Cassazione civile Sez. I sentenza n. 2273 del 18 marzo 1996

(3 massime)

(massima n. 1)

In tema di adeguamento automatico dell'assegno di divorzio, poiché l'art. 5, comma 7, della L. 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo modificato dall'art. 9 della L. 6 marzo 1987, n. 74, dispone che l'adeguamento deve essere stabilito «almeno» con riferimento agli indici ufficiali di svalutazione monetaria (salvo il caso di palese iniquità, che richiede specifica motivazione), il potere discrezionale del giudice di scegliere, in relazione alla peculiarità della fattispecie, altri possibili criteri di adeguamento — per rapportare l'interesse del beneficiario ad una totale conservazione del potere di acquisto dell'assegno al grado di elasticità dei redditi del soggetto obbligato — è subordinato alla verifica che tali criteri non comportino un adeguamento inferiore a quello conseguibile attraverso l'applicazione degli indici Istat.

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(massima n. 2)

L'accertamento del diritto all'assegno di divorzio va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi (o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive), raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio. Nella individuazione di tali aspettative, deve tenersi conto unicamente delle prospettive di miglioramenti economici maturate nel corso del matrimonio che trovino radice nell'attività all'epoca svolta e/o nel tipo di qualificazione professionale e/o nella collocazione sociale dell'onerato, e cioè solo di quegli incrementi delle condizioni patrimoniali dell'ex coniuge che si configurino come ragionevole sviluppo di situazioni e aspettative presenti al momento del divorzio. (Nella specie la Suprema Corte, ai fini della revisione dell'assegno di divorzio, ex art. 9 della L. 1 dicembre 1970, n. 898, ha escluso che costituisse elemento determinativo del tenore di vita, cui commisurare l'adeguatezza dei mezzi, l'evento in sé della vendita di beni immobili pervenuti in eredità all'ex coniuge dopo il divorzio, non risultando tale evento in alcun modo collegato alla situazione di fatto ed alle aspettative maturate nel corso del matrimonio).

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(massima n. 3)

L'art. 12 bis della L. 1 dicembre 1970, n. 898 (aggiunto dall'art. 16 della L. 6 marzo 1987, n. 74) — che introduce il diritto del coniuge titolare dell'assegno di divorzio e non passato a nuove nozze di conseguire una quota del trattamento di fine rapporto lavorativo percepito dall'altro coniuge — è applicabile ai coniugi divorziati prima dell'entrata in vigore della L. n. 74 del 1987, ove l'indennità di fine rapporto sia maturata successivamente a tale momento, atteso che il discrimine temporale tra vecchia e nuova disciplina non è costituito dall'elemento presupposto, ossia dalla data del divorzio, bensì da quello del verificarsi della fattispecie generatrice del nuovo diritto, costituita dalla maturazione dell'indennità.

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