dei caratteri del soggetto concessionario, dell'epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto e del suo valore economico, di affidare a terzi, mediante procedure di evidenza pubblica, parte dei contratti di lavori, servizi e forniture relativi alle medesime concessioni, garantendo la stabilità e la salvaguardia delle professionalità del personale impiegato».
Ebbene, la Corte fornisce al legislatore indicazioni su come eventualmente riscrivere la disposizione:
1) necessità di differenziare o graduare l’obbligo, in ragione dell’interesse alla concorrenza, considerando:
a) le dimensioni della concessione, con la necessità di stabilire una nuova soglia (apparendo a tale fine di scarso rilievo la prevista soglia di applicazione alle concessioni di importo superiore a 150.000 euro, normalmente superata dalla quasi totalità delle concessioni);
b) le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, con la necessità di distinguere per tipologia di concessionario;
c) l'epoca di assegnazione della concessione;
d) la sua durata;
e) il suo oggetto;
f) il suo valore economico.
2) necessità di considerare l'interesse dei concessionari i quali, per quanto possano godere tuttora di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, esercitano nondimeno un'attività di impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e fatto programmi, riponendo un relativo affidamento nella stabilità del rapporto instaurato con il concedente;
3) necessità di considerare l’interesse del concedente, degli utenti del servizio, nonché del personale occupato nell’impresa;
4) inammissibilità dell’introduzione di un obbligo radicale e generalizzato di esternalizzazione;
5) necessità di calibrare l'obbligo di affidamento all'esterno sulle varie e alquanto differenziate situazioni concrete.
La Corte evidenzia che gli interessi di cui ai punti 2) e 3), per quanto comprimibili nel bilanciamento con altri ritenuti meritevoli di protezione da parte del legislatore, non possono essere tuttavia completamente pretermessi, come risulta essere accaduto invece nella scelta legislativa in esame.
Gli indicatori chiave di impatto di analisi economica offerti dalla sentenza della Corte costituzionale e che sono stati presi in considerazione nella riscrittura della disposizione normativa sono i seguenti:
1) distinzione sul tipo di concessionario alla luce del ruolo economico;
2) distinzione sul tipo di soglia (sicuramente superiore a 150.000 euro);
3) distinzione sul tipo di percentuale (inferiore all’80%).
Al comma 2, pertanto, nell’ordine, si è proceduto a:
a) sostituire la irrisoria soglia di 150.000 euro nell’importo pari o superiore alle soglie di rilevanza comunitaria;
b) prevedere che sia proprio l’Amministrazione concedente, che meglio conosce la singola concessione, a “modulare” l’obbligo di esternalizzazione, stabilendo però, in via generale, una quota minima e massima (quota massima e minima che sono lasciate in bianco, venendo rimesse al decisore politico), nonché gli elementi che la stessa deve prendere in considerazione, quali:
- epoca di assegnazione della concessione;
- durata residua della concessione;
- oggetto della concessione;
- valore economico della concessione;
- entità degli investimenti effettuati.
Si precisa che, per realizzare le sue finalità ‘compensative’ della violazione del diritto della concorrenza, l’obbligo di esternalizzazione deve andare a vantaggio di operatoti economici ‘terzi’ (in tal senso, l’obbligo in esame non potrebbe ritenersi soddisfatto nel caso di affidamento a una controllata o a una collegata del concessionario).
c) si è prevista la fissazione di una quota minima e massima diversa a seconda che siano contratti di lavori o contratti di servizi e forniture.
Ciò in quanto si è ritenuto che l’applicazione dei principi di cui all’art. 186 non possa – in base ad un principio di realtà - essere uniformemente regolato per i lavori, i servizi e le forniture. Nello specifico, mentre per i lavori è infatti possibile immaginare una regola generale e un mercato di riferimento ampio ed efficiente, non è possibile fare altrettanto per i servizi, che sono riconducibili a realtà profondamente diverse da caso a caso, tanto da sfuggire a qualsiasi forma di regolazione indistinta.
Più nello specifico, si osserva che i servizi possono essere indivisibili e quindi anche nell’ipotesi di percentuali molto basse di obbligo all’esternalizzazione potrebbero ricadere in quella sproporzione già platealmente censurata dalla Corte costituzionale (si consideri, ad esempio, il caso dei servizi di gestione di parcheggi in concessione già costruiti e funzionanti che hanno come possibile esternalizzazione la sola gestione); inoltre, non è possibile presupporre astrattamente in ogni comparto dei servizi l’esistenza di un mercato a valle, ovvero l’esistenza di un mercato efficiente.
L’ultimo periodo del comma reca una disposizione specificamente riguardante le concessioni autostradali; anche in questo caso la determinazione dell’aliquota percentuale è rimessa al decisore politico.
La gestione dei servizi costituisce il principale contributo di efficienza prodotto dagli investimenti effettuati da investitori istituzionali.
Al comma 2 si è conservata la disposizione che prevedeva l’inserimento di clausole sociali per la stabilità del personale impiegato e per la salvaguardia delle professionalità, esigenza evidenziata dalla stessa Corte costituzionale.
Alla luce di tali considerazioni, al comma 3 – per il quale si prospettano due stesure, alternative fra loro o eventualmente anche cumulative - si è ritenuto di precisare che:
• in caso di comprovata indivisibilità delle prestazioni di servizi dedotte in concessione, in sostituzione dell’obbligo di esternalizzazione, il concessionario corrisponda all’ente concedente un importo compreso tra il minimo del 5% ed il massimo del … [dato che non si specifica, rimettendolo al decisore politico] degli utili previsti dal Piano economico-finanziario, tenendo conto dell’epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto, del suo valore economico e dell’entità degli investimenti.
La seconda versione del comma prevede che:
• in caso di comprovata indivisibilità delle prestazioni di servizi dedotte in concessione, in luogo dell’obbligo di esternalizzazione, la durata della concessione è ridotta dall’ente concedente in misura non superiore al 10% rispetto a quella originariamente stabilita, tenendo conto dell’epoca di assegnazione della concessione, della sua durata, del suo oggetto, del suo valore economico e dell’entità degli investimenti.
Al comma 1, invece, per evitare qualunque equivoco, come già previsto all’art. 164, comma 4 del vecchio codice, è precisato che agli appalti affidati dai concessionari che siano stazioni appaltanti si applicano le disposizioni del codice in materia di appalti.
Il comma 4 prevede il termine entro il quale le concessioni di cui ai commi 2 e 3 devono essere adeguate alla nuova disciplina. La determinazione di tale termine, per le concessioni autostradali, è rimessa al decisore politico.
Al comma 5, infine, si precisa che le modalità di calcolo delle quote di cui comma 2 sono definite dall’ANAC entro un termine la cui fissazione è rimessa al decisore politico, evidenziando che sull’applicazione dell’art. 186 vigila l’ANAC, anche tenuto conto del valore delle prestazioni eseguite.