Irrilevanza dell'indagine sul dolo o sull'errore ; concetto di eccessiva onerosità
Questa norma mi sembra una novità non solo dal punto di vista formale, ossia nel senso che non era contenuta nel codice precedente (poiché in questo senso tutte le norme sulla decadenza sono una ma anche dal punto di vista sostanziale, vale a dire nel senso che non he sarebbe stata possibile l'applicazione nel sistema della legge precedente.
In base a questa, una volta ammesso il potere delle parti di stabilire contrattualmente delle decadenze e una volta esercitato libera-mente e concordemente questo potere, il giudice non avrebbe potuto, senza uno sforzo più di evasione che d'interpretazione, sindacare l'uso fattone.
A garantire la parte dal pericolo dell'eccessiva difficoltà dell'esercizio avrebbero dovuto essere sufficiente presidio i requisiti della capacità dei contraenti e della libertà del consenso richiesti per la validità del contratto.
Tali requisiti sono ancora di regola l'unico presidio del contraente. Nè a questa regola le eccezioni si fanno sempre più numerose, e nel trapasso dalla legge vecchia alla nuova sono aumentate. La complicazione della vita moderna degli affari, la buona fede e la fretta con cui il più delle volte si stipulano i contratti, rendono a volte insufficienti i tradizionali presidi e consigliano al legislatore una maggior tutela della buona fede, mediante l'imposizione di norme che consentano di paralizzare l'efficacia del contratto o del patto per motivi strettamente obiettivi, indipendentemente dall'indagine soggettiva sulla capacità e la libertà dei contraenti. Indice di questo accresciuto bisogno della buona fede contrattuale sono nel nuovo codice la norma dell'art. 2698 (che detta in tema di onere della prova una regola gemella a quella da noi commentata), la norma dell'art. 1384 (sulla riduzione della penale eccessiva), le norme degli articoli 1341 e 1342 (che preservano, anche in tema di decadenza, il contraente dal pericolo di obbligazioni sottoscritte alla leggera), e la norma in esame.
L'art. 2965 presuppone una materia non sottratta alla disponibilità delle parti. Se si trattasse di diritti indisponibili, il patto sarebbe nullo indipendentemente da questa norma, per la assorbente ragione che le parti non avrebbero alcun potere di disposizione e non potrebbero quindi stabilire delle decadenze.
La caratteristica peculiare della nullità contemplata nell'art. 2965 è, come ho più sopra cercato di porre in rilievo, il suo carattere oggettivo. Perché il patto sia nullo, non è necessario il dolo, né la colpa dell'altra parte. La nullità esiste anche se nessuna delle parti avesse avuto l'intenzione di rendere eccessivamente gravoso l'esercizio del diritto, o non avesse neppure sospettato tale conseguenza.
Certo è possibile, anzi è probabile, che nella conclusione di simili patti vi sia il dolo della parte a cui favore è comminata la decadenza, o quanto meno l'errore di chi la subisce. Ma per farne valere la nullità la parte non ha bisogno di darne la dimostrazione ; e non è chi non veda come sul terreno pratico del processo se ne avvantaggi la tutela del del contraente di buona fede.
Dal carattere rigidamente oggettivo della nullità discende, per converso, che il patto è nullo anche se le parti fossero state pienamente consapevoli delle sue conseguenze.
Il concetto di « eccessiva difficoltà » richiede un giudizio di valore che difficilmente può racchiudersi in una formula, ma va riservato caso per caso alla cauta discrezionalità del giudice. Le parole della legge ci suggeriscono soltanto che non basta una semplice difficoltà, e neppure una forte difficoltà, ma una difficoltà eccessiva, tale cioè da trascendere i limiti nei quali le parti possono ragionevolmente obbligarsi.
La legge parla testualmente di eccessiva difficoltà per una delle Parti; se la difficoltà sussistesse in egual misura per entrambe le parti verrebbe meno il pericolo di un ingiusto squilibrio fra i contraenti, e il patto sarebbe valido. La nullità suppone adunque una difficoltà unilaterale, non bilaterale.
Carattere della nullità: decadenze stabilite da atti non contrattuali
Si tratta di un patto nullo o annullabile ? La lettera della legge — che, a differenza dell'antica, adopera sempre in senso rigorosamente tecnico, contrapponendoli, i termini nullità e annullabilità sembra additare la prima soluzione. Ne segue che la nullità potrà essere rilevata d'ufficio : il che è praticamente importante specie nel caso in cui la parte che avrebbe interesse a. eccepirla sia contumace e nel caso in cui l'eccezione sarebbe preclusa a norma dell'art. 184 cod. proc. civ. Per la stessa ragione non è ammissibile una convalida : e ciò appare logico, poiché quel che le parti non possono stabilire in un contratto, non possono neppure convalidare. Si tratta infine di nullità che colpisce il patto e' non il contratto, il quale resta in piedi, salvo il disposto dell'art. 1419, primo comma.
Il sindacato del giudice sull'eccessiva onerosità del termine di decadenza si estende, per evidente analogia, alla clausola contenuta in un testamento e generalmente in qualsiasi negozio giuridico privato.
Quid per le altre fonti ? Per ciò che concerne la legge è evidente che il giudice, ancorché sia intimamente convinto della eccessiva onerosità del termine di decadenza, non può rifiutarsi di applicarla.
Ma fra la legge e il negozio giuridico privato esiste un'altra categoria di atti intermedi (contratto collettivo e norme corporative in genere, atto amministrativo, sentenza), i quali, come abbiamo visto (n. 5), possono anch'essi stabilire delle decadenze. Anche rispetto a questi può formularsi l'ipotesi che il termine di decadenza da essi stabilito renda eccessivamente difficile l'esercizio del diritto o della potestà. Si pone quindi anche rispetto a essi problema della validità di una simile clausola.
L'imposizione di un termine di decadenza eccessivamente oneroso potrà costituire un vizio di merito • (o rivelare un eccesso di potere) dell'atto amministrativo, impugnabile davanti l'autorità competente; ma non potrà, di per sé, essere ritenuta illegittima dal giudice ordinario.
Per ragioni in un certo senso analoghe, l'imposizione di un termine eccessivamente oneroso in una sentenza dispositiva potrà costituire un motivo d'impugnazione della sentenza davanti al giudice competente ma passata la sentenza in giudicato, la clausola non sarà più sindacabile.
Infine, per quanto riguarda il contratto collettivo, quand'anche si voglia ritenere che l'art. 2965 estenda a questo campo la sua vis imperativa, bisognerà pur sempre riconoscere che l'eventuale illegittimità della clausola non potrà essere rilevata dal giudice della controversia individuale bensì dal giudice delle controversie collettive, dinanzi al quale il contratto sia impugnato.
Concludendo si può dire che solo l'autorità competente a sindacare il contenuto dell'atto è competente a rilevare l'eccessiva onerosità della clausola di decadenza. Questo è un principio di portata generale, che vale tanto per gli atti ora esaminati, quanto per i negozi giuridici privati per i quali è naturalmente competente il giudice ordinario — e per quegli altri atti, che, come la legge, non sono sindacabili, e che perciò mantengono la loro efficacia fino al sopraggiungere di un nuovo atto della medesima specie.