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Articolo 825 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

[Aggiornato al 27/03/2024]

Diritti demaniali su beni altrui

Dispositivo dell'art. 825 Codice Civile

Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico [823], i diritti reali che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad altri soggetti(1), quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti(2) o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi(3).

Note

(1) L'articolo prevede anche per i diritti reali di godimento che fanno capo allo Stato o agli enti pubblici territoriali la regolamentazione propria dei beni demaniali.
(2) Sono le c.d. servitù pubbliche come, ad esempio, la servitù di scarico che grava sui terreni limitrofi ai laghi, al fine di consentire il deflusso delle acque in eccedenza.
(3) Tale disposizione positivizza in tal modo le c.d. servitù di uso pubblico, che vengono in essere a vantaggio di una collettività indeterminata di persone. Ne è esempio molto diffuso la servitù di passaggio su strada privata.

Spiegazione dell'art. 825 Codice Civile

Nozione ed esempi dei diritti reali pubblici sui beni altrui

È stato sempre ritenuto pacifico che del pubblico demanio fanno parte oltre ai beni corporali anche cose incorporali, ossia diritti su beni altrui. Mancava però nel diritto positivo un'esplicita affermazione di questo principio: il presente articolo, che non ha corrispondenza nel codice abrogato, è diretto sia a riconoscere il principio stesso, sia a stabilirne la portata e i limiti. Non è sempre agevole infatti distinguere i diritti di cui si tratta da altri poteri spettanti alla pubblica amministrazione sui beni dei privati.

a) I diritti d'ordine demaniale devono avere carattere reale, dovendo consistere, cioè, come la proprietà pubblica di cui sono soltanto una parte, in un potere diretto dell'amministrazione sulla cosa. Non hanno carattere reale, p. es., i poteri a cui corrispondono i vari doveri positivi del proprietario in ordine alla funzione sociale del suo diritto: in tal caso nessun rapporto si stabilisce fra l'amministrazione e la cosa, ma soltanto fra la prima e il proprietario. Non hanno carattere reale nemmeno le limitazioni negative imposte dalle varie leggi al diritto di proprietà, sebbene tali limitazioni abbiano talora lo scopo di devolvere a vantaggio della generalità quelle utilità della cosa che vengono sottratte al proprietario, tuttavia esse non si concretizzano in un diritto dell'amministrazione sul bene, ma piuttosto delimitano, in modo più ristretto dell’ordinario, il contenuto stesso del diritto di proprietà. Per questa ragione non sono considerati di ordine demaniale i poteri relativi al vincolo di conservazione delle bellezze naturali, alla conservazione delle cose d'interesse artistico e archeologico, i divieti di edificare e altre limitazioni alla proprietà edilizia, ecc.

b) Il carattere reale del diritto non è, d'altra parte, sufficiente da solo a costituire la figura giuridica contemplata nel presente articolo. L'amministrazione, per l'accesso a un proprio stabilimento, può essere titolare di una servitù di passaggio sopra un fondo privato; per vantaggio di un proprio edificio, può godere di una servitù di prospetto sopra un fondo ad esso contiguo; può anche avere un diritto di usufrutto sopra un edificio altrui ed esercitare questo diritto adibendo l'edificio a sede di propri uffici. Tutti questi sono diritti reali che possono spettare allo Stato, alla provincia o al comune su beni di altri soggetti, ma non sono diritti reali pubblici.

Per identificare questi ultimi, l'art. 825 usa una for­mula molto precisa: deve trattarsi di diritti costituiti per utilità di un bene demaniale o per il conseguimento di fini corrispondenti a quelli a cui servono i beni demaniali. La prima ipotesi si riferisce alle servitù prediali: qualunque servitù fra un fondo appartenente allo Stato, alla provincia o al comune e altro appartenente a un privato ha carattere demaniale, solo quando il fondo dominante sia costituito da un bene demaniale. Sono fra queste le servitù a favore dei fiumi e di altri corsi di acqua (p. es. servita della via alzaia)
La seconda ipotesi riguarda i diritti reali di godimento: questi devono essere rivolti al conseguimento di fini di pubblico interesse, cui normalmente servono i beni demaniali. Il più importante fra questi è il diritto di uso pubblico gravante sul le strade vicinali, ossia le strade costruite dai privati con parti dei loro fondi e per utilità delle comunicazioni fra i fondi medesimi. Anche nell'interno dei luoghi abitati possono esservi piazze, vicoli ed altri spazi di pro­prietà privata soggetti all'uso pubblico. Titolare di questi diritti di uso è sempre il comune, al quale le leggi speciali attribuiscono particolari poteri per regolare il medesimo e per assicurare la manutenzione delle strade da parte dei rispettivi proprietari e di coloro che se ne servono.

Un altro diritto di godimento a favore del pubblico dei comuni o delle rispettive frazioni era previsto dall'art. 542 del vecchio codice e si riferiva all'uso delle acque private per scopo di alimentazione e d'igiene. Il diritto poteva avere come titolo la prescrizione o la convenzione fra il comune e il privato proprietario. La disposizione non è stata riprodotta nel nuovo codice: la ragione deve ricercarsi nella mutata condizione delle acque secondo le leggi speciali più recenti. Ogni acqua che possa soddisfare ai bisogni di una popolazione, ossia di una generalità, deve essere inclusa fra le acque pubbliche e non può appartenere ai privati.

Si possono invece ricordare altre servitù, che alcuni chiamano di semplice tolleranza, quali quella di appoggio sulle private costruzioni delle cassette per la posta e delle lampade per l'illuminazione delle vie; quella di passaggio e di appoggio delle condutture elettriche sui fondi e sugli edifici privati, etc. La servitù di elettrodotto, fra tutte la più importante, è ampiamente regolata dal T. U. 11 dicembre 1933, n. 1775, sulle acque e sugli impianti elettrici (art. 119-129).

Hanno, infine, carattere di servitù pubbliche i diritti d'uso concessi alla generalità sopra musei, pinacoteche e biblioteche di proprietà privata. Ciò non poteva dirsi sotto la passata legislazione, per la quale gli stessi beni, quando erano in proprietà dello Stato, non avevano carattere demaniale : divenuto demaniale il diritto di proprietà, anche i minori diritti reali, quando sussistono su cose altrui, partecipano della stessa natura.

Relazione al Codice Civile

(Relazione del Ministro Guardasigilli Dino Grandi al Codice Civile del 4 aprile 1942)

394 L'enumerazione non si esaurisce nel codice civile: essa si accresce di quei beni che altre leggi dichiarano al presente o successivamente dichiareranno appartenere al pubblico demanio. All'espressa dichiarazione della loro demanialità equivale l'assoggettamento di dati beni al regime dei beni demaniali. In tal modo, quali beni siano demaniali risulta determinato in modo tassativo dalla legge: non dalla sola enumerazione del codice, ma da quella che può risultare tenendo conto di tutto il complesso della nostra legislazione. Tale regime viene esteso ai diritti reali che su beni altrui hanno lo Stato, la province e i comuni, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni demaniali o assoggettati al regime del demanio pubblico, ovvero sono costituiti per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi (art. 825 del c.c.). L'estensione consegue dall'accessorietà, dei menzionati diritti o dall'identità del fine che essi sono destinati ad attuare. Al regime dei beni demaniali ho infine assoggettato (art. 824 del c.c., secondo comma) i mercati comunali, avuto riguardo all'uso pubblico di essi, nonché i cimiteri, di cui già sotto l'impero del codice precedente autorevoli scrittori affermavano la demanialità.

Massime relative all'art. 825 Codice Civile

Cass. civ. n. 15033/2020

L'appartenenza di una strada ad un ente pubblico territoriale può essere desunta da una serie di elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 2729 c.c., non potendo reputarsi, a tal fine, elemento da solo sufficiente l'inclusione o meno della strada stessa nel relativo elenco, già previsto dall'art. 8 della l. n. 126 del 1958, avente natura dichiarativa e non costitutiva, ed avendo carattere relativo la presunzione di demanialità di cui all'art. 22 della l. n. 2248 del 1865, all. F.

Cass. civ. n. 9547/2020

La domanda di risarcimento del danno, proposta dal proprietario di una strada già assoggettata a servitù di uso pubblico di passaggio, il quale deduca di aver subito la definitiva spoliazione del terreno per effetto dell'illecito spossessamento operato dal comune, comporta il necessario accertamento dell'effettiva immutazione della precedente situazione di possesso concernente la detta strada, con la verifica delle concrete modalità di esercizio della servitù pubblica di passaggio, e delle ulteriori residue facoltà, poteri o utilità che fossero state sottratte al proprietario rispetto a quelle già perdute per effetto dell'esistenza della servitù. (Dichiara inammissibile, CORTE D'APPELLO LECCE, 28/02/2017).

Cass. civ. n. 3788/2019

L'estinzione della servitù di uso pubblico non può derivare dal mero non uso, esigendo che l'ente territoriale, quale soggetto esponenziale della collettività dei cittadini, esprima una volontà in tal senso, o mediante l'adozione di un provvedimento che riconosca cessati l'uso e l'interesse pubblico a servirsi di un determinato bene, o attraverso un comportamento concludente, consistente nell'omesso esercizio del diritto-dovere di tutela rispetto ad atti usurpativi o impeditivi posti in essere dal privato. (In applicazione del predetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda con la quale la società titolare di un complesso industriale, allegando il non uso protrattosi per oltre dieci anni, aveva chiesto accertarsi la formale cessazione - su un'area di sua proprietà - sia di una servitù "non aedificandi", sia di vincoli a servizio pubblico di parcheggio e verde pubblico, contrattualmente costituiti a favore di un comune). (Rigetta, CORTE D'APPELLO MILANO, 12/03/2014).

Cass. civ. n. 16979/2018

Il comportamento del proprietario di un fondo, il quale, nel lottizzarlo, metta volontariamente e con carattere di continuità una striscia di terreno a disposizione della collettività, assoggettandola al relativo uso pedonale e carrabile, rende applicabile l'istituto della cd. "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù. Ne deriva che la successiva esecuzione, da parte del Comune, di lavori di miglioria su detta striscia e, segnatamente, la realizzazione di un marciapiedi, non dà luogo ad una cd. occupazione usurpativa, difettandone i presupposti della trasformazione del bene in opera pubblica e della sua radicale manipolazione in guisa da farlo divenire strutturalmente un "aliud" rispetto a quello precedente e, mancando, altresì, a monte, un provvedimento amministrativo che riveli l'intendimento della P.A. di appropriarsi della strada e di trasformarla in strada pubblica, includendola nel relativo elenco. (Rigetta, CORTE D'APPELLO CATANZARO, 02/08/2012).

Cass. civ. n. 28632/2017

Perché si costituisca per usucapione una servitù pubblica di passaggio su una strada privata, è necessario che concorrano contemporaneamente le seguenti condizioni: 1) l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati "uti cives" in quanto portatori di un interesse generale, non essendo sufficiente un'utilizzazione "uti singuli", cioè finalizzata a soddisfare un personale esclusivo interesse per il più agevole accesso ad un determinato immobile di proprietà privata; 2) l'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù; 3) il protrarsi dell'uso per il tempo necessario all'usucapione.

Cass. civ. n. 4851/2016

La cosiddetta "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, seppure non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità (non di precarietà e tolleranza), un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al correlativo uso, al fine di soddisfare un'esigenza comune ai membri di tale collettività "uti cives", indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità e dallo spirito che lo anima. (In applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato, sul punto, la sentenza impugnata, che aveva ritenuto che i privati avessero inteso destinare le aree di loro proprietà all'uso, come strada, dei soli proprietari e utenti degli edifici, costruiti o da costruire, sui diversi lotti fronteggianti, con conseguente illegittimità della condotta del Comune che, occupandole, ne le aveva sottratto ai proprietari realizzandovi opere stabili che ne avevano mutato irreversibilmente la conformazione).

Cass. civ. n. 4207/2012

La "dicatio ad patriam", quale modo di costituzione di una servitù, postula un comportamento ad uso pubblico, del proprietario che, seppur non intenzionalmente diretto a dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente, con carattere di continuità, un proprio bene a disposizione della collettività, assoggettandolo al relativo uso. (Nella specie, la S.C. ha escluso che tale comportamento potesse essere ravvisato nel fatto che il proprietario, pur consentendo il passaggio pubblico su una strada privata di accesso ad alcuni edifici e di collegamento tra due strade pubbliche, aveva tuttavia contestato l'abusiva ingerenza del Comune che l'aveva asfaltata e denominata).

Cass. civ. n. 20138/2011

Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate mediante il possesso protrattosi per il tempo necessario all'usucapione anche se manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, essendo il requisito dell'apparenza prescritto dall'art. 1061 c.c. soltanto per le servitù prediali.

Cass. civ. n. 354/2011

Un'area privata può ritenersi assoggettata a servitù pubblica di passaggio, allorché sussista non solo l'uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati "uti cives" in quanto portatori di un interesse generale, e la sussistenza di un titolo valido a sostenere l'affermazione di un diritto di uso pubblico, ma anche l'ulteriore requisito dell'oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l'esercizio della servitù. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale aveva escluso il requisito dell'oggettiva idoneità a soddisfare un fine di pubblico interesse con riferimento ad una mulattiera di montagna di ridottissime dimensioni ed assai scoscesa, su cui non era consentito un transito generalizzato di mezzi agricoli).

Cass. civ. n. 11346/2004

Ai fini dell'assoggettamento per usucapione di un'area privata ad una servitù di uso pubblico, è necessario che l'uso risponda alla necessità ed utilità di un insieme di persone, agenti come componenti della collettività, e che sia esercitato continuativamente per oltre un ventennio con l'intenzione di agire uti cives e disconoscendo il diritto del proprietario.

Cass. civ. n. 15111/2000

La dicatio ad patriam quale modo di costituzione di una servitù di uso pubblico consiste nel comportamento del proprietario che, pur se non intenzionalmente diretto alla produzione dell'effetto di dar vita al diritto di uso pubblico, metta volontariamente con carattere di continuità e non di mera precarietà e tolleranza, un proprio bene a disposizione della collettività assoggettandolo al correlativo uso che ne perfeziona l'esistenza senza che occorra un congruo periodo di tempo o un atto negoziale ovvero ablatorio al fine di soddisfare un'esigenza comune dei membri della collettività uti cives indipendentemente dai motivi per i quali detto comportamento venga tenuto, dalla sua spontaneità o meno e dallo spirito che l'anima. La volontarietà del comportamento è ravvisabile anche quando il privato proprietario con il non far cessare l'uso pubblico iniziato in conseguenza di una sua attività diversamente finalizzata, manifesti chiaramente per facta concludentia l'intenzione di voler mantenere la sua cosa a disposizione della collettività così da rendere legittimo l'uso pubblico della medesima.

Cass. civ. n. 12181/1998

La cosiddetta dicatio ad patriam ha, come suo indefettibile presupposto, l'asservimento del bene all'uso pubblico nello stato in cui il bene stesso si trovi, e non in quello realizzabile a seguito di manipolazioni quali quelle conseguenti alle irreversibili trasformazioni che caratterizzano il (diverso) istituto dell'accensione invertita.

Cass. civ. n. 5312/1998

Perché un'area privata possa ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio è necessario che l'uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati uti cives, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale e non uti singuli, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato. Deve, pertanto, escludersi l'uso pubblico del passaggio quando questo venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati immobili in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione.

Cass. civ. n. 9903/1995

Le servitù di uso pubblico possono costituirsi anche mediante dicatio ad patriam a favore di una comunità indeterminata di soggetti considerati uti cives, su beni di proprietà privata per fini di pubblico interesse, corrispondenti a quelli cui servono i beni demaniali e pertanto postulano che il bene privato abbia caratteristiche intrinseche identiche a quelle di un bene demaniale, giacché altrimenti non sarebbe idoneo a fornire le medesime utilità.

Cass. civ. n. 4755/1995

L'assoggettamento di un'area ad una servitù di uso pubblico per effetto del possesso, richiede: a) la generalità di uso da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati uti cives, ossia quali titolari di un interesse generale; b) l'oggettiva idoneità del bene che si pretende gravato all'attuazione di un fine di pubblico interesse, che può consistere anche nella mera comodità; c) il protrarsi del possesso per il tempo previsto dalla legge per l'usucapione.

Cass. civ. n. 5452/1989

Per la costituzione di una servitù di pubblico passaggio su un fondo privato — il cui accertamento è compito esclusivo del giudice di merito — è necessaria la prova specifica di un effettivo e pacifico uso della strada da parte della generalità dei cittadini, con l'acquiescenza del proprietario, non essendo sufficiente, per ritenere la sussistenza di un uso generale così ampio di un bene privato, che le singole utilizzazioni dedotte a prova dell'esistenza della servitù si risolvano in sporadici episodi svoltisi in maniera discontinua e per tolleranza dei legittimi proprietari.

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Consulenze legali
relative all'articolo 825 Codice Civile

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G. M. chiede
venerdì 14/04/2023
“buongiorno
secondo il vostro parere del 30/03/2021 ho scritto al prefetto, chiedendo l'intervento a far eseguire la manutenzione sulla strada vicinale vecchia di Sabbioneta, secondo il parere del Ministero dell'Interno, parere 21 luglio 2021, da voi segnalato.
Il Prefetto non ha risposto, ho diffidato il comune, non ha risposto. Ho segnalato il caso alla regione Lombardia, questa è intervenuta e mi ha risposto il comune, dicendo che non le spetta intervenire perchè vi è un uso strettamente privato.
Dunque la strada è una via di collegamento fra tre strade, di larghezza di 4 metri, una provinciale, una comunale e una costruita per esproprio dal ministero dei beni ambientali e cultura li per fini turistici, Non è percorsa da mezzi pubblici, ma giornalmente oltre a chi è proprietario o conduttore delle ragioni in fregio, tempo permettendo, transitano pedoni, ciclisti, motorini, qualche autovettura, per raggiungere il capoluogo, o le frazioni, o per svago, correre o portare a spasso il cane.
Riassumo in sintesi la vicenda. Nel 1958 il Comune divide in due tratti la strada, un tratto rimane comunale, mentre l'altro tratto la inscrive nell'elenco delle strade vicinali del Comune, proprio il tratto ove vi sono due abitazioni regolarmente accatastate. Comincia la disputa, l'intervento del comune viene sempre meno, fino a scomparire, sia per fornitura di ghiaia che sgombero neve. Incominciamo con atti protocollati.
Inizio non è compresa nell'elenco delle strade comunali, né vicinali
1° è vicinale, è obbligatorio la formazione del consorzio, il comune può dare fino al 50% di contributo
2° non è più obbligatorio la formazione del consorzio, ma rientra nei fini privatistici secondo gli art 1100del cc
3° dichiara che non è di sua proprietà, spendo soldi per far nominare un amm. giudiziale che non opera mai.
4° Il Comune notifica che la strada è inscritta nell'elenco delle strade vicinali fin dal 1958, vi fa interrare le tubazioni del metanodotto, la prefettura su esproprio dei terreni la congiunge con la nuova strada costruita dal ministero
5° Il comune rilascia un documento che se non si tollera il pubblico transito, autorizza l'installazione di sbarre
6° 20 febbraio 2023 il comune dichiara di non aver mai negato che la strada fosse di sua proprietà, solo che la decisione di non intervenire rimane ferma.
IO non ho mezzi per intentare delle cause, ma come persona mi sento umiliato e ancora di più come cittadino che paga le tasse per avere quei servizi che hanno anche gli altri cittadini. Sono il solo a risiedere in una strada o via di proprietà comunale a dovermi fare carico da solo della manutenzione. L'amm. non ha eseguito il mandato, e il comune si disinteressa di me e di un bene di sua proprietà ultrasecolare, lascia che gli agricoltori confinanti chiudano i fossi e arino a ridosso della strada, girandovi sopra creando buche, portandovi terra che quando piove diventa fango, solo perché percepiscono la pac sulla superficie effettivamente coltivata.”
Consulenza legale i 09/05/2023
La questione oggetto del quesito è stata già oggetto di diversi pareri resi in passato, ai quali si rinvia, mediante i quali è stato fornito un inquadramento generale della questione e prospettate alcune possibili soluzioni, consigliando di procedere in primo luogo in via stragiudiziale e solo in seguito con mezzi più incisivi.
Nel presente parere si analizzeranno gli ultimi sviluppi e, in particolare, la nota del 20 febbraio 2023 del responsabile dell’area tecnica manutenzione e territorio.
In tale nota il Comune scrive che asseritamente l’Amministrazione mai avrebbe negato che la strada vicinale in questione fosse di proprietà comunale, ma che riteneva comunque di non aver alcun obbligo in relazione a tale bene in quanto trattasi di strada comunale di uso prevalentemente privato.
Tale affermazione, tuttavia, appare contraddittoria sia dal punto di vista fattuale, sia da quello giuridico.
Al contrario di quanto sostenuto nell’ultima nota comunale, invero, la natura della strada è stato oggetto di numerose contestazioni, discussioni e richieste di chiarimenti nel corso degli anni, a fronte dei quali il Comune ha assunto posizioni anche inconciliabili tra loro (v. la nota comunale del 16.01.2009, in cui si afferma a chiare lettere che la strada sarebbe vicinale ad uso privato).

Inoltre, non è chiaro a quale nozione giuridica possa essere ricondotta la fattispecie della “strada comunale di uso prevalentemente privato”.
Infatti, le ipotesi che si possono verificare sono le seguenti:
a) la strada è di proprietà comunale: in tal caso il Comune si deve assumere i costi e gli obblighi di manutenzione, indipendentemente dall’intensità del passaggio sulla strada stessa o dai soggetti che lo esercitano;
b) la strada è vicinale e dunque di proprietà dei privati frontisti ma è gravata da una servitù di uso pubblico (un indice dell’esistenza di tale servitù è l’inclusione nell’elenco delle strade comunali): in questa ipotesi la costituzione del consorzio è obbligatoria e deve essere promossa dal Comune (o dal prefetto in caso di inerzia) e la P.A. si deve assumere una parte dei costi di manutenzione;
c) la strada è vicinale e dunque di proprietà dei privati frontisti e viene solo da questi ultimi utilizzata: in questa ipotesi sono i [def erf=comproprietario]comproprietari[/def] che si devono preoccupare della manutenzione, con possibilità di istituire a tal fine un consorzio.
Pertanto, la risposta dello scorso febbraio sembra essere approssimativa, oltre che scorretta giuridicamente.

Tuttavia, visto che è già stato senza successo sollecitato l’intervento del Prefetto e che tutti i tentativi di arrivare a una soluzione condivisa con la P.A. non sono andati a buon fine, purtroppo le uniche possibilità che restano sono quelle di rivolgersi al Giudice amministrativo con un ricorso avverso il silenzio per ottenere la costituzione del consorzio o al Giudice civile per far accertare con sentenza l’uso pubblico della strada in discorso.
Si potrebbe anche tentare di portare a conoscenza della questione con un esposto l’autorità giudiziaria penale, chiedendo di verificare se vi siano ipotesi di reato, come consigliato nello scorso parere, ricordando però che il Giudice penale non avrebbe comunque la competenza a ordinare la manutenzione della strada.

Renata B. chiede
martedì 19/05/2020 - Piemonte
“Buongiorno, volevo sapere se il comune di residenza deve fare manutenzione sulla strada vicinale in cui io risiedo. Sono diverse volte che contatto vigili e comune per il problema della strada e loro mi rispondono che la strada è privata e siamo noi proprietari che ci spetta manutenzione. La mia domanda è questa: come fa a essere strada privata se ci passano tutti? Ci passa la nettezza urbana perché c'è il servizio porta a porta, ci viene il postino, ENEL, Il camion per rifornimento gas, i carabinieri, i vigili, i corrieri, i ciclisti, i trattori etc. etc. Hanno fatto anche la linea dell'acqua potabile insomma per me è pubblica la strada e loro non possono lavarsi le mani, anche perché ho una persona invalida e a casa mia vengono infermieri, dottori e in casi estremi ambulanza.Che ultimamente si rifiutano di venire perché la strada oltre a essere franata non è percorribile quindi pericolosa. Non posso neanche fare rifornimento di gas perché si rifiuta di venire. Come devo fare? Grazie 1000”
Consulenza legale i 25/05/2020
Le strade vicinali sono strade di proprietà privata realizzate dai proprietari interessati per consentire un migliore accesso ai propri fondi e, in genere, le spese per la loro conservazione gravano sui soggetti che ne fanno uso per recarsi alle loro proprietà, anche se queste non sono contigue alle strade stesse (art. 51, L. n. 2248/1865).
Secondo quanto previsto dall’art. 1, D. L. luogotenenziale n. 1446/1918, ancora oggi in vigore, i proprietari possono costituire un Consorzio che curi la manutenzione, la sistemazione e la ricostruzioni di tali strade.

Il fatto che siano beni sostanzialmente privati, tuttavia, non esclude che anche il Comune abbia l’obbligo di concorrere con i proprietari alla loro tenuta e manutenzione ed il discrimine per comprendere se tali oneri sussistano o meno è la sussistenza sulla strada di una servitù di uso pubblico ex art. 825 c.c..
La giurisprudenza ha individuato vari indici per valutare se una strada sia o meno assoggettata ad uso pubblico, come ad esempio la circostanza che essa: a) consenta il passaggio –anche non frequente- da parte di una collettività indeterminata di persone in assenza di restrizioni all'accesso; b) sia collegata con la viabilità generale; c) sia stata oggetto di interventi di manutenzione da parte del Comune e di installazioni, anche sotterranee, di infrastrutture di servizio (telefoniche, elettriche, fognarie, acquedottistiche) da parte di ente pubblico (ex multis; Consiglio di Stato, sez. V, 27 febbraio 2019, n.1369; Consiglio di Stato, sez. V, 23 settembre 2015, n.4450; T.A.R. Latina, sez. I, 12 luglio 2019, n.500; T.A.R. Brescia, sez. I, 03 luglio 2017, n.871).
Deve poi esistere un titolo valido a sorreggere l'affermazione del diritto di uso pubblico, il quale può identificarsi ad esempio nella protrazione da tempo immemorabile o per il periodo di venti anni necessario all’usucapione dell'uso da parte della collettività, contrassegnato dalla convinzione di esercitare il passaggio su una strada pubblica (T.A.R. Milano, sez. II, 04 luglio 2019, n.1530; T.A.R. Milano, sez. II, 13 giugno 2019, n.1346).
Se, invece, la strada viene utilizzata solo dai proprietari dei fondi che su di essa si affacciano o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione non può essere dichiarata alcuna servitù pubblica (T.A.R. Milano, sez. III, 14 ottobre 2019, n.2145).

I Comuni tengono un elenco delle strade private ad uso pubblico, ma il fatto che una strada non vi sia iscritta (come sembrerebbe nel caso di specie, visto il tenore delle risposte del Comune, ma la circostanza andrebbe verificata presso gli uffici comunali) non è sufficiente, in presenza di tutti gli altri elementi sopra elencati, ad escludere che essa sia assoggettata ad una servitù pubblica.
Inoltre, per le strade vicinali ad uso pubblico la costituzione del Consorzio tra i privati proprietari ed il Comune previsto dall’art. 1, D. L. luogotenenziale n. 1446/1918 è obbligatoria (art. 14, L. n. 126/19858).

Quanto alla ripartizione degli oneri di manutenzione, l’art. 3, D. L. luogotenenziale n. 1446/1918, dispone che, quando una strada vicinale è soggetta al pubblico transito, il Comune è tenuto a concorrere alla manutenzione, sistemazione e ricostruzione in misura variabile da un quinto sino alla metà della spesa, secondo la diversa importanza delle strade.
Per le vicinali non soggette ad uso pubblico, invece, il concorso del Comune è facoltativo e può essere concesso soltanto per opere di sistemazione o ricostruzione, in misura non eccedente il quinto della spesa.

L’art. 15 dello stesso D. L., inoltre, stabilisce che le funzioni di vigilanza e polizia sulle strade vicinali sono esercitate dal Sindaco, a cui spetta ordinare che siano rimossi gli impedimenti al loro uso e all'esecuzione delle opere definitivamente approvate e che siano ridotte nel pristino stato le cose abusivamente alterate.
Per le strade soggette ad uso pubblico il Sindaco dispone l'esecuzione dei lavori occorrenti a spese degli interessati, quando vi sia urgenza o non si adempia entro il termine prefisso agli ordini ricevuti, mentre per le strade vicinali ad uso esclusivamente privato il Sindaco può provvedere in tal senso solo quando ne sia richiesto.

Va poi tenuto presente che, ai sensi dell’art. 2, c. 6, lettera d), D. Lgs. n. 285/1992 (Codice della strada), le strade vicinali sono assimilate alle strade comunali e che anche per tali strade l’art. 14 del Codice prevede, tra l’altro, che il Comune provveda alla manutenzione, gestione e pulizia delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione.

In conclusione, il Comune non può disinteressarsi della sorte delle strade vicinali, né quando esse siano interessate dal transito dei soli proprietari, né –a maggior ragione- quando siano gravate da una servitù di pubblico transito.
Nel primo caso, il Comune può intervenire ad ordinare le opere di manutenzione e messa in sicurezza della strada solo dietro richiesta degli interessati e può decidere in via facoltativa di contribuire alle spese, che altrimenti graverebbero sui soli proprietari; nel secondo caso, invece, l'Ente è obbligato a garantire una corretta e sicura circolazione, a sostenere pro quota insieme ai proprietari i relativi costi, nonché a costituire il Consorzio previsto dal sopra citato D. L..

Visto quanto riportato nel quesito, nella fattispecie pare che si versi nell’ultima ipotesi, in quanto la strada è interessata dal transito non solo di chi deve raggiungere la propria abitazione, ma anche di una collettività indeterminata di persone e, quindi, sembra che su di essa possa ritenersi sussistente una servitù di uso pubblico.
Per essere certi di tale conclusione, però sarebbe utile verificare anche da quanto tempo avviene il transito da parte del pubblico e l’eventuale esistenza degli altri indici identificati dalla giurisprudenza, quali ad esempio il collegamento con la viabilità generale, l’esistenza di servizi pubblici ecc..

In ogni caso, è opportuno, visto anche che le condizioni della strada impediscono il passaggio di mezzi di soccorso, inviare al più presto una nota scritta al Comune, anche eventualmente servendosi dell’ausilio di un legale, che esponga in modo chiaro tutte le circostanze di fatto illustrate nella richiesta di parere e chieda formalmente, sulla base delle norme suddette, che l’Ente intervenga attivamente, come è tenuto a fare, per risolvere la situazione e concorra a sostenere le relative spese.
Qualora il Comune persista nella risposta negativa o rimanga inerte, si chiarisce che potrebbe essere necessario instaurare una causa finalizzata ad accertare e dichiarare l’esistenza della servitù di uso pubblico, detta actio confessoria servitutis.

Marco B. chiede
giovedì 21/11/2019 - Marche
“Salve il 5/12/2018 ho scritto una lettera al mio comune indirizzata al sindaco, gestione del patrimonio, vigili urbani chiedendo una risposta univoca su come l'ente riteneva un vicolo ( lunghezza 30 metri per meno di 5 metri di larghezza ) di accesso a tre edifici uno dei quali è dove abito un quanto per l'ufficio gestione del patrimonio ed ufficio tecnico dicevano proprietà privata per i vigili (verbalmente ) con servitù in quanto a suo tempo è stato realizzato il tappeto d'usura ed installato un lampione; la mia richiesta di installare una rastrelliera per bici mi veniva negata ( sempre richieste verbali ) detto vicolo è ancora intestato ai 4 acquirenti originali (tutti defunti) dei lotti dove sono gli edifici, io e l'erede di un altro intestatario siamo qui residenti mentre il fabbricato situato nei due lotti è stato venduto senza trasferire la proprietà del vicolo. tra la mia vicina erede ed il comune c'è stato un contenzioso per un doppio passo carrabile concesso a chi ha acquistato un appartamento di fronte, contenzioso con sentenza in appello precedente alla mia lettera che ha dato torto alla mia vicina, ho avuto risposta dall'ufficio dopo 6 mesi e probabilmente perché avevo fatto una mail al prefetto chiedendo il suo aiuto che confermava lo stato di proprietà privata, in data 17/ ottobre i vigili urbani hanno apposto il segnale di stop nel vicolo oltre che in altre vie vicine richiamando la sentenza e sull'ordinanza revocavano solo per la via di nostra residenza qualsiasi comunicazione contraria all'ordinanza qualche giorno dopo mi è arrivata la rettifica della gestione del patrimonio che dichiara che è venuta a conoscenza della sentenza ( a me mai notificata ) insiste sulla particella l'uso pubblico uti cives. H o avuto un colloquio con il vice sindaco chiedendo che mi fosse concesso un parcheggio o una rastrelliera per bici almeno per i mesi estivi pagando l'uso pubblico ma mi ha promesso che parlerà con il dirigente dei vigili e mi farà sapere se è fattibile di realizzare un parcheggio a strisce blu e degli stalli per moto ove parcheggiare anche le bici. vorrei sapere se c'è un modo per bloccare questa cosa in quanto ( a detta del vicesindaco) il comune non ha intenzione di acquisire la proprietà ( solo se gliela cediamo a nostre spese ed a titolo gratuito ) non mette per iscritto ( a meno che sia sufficiente solo la risposta della gestione del patrimonio ) se fa i marciapiedi e sistema il manto stradale. visto che un avvocato a cui avevo chiesto consiglio ha dichiarato che il comune avrebbe dovuto acquisire la proprietà già dal 93, che il tecnico geometra sostiene che non vale la pena, chiedo un chiarimento cioè se il fatto che sul suolo c'è una scritta da più di vent'anni "proprietà privata" conti qualcosa, che la mia richiesta di chiarimenti è stata effettuata prima che la sentenza passasse in giudicato, che la stessa non mi è stata mai notificata e che io non ho promosso alcun contenzioso, che il contenzioso è stato causato dalla concessione di un DOPPIO passo carrabile senza chiedere alcun consenso agli altri aventi diritto ( noi non abbiamo contestato nemmeno un altro passo sempre per quieto vivere ) se infine ci spetta un indennizzo per questa servitù ed i tempi entro il quale andrebbe richiesta grazie”
Consulenza legale i 03/12/2019
Il presente quesito riguarda una situazione abbastanza intricata, resa ancora più incerta dal comportamento contraddittorio del Comune, che non ha dato, come sarebbe stato invece suo dovere, risposte esaustive alle legittime richieste di chiarimenti relative al vicolo di cui si tratta.
Per una maggiore chiarezza, quindi, si tratteranno singolarmente le varie questioni rilevanti, per illustrare da ultimo le conclusioni e le possibili soluzioni.

1- Le risultanze catastali.

Il vicolo, che è collegato alla via pubblica ed ha la funzione di accesso a tre diversi edifici residenziali, è accatastato quale “corte urbana” (categoria F1) e risulta di proprietà pro quota di cinque diversi soggetti, oggi deceduti.
La proprietà della strada è, quindi, stata trasmessa, sempre pro quota, agli eredi ed agli aventi causa dei soggetti indicati nella visura catastale e ciò indipendentemente dal fatto che i dati presenti in catasto non siano stati aggiornati.
Si tratta di una situazione abbastanza frequente, che però non influisce sui principi in tema di eredità e di trasferimento dei diritti reali, e che può essere facilmente risolta mediante una domanda di aggiornamento e rettifica dei dati rivolta all'Agenzia delle Entrate (che ha assorbito le competenze una volta appartenenti all'Agenzia del Territorio).

2- Il contenzioso tra il Comune e una degli eredi succeduti agli originari titolari della strada.

A quanto risulta, una comproprietaria ha convenuto in giudizio il Comune, che aveva concesso a un residente l’apertura di due passi carrabili sul vicolo, ai sensi dell’art. 22 del Codice della strada e dell’art.46, D.P.R. 495/92 (regolamento attuativo del Codice della strada).
La controversia pare essere stata promossa di fronte al Giudice civile e non al Giudice amministrativo perché, da quanto noto, non riguardava in senso stretto la legittimità del provvedimento di autorizzazione all’apertura del passo carrabile, bensì l’appartenenza o meno della strada privata al demanio pubblico.
Come già accennato, il comportamento del Comune appare decisamente contraddittorio, in quanto -da un lato- di fronte alla richiesta di chiarimenti circa la natura del vicolo formulata da un comproprietario ha sostenuto che esso non appartenga alla viabilità urbana e che non possieda le caratteristiche perché ne venga dichiarato l’uso pubblico, mentre -dall’altro lato- ha resistito nel giudizio promosso da un’altra comproprietaria affermando la tesi esattamente opposta.

È stato reperito solo uno stralcio della decisione di appello, ma secondo quanto è possibile ricavare dalla ricostruzione dei fatti illustrata dall’Ente sembrerebbe essere stata promossa una negatoria servitutis.
Si tratta di un’azione diretta ad accertare l’inesistenza di diritti altrui su un bene (nella fattispecie l’inesistenza di servitù pubbliche sul vicolo), chiedendo che si ordini la cessazione di turbative o molestie ed eventualmente anche il risarcimento del danno (art. 949 c.c.).
Ciò spiegherebbe anche la ragione per la quale solo una comproprietaria abbia assunto l’iniziativa, senza allargare il contraddittorio agli altri proprietari, che non solo non sono stati portati a conoscenza della sentenza, ma nemmeno sono stati citati in giudizio (cioè invitati a partecipare al processo).

Invero, è principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui, in caso la proprietà del fondo servente appartenga a più soggetti, è sufficiente che l’azione a difesa del diritto di proprietà sia esercitata da uno solo di questi a tutela dell’interesse comune, non ricorrendo alcuna ipotesi di litisconsorzio necessario ove non venga richiesto alcun mutamento dello stato di fatto o una modificazione materiale del bene (Cassazione civile, sez. VI, 06 aprile 2016, n.6622; Cassazione civile, sez. II, 07 giugno 2002, n.8261).
Qualora siano rispettati tali presupposti, quanto accertato dal Giudice varrà anche per i comproprietari, nei confronti dei quali la sentenza svolgerà ugualmente i propri effetti, indipendentemente dal fatto che venga loro notificata.
Nel presente caso, il Comune asserisce che, a conclusione del processo, la Corte d’Appello avrebbe respinto le domande della comproprietaria ed avrebbe sancito la presenza di una servitù di uso pubblico sul vicolo.
Non è, però, dato sapere se la decisione sia ad oggi passata in giudicato o se sia stata impugnata davanti alla Corte di Cassazione.

3- Le servitù di uso pubblico: diritti e doveri dei proprietari e del Comune.

L’istituto è disciplinato dall’art. 825 del Codice civile, ai sensi del quale si applica lo stesso regime del demanio pubblico anche ai diritti reali che spettano allo Stato, alle Province e ai Comuni su beni appartenenti ad altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.

La costituzione di una servitù di uso pubblico rappresenta una forte limitazione per i diritti dei privati proprietari del fondo servente, posto che essa è opponibile anche quando non sia trascritta, non prevede il pagamento di indennizzi, non si estingue per non uso e consente un utilizzo generalizzato del bene a tutta la collettività (Cassazione civile sez. II, 31 maggio 2019, n.15032; Cassazione civile sez. I, 08 febbraio 2019, n.3788).
D’altro canto, la presenza di tale servitù fa sorgere in capo al Comune il potere-dovere di regolare la circolazione come previsto dal Codice della strada, assumendosi gli oneri conseguenti, ad es. installando l’impianto di illuminazione, imponendo ai privati di rimuovere i manufatti pericolosi per la circolazione o che impediscano la manutenzione della strada (TAR Venezia, sez. III, 22 aprile 2013, n.595; TAR Brescia, sez. I, 11 novembre 2008, n.1602; TAR Napoli, sez. V, 04 febbraio 2004, n.1582).

La giurisprudenza è, invece, concorde nel ritenere che l’assoggettamento di un bene ad uso pubblico di passaggio non possa legittimare il proprietario di un fondo confinante all'apertura di passo carrabile sulla strada medesima, nemmeno in forza di ottenuta concessione amministrativa, poiché il Comune competente, titolare di una servitù di passaggio su area privata, può esercitare sulla medesima i soli poteri che siano volti a garantire e disciplinare l'uso generale da parte della collettività; ne consegue che, ove ciò non sia espressamente consentito dal titolo, il Comune non può concedere al singolo usi eccezionali e particolari su porzioni di detto immobile (Cassazione civile sez. II, 12 luglio 2007, n.15661).
In breve, anche in presenza di una servitù di uso pubblico il Comune non dispone del potere di autorizzare l’apertura di passi carrabili ai privati, necessitando a tal fine di un più ampio titolo di acquisto, cioè la proprietà (da ultimo, Cassazione civile, sez. II, 21 febbraio 2017, n.4416, che cita numerosi precedenti concordi in materia).

Quanto alla responsabilità per eventuali danni subiti da terzi, è stato affermato che la natura privata della strada non è di per sé sufficiente ad escludere la responsabilità dell’Ente, in quanto il Comune che consenta il pubblico transito su di un'area di proprietà privata assume l'obbligo di verificare che la manutenzione della stessa e dei relativi manufatti sia eseguita e, conseguentemente, di provvedervi. Sussiste cioè in capo alla P.A. territoriale, benché non proprietaria, un dovere di sorveglianza, che costituisce un obbligo primario derivante dal principio del neminem laedere, che determina la responsabilità per il danno cagionato all'utente dell'area (Cassazione civile, sez. VI, 07 febbraio 2017, n.3216; Cassazione civile, sez. III, 4 gennaio 2010, n. 7).
Questo significa che, nell'ipotesi di danni terzi (cose o persone) verificatisi sul tratto di strada sul quale insiste la servitù il Comune potrà essere legittimamente chiamato a risponderne, e non potrà "discolparsi" sostenendo che la strada non appartenga al demanio pubblico ma sia di proprietà privata ad uso pubblico.

Infine, riguardo i criteri da seguire per la ripartizione degli oneri di manutenzione tra Comune e proprietari in mancanza di indicazioni chiare nel titolo costitutivo della servitù, si registrano opinioni discordanti.
Alcune pronunce affermano, infatti, che le spese debbano gravare esclusivamente sull’Ente pubblico (TAR Lecce, sez. II, 01 aprile 2004, n. 2265 e 22 luglio 2004, n. 5368), mentre altre sentenze –per la verità riguardanti le strade vicinali, che hanno caratteristiche particolari e diverse rispetto a quelle delle strade urbane ad uso pubblico- sanciscono soltanto l’obbligo di concorrere alle spese, insieme ai privati proprietari (Consiglio di Stato sez. IV, 21 settembre 2015, n.4398; TAR Perugia , sez. I , 25 settembre 2014, n. 503).
Nel caso di specie sembrano ricorrere validi elementi per sostenere la prima delle dette tesi, secondo cui la manutenzione andrebbe svolta ad esclusivo carico del Comune, posto che non si tratta di una strada vicinale e che, quindi, la relativa disciplina non è immediatamente applicabile, che il vicolo, come accertato giudizialmente, è stato “attratto” nella viabilità urbana ed inserito nell’elenco delle strade comunali e, non ultimo, che il Comune ha già di sua iniziativa ed a sue spese provveduto all’asfaltatura ed all’installazione dell’illuminazione pubblica.

4- Conclusioni.

Alla luce di tutte le considerazioni di cui sopra, è possibile fissare i seguenti punti fermi.
Se sul vicolo è stata dichiarata la presenza di una servitù di uso pubblico, il Comune non deve versare alcun indennizzo ai proprietari, ma è gravato dal potere/dovere di regolare la circolazione stradale (come fatto con l’ordinanza dell’ottobre 2019) e di provvedere a proprie spese a tutte le opere necessarie a garantire l’uso generale del bene e ad assicurare la sicurezza della circolazione, tra le quali potrebbe certamente essere ricompresa anche la realizzazione di nuovi marciapiedi.
Al contempo, il Comune sarà gravato anche della responsabilità nei confronti dei terzi per i danni che eventualmente dovessero subire.

Non è, invece, legittimo che il Comune consenta ad altri privati di aprire passi carrabili sul vicolo, in quanto tale facoltà gli spetterebbe soltanto nel caso in cui acquisisse la piena proprietà del bene e non la sola servitù di uso pubblico, né è possibile per i proprietari chiudere la strada (ad es. installando una sbarra all'imbocco del vicolo), perché ciò impedirebbe il suo potenziale utilizzo da parte della collettività.

Per dirimere in modo certo e definitivo la questione, tuttavia, è indispensabile ottenere una copia integrale della sentenza della Corte d’appello, che permetterà di chiarire il preciso oggetto delle domande accolte dal Giudice.
Infatti, qualora si trattasse di un’azione diversa dalla negatoria servitutis e con oggetto più ampio, sarebbe stata necessaria la partecipazione di tutti i proprietari interessati, che avrebbero dovuto essere chiamati in causa ed essere messi in condizione di svolgere efficacemente e pienamente le proprie difese.
Per reperire la sentenza è possibile sia formulare nei confronti del Comune un’istanza di accesso agli atti, motivata dalla duplice qualità di comproprietario del bene e di destinatario, in quanto residente, dell’ordinanza regolatrice della circolazione stradale emessa nell’ottobre 2019, sia chiederne una copia alla Corte d’appello competente.

Una volta compresa la reale portata di quanto statuito dal Giudice, sarà possibile richiamare l’Ente all’adempimento di tutti gli oneri derivanti dalla titolarità della servitù sopra illustrati, oppure proporre la stesura di un accordo tra Comune e tutti i proprietari, che precisi in modo chiaro i rispettivi obblighi e diritti.
Allo stato, non sembra invece di particolare utilità pratica contattare giornali o trasmissioni televisive, perlomeno finché non saranno state ricostruite in modo completo le circostanze di fatto rilevanti e ne potrà essere così fornito un resoconto accurato e corrispondente al vero.

Alberto F. chiede
lunedì 01/08/2016 - Emilia-Romagna
“Egr. Signori,
nel 1980 ho acquistato un piccolo mappale di terreno classificato "Busco Ceduo", allora come oggi, il lato ovest confinava con i primi 100 metri del tratto iniziale di una vecchia strada Vicinale lunga 500 metri attualmente in disuso e coltivata dai frontisti per 300 metri nel tratto centrale. Nella mappa catastale, la Vicinale, congiunge due strade comunali ed è rappresentata con tratto continuo senza numero di mappale come le altre due che si inseriscono poi nella Provinciale.
Il proprietario del terreno confinante con la Vicinale della parte opposta la mio mappale, negli ultimi 5/6 anni mi richiedeva continuamente la potatura delle querce, esistenti fin dal 1980. Le piante cresciute sulla mia proprietà sono attraversate da un cavo dell'Enel e da un cavo della Telecom. Più volte ho richiesto ai due Enti di intervenire per mettere in sicurezza i loro impianti, per poi permettermi di effettuare la potatura richiesta da controparte. Finalmente un anno fa dopo l'intervento di Enel, ordinavo ad una ditta specializzata la richiesta potatura delle querce. Nel frattempo c.p. incaricava un Ing. per determinare i confini. Il tecnico, in base alle mappe catastali, dichiarava che la strada Vicinale doveva essere spostata per 2 metri verso la mia proprietà in mezzo alle piante.
A quel punto, Contro Parte negava il permesso di effettuare la potatura sostenendo che le querce non erano più di mia proprietà e che con il permesso dell' Ufficio Tecnico Comunale, le avrebbero tagliate loro.
Al fine di raggiungere un accordo, più volte ho parlato con loro. Nel novembre 2015, ho inviato una raccomandata ribadendo che per quasi quarant'anni ho coltivato quelle piante che con gli arbusti sottostanti, delimitavano il mio confine condiviso con la Vicinale.
Controparte supportata dall' Uff. Comunale sostentava che la strada Vicinale, così come indicano le mappa catastali, collegata alle altre, senza numero di mappale, deve essere classificata comunale e quindi demaniale , inalienabile, non usucapibile da privati e riposizionata come dalle planimetrie ufficiali.
C.P., nonostante la proteste, nel mese di aprile tagliava a terra le piante e poneva una cordicella lungo il nuovo confine. Con l'escavatore operava lungo la strada per delimitare il nuovo tracciato. Protestavo e facevo intervenire i Tecnici Comunali che ammettevano l'autorizzazione alla potatura per evitare il danneggiamento del cortile, ma non il taglio totale. Ordinavano a c.p. di sospendere i lavori in attesa di chiarimenti.
Ho fatto molte indagini:
- negli atti pubblici presso il Catasto e in Archivio Notarile, in un solo rogito del 1959 ho trovato l'inesistenza della Vicinale nel opposto tratto terminale,
- in Comune la Vicinale non è iscritta negli elenchi appositi,
- da più di 30 anni è utilizzata solo da noi pochi frontisti.

Il Catasto da me interpellato ha dichiarato:
- che la strada è allibrata alla partita speciale delle strade. Come tale non risultano informazioni attinenti il suo regime, pubblico o privato ...,
- per la sua natura privata o pubblica a norma del D.L. 285/92 e gli art. 822,824,825 del C.C. la verifica dovrà essere rivolta al Comune che dovrà tener conto della iscrizione negli elenchi comunali e di quanto prevede la legge per stabilire la pubblicità .
Allegando la lettera del Catasto, ho richiesto al Segretario Comunale: delucidazioni in merito alla proprietà del terreno, sedime di scorrimento della vicinale. Sono in attesa di risposta.
Premesso quanto sopra, Vi chiedo di spiegarmi,in base all'art. 825, quale corretta procedura devo tenere per non perdere il terreno e per costringere contro parte ad un accordo per l'uso comune di quei 100 di strada che io intendo di utilizzare.
Cordiali saluti.

Consulenza legale i 03/08/2016
Le strade vicinali vengono equiparate alle strade comunali dall’art. 2 C.d.S. Ciò che rileva è però stabilire se sussista o meno un diritto di uso pubblico sulle stesse, per verificare se esse siano inquadrabili nell’ambito pubblicistico o privatistico.

L’iscrizione di una strada nell’elenco delle vie pubbliche o gravate da uso pubblico non ha natura costitutiva e portata assoluta, ma riveste funzione puramente dichiarativa della pretesa del Comune (Cassazione, sentenza 4938/1992), ponendo una semplice presunzione di pubblicità dell’uso, superabile con la prova contraria della natura della strada e dell’inesistenza di un diritto di godimento da parte della collettività mediante un’azione negatoria di servitù (ai sensi dell’art. 1079 c.c.).

La strada vicinale acquista il carattere di strada pubblica per intervento del Comune mediante un provvedimento di classificazione, in conseguenza del quale la strada risulterà sottoposta al regime giuridico dei beni demaniali ai sensi dell’art. 825 c.c. Si badi però che i diritti reali contemplati dall’art. 825 c.c. vengono costituiti solo alla presenza di due requisiti: per l’utilità di beni demaniali o per il conseguimento di fini di pubblico interesse. In altre parole, si applica l’art. 825 c.c. allorquando sussista un interesse collettivo di un gruppo di persone esercitato uti cives (che – salvo approfondimenti – non pare sussistere nel caso di specie).

Ciò che si desume dalla narrazione è che il Comune ha incaricato un privato di occuparsi della manutenzione della strada con la relativa potatura degli arbusti: si potrebbe dunque presumere l’inesistenza di un uso pubblico della strada stessa, ciò che non consentirebbe l’applicazione dell’art. 825 c.c. ma che consentirebbe invece l’usucapione del tratto di strada coltivato dal proprietario (possesso non interrotto per oltre venti anni e coltivazione uti dominus).

Se invece, a seguito delle indagini da parte del Comune, risultasse che la strada in oggetto è caratterizzata da uso pubblico, purtroppo non sarebbe possibile agire per i propri diritti e/o la salvaguardia delle piante coltivate, posto che i beni demaniali non sono – per loro stessa natura – usucapibili.

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