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Articolo 16 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)

(D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36)

[Aggiornato al 21/05/2025]

Conflitto di interessi

Dispositivo dell'art. 16 Nuovo Codice Appalti (D. Lgs. 36/2023)

1. Si ha conflitto di interessi quando un soggetto che, a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali nella procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione degli appalti o delle concessioni e ne può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, gli esiti e la gestione, ha direttamente o indirettamente un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione(1).

2. In coerenza con il principio della fiducia e per preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, la percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro.

3. Il personale che versa nelle ipotesi di cui al comma 1 ne dà comunicazione alla stazione appaltante o all’ente concedente e si astiene dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e all’esecuzione.

4. Le stazioni appaltanti adottano misure adeguate per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione ed esecuzione degli appalti e delle concessioni e vigilano affinché gli adempimenti di cui al comma 3 siano rispettati.

Note

(1) Il comma 1 è stato modificato dall'art. 15-quater, comma 1, lettera a) del D.L. 29 settembre 2023, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 27 novembre 2023, n. 170.

Rel. C.d.S. al Codice dei Contratti

(Relazione del Consiglio di Stato al Codice dei Contratti del 7 dicembre 2022)

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Il comma 1 recepisce la nozione eurounitaria di conflitto di interessi che viene, tuttavia, riformulata e semplificata, anche al fine di evitare inutili ridondanze.

Va premesso che la norma non riduce il presidio anticorruzione (che anzi resta invariato e viene anche esteso con più chiarezza alla fase della esecuzione e ai soggetti non dipendenti della p.a.); si limita a eliminare norme presenti in altra parte dell’ordinamento (ad esempio, nel piano anticorruzione, o nel codice di comportamento dei dipendenti pubblici – d.P.R. n. 62 del 2013) evitando confusioni e sovrapposizioni.

In quest’ottica, la norma in esame specifica che il conflitto di interessi può riguardare qualsiasi soggetto, anche non formalmente lavoratore dipendente della stazione appaltante o dell’ente concedente, che interviene nella procedura di aggiudicazione e di esecuzione con compiti funzionali (che implichino esercizio della funzione amministrativa, con esclusioni di mansioni meramente materiale o d’ordine) e che, pertanto, sia in grado di influenzarne il risultato.

Il comma 2 ha l’obiettivo di perimetrare e rendere tassativa la nozione comunitaria, recependo gli insegnamenti della giurisprudenza nazionale in materia.

Va a tal proposito evidenziato che le situazioni di conflitto di interessi assumono una notevole rilevanza nei confronti del soggetto pubblico per le gravi conseguenze giuridiche derivanti dalla omissione della loro dichiarazione. Dunque, non se ne può accettare una definizione generica e indeterminata che non renda possibile inquadrare precisamente l’oggetto della omissione, considerando le ricadute disciplinari ma soprattutto penali ai sensi dell’art. 323 c.p., atteso che la violazione dell’obbligo di astensione, ove prescritto (anche dalla norma in esame, quindi), è intesa per giurisprudenza costante della Suprema Corte come un dovere di astensione introdotto nell’ordinamento in via generale e diretta dall’art. 323 c.p. (ex multis Cass. Pen. Sez. 6, 15 marzo 2013, n.14457, 19 ottobre 2004, n. 7992), considerata una sorta di norma penale in bianco completata dal richiamo alle varie ipotesi di astensione contemplate dalle leggi speciali, e indipendentemente dall’avverarsi del fatto dannoso. Per questo, riprendendo alcuni spunti contenuti nel parere del Consiglio di Stato n. 667 del 5 marzo 2019 (reso sulle Linee guida ANAC in materia di conflitto di interessi), il comma 2 precisa che un conflitto di interessi si determina le volte in cui a un soggetto sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (così detto interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare (de iure vel de facto) di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell’interesse funzionalizzato. Il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno. L’essere in conflitto e abusare effettivamente della propria posizione sono due aspetti distinti.

In coerenza con il principio della fiducia e al fine di preservare la funzionalità dell’azione amministrativa, la norma precisa che la minaccia all’imparzialità e all’indipendenza deve essere provata da chi invoca il conflitto sulla base di presupposti specifici e documentati e deve riferirsi ad interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro.

Il comma 3 si limita a prevedere i doveri del soggetto che versa in conflitto di interessi, ossia darne comunicazione alla stazione appaltante o all’ente concedente e astenersi dal partecipare alla procedura di aggiudicazione e dalla fase di esecuzione.

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