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Articolo 7 Codice del terzo settore

(D.lgs. 3 luglio 2017, n. 117)

[Aggiornato al 28/07/2023]

Raccolta fondi

Dispositivo dell'art. 7 Codice del terzo settore

1. Per raccolta fondi si intende il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del Terzo settore al fine di finanziare le proprie attività di interesse generale, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti, donazioni e contributi di natura non corrispettiva.

2. Gli enti del Terzo settore, possono realizzare attività di raccolta fondi anche in forma organizzata e continuativa, anche mediante sollecitazione al pubblico o attraverso la cessione o erogazione di beni o servizi di modico valore, impiegando risorse proprie e di terzi, inclusi volontari e dipendenti, nel rispetto dei principi di verità, trasparenza e correttezza nei rapporti con i sostenitori e il pubblico, in conformità a linee guida adottate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentiti la Cabina di regia di cui all'articolo 97 e il Consiglio nazionale del Terzo settore.

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Consulenze legali
relative all'articolo 7 Codice del terzo settore

Seguono tutti i quesiti posti dagli utenti del sito che hanno ricevuto una risposta da parte della redazione giuridica di Brocardi.it usufruendo del servizio di consulenza legale. Si precisa che l'elenco non è completo, poiché non risultano pubblicati i pareri legali resi a tutti quei clienti che, per varie ragioni, hanno espressamente richiesto la riservatezza.

F. P. chiede
giovedģ 02/03/2023 - Toscana
“Buongiorno,
sono il vicepresidente dell'associazione XXX, una ODV iscritta al Runts che si occupa di attività umanitarie in India e in Nepal. Non operiamo direttamente ma finanziamo enti locali che operano sul campo.

L’associazione è indipendente dal punto di vista giuridico e organizzativo, ma è affiliata e adotta la vision della FPMT, un network di 150 centri buddisti presenti in 35 paesi.

La FPMT spesso fa da intermediario per far arrivare il denaro raccolto da noi fino agli enti indiani e nepalesi che non sono abilitati a ricevere bonifici direttamente dall’Italia.

Nell’agosto 2022 una signora ha fatto una donazione di 50.000 Euro con un semplice bonifico sul nostro conto, seguita da un’altra molto più importante in gennaio.

La prima donazione è stata subito inviata per intero alla FPMT per sostenere due progetti in India, la seconda per prudenza è ancora ferma nella nostra banca.
Sappiamo che occorrerà regolarizzare la forma anomala donazioni con un atto pubblico.

Il problema più grave è l’eventualità di un’azione di riduzione da parte di eredi lesi nella legittima.
Quando riceviamo delle donazioni le impieghiamo subito per attività umanitarie scelte in accordo col donatore, quindi si potrebbe inserire un onere nell'atto.

Il notaio mi ha detto che sentenza n. 6925 del 7 aprile 2015 della Cassazione civile
non ci mette dl tutto al riparo da un'azione di riduzione.
Cosa fare?
grazie”
Consulenza legale i 08/03/2023
E’ molto improbabile che l’esercizio da parte di eventuali legittimari di un’azione di riduzione per lesione di legittima possa sortire effetti positivi per gli stessi legittimari e, conseguentemente, negativi per l’organizzazione di volontariato, beneficiaria della donazione oggetto di riduzione.
In tal senso si ritiene possa innanzitutto argomentarsi proprio dalla sentenza che nello stesso quesito viene citata, ovvero la sentenza n. 6925 del 07.04.2015 della Corte di Cassazione, Sez. II civile, nella quale si legge quanto segue:

L’aggiunta del modus non snatura l’essenza della donazione, non potendo assegnarsi ad esso la funzione di corrispettivo, con la sussunzione della donazione modale nella categoria dei contratti a titolo oneroso, ma comporta che la liberalità, che resta sempre la causa del negozio, attraverso il modus, viene ad esserne limitata.
Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell’ascendente, i figli legittimi e naturali ed i loro discendenti legittimi e naturali, essendo tenuti a conferire ai coeredi tutto ciò che direttamente e indirettamente abbiano ricevuto dal defunto (art. 737 c.c.), sono assoggettati all’obbligo della collazione anche nell’ipotesi di donazione modale, limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere”.

Ebbene, la convinzione che in prima battuta se ne può trarre dalla lettura di tale sentenza è in effetti quella fatta propria dal notaio interpellato, ovvero che qualunque donazione, ancorchè modale, non perde la sua intrinseca natura di atto di liberalità, come tale assoggettabile a riduzione, fatta eccezione per il caso in cui l’adempimento dell’onere riesca ad assorbire per intero il valore di quanto ricevuto per donazione, con la conseguenza che, di fatto, il beneficiario non conseguirà alcun incremento nella propria sfera patrimoniale (effetto, quest’ultimo, essenziale per potersi configurare una donazione riducibile).

Nel caso di specie, tuttavia, l’onere, ancorchè non dovesse essere stato inserito nell’atto di donazione, deve ritenersi immanente allo stesso atto donativo, considerato il soggetto che di quella donazione risulta beneficiario.
In tal senso, infatti, deve argomentarsi da quella che è la particolare natura del soggetto beneficiario della donazione, ovvero dal fatto che trattasi di una organizzazione di volontariato, rientrante tra quelli che l’ordinamento giuridico italiano qualifica come enti del terzo settore.
In particolare, vengono considerati tali le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali (incluse le cooperative sociali), le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni riconosciute e non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società.
Sono tutti enti, tra i quali indubbiamente rientra quello che qui viene in esame, costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una più attività di interesse generale, in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi.

Per quanto concerne lo svolgimento dell’attività di tali enti, assume particolare rilievo quanto disposto dal comma 1 dell’art. 7 del Codice del terzo settore, nella parte in cui si prevede che per “raccolta fondi” deve intendersi il complesso delle attività ed iniziative poste in essere da un ente del terzo settore, anche attraverso la richiesta a terzi di lasciti e donazioni.
L’art. 13 del medesimo Codice, rubricato “Scritture contabili e bilancio”, invece, pone a carico di tali enti l’obbligo di redigere il bilancio di esercizio, formato a sua volta dallo stato patrimoniale, dal rendiconto gestionale (con l’indicazione dei proventi e degli oneri) e dalla relazione di missione, nella quale ultima vanno illustrate le poste di bilancio, l’andamento economico e gestionale dell’ente e le modalità di perseguimento delle finalità statutarie.

Dall’analisi delle norme sopra citate, dunque, ciò che se ne ricava è che di tutti i fondi raccolti dall’ente operante nel terzo settore deve esserne tenuta analitica contabilità, anche con riferimento alla specifica destinazione che ne viene fatta.
L’assolvimento di tale obbligo, a sua volta, costituisce prova evidente, pur in assenza di uno specifico onere apposto al contratto di donazione, della ragione per cui tutte le somme ricevute per donazione non hanno potuto contribuire ad accrescere gratuitamente la sfera economica del soggetto donatario (essendo state utilizzate, secondo la volontà del donante, per lo scopo che il singolo ente statutariamente si prefigge).

Da ciò ne deve far conseguire il venir meno di quello che costituisce il presupposto essenziale per il vittorioso esperimento di una eventuale azione di riduzione, ovvero l’arricchimento del beneficiario, il quale, come affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza citata in apertura, sarebbe assoggettabile a detta azione soltanto “limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere” (in questo caso l’onere, implicito nella finalità per cui la donazione è stata effettuata, può dirsi che abbia assorbito per intero il valore della donazione, come si può far risultare anche ufficialmente dal bilancio e dalle scritture contabili dell’ente).

Del resto, l’idea che il patrimonio di ogni ente che persegue scopi benefici possa essere in qualunque momento aggredito da potenziali legittimari lesi, non potrebbe che avere come effetto quello di scoraggiare tali enti dall’accettare qualunque donazione economicamente rilevante, nel timore di dover restituire quanto ricevuto, seppure l’ente non ne abbia poi tratto alcun personale vantaggio economico.